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Il ruolo della storia nella scuola di oggi: esperienze e riflessioni

Il ruolo della storia nella scuola di oggi: esperienze e riflessioni
Abstract

Questo intervento discute il ruolo e lo scopo dell’insegnamento della storia nel contesto dei moderni sistemi di istruzione pubblica. Tale insegnamento, pur con le sue specificità, va collocato nel contesto più generale del necessario rinnovamento e trasformazione dell’istruzione nel XXI secolo. L’insegnamento della storia nazionale, per quanto ineludibile, non sembra essere più sufficiente alla formazione dei giovani di oggi, né sul piano dei contenuti, né dal punto di vista metodologico. La storia andrebbe insegnata in modo multiprospettico e i suoi processi dovrebbero essere lo spunto per apprendere a pensare storicamente. Solo così l’educazione civica acquisterebbe la dimensione che merita al di là dell’apprendimento meccanico di alcune nozioni, peraltro indispensabili.

La crisi dell’insegnamento

È probabile che la pandemia di Covid-19 diventi per molti aspetti un evento periodizzante. Nelle discussioni informali è ormai consuetudine riferirsi alle cose che si facevano prima del covid e confrontarle con quelle che si fanno ora: storici e sociologi, economisti e biologi stanno cercando di indagare secondo le loro discipline le differenze fra il mondo prima e dopo la crisi pandemica, un mondo che sembra essere cambiato per molti, poco per la scuola italiana.

Le memorie pubblicate dall’INDIRE sull’impatto avuto dalla DAD nella scuola italiana nel 2020 restituiscono un quadro sommario ma impietoso sullo stato della didattica in Italia, in particolare nel segmento della scuola secondaria superiore.

Chi è stato costretto dalla pandemia ad usare per la prima volta le tecnologie, la DAD, l’ha fatto semplicemente ribaltando on line quello che faceva in classe prima delle chiusure. Soltanto chi era già impegnato in processi di innovazione ha dato una direzione diversa a questa che è diventata una soluzione obbligata per tutti. [1]

La lezione frontale è stata la modalità più adottata, anche se, col passar del tempo, alcuni insegnanti, non più di un quarto secondo i dati, cercavano attraverso attività laboratoriali di dialogare con allievi che a casa, durante una lezione frontale a distanza, potevano essere collegati e assenti. Se aggiungiamo poi che, anche in presenza, la lezione frontale ha i suoi limiti, capiamo che il problema della scuola italiana non sembra essere la crisi dell’insegnamento della storia quanto la crisi dell’insegnamento o meglio la sua tendenziale sclerotizzazione trasmissiva. Con questo non vogliamo naturalmente affermare che la lezione frontale o, più in generale, una certa misura di insegnamento trasmissivo non sia necessaria, anzi. I pregi di una buona lezione frontale sono innegabili, ma utilizzarla come sola e unica metodologia didattica non sembra essere all’altezza delle sfide con cui dobbiamo fare i conti.

 

La diffidenza verso la didattica come disciplina

In Italia vige ancora, se non altro a livello di sentire comune, l’antico anatema gentiliano contro la riflessione didattica, a favore dell’idea che l’insegnamento consista solo nella trasmissione di un sapere che, padroneggiato al più alto livello,[2] permetterebbe di attivare, per dirla con Gentile, la coscienza dell’autocoscienza. Secondo il dogma idealistico nulla poteva essere appreso che non fosse già in qualche modo contenuto fin dall’inizio nelle potenzialità attuabili del pensiero individuale. Da qui discende filosoficamente, per così dire, la tendenza a considerare la lezione frontale la principale forma dell’attività didattica, la trasmissione/ricezione come attivatore degli apprendimenti. Se fatta bene è sicuramente un buon punto di partenza, ma non basta.

Gli insegnanti italiani, in generale, sembra si siano perciò trovati in DAD a fare qualcosa che non erano preparati a fare, hanno avuto l’occasione di innovare la didattica e hanno finito con il proporre per lo più quello che sapevano fare prima: la lezione frontale per trasmettere il sapere del programma, così come dai più sono interpretate le indicazioni nazionali. Ora l’idea che l’ontogenesi del singolo studente debba ripercorrere la filogenesi del sapere umano, alias l’elenco puntato degli argomenti delle indicazioni, era ed è impossibile da realizzare o da promuovere per almeno due motivi:

  • il sapere, se mai lo ha fatto, oggi non si sviluppa in forma lineare e progressiva, secondo qualche arcana legge spenceriana, russoviana o piagetiana;[3]
  • se anche fosse possibile costruire un curricolo che vada dal semplice al complesso e dal determinato all’indeterminato, il tempo necessario a elaborare la quantità di informazioni disponibili da trasmettere supererebbe di gran lunga la durata di qualunque educazione e persino di qualunque vita umana.

 

Il mito del “programma” e il caso della storia

In altre parole, nessuno svolgimento completo di un “programma” prestabilito è realistico. Ciò naturalmente non significa che non ci debbano essere contenuti prescritti, ma questi ultimi non possono costituire un’enciclopedia data per scontata e insegnata in modo acritico. Gli insegnanti italiani hanno dunque fatto del loro meglio dal punto di vista tecnico sorprendendo tutti nell’utilizzo di applicazioni informatiche di cui spesso prima della pandemia ignoravano persino l’esistenza, ma sembra che abbiano riprodotto modalità usuali di fare scuola che a distanza funzionano ancora meno che in presenza.[4] Nel caso della storia il tipo e il carattere dei suoi apprendimenti assume oggi un carattere emblematico. Il suo insegnamento è un osservatorio particolarmente efficace per mettere a fuoco i problemi con cui abbiamo a che fare, dal momento che in ogni sistema scolastico la storia svolge un ruolo centrale. Storicamente parlando la scuola pubblica è uno dei più grandi successi dello stato/nazione,[5] funge da veicolo di riproduzione sociale e di alfabetizzazione individuale.[6] Fornisce gli strumenti di lavoro per il rinnovo delle classi dirigenti e delle professioni e forma le competenze base del cittadino lavoratore. Lo fa attraverso un curricolo che non è mai neutro rispetto allo scopo[7] e non è una variabile indipendente dalle altre istituzioni o relazioni sociali; la storia, in modo particolare la storia dei singoli stati nazione, ne costituisce uno dei pilastri.

Problematizzare la storia nazionale

Per semplificare molto potremmo dire che, nel contesto dei sistemi scolastici moderni, lo stato nazione assolve al suo compito educativo insegnando la storia come la serie degli eventi tutto sommato inevitabili che hanno portato alla formazione del proprio ordinamento nazionale, considerando le dinamiche politico militari dei secoli e dei decenni che lo hanno preceduto come le premesse necessarie alla sua fondazione. Insomma, la prospettiva dalla quale veniva esclusivamente insegnata la storia scolastica è unilaterale e, come cercheremo di mostrare, non risponde alle necessità educative del XXI secolo. Si può certamente comprendere come alcuni paesi, soprattutto quelli molto interessati ad affermare la loro ritrovata libertà e indipendenza, i paesi dell’ex-blocco sovietico, ad esempio, insegnino la storia in maniera per così dire neo-nazionalistica. Lo schema secondo il quale la civiltà umana si dirige inevitabilmente verso la formazione degli stati nazionali, tra cui il nostro è quello di cui ci si deve occupare essenzialmente, non regge al bisogno di capire il mondo da parte dei ragazzi di oggi. Se la scuola non risponde a quel bisogno essi cercano di soddisfarlo altrove, acquisendo nozioni non verificate e discusse nel mare magnum di internet. La risposta non può essere la diluizione della storia nazionale nella storia mondiale, ma la visione integrata dei fenomeni, la scoperta e la rilevazione delle connessioni, delle integrazioni e dei collegamenti tra la propria e le altre storie, lo studio della propria storia da diverse prospettive. Il mondo contemporaneo, con i suoi sviluppi globali, per quanto in via di ridefinizione, oggi supera e oltrepassa lo stato nazionale che però è ancora quello che finanzia la scuola attraverso la fiscalità generale e il contributo delle famiglie. Ecco, dunque, che oggi lo studio della storia come successione di eventi necessari appare problematico e inevitabile allo stesso tempo. Il problema potrebbe formularsi così: cosa dovremmo trasmettere, posto che non c’è nessuna evidenza storica che ci possa garantire ab eterno la nascita dell’Italia, della Russia, dell’Ucraina o della Slovacchia?

Quali scopi per l’insegnamento della storia oggi?

Ma se potessimo trasmettere ancora una storia nazionalistica senza porci particolari problemi di epistemologia storica o, più semplicemente, di conoscenza fattuale, come potremmo ignorare la storia globale, la storia mondiale, la storia delle relazioni fra lingue e culture, fra letterature e forme d’arte, la storia della vita materiale e le loro complesse relazioni in un pianeta abitato da miliardi di persone che, grazie ai mezzi di comunicazione e di trasporto, oggi interagiscono in modo sempre più rapido e interconnesso? Se la storia deve servire, tra le altre cose, come mezzo di orientamento politico e sociale nel mondo, come possiamo pretendere che ai ragazzi di oggi basti la storia nazionalistica o una versione unilaterale della storia delle civiltà che enfatizzi come la nostra sia migliore delle altre? Ammesso e non concesso che la funzione dei sistemi scolastici debba essere essenzialmente la riproduzione sociale, per formare oggi le nuove generazioni è sufficiente trasmettere contenuti superati di fatto, ma ritenuti ancora funzionali agli estensori dei vari curricoli storici? Le classi dirigenti e i cittadini comuni possono orientarsi nel mondo studiando la storia da una sola prospettiva? D’altra parte, il ruolo della scuola come “cinghia di trasmissione” dei rapporti di potere veniva giustificato anche dal suo valore emancipatorio (il cittadino colto, entro certi limiti dati, può fare quel che vuole della sua cultura); quale alfabetizzazione storica e formazione individuale oggi può svolgere lo stesso ruolo? Insomma, da un lato la crisi della storia insegnata è analoga alla crisi di qualunque altro insegnamento – non può essere insegnata solo in modo passivo o trasmissivo perché introduce solo ad una mezza realtà – e il suo scopo andrebbe riformulato alla luce degli obiettivi di cittadinanza e di formazione di uno studente del XXI secolo. D’altro canto, si tratta di un aspetto centrale della nostra formazione come cittadini. Ciascuno di noi si è formato un’opinione della propria identità personale e politica anche sullo sfondo della storia insegnata. Come possiamo tenere insieme i due corni del problema? Come possiamo insegnare in modo critico e coinvolgente la storia scolastica senza abdicare al suo ruolo pubblico di formatore della coscienza civica degli studenti?[8]

Proposte e progetti didattici

La risposta istituzionale a questi problemi durante la pandemia è stata solo emergenziale e solo infrastrutturale. Molto spesso con i fondi del contributo volontario delle famiglie, le istituzioni scolastiche e il ministero hanno promosso la didattica a distanza quasi solo in termini strumentali: potenziamento e regolazione dell’uso di internet, promozione delle piattaforme di apprendimento online e, nei casi più virtuosi, cessione di materiale in comodato d’uso agli studenti meno abbienti. Cosa e come insegnare non sembra sia stato un tema all’ordine del giorno. Nel caso della didattica della storia tuttavia, e per fortuna, la crisi pandemica non ha trovato impreparati gli operatori. I lavori di Antonio Brusa e della sua scuola, la pluridecennale attività di Clio92 e di Euroclio – ma anche la pubblicazione continuativa e senza interruzioni di questa stessa rivista – hanno permesso a chi lo desiderava di adeguare la proposta curricolare alle esigenze dei nostri tempi.[9]

La crisi pandemica non ha colpito all’improvviso. Appena prima del suo scoppio, un’altra domanda ha agitato gli insegnanti e gli addetti ai lavori, più i secondi dei primi a dir la verità. La storia scolastica sta perdendo la sua importanza?[10] La cosiddetta eliminazione del tema di storia, che peraltro non sceglieva quasi nessuno, non significa forse che la formazione del cittadino e la riproduzione sociale devono passare da altre attività, come per esempio l’Educazione Civica? Da un certo punto di vista questa potrebbe essere una buona notizia per la nostra materia: in qualche modo confuso il legislatore si è reso conto che la storia non può più essere insegnata in modo “normalizzante” e omogeneo, che la complessità del suo insegnamento implica, che lo si voglia o no, l’attivazione di competenze critiche incompatibili con la semplice trasmissione di valori dati per scontati.

Educare al pensare storicamente

Forse questa è una visione troppo ottimista e allo stesso tempo preoccupante. Il fatto è che, allo stato attuale, il problema non sembra consistere nella scomparsa della storia. Potremmo anzi dire che per molti aspetti ce n’è anche troppa. Se pensiamo ad un liceo, oltre alla storia generale, vi si insegnano le varie storie della letteratura, della filosofia e dell’arte (non la storia della scienza purtroppo, inglobata e sterilizzata nella storia del pensiero); ma anche negli istituti tecnici e professionali la cultura non scientifica viene insegnata in base all’asse storico. L’inevitabile uso di concetti come testo e contesto, interpretazione, continuità e cambiamento, rivoluzione e conservazione, innovazione e progresso, regresso e reazione, somiglianza e differenza impone necessariamente strategie didattiche fondate sul pensiero storico o, se si preferisce, sull’educare a pensare storicamente (historical thinking, pensée historique, Historisches Denken).[11]

Didattica della storia e rapporto tra competenze e conoscenze

Dunque la storia generale può anche apparire in qualche modo ridimensionata,[12] tuttavia, anche se le ore settimanali di lezione sono solo due in quasi tutti i curricoli,[13] molte materie hanno un approccio storico, perciò rendere gli insegnanti attivatori coscienti e promotori negli  studenti delle operazioni mentali che promuovano la consapevolezza del rapporto tra continuità e cambiamento, che discutano la rilevanza di questo o di quel processo storico, che entrino in relazione critica e dialettica con l’interesse pubblico a ricordare il tale evento o il tale personaggio, può e deve costituire un terreno capace di combattere il tentativo di ridurre la storia a semplice ripetizione di una catena di fatti di cui non si discute la rilevanza o il significato. L’integrazione dell’informazione fattuale con l’uso cosciente dei processi di rielaborazione storica può anche superare i limiti della surreale contrapposizione fra programmazione per competenze e programmazione per conoscenze. Innanzitutto, le competenze senza conoscenze sono cieche e le conoscenze senza competenze sono zoppe. Nel caso particolare della storia, la necessaria integrazione dei due aspetti inscindibili dell’apprendimento sembra molto più efficace quando le attività didattiche sono progettate per “fare” delle cose interessanti, non genericamente interessanti, ma specificamente e disciplinarmente interessanti. Si possono cioè fare in classe cose sensate anche trattando materiali molto tradizionali.

Metodologie e problemi

A puro titolo di esempio si potrebbe citare l’uso delle cronologie. Periodizzazioni e cronologie, successioni di eventi e processi, datazioni e individuazioni di eventi chiave, sono naturalmente ineludibili nella didattica della storia. All’inizio di una qualsiasi attività un inquadramento nello spazio e nel tempo deve certamente essere dato dall’insegnante, ma perché poi, soprattutto nella storia contemporanea, tanto ricca di eventi significativi, non proseguire chiedendo agli studenti di costruire proprie cronologie secondo criteri di rilevanza, valore o tema? Una volta acquisiti i dati essenziali perché non utilizzare il laboratorio, il dibattito, la stesura di saggi, la creazione di musei virtuali di classe, la stesura di racconti storici come attività nelle quali uno o due dei concetti del pensare storicamente sono messi in gioco relativamente ad un certo contenuto? In entrambi i casi, ricezione e trattamento dell’informazione, attività di discussione e rielaborazione critica, le pratiche più efficaci sembrano quelle che ottengono risultati tangibili[14], che si traducono in oggetti, reali o virtuali: testi, linee del tempo, materiali per l’impostazione di dibattiti etc. La discussione delle pratiche educative non deve certo illudere nessuno. Non esiste, ci sembra, una ricetta per la soluzione dei problemi. In fondo tutto quello che si fa a scuola può funzionare bene, o male. La diffusione di questa o quella metodologia, di questo o quella tecnica didattica riguarda infine i docenti sul campo, la loro responsabilità concreta. La ricerca didattica fornisce suggestioni e suggerimenti, indicazioni e proposte, ma sono gli insegnanti nelle situazioni concrete a sapere cosa si può fare e perché.

La scelta dei contenuti

Per quanto riguarda poi la scelta dei contenuti, ci sembra inevitabile, dati i tempi, entrare almeno parzialmente in contatto con la metodologia degli Episodi di Apprendimento Situato[15] perché consentono di integrare l’uso delle nuove tecnologie con lo sviluppo di temi legati con l’attualità. Lo scoppio della guerra in Ucraina ci ha posto di fronte alla necessità di spiegare l’attualità attraverso la storia, tanto più che uno degli attori, l’aggressore russo, giustificava la sua scelta bellica con sedicenti argomentazioni storiche.[16] Corsi e progetti, iniziative personali e aggiornamento professionale sono stati proposti da diversi enti e associazioni e ciascun insegnante, secondo il proprio tempo e interesse, ha dovuto confrontarsi con gli eventi per cercare qualche spiegazione o almeno raccogliere parzialmente la sfida delle domande esplicite o implicite provenienti dalle classi. Naturalmente non si può studiare storia solo partendo dall’attualità ma utilizzare questa metodologia, riservare ogni anno un numero di ore sufficiente ad approfondire qualche spunto che nasca dalla connessione della cronaca con il passato ci sembra un modo per realizzare quell’obbiettivo di potenziamento delle conoscenze attraverso le competenze e viceversa che in fondo è previsto anche dal PECUP dei licei e degli istituti tecnici.[17]

Insegnamento della storia, educazione civica e formazione dell’identità

Come abbiamo già detto, gli insegnanti di storia e le istituzioni vivono un certo disagio, parallelo e opposto, verso una materia scolastica contemporaneamente rischiosa ed indispensabile: rischiosa perché inevitabilmente critica e indispensabile per la formazione della cosiddetta identità. In molti paesi e nel contesto dell’Unione Europea si è cercato di risolvere il dilemma da un lato attraverso la promozione degli studi sulla memoria delle vittime dello scorso secolo, dall’Olocausto alla Giornata del ricordo, passando attraverso le vittime della mafia e del terrorismo – per non citare che gli esempi italiani. Dall’altro la formazione della cittadinanza, europea o nazionale, è sembrata l’uovo di Colombo. Supponendo comuni i valori alla base della convivenza civile, l’Educazione Civica li potrebbe trasmettere in quanto tali, sul piano etico e giuridico e così sostituire la storia come veicolo di costruzione della coscienza pubblica e dell’identità collettiva. Non abbiamo spazio per intervenire in questa sede sull’efficacia o le potenzialità delle varie giornate della memoria, un dibattito vasto e articolato, quello che ci sembra di poter dire in linea di principio è che se le giornate memorialistiche sono vissute come semplici celebrazioni c’è sicuramente il rischio che non abbiano gli effetti sperati, o, come teme qualcuno, persino effetti opposti alle intenzioni[18]. Ancora una volta senza una didattica della storia seria, senza l’educazione della memoria e non alla memoria, non ci sembra si possa andare molto lontano.

La proposta di EUROCLIO

Quello di cui invece possiamo parlare con cognizione di causa è la strategia adottata da Euroclio per rispondere alla sfida didattica proposta dal Parlamento Europeo che, da qualche anno a questa parte, finanzia i programmi educativi di didattica della storia all’interno del più vasto capitolo del Europe for citizens programme.[19] Come recita il Manifesto di Euroclio:

Un’educazione di alta qualità in materia di cittadinanza, storia e patrimonio culturale non cerca di trasmettere un’unica verità intorno al passato. Anche se la sua finalità consiste nell’avvicinarsi il più possibile a una verità storica basata su fatti consolidati e prove qualificate, che mirino all’oggettività, essa permette di comprendere allo stesso tempo che le narrazioni storiche sono interpretazioni stratificate e stimola la propensione a mettere in questione queste narrazioni per mezzo del pensiero critico.[20]

Ecco dunque che, tra i molti, possiamo parlare di due progetti, uno appena concluso e uno ancora in corso, che possono aiutare la formazione di una coscienza civica criticamente ben formata utilizzando le competenze disciplinari e le conoscenze che si imparano nella didattica della storia.

Il primo s’intitola: Learning to disagree. Come dice la guida al progetto, disponibile anche in italiano:[21]

La lezione di storia dovrebbe essere il momento per turbare e stimolare. Quando studiamo la storia, abbiamo a che fare con il tempo. Incontriamo gli altri, incontriamo la diversità. Incontriamo ciò che è estraneo (e scopriamo che è sorprendentemente familiare) e incontriamo ciò che è familiare (e scopriamo come ci è estraneo).

 

Insegnare la storia in forma controversiale 

Costruire perciò diverse strategie e metodologie didattiche che consentano di confrontarsi in classe sulla dialettica fra familiarità ed estraneità, sulla diversità dei punti di vista e delle interpretazioni della storia, di farlo in modo regolato, con una procedura e un risultato previsto, consente di fare storia e educare alla discussione informata, uno dei fondamenti di qualsivoglia sistema democratico.

Come dice la guida al progetto: per essere membri attivi della società in modo costruttivo e con sicurezza, i giovani hanno bisogno di sviluppare competenze relative all’argomentazione. Riteniamo che il disaccordo e le discussioni facciano parte dell’essere umani e che le società sane siano quelle in cui la maggior parte delle persone sa in che modo discutere senza ricorrere a violenza e offese.[22]

Il progetto propone dodici tecniche didattiche che si sono dimostrate in varie situazioni particolarmente efficaci nella realizzazione dei suoi scopi, non abbiamo ovviamente lo spazio per parlarne diffusamente, come meriterebbero; perciò, invitiamo alla lettura del Manuale per l’insegnante. Quello che possiamo dire è che le dodici metodologie di discussione e dibattito codificate nel progetto riguardano e richiedono lo studio della storia scolastica perché si fondano sull’idea che:

La storia non rappresenta semplicemente il passato. Si tratta di una disciplina accademica che cerca di comprendere il passato. La storia è sempre controversa e discussione e dibattito sono alla sua base. Ciò significa che ci può essere accordo in merito a certi fatti accertati, ma raramente vi è consenso sul loro significato.[23]

Il tema della memoria e l’insegnamento della storia per il XXI secolo.

Il secondo progetto, di cui Euroclio è partner e che può affrontare un altro degli aspetti didattici cui abbiamo accennato brevemente si chiama: Contested Histories. Il progetto in sé ha una finalità più politica che didattica. Mira, infatti, alla individuazione di rimedi pratici contro le contestazioni e le dimostrazioni che prendono di mira monumenti e spazi pubblici ritenuti offensivi o non più accettabili da una parte della comunità. Il progetto cerca insomma soluzioni atte ad evitare, ove possibile, rimozioni o distruzioni per consentire, attraverso vari processi di risignificazione, che questo o quel luogo o monumento della memoria possa rappresentare anche le comunità un tempo marginalizzate per ragioni di razza, etnia, genere o altro. Il progetto, però, ha anche un rilevante significato didattico perché può fare comprendere come, attraverso procedure didattiche adeguate, lo studente possa rendersi conto del ruolo pubblico della storia, partecipare a visite di luoghi della memoria sapendo cosa aspettarsi e cosa no, affrontare la complessità delle più divisive discussioni memorialistiche con un bagaglio di conoscenze e competenze solido. Insomma, il bisogno di formazione globale necessita di nuove risposte, sul terreno della cittadinanza globale e sul terreno degli apprendimenti significativi. Dal punto di vista dell’insegnamento della storia ciò non esclude lo studio della storia nazionale o della civiltà maggioritaria nel luogo dove si sviluppa un certo sistema scolastico. Questi insegnamenti però acquistano senso solo all’interno di una formazione cosmopolita e umana, anche se, forse, non solo umanista in senso classico. Occorre accettare che ci siano diverse concezioni dell’umano, che soprattutto l’umano non può essere un dato acquisito a priori e può essere una sorpresa, nei singoli alunni e nelle loro relazioni con il mondo degli adulti.[24]

Bibliografia
  • W. Apple in: Ideology and Curriculum, Routledge, New York and London, 2000 (19791).
  • K. C. Barton, L.S. Levstik, Teaching History for the Common Good, Lawrence Erlbaum, Mahwah NJ London, 2004.
  • G. J. J. Biesta, Beyond Learning Democratic education for a Human Future, Routledge, London & New York, 2016 (20061).
  • E. Bricchetto, Fare storia con gli EAS. A lezione di Mediterraneo, La Scuola, Brescia, 2016.
  • M. Demantovski (a cura di), Public history and School, De Gruyter, Oldenbourg, 2018.
  • K. Egan, Getting Wrong from the Beginning, Yale U.P., New Haven & London, 2002.
  • G. Gentile, Sommario di pedagogia come scienza filosofica, I Pedagogia generale, Sansoni, Firenze, 1959 (19121).
  • J. Hattie, Apprendimento visibile, insegnamento efficace, Erickson, Trento, 2016.
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  • C. Hugrée, Les habits neuf de la reproduction sociale, in : Ce que nous dit Bourdieu, Le un hebdo, n°405, mercredi 13 juillet 2022.
  • P. Lee, Understanding History, in: P. Seixas (a cura di), Theorizing Historical consciousness, University of Toronto Press, Toronto Buffalo London, 2012 (20041).
  • S. Lévesque R. Case M. Denos, Enseigner la pensée historique, Co-published by The Critical Thinking Consortium and The Vancouver Foundation, 2013.
  • E. Loewenthal, Contro il Giorno della Memoria, add Editore, Torino2014.
  • J. Rüsen, History. Narration – Interpretation – Orientation, Berghahn Books, New York Oxford, 2005.
  • P. C. Rivoltella, Che cos’è un EAS. L’idea, il metodo, la didattica, La Scuola, Brescia, 2016.
  • P. Seixas T. Morton, The Big Six Historical Thinking Concepts, Nelson Education, Toronto, 2013.
  • N. Werth, Poutine Historien en Chef, Gallimard, Paris, 2022.
  • S. Wineburg, Historical Thinking and other Unnatural Acts, Temple U.P., Philadelphia, 2001.
  • S. Wineburg, Why Learn History (When It’s Already on Your Phone), The University of Chicago Press, Chicago, and London, 2018.
Risorse in rete

 


Note:

[1] https://www.camera.it/application/xmanager/projects/leg18/attachments/upload_file_doc_acquisiti/pdfs/000/004/598/MEMORIA_INDIRE_completa.pdf

[2] “Non c’è un sapere che insegni l’arte di fare scuola”, G. Gentile, Sommario di pedagogia come scienza filosofica, I Pedagogia generale, Sansoni, Firenze, 1959 (19121), p.123.

[3] Per una critica del “progressivismo” pedagogico si veda K. Egan, Getting Wrong from the Beginning, Yale U.P., New Haven & London, 2002.

[4] Per quello che valgono i risultati INVALSI attestano un peggioramento di alcuni livelli di apprendimento essenziali. Si veda ad esempio: https://osservatoriocpi.unicatt.it/ocpi-pubblicazioni-gli-effetti-del-covid-19-sull-apprendimento

[5] M. Demantovski (a cura di), Public history and School, De Gruyter, Oldenbourg, 2018, p.5.

[6] C. Hugrée, Les habits neuf de la reproduction sociale, in: Ce que nous dit Bourdieu, Le un hebdo, n°405, mercredi 13 juillet 2022.

[7] M.W. Apple in: Ideology and Curriculum, Routledge, New York and London, 2000 (19791), pensa infatti che la domanda corretta quando analizziamo un curricolo non sia: “quali conoscenze vadano insegnate a scuola?” quanto piuttosto “di chi sono, a chi appartengono, le conoscenze ritenute più importanti da trasmettere a scuola?”.

[8] Per una discussione di questi temi nel contesto americano: K.C. Barton, L.S. Levstik, Teaching History for the Common Good, Lawrence Erlbaum, Mahwah NJ London, 2004.

[9] Per quanto riguarda la possibilità di un curricolo “sostenibile” nella scuola superiore si veda: https://www.youtube.com/watch?v=1PFtuvwbjPY e https://www.youtube.com/watch?v=2SP1a3hSs3g in cui Brusa espone ampiamente la sua proposta; i siti di Clio92 https://www.clio92.org/insegnare-la-storia/scuola-secondaria-di-secondo-grado/ Euroclio https://euroclio.eu/ e Historiana https://historiana.eu/ offrono materiale già pronto e in abbondanza, in italiano e in inglese, per approfondire e programmare l’attività didattica.

[10] Si pensi ad esempio alla polemica sulla eliminazione della traccia esplicitamente storica, sulla quale si può leggere una bella sintesi di Antonio Brusa: https://www.historialudens.it/didattica-della-storia/317-uno-su-cento-il-tema-storico-alla-prova-della-maturita.html

[11] Pensiamo a quelli che nella didattica della storia si chiamano concetti del secondo ordine e che sono studiati da autori come: Peter Seixas (un’introduzione di Brusa e Prampolini si può leggere qui: https://www.historialudens.it/biblioteca/468-peter-seixas-che-cosa-ci-insegna-un-grande-studioso-di-didattica-della-storia.html), Sam Wineburg, Jörn Rüsen (si vedano su questa stessa rivista e a firma dell’autore di questo saggio : https://www.novecento.org/pensare-la-didattica/pensare-come-uno-storico-non-e-naturale-3402/https://www.novecento.org/pensare-la-didattica/storia-narrazione-interpretazione-orientamento-introduzione-allopera-di-jorn-rusen-6973/), Stéphan Lévesque (si veda https://tc2.ca/shop/enseigner-pens%C3%A9e-historique-p-958) e Peter Lee.

[12] È andata peggio alla geografia, che con l’istituzione della geostoria, viene svolta per lo più come attività residuale, almeno nei licei di cui abbiamo notizia.

[13] Solo il liceo classico ne ha tre.

[14] J. Hattie, Apprendimento visibile, insegnamento efficace, Erickson, Trento, 2016.

[15] P.C. Rivoltella, Che cos’è un EAS. L’idea, il metodo, la didattica, La Scuola, Brescia, 2016. Si veda anche E. Bricchetto, Il metodo degli EAS: una proposta per affrontare la crisi dell’insegnamento della storia e il confronto con il presente, in “Novecento.org”, n.18, dicembre 2022. DOI: 10.52056/9791254693162/13

[16] Per una riflessione sulle pretese ragioni storiche dell’aggressione russa si può leggere Brusa: https://www.historialudens.it/diario-di-bordo/454-putin-storico-quando-la-storia-si-arma.html; e/o N.Werth, Poutine Historien en Chef, Gallimard, Paris, 2022.

[17] Per un esempio di EAS in storia si può leggere E. Bricchetto, Fare storia con gli EAS. A lezione di Mediterraneo, La Scuola, Brescia, 2016; recensito qui: https://www.lindiceonline.com/osservatorio/scuola/enrica-bricchetto-fare-storia-con-gli-eas/ . Altro esempio: E. Bricchetto e E, Manera, Beppe Fenoglio, scrittore e partigiano. Una proposta didattica per la conclusione del centenario, in “Novecento.org”, n.18, dicembre 2022. DOI: 10.52056/9791254693162/19

[18] Due spunti di riflessione fra i tanti: E. Loewenthal, Contro il giorno della memoria, add Editore, Torino2014; M. Brignani, Agli studenti e ai docenti per la Giornata della Memoria. Ultima lettera di Fabio Norsa, in “Novecento.org”, n. 5, dicembre 2015. DOI: 10.12977/nov109

[19] https://www.eacea.ec.europa.eu/grants/2014-2020/europe-citizens_en

[20] https://euroclio.eu/wp-content/uploads/2016/01/EuroClio-Manifesto-on-high-quality-history-heritage-and-citizenship-education_Italian.pdf

[21] Learning to Disagree. Manuale per l’insegnante, Euroclio, p. 1 [https://www.euroclio.eu/wp-content/uploads/2021/06/Learning-to-Disagree_Manuale-per-linsegnante_Versione-Web_Updated.pdf?_gl=1*1a2kpej*_ga*MTA2NTgzNDgyNS4xNjY5NDQ1ODAy*_ga_YVLRV8F5ZS*MTY3MjU4NzU2OS4zLjEuMTY3MjU4Nzc1My4wLjAuMA..&_ga=2.185336553.1129140125.1672587569-1065834825.1669445802][22] Learning to Disagree. Manuale per l’insegnante, Euroclio, p. 7.

[23] Learning to Disagree. Manuale per l’insegnante, Euroclio, p.8

[24] G. J.J. Biesta, Beyond Learning Democratic education for a Human Future, Routledge, London & New York, 2016 (20061).

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Titolo: Il ruolo della storia nella scuola di oggi: esperienze e riflessioni
DOI: 10.52056/9791254693872/04
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Numero della rivista: n.19, giugno 2023
ISSN: ISSN 2283-6837

Come citarlo:
, Il ruolo della storia nella scuola di oggi: esperienze e riflessioni, Novecento.org, n.19, giugno 2023. DOI: 10.52056/9791254693872/04

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