
Insegnare l’esodo istriano, giuliano-dalmata: una proposta didattica
Il centro per rifugiati di San Sabba
Crediti: Australian National Maritime Museum on The Commons – https://www.flickr.com/photos/anmm_thecommons/8412017877/, No restrictions, Collegamento
Abstract
L’articolo descrive un percorso laboratoriale per affrontare nella Scuola secondaria di secondo grado i complessi temi storici legati alla Frontiera Adriatica, con particolare riferimento all’esodo istriano, giuliano-dalmata. La descrizione delle attività intreccia due punti di vista: quello dell’esperta di didattica che ha progettato il percorso e quello dell’insegnante che ha vissuto l’esperienza insieme alla propria classe. L’articolo è corredato da tutti gli strumenti operativi che sono stati utilizzati durante il laboratorio.
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The article describes a workshop path to deal with the complex historical themes linked to the Adriatic Frontier in secondary school, with particular reference to the Istrian, Julian and Dalmatian exodus. The description of the activities interweaves two points of view: that of the didactic expert who designed the pathway and that of the teacher who lived the experience together with her class. The article is accompanied by all the operational tools that were used during the workshop.
Proprio il dialogo fra il momento della soggettività e dell’empatia, che è proprio delle fonti della memoria, e l’applicazione del metodo storico, che impone il distacco critico dall’oggetto di analisi, può costituire un’occasione privilegiata per attività laboratoriali di conoscenza del passato.[1]
Linee Guida per la didattica della Frontiera Adriatica
Ogni insegnante sa quanto sia difficile affrontare in classe la spiegazione degli episodi storici avvenuti nel Novecento lungo la Frontiera Adriatica, «un territorio segnato da tensioni e conflitti, dove si intrecciano irredentismi e nazionalismi, fascismo di confine, occupazione tedesca e comunismo jugoslavo».[2] Eppure, è proprio l’articolata complessità degli eventi che rende la Storia un «cantiere di contemporaneità, per “colmare il divario tra persona e comunità”, per favorire la comprensione condivisa anche di accadimenti a noi più prossimi, per educare al dialogo e al rispetto dello sguardo dell’altro».[3]
Accogliendo l’invito delle Linee Guida per la didattica della Frontiera Adriatica, Istoreto ha proposto alle scuole torinesi un percorso laboratoriale che ha come tema l’esodo giuliano-dalmata, perché, attraverso questa lente di ingrandimento, è possibile condurre le studentesse e gli studenti a riflettere su una pagina importante della storia italiana, ingiustamente dimenticata, e sugli spostamenti forzati di popolazione che caratterizzano il continente europeo a fine guerra. Spostamenti forzati che, ieri come oggi, mettono in luce – per contrasto – le caratteristiche fondanti di una società democratica: l’accoglienza, l’inclusione e la cura, così come la Carta costituzionale prevede.
La proposta didattica si articola in 3 incontri da 2 moduli ciascuno che, sinora, abbiamo sperimentato in tre classi di Scuola secondaria di secondo grado:[4] i primi due incontri hanno lo scopo di accompagnare le classi all’interno della vicenda storica, mentre il terzo rappresenta il momento rielaborativo e proattivo che ha visto le studentesse e gli studenti prendere la parola.
Il racconto di questa esperienza si articola attraverso un confronto tra chi ha progettato il laboratorio didattico e la docente che ha avuto la possibilità di vivere l’esperienza insieme a due classi del suo Istituto. Come tutti i percorsi che si rispettano, anche questo è formato da una serie di passi che, man mano accompagnano studentesse e studenti a una conoscenza sempre più profonda dell’argomento. Partiamo, quindi, dal primo passo.
1) PRIMO PASSO: attivare le preconoscenze
Prima ancora di dare avvio al laboratorio, è stato proposto ai docenti di far visionare in classe il documentario Il sorriso della Patria L’esodo giuliano-dalmata nei cinegiornali del tempo. Immagini, schede e testimonianze sulla storia del confine orientale per gli studenti di oggi.
La prima azione compiuta all’avvio del percorso laboratoriale, dunque, è stata quella di sondare quali informazioni le studentesse e gli studenti hanno saputo estrapolare dal documentario e come le hanno collegate alle loro preconoscenze. Ricorda, infatti, David Ausubel: «il fattore più importante che influenza l’apprendimento è quello che il discente già sa. Accertate questo e insegnategli di conseguenza».[5] Per fare emergere le conoscenze pregresse, abbiamo utilizzato un organizzatore di idee (vedi all. 1) in modo da dare agli studenti la possibilità di riflettere su ciò che già sanno e domandarsi che cosa vorrebbero conoscere. L’organizzatore scelto è uno strumento (tool) molto utilizzato nel mondo anglosassone, la KWL Chart, una tabella costruita su tre colonne: che cosa so (what I know), che cosa vorrei sapere (what I want to know) e che cosa ho imparato (what I learned). Durante il primo incontro, gli studenti, suddivisi in gruppi di lavoro, hanno compilato le prime due colonne. Qui di seguito alcuni esempi di quanto emerso:
Al termine di questa prima attività abbiamo ottenuto un quadro composito dei loro saperi sull’argomento, talora segnati da inesattezze ed errori, ma che ci ha permesso comprendere quale dovesse essere il punto di partenza e dove porre le basi per un sapere ancorato ai fatti storici, rispondendo, così, alle loro aspettative.
Il punto di vista della docente
Aspettative. Vorrei partire proprio da questa parola per mettere in luce che cosa si aspettavano da questo laboratorio gli studenti delle mie due classi: la classe 4^ che ha svolto l’attività in quest’anno scolastico (2024-25) e la classe 5^, che ha svolto il percorso l’anno scolastico passato (2023-24).
Le aspettative iniziali degli studenti riguardavano la possibilità di approfondire un tema di cui sapevano poco o nulla. Uno degli ostacoli principali era il rischio che non avessero una chiara visione del contesto storico, dal momento che l’esodo istriano, giuliano e dalmata non rientra nella progettazione di studi delle classi quarte. Tuttavia, l’approccio laboratoriale e partecipativo ha favorito un’immersione attiva nella tematica. Gli studenti, già abituati a lavorare in gruppo, hanno particolarmente apprezzato l’utilizzo del Padlet condiviso come strumento di collaborazione, perché ha permesso loro di raccogliere riflessioni, documenti e materiali in modo interattivo.
2) SECONDO PASSO: approdare alla narrazione storica
L’analisi delle preconoscenze ha offerto una serie di spunti per affrontare la narrazione storica e condurre gli studenti sui “giusti binari storiografici”, ad iniziare da una precisa collocazione storica degli eventi. Le cornici tematiche, presentate da Riccardo Marchis[6] nei due primi incontri, hanno indagato due aspetti essenziali dell’esodo – le partenze e gli arrivi -, ripercorrendo la storia dell’esodo nelle sue diverse fasi, così come la si può ricostruire attraverso le parole chiave presentate nell’applicazione online L’Esodo istriano-fiumano-dalmata in Piemonte. Per un archivio della memoria, consultabile sul sito di Istoreto.
Il nodo storico del primo incontro ha riguardato l’eredità della guerra e ha permesso di ricostruire le motivazioni degli spostamenti di popolazione che alla fine del secondo conflitto mondiale hanno coinvolto il continente europeo, dal Mar Baltico all’Adriatico, con un particolare affondo sulla storia del territorio istriano, giuliano-dalmata. La finalità principale di questa cornice è stata quella di far comprendere agli studenti che la guerra non termina con la conclusione dei combattimenti, ma le sue conseguenze si protraggono negli anni successivi. Attraverso questa chiave di lettura si sono esplicitati nessi tra gli eventi: l’italianizzazione forzata delle minoranze acquisite dai trattati di pace, la fascistizzazione della società civile, l’occupazione italiana in Jugoslavia, le conseguenze della sconfitta italiana nei territori della Frontiera Adriatica, l’instaurarsi del regime titino, gli infoibamenti, la fuga dall’Istria e dalla Dalmazia.
Nel secondo incontro lo sguardo degli studenti è stato indirizzato verso il tema dell’arrivo in Italia. Il focus del discorso ha riguardato l’accoglienza degli esuli nei Centri di Raccolta Profughi, mettendo in luce la fatica delle famiglie nel ricostruirsi una vita, magari molto differente da quella lasciata, in un contesto generale che vedeva l’Italia impoverita dalle distruzioni della guerra. La descrizione della dura coabitazione nei CRP e degli sforzi delle amministrazioni per dare un’assistenza governativa agli esuli si è intrecciata al tema dei pregiudizi politici e culturali che hanno aggravato le condizioni dei profughi.
Le cornici storiche sono state il punto di partenza per le indagini e le riflessioni dei gruppi di lavoro.
Il punto di vista della docente
L’intervento di Riccardo Marchis ha offerto le informazioni storiche necessarie a evitare interpretazioni distorte o approssimative. Le reazioni degli studenti sono state positive. Ho colto da parte loro il desiderio di approfondire queste tematiche, adottando uno sguardo duplice: da un lato rivolto all’attualità, attraverso i confronti con vicende che hanno dei punti in comune con l’esodo istriano, e dall’altro su argomenti che saranno oggetto di studio nell’anno scolastico successivo. Tra le richieste emerse, c’è stata quella di organizzare una visita all’Istoreto, a testimonianza di un coinvolgimento concreto e di una curiosità che va oltre la lezione in aula.
Per l’attuale classe quinta, che ha svolto il laboratorio lo scorso anno, abbiamo pensato di arricchire l’esperienza con un incontro diretto con uno o più esuli, come richiesto dagli stessi studenti al termine del percorso laboratoriale. Il contatto con un testimone permetterà loro di entrare in relazione con la dimensione personale e familiare dell’esodo, rendendo ancora più significativo il percorso di conoscenza e riflessione. Dall’incontro con i testimoni i ragazzi si aspettano di cogliere dettagli che solo il ricordo personale può restituire: i motivi che hanno spinto alla partenza, il viaggio, le emozioni provate, gli spostamenti successivi. Questa non sarà solo un’occasione per raccogliere informazioni, ma anche un momento di confronto e dialogo con chi ancora oggi porta in sé le tracce di quell’esperienza. Ci si aspetta, quindi, che il racconto susciti empatia e consapevolezza, permettendo ai ragazzi di avvicinarsi a una storia che, pur appartenendo al passato, continua a interrogarci nel presente.
Nel nostro caso, quindi, l’intento dell’incontro con il testimone è far sì che la memoria individuale, attraverso un dialogo collettivo, possa restituire alle giovani generazioni la narrazione di un passato che, senza avere la pretesa di esaurire l’operazione storiografica, condivide con loro la dimensione emotiva ed esperienziale, ricostruendo uno spaccato di vita vissuta.
Ragionando più in generale sui meccanismi della memoria, è utile qui richiamare le parole di Paolo Jedlowski:
La definizione di ciò che è accaduto è dunque il risultato di un processo conoscitivo nel quale il passato è costruito non meno che conservato. […] Nella memoria, dunque, il passato non è mai accessibile in modo diretto, e non è mai conservato in modo definitivo: la mediazione con il presente lo costruisce di volta involta in forme diverse. […] In questa impostazione, la memoria emerge come un insieme dinamico, luogo non solo di selezioni, ma di reinterpretazioni e riformulazioni del passato. La sua funzione consiste, più che in quella di fornire immagini “fedeli” del passato, in quella di preservare quegli elementi del passato che garantiscono ai soggetti il senso della propria continuità e la conservazione della propria identità”.[7]
3) TERZO PASSO: interagire con le fonti di memoria
Le due cornici tematiche, seppur racchiuse in tempi ristretti, hanno costituito l’orizzonte storico dei gruppi di lavoro, che, in seguito, hanno approfondito l’argomento interagendo con le fonti di memoria.
Inizialmente i gruppi hanno analizzato alcune fotografie relative alle partenze da Pola e agli arrivi presso il CRP delle Casermette di Borgo San Paolo a Torino (vedi all. 2). La scelta di presentare come prima fonte di memoria le fotografie è dovuta all’immediatezza del linguaggio visivo, capace di attirare l’attenzione e di suggestionare, facendo formulare ipotesi su quanto si sta osservando. In questo caso, le fotografie sono state ritenute un buon tramite per introdurre un argomento ancora poco conosciuto, dando peso e spessore alle parole della cornice storica. Attraverso l’analisi, gli studenti hanno colto molteplici aspetti dell’esperienza vissuta dagli esuli mettendo in luce, per esempio: il forte senso di appartenenza alla propria casa, accompagnato da una greve malinconia nel doversene separare; la sofferenza di dover lasciare la propria terra, tanto da voler portare tutto con sé, anche l’insegna del negozio e gli infissi delle finestre; le dure e precarie condizioni di vita all’interno di un CRP, dove gli spazi personali erano inesistenti; ma anche il senso di solidarietà che legava gli esuli e il loro desiderio di un futuro migliore.
Successivamente i gruppi di lavoro sono stati posti di fronte alle testimonianze dirette: stralci di interviste a uomini e donne che hanno lasciato la loro terra (vedi all. 3). Pur tenendo presente i limiti della memoria personale, le testimonianze hanno permesso ai gruppi di riflettere sulle condizioni di vita all’interno dei CRP e sui pregiudizi politici e culturali che hanno segnato i ricordi degli esuli. Condizioni e pregiudizi che, agli studenti, hanno ricordato contesti e situazioni legati alla più recente attualità. Ad esempio, degli studenti hanno scritto: “ci hanno colpito le difficoltà sociali che gli esuli si trovavano ad affrontare quotidianamente a causa della loro provenienza e dell’opinione pubblica che si era formata nei loro confronti, semplicemente per la volontà di mantenere la loro dignità, trovare un lavoro stabile ed essere in grado di mantenere la propria famiglia”; e – ancora – “abbiamo compreso che nonostante le difficoltà le persone hanno mantenuto la lucidità di portare avanti la loro vita, adattandosi alla nuova quotidianità. Oltretutto, si denota che i pregiudizi passati si riscontrano ancora oggi”. Forti ed espliciti sono stati i parallelismi con il tempo presente. Quasi tutti i gruppi, infatti, hanno colto come pregiudizi e atteggiamenti del passato siano simili a quelli inerenti all’attuale situazione dei migranti in Italia: “ancora al giorno d’oggi c’è lo stesso pregiudizio nei confronti degli immigrati in Italia che scappano dal loro paese per trovare condizioni di vita migliori e la pace”.
Il punto di vista della docente
Le fotografie parlano un linguaggio immediato e potente, ma al tempo stesso rimandano a una realtà lontana, distante dall’esperienza diretta dei nostri studenti. Non solo per l’effetto cromatico del bianco e nero, ma anche per il contesto storico che ritraggono: alcuni ragazzi le hanno addirittura definite “surreali” rispetto al presente in cui vivono.
Osservare e analizzare queste immagini ha permesso loro di collegare quanto raccontato dallo storico alla dimensione concreta dei vissuti personali. Le foto non sono solo documenti visivi, ma consentono di intuire le emozioni provate dai protagonisti di quelle scene.
I ragazzi hanno colto soprattutto due aspetti fondamentali. Il primo riguarda i luoghi: le immagini hanno dato concretezza ai fatti, mostrando gli scenari in cui si sono svolti. Ma ancora più importante è stato il secondo aspetto: il riconoscere nelle foto non semplici figure, ma persone reali, con legami affettivi e sociali spezzati dall’esodo.
Rispetto alle immagini, gli studenti hanno trovato le testimonianze scritte più impegnative da seguire. In certi momenti, la loro attenzione calava, segno che il testo scritto richiede uno sforzo maggiore. Tuttavia, una volta superata questa difficoltà iniziale, i ragazzi hanno riconosciuto il valore profondo delle testimonianze: oltre alla dimensione materiale, infatti, è risultato evidente il senso di spaesamento e di estraneità che accompagnava gli esuli. Molti di loro, pur trovandosi in Italia, si sentivano stranieri in una terra che pure gli apparteneva. A volte, erano accolti con diffidenza, percepiti come diversi, spesso guardati con sospetto dalle comunità locali. I ragazzi hanno rilevato che questo sentimento era particolarmente acuto per gli adulti e gli anziani, che faticavano ad adattarsi a un contesto che li considerava, in qualche modo, ospiti indesiderati. Spesso erano oggetto di pregiudizi causati da stereotipi, e questo è stato un altro importante punto di riflessione per i ragazzi perché è immediato fare parallelismi con la realtà odierna in cui loro stessi vivono.
Un altro aspetto su cui gli studenti si sono soffermati è stato il difficile processo di adattamento: dover ricostruire una rete di relazioni con persone sconosciute, convivere gomito a gomito con estranei, affrontare il senso di estraneità in luoghi nuovi, spesso con culture differenti. L’obbligo di seguire una disciplina rigida all’interno dei campi profughi, da un lato ha rappresentato un’ulteriore limitazione della libertà personale, ma dall’altro, paradossalmente, ha favorito forme di socializzazione e di aiuto reciproco tra chi condivideva la stessa sorte.
La lettura delle testimonianze ha aiutato i ragazzi a comprendere che l’esodo non ha significato solo la perdita di una casa o di una terra, ma anche la perdita di un’identità certa, sostituita da una condizione di perenne precarietà e di sospensione, non solo fisica ma anche emotiva e sociale.
4) QUARTO PASSO: il compito autentico
Le fonti di memoria hanno permesso ai gruppi di raccogliere e analizzare molteplici informazioni che, in seguito, sono state sistematizzate nell’ultima colonna della KWL Chart e sono divenute spunto per un dialogo collettivo che ha portato alla parte finale del laboratorio, dove il piano dell’azione è stato completamente ribaltato: i gruppi di lavoro si sono trasformati in Project Team e sono divenuti i protagonisti attivi. Ogni team ha avuto il compito di progettare un artefatto (podcast, video, poster, graphic novel, ecc.) oppure un evento (rappresentazione teatrale, mostra, letture pubbliche, ecc.) per poter condividere con altri studenti ciò che era stato appreso (all. 4). In questo contesto l’esperto di storia si è trasformato in un “facilitatore dell’apprendimento”, confrontandosi con i team per supportarli nello sviluppo delle loro progettualità. Molti team hanno interpellato l’esperto per avere conferma della loro idea progettuale e chiedere in che modo potessero reperire maggiori informazioni oppure come trovare le risposte alle loro curiosità. Ad esempio, un team era particolarmente interessato alla storia locale, quindi è stato indirizzato ad approfondire l’accoglienza dei profughi avvenuta presso il comune di Montanaro[8] (TO), da cui proveniva uno studente; mentre un altro team voleva avere un riferimento filmografico ed è stato indirizzato a prendere visione del film Cuori senza frontiere.[9]
Abbiamo voluto concludere il percorso laboratoriale con un compito autentico per permettere agli studenti di rielaborare in modo creativo i saperi appresi, intersecandoli con le loro abilità e le loro attitudini e facendo, quindi, emergere le loro competenze, perché, come scrive Michele Pellerey: «la competenza si manifesta come la capacità di far fronte a un compito, o un insieme di compiti, riuscendo a mettere in moto e a orchestrare le proprie risorse interne, cognitive, affettive e volitive, e a utilizzare quelle esterne disponibili in modo coerente e fecondo».[10]
Le idee progettuali elaborate dai team hanno spaziato in diverse direzioni: alcuni hanno proposto la costruzione di una linea del tempo interattiva, altri hanno pensato a un profilo Instagram o alla predisposizione di un sito Internet, altri ancora a un podcast o a una rappresentazione teatrale, e molto altro ancora.
Il punto di vista della docente
Uno degli aspetti che ho apprezzato di più è stato vedere come i ragazzi siano riusciti a trasformare ciò che hanno appreso in qualcosa di vivo e personale. Grazie anche alla mediazione didattica di Federica, la creatività ha giocato un ruolo chiave: attraverso il lavoro di gruppo, il confronto e la realizzazione di un artefatto divulgativo, gli studenti non hanno semplicemente svolto un esercizio scolastico, ma hanno vissuto un momento di crescita. Hanno messo in gioco competenze diverse (comunicative, espressive, anche metacognitive) restituendo il senso di ciò che avevano appreso e realizzando qualcosa di nuovo in una forma che parla anche ai loro coetanei. Questa esperienza ha confermato che la scuola è e deve essere uno spazio di ricerca e costruzione del sapere e non un luogo in cui si ricevono passivamente nozioni. Forse è proprio questo il risultato più bello: vederli coinvolti, motivati e in grado di guardare alla Storia e, in modo particolare alla vicenda dell’esodo, con occhi più consapevoli e maturi.
Per concludere questo excursus, la parola passa a studentesse e studenti.[11] A titolo esemplificativo vi lasciamo con uno schema di progettazione elaborato dal Gruppo Blu della 5^ B dell’dell’IIS “P. Martinetti” e con un artefatto realizzato l’anno passato dal Gruppo Verde della 4^E dell’ITTS “C. Grassi”. I lavori prodotti mostrano come i saperi acquisiti in questi pochi incontri, seppure ancora in una fase embrionale, si sono trasformati in idee e hanno dato forma a una progettualità ragionata. Sarà poi compito della scuola, o di percorsi formativi futuri, o, perché no, della società civile, far sì che questi saperi si rafforzino e acquisiscono una sempre maggiore profondità critica.
Consigli di lettura – per una bibliografia minima
Per approfondire il tema storico si consiglia la lettura di:
- P. Audenino, La casa perduta. La memoria dei profughi nell’Europa del Novecento, Carocci Editore. Roma 2015.
- G. Crainz, Il dolore e l’esilio. L’Istria e le memorie divise d’Europa, Donzelli, Roma 2005.
- R. Marchis, (a cura di), Una narrazione a lungo mancata. Della diaspora giuliano-dalmata e degli altri esodi del Novecento alla luce del tempo presente, SEB 27, Torino 2019.
- E. Miletto, Novecento di confine. L’Istria, le foibe, l’esodo, FrancoAngeli, Milano 2020.
- R. Pupo, Il lungo esodo. Istria: le persecuzioni, le foibe, l’esilio, Rizzoli, Milano 2022.
Per approfondire il tema pedagogico si consiglia la lettura di:
- M. Castoldi, Compiti autentici. Un nuovo modo di insegnare e apprendere, UTET Università, Bologna 2018.
- J. Hattie, Apprendimento visibile, insegnamento efficace. Metodi e strategie di successo dalla ricerca evidence-based, Erickson, Trento 2016.
- S. Sancassani, F. Brambilla, D. Casiraghi, Progettare l’innovazione didattica, Pearson, Londra 2019.
Note:
[1] Linee Guida per la didattica della Frontiera Adriatica – MIM, 20 ottobre 2022. pag. 13.
[2] Come scrive Enrico Miletto sul retro di copertina del volume Novecento di confine. L’Istria, le foibe, l’esodo, FrancoAngeli, Milano 2020.
[3] Stefano Versari, Linee Guida per la didattica della Frontiera Adriatica – MIM, 20 ottobre 2022. Pag. 2.
[4] Due classi classi dell’ITTS “Carlo Grassi” di Torino: classe 4^ E indirizzo a informatico – a.s. 2023-24, proff. Giampiero Frasca e Paola Moncalvo; classe 4^ D a indirizzo informatico – a.s. 2024-25, prof.sse Graziella Nevolo e Paola Moncalvo. Una classe dell’IIS “Piero Martinetti” di Caluso (To): classe 5^B – Istituto tecnico, settore tecnologico, indirizzo “Chimica, materiali e biotecnologie”, articolazione ambientale e sanitaria – a.s. 2024-25, proff. Ferdinando Zorzi e Silvia De Castro.
[5] D.P. Ausubel, Educational Psychology: A Cognitive View, 1968, p. VI. Passo citato in J. Hattie, Apprendimento visibile, insegnamento efficace. Metodi e strategie di successo dalla ricerca evidence-based, Erickson, 2016. Pag. 90.
[6] Coordinatore delle attività formative e didattiche presso l’Istoreto, curatore di iniziative e di pubblicazioni sull’esodo giuliano dalmata.
[7] P. Jedlowski, Memoria, esperienza, modernità. FrancoAngeli, Milano 1989, p. 59. Sul tema della didattica del testimone si vedano anche C. Marcellini, Testimoni a scuola. Una riflessione sull’uso delle fonti orali per la didattica della storia, in “Novecento.org”, n. 3, 2014. DOI: 10.12977/nov42 e V. Pisanty, Che cosa è andato storto? Le politiche della memoria nell’epoca del post-testimone, in “Novecento.org”, n. 13, febbraio 2020. DOI: 10.12977/nov309
[8] Per un approfondimento si veda Montanaro, Montanaro
[9] Cuori senza frontiere, Luigi Zampa, Italia 1950. Visibile su Rayplay e su YouTube.
[10] M. Pellerey, Le competenze individuali e il Portfolio, La Nuova Italia 2004. P. 12.
[11] Si ringraziano Matteo Ferrentino, Luca Isvanchinu, Lorenzo Milanine, Nicolò Signorini Alessandro Tarabellina, dell’ITS Martinetti e Andrea Assandri, Diego Chianale, Gabriele Filice, Luca Mancini, Luca Montesardo con le due lettrici Sonia Tayeb Cherif e Malak Tourti dell’ITTS Grassi.