Io vi accuso. Giacomo Matteotti e noi, di Concetto Vecchio
La copertina del volume.
Concetto Vecchio
Io vi accuso: Giacomo Matteotti e noi
Utet, Milano 2024, pp. 240
Tra i molti libri – novità o riedizioni – che in questi mesi sono stati dedicati a Matteotti in occasione dei cento anni dal suo assassinio a opera di sicari fascisti, vale la pena di segnalare qui, per una sua possibile utilizzazione didattica, quello di Concetto Vecchio, Io vi accuso. Giacomo Matteotti e noi[1].
Concetto Vecchio è un giornalista, quirinalista, di Repubblica, che già nel 2019 si era attirato una certa attenzione da parte del mondo scuola con il libro Cacciateli! Quando i migranti eravamo noi,[2] nel quale riportava alla luce un episodio poco ricordato della storia recente, il referendum xenofobo del 7 giugno 1970 tenuto in Svizzera per espellere dal paese trecentomila stranieri, perlopiù italiani – referendum che, per fortuna, il suo promotore, l’esponente di estrema destra Schwarzenbach, perse con il 54% di no.[3]
Un’inchiesta sul Matteotti meno conosciuto…
La cifra preferita da Vecchio, che accomuna entrambi i libri, sembra essere l’inchiesta sul passato, suscitata da domande – e urgenze – poste dall’attualità: un’indagine, insomma, che si svolge «con l’occhio al presente e il cuore rivolto alle giovani generazioni ».[4] In effetti, l’autore dichiara di non voler scrivere un libro di storia: «Non ne sarei capace, e nemmeno una biografia».[5] Sua intenzione è svolgere un lavoro giornalistico per comprendere ciò che, oggi, resta di Matteotti nelle cose, nei luoghi, nella memoria. E per riportare alla luce ciò che su di lui è stato dimenticato o trascurato per lunghi decenni.
Però, anche se non si prefigge di scrivere un libro di Storia, la Storia gli interessa eccome: lo dimostrano i riferimenti puntuali al contesto degli eventi raccontati, l’attenzione scrupolosa alla successione dei fatti, la cura con cui si è documentato attraverso le fonti, sia archivistiche che storiografiche.
… partendo da un corpo e dai luoghi
L’inchiesta non poteva che iniziare dalle campagne di Fratta Polesine (RO), il paese dove nel 1885 nacque Matteotti, perché – scrive Vecchio – «le cose si capiscono solo andando sui posti».[6] L’autore è alla ricerca di un’immagine-simbolo che vada oltre il nome di una via o di una piazza, di tante vie e di tante piazze: «Nessun politico del Novecento ne ha così tante»[7]. Quella di Matteotti, pensa, è una vita schiacciata dalla morte.
Giunto in paese, comincia dalla tomba. Ci sono bandiere, fiori, biglietti di sconosciuti. Il luogo è inaspettatamente luminoso, «vivificato da un caldo spirito».[8] Il grande avversario di Mussolini è sepolto lì dall’11 ottobre 1928: «Vi giunse dopo peripezie, traslochi, trafugamenti, trattato come un appestato».
Vecchio capisce che per raccontare Matteotti bisogna partire dal corpo, il corpo di
un uomo che ha combattuto e che è stato combattuto. Conteso. Diverso. Mai popolare. Come definirlo se non un antitaliano, per educazione e postura civile.[9]
Vecchio si reca alla Casa Museo di Giacomo Matteotti, a Fratta Polesine.[10] Lo accompagna la direttrice, Ludovica Metterle, ex insegnante di italiano e latino al liceo Celio di Rovigo, lo stesso dove studiò, con successo, Giacomo. È la casa di famiglia, in cui Matteotti è vissuto da quando aveva dieci anni: prima con i genitori e i due fratelli; poi con la madre, l’amata moglie Velia e i figli, fino a quando, ormai parlamentare, costantemente minacciato dai fascisti, non può più farvi ritorno.[11]
A proposito di luoghi di memoria e della loro importanza didattica, sorge una prima riflessione: la lettura di questo libro può essere davvero di grande utilità per dei ragazzi delle classi terminali della secondaria superiore; anche, per esempio, per introdurre un progetto di PCTO di cui un’eventuale, successiva visita alla Casa Museo potrebbe rappresentare il «momento formativo»,[12] quello nel quale gli studenti apprendono a lavorare proficuamente sulle fonti e, perché no, sugli oggetti.[13]
Un altro significativo luogo di memoria, nell’accezione ampia (e critica) che ne ha dato a suo tempo P. Nora, è la lapide commemorativa che si trova nella piazza di Fratta Polesine. È stata collocata lì nel 1950 dalla sezione locale del Partito Socialista, sul muro di una casa che era di proprietà della famiglia Matteotti. L’iscrizione recita: «Giacomo Matteotti assurto nel martirio a simbolo di libertà presso tutte le genti nella sua terra senza pace attende il giorno della giustizia riparatrice Fratta Polesine 10 giugno 1950». Vecchio apprende che per sessant’anni l’iscrizione è stata censurata: su ordine del Prefetto e del Questore di Rovigo, cioè dello Stato, la parte indicata in corsivo è stata cancellata al momento della posa perché disturbava. Fu aggiunta solo nel 2011: grazie alla tenacia della professoressa Metterle. Un episodio che – viene da dire – debitamente documentato e raccontato costituisce una vera chicca per insegnanti che vogliano fare luce sull’Italia del Dopoguerra, anche in chiave di storia pubblica.
Matteotti e il Polesine: un legame indissolubile
Pur non avendo le caratteristiche di una biografia vera e propria, il racconto di Vecchio ripercorre man mano, seguendo il filo del tempo, i momenti della vita di Matteotti.
Anzitutto la fase polesana (quella meno conosciuta, secondo Gianpaolo Romanato),[14] che comprende le origini famigliari, la giovinezza, gli studi e la laurea (con lode) in giurisprudenza; la scoperta della sofferenza degli ultimi della sua terra (i contadini) e, insieme, del socialismo come speranza per essi di riscatto; l’impegno amministrativo sul territorio.[15] Ma il futuro parlamentare socialista non si limita a fare l’amministratore locale, a controllare la gestione dei bilanci; fa molto altro: «Sui campi mette in pratica la sua idea di socialismo, graduale, riformista, concreto», ristrutturando la Camera del Lavoro di Rovigo, aprendo nuove sezioni del partito, moltiplicando gli iscritti alle leghe, inaugurando cooperative e biblioteche popolari, spendendosi per l’istruzione dei contadini. «Questo impegno – sottolinea Vecchio – porterà alla stipula di patti agricoli per la spaventata meraviglia dei borghesi, di quelli del suo censo».[16]
Appartiene a questa fase anche un altro aspetto poco conosciuto del primo Matteotti: l’impegno antimilitarista. Prima contro l’avventura coloniale in Libia (1911-1912) e «il sacrificio immenso di uomini e denaro»[17] che essa comporta. Poi contro l’intervento dell’Italia nel primo conflitto mondiale (24 maggio 1915), quando la sua opposizione alla guerra – che arriverà al punto di prendere momentaneamente in considerazione una chiamata delle masse popolari all’insurrezione – lo esporrà a campagne diffamatorie,con l’accusa di disfattismo, e al rischio di aggressioni da parte degli interventisti più estremisti. Le sue prese di posizione pubbliche contro i massacri di contadini nelle trincee, lo spreco di risorse pubbliche, la vuota retorica patriottica, indurranno le autorità militari ad allontanarlo da Rovigo e a imporgli un confino in Sicilia, a Campo Inglese (ME), che durerà quasi tre anni, dal 1916 al 1919. Sono, queste, pagine in cui Vecchio inizia anche a delineare un confronto tra Matteotti e Mussolini (in pratica, quasi coetanei), che resterà come un filo rosso nella parte successiva del libro. Lo spunto, per così dire, da “vite parallele”, ha un indubbio interesse didattico, perché aiuta a comprendere, al di là delle evidenti diversità, l’appartenenza dei due protagonisti a una storia comune.
Fedele al compito che si è dato – fare emergere l’uomo Matteotti, a tutto tondo – Vecchio dà il giusto rilievo alla straordinaria storia d’amore con Velia Titta, figura di grande spessore e dignità, prima e dopo la tragedia della morte del marito. Le lettere tra Velia e Giacomo – pubblicate dallo storico Stefano Caretti[18] – sono un documento fondamentale non solo per ricostruire i diversi momenti di una relazione straordinariamente intensa e tormentata che non mancherà di affascinare gli studenti,[19] ma anche per conoscere quegli aspetti quotidiani della vita di Matteotti che possono emergere da altre fonti d’archivio.
Matteotti si fa in due: l’impegno in Polesine e in Parlamento
Il 1919 è un anno che rappresenta uno snodo fondamentale nella vita di Matteotti. Potrebbe fermarsi, condurre una vita borghese, occuparsi della famiglia e delle sue proprietà. In fondo, ha già fatto molto per il suo territorio.
E invece si ributta nel lavoro politico, torna a organizzare le proteste dei contadini, discute con loro di ripartizione dei prodotti, canoni d’affitto, orari di lavoro, salari, prepara uno studio per l’unificazione degli oltre settanta tipi di patti agricoli vigenti in tutti i comuni polesani.
Qual è il demone che lo muove?, si domanda il giornalista.[20]
Già, qual è il demone?
La passione civile. Un’idea alta, morale, della politica come impegno per l’elevazione delle masse sfruttate.
Il 16 novembre 1919 si svolgono le elezioni politiche, le prime con il sistema proporzionale. Al collegio di Rovigo-Ferrara, i socialisti prendono il 70,1% dei voti (contro la media nazionale del 32,3%); il Polesine è la provincia più rossa d’Italia. Vengono eletti 6 deputati socialisti, fra cui Matteotti (secondo nelle preferenze). Alle elezioni si presenta anche Mussolini, con una lista di arditi, fascisti, volontari di guerra, personalità varie. Prende quattromila voti, un disastro. Ma si sa quello che succederà dopo.
L’attivismo frenetico di Matteotti diviene ora duplice: in Polesine e a Roma.
Siamo nel cosiddetto Biennio rosso e il deputato socialista è in prima fila nella direzione delle lotte bracciantili; ma è anche uno dei protagonisti delle vicende interne del Partito socialista. Nel pieno dello scontro tra massimalisti e riformisti, Matteotti si schiera con Turati (che è contro la violenza rivoluzionaria e contro la dittatura del proletariato), ma si batte per l’unità del partito. Continuerà a farlo anche nel ’21 nel ’22, in occasione delle due scissioni che indeboliranno il fronte socialista.[21]
La difesa a oltranza del regime parlamentare contro il fascismo
E siamo agli anni in cui imperversano le squadracce fasciste, anche in Polesine. Matteotti, scrive Vecchio,
ha capito che la violenza squadristica che intossica le campagne della pianura padana è il prodromo di qualcosa di sistemico, di un fatto che va letto con le lenti della politica. I fascisti, sostenuti dai proprietari terrieri, stanno rovesciando con le bastonature i rapporti di forza, mettendo in discussione le fresche conquiste dei contadini.[22]
Da questo punto in poi, il libro si focalizza sull’attività di Matteotti a Montecitorio, sulla caparbietà con cui si batte contro l’erosione della funzione del Parlamento, inizialmente da parte della vecchia classe politica, poi soprattutto della nuova (i fascisti, che sostituiscono al dibattito la legge della forza).
Di Matteotti, che verrà eletto parlamentare altre due volte (sempre nel PSI nel 1921; poi, nell’aprile del 1924, nel PSU), Vecchio riporta ampi stralci dei discorsi. Come quello del 31 gennaio 1921, in cui denuncia le violenze fasciste. O quello del 2 dicembre 1922, pronunciato dopo la marcia su Roma e la formazione del primo governo Mussolini, in cui afferma che i fascisti sono «bande di criminali».
Si tratta di discorsi che, per Vecchio, evidenziano la lungimiranza, anzi, la chiaroveggenza di Matteotti circa il pericolo che il fascismo rappresentava per il Paese e per la democrazia, in un momento in cui molti ancora lo consideravano una parentesi, o un male necessario per contrastare il pericolo rivoluzionario. Discorsi che rappresentano, per il docente, una occasione per spiegare agli studenti il valore di quel parlamentarismo che ispirerà, dopo la Resistenza e la Liberazione, i padri costituenti della nostra Repubblica.
La tragedia finale di una vita esemplare
Per Vecchio, la parola più adatta per raccontare l’ultimo anno e mezzo di vita di Matteotti è solitudine. Isolato nel suo partito e fuori, con la famiglia lontana, Matteotti avverte sempre più un’angoscia infinita.
Anche quando finalmente trova casa a Roma per sé, la moglie e i figli, in via Pisanelli 40 – abitazione presso la quale verrà rapito dalla banda comandata da Dùmini, il 10 giugno 1924 – Giacomo e Velia si vedono poco. Lui è sempre in giro per l’Europa (Londra, Berlino, Parigi). Ormai vive una vita clandestina.
Eppure, nonostante tutto, continua con le sue battaglie in Parlamento e per il Parlamento. Fino all’ultimo. «Giacomo Matteotti presagisce la morte, la sente arrivare?», si domanda Vecchio. È davvero «un volontario della morte», come lo definisce Piero Gobetti in un bellissimo ritratto scritto dopo l’assassinio?[23] Quello che è certo, è che potrebbe fuggire all’estero, ne ha l’occasione (Mussolini gli ha appena restituito il passaporto). Ma non lo fa.
Gli ultimi capitoli del libro, Vecchio li riserva al delitto. Alla sua preparazione, ai suoi mandanti ed esecutori. Al coraggio manifestato fino all’ultimo dal deputato socialista, con quell’atto apparentemente irrazionale di gettare via il proprio tesserino (in realtà «un gesto di dignità politica: stanno sequestrando un rappresentante della volontà popolare»), nel momento in cui viene caricato a forza sulla Lancia. Vecchio dedica attenzione alle menzogne di Mussolini, in grave difficoltà nelle settimane successive al delitto e al ritrovamento del cadavere (16 agosto); ai goffi depistaggi dei suoi accoliti. E al movente, o ai moventi, dell’assassinio. Non ultimo, ancora, ai molti silenzi che hanno poi gravato, nella seconda metà del Novecento, sulla memoria di Matteotti: per ragioni diverse, ma tutte di natura politica.
Vecchio, insomma, ci restituisce, con il suo libro, un Matteotti eroe per il coraggio e la coerenza da lui mostrati sino alla fine; ma, nello stesso tempo, antieroe per le molte sfaccettature dell’uomo, contraddizioni e debolezze comprese (come per esempio, le spigolosità caratteriali).
Dobbiamo, insomma, essere grati a Vecchio per l’umanizzazione che ci propone di un personaggio che i ragazzi conoscono quasi solo per via del nome di una via, di un corso, o di una scuola. Formidabile antidoto, il suo libro, tanto all’oblio quanto a una memoria edulcorata e retorica di Matteotti che è poi, in fondo, una modalità raffinata per accompagnarlo verso l’oblio.
Note:
[1] C. Vecchio, Io Accuso. Giacomo Matteotti e noi, Utet, Milano 2024.
[2] C. Vecchio, Cacciateli! Quando i migranti eravamo noi, Feltrinelli, Milano 2019.
[3] Per qualche informazione in più sul referendum di cui sopra – e sul relativo libro di Vecchio – si veda l’articolo sul sito della TV Svizzera: https://www.tvsvizzera.it/tvs/qui-svizzera/inforestierimento-_50-anni-fa-il-primo-no-a-schwarzenbach/45759134, consultato il 30/06/24.
[4] Cfr. Vecchio, 2024 presentazione di copertina.
[5] Vecchio, 2024, p. 34.
[6] Vecchio, 2024, p. 8.
[7] Vecchio, 2024, p. 8.
[8] Vecchio, 2024, p.10
[9] Vecchio, 2024, p. 12. L’autore si reca subito a Ferrara per parlare di questa sua « suggestione » (cioè Matteotti come antitaliano) allo storico Giovanni Scirocco, che gli racconta un dettaglio del fatale discorso alla Camera del 30 maggio 1924: a un certo punto il fascista Cuttini gli urlò « non parlare tu, che non sei italiano ». « Per ora siamo tutti italiani! », gli rispose Matteotti. Ma Maraviglia e Farinacci ribadirono: « No, lei non è italiano ».
[10] Si rimanda volentieri al sito della Casa Museo: https://www.casamuseogiacomomatteotti.it/.
[11] Forse non tutti ricordano che Matteotti, ben tre anni prima del suo assassinio, subì una violenta aggressione a Castelguglielmino, nel rovigiano (12 marzo 1921). Un nutrito gruppo di fascisti, dopo aver impedito alle leghe una riunione e averne devastato la sede, tennero sotto sequestro il parlamentare socialista per molte ore. Poi lo caricarono su un camion e lo portarono in giro per le campagne, minacciandolo di morte se fosse tornato nella provincia di Rovigo.
[12] Un possibile format di Percorso per le competenze trasversali e l’orientamento, di argomento storico, è proposto nell’articolo di A.G. Salassa, Elena Mastretta, PCTO e luoghi di memoria cavouriani: un incontro possibile, in “Novecento.org”, n. 19, giugno 2023. DOI: 10.52056/9791254693872/21
[13] Quella di fare storia con le cose (gli oggetti, gli edifici, i luoghi della quotidianità) è oggi una delle proposte didattiche vincenti per avvicinare i giovani al passato e ai valori fondativi di una cittadinanza attiva. A questo proposito, si vedano: A. Tarpino, Memoranda. Gli antifascisti raccontati dal loro quotidiano, Einaudi, Torino 2023; e M. Bucchioni, Archeologia di Beppe Fenoglio. Uno scrittore partigiano raccontato attraverso gli oggetti, in “Novecento.org”, n. 17, giugno 2022. DOI: 10.52056/9791254691090/21 . Una recente riflessione su potenzialità e criticità dei luoghi di memoria è quella di E. Pirazzoli, I luoghi di memoria alla prova del tempo, in “Novecento.org”, n. 21, giugno 2024. https://www.novecento.org/uso-pubblico-della-storia/i-luoghi-di-memoria-alla-prova-del-tempo-8103/
[14] Gianpaolo Romanato, storico contemporaneista, è presidente del comitato scientifico della Casa Museo Matteotti e autore di una fondamentale biografia, G. Romanato, Giacomo Matteotti. Un italiano diverso, Bompiani, Milano 2024.
[15] Matteotti viene eletto, per il partito socialista, consigliere della Provincia di Rovigo (luglio del 1910) e sindaco di Villamarzana (ottobre 1912).
[16] Vecchio, 2024, pp. 26-27.
[17] Vecchio, 2024, pp. 26-27.
[18] Cfr. V. Titta Matteotti, Lettere a Giacomo, Nistri Lischi, Pisa 2000 e G. Matteotti, Lettere a Velia, Pisa University Press, Pisa 2021.
[19] Velia, nel racconto di Vecchio, si staglia come una persona che, pur nelle forti diversità – lei era profondamente credente, Giacomo era ateo – colma con lettere appassionate e profonde le lunghe lontananze cui la costringono le necessità politiche del marito.
[20] Vecchio, 2024, pp. 70-71
[21] Matteotti parteciperà al XVII congresso di Livorno, del gennaio 1921, però soltanto nella giornata della scissione del PCd’I. Sarà presente inoltre al XIX congresso di Roma (primi di ottobre del 1922: poche settimane prima della marcia su Roma!), in cui i riformisti verranno allontanati dal PSI. Pochi giorni dopo nascerà il Partito Socialista Unitario (PSU), di cui Matteotti sarà cofondatore e segretario.
[22] Vecchio, 2024, p. 89.
[23] Cfr. P. Gobetti, Matteotti, Piero Gobetti Editore, Torino 1924, p. 33. Fra le varie riedizioni, anche recenti, di questo del testo segnaliamo quella digitale di Passerino Editore, Gaeta 2023.