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Scuola, lingua e autonomia in provincia di Bolzano

Scuola, lingua e autonomia in provincia di Bolzano
Abstract

Con il secondo Statuto d‘autonomia del 1972, la problematica delle minoranze in Alto Adige/Sudtirolo e la cooperazione tra i gruppi linguistici entra in una cornice costituzionale, realizzando in gran parte l’Accordo Degasperi-Gruber del 5 settembre 1946. Il testo riflette su evoluzioni e cambiamenti che hanno attraversato la regione dagli anni Settanta ai giorni nostri.

Situazione di partenza dopo l’approvazione del secondo Statuto d’autonomia del 1972

Con il secondo Statuto d’autonomia del 1972[1], la problematica delle minoranze in Alto Adige/Sudtirolo e la cooperazione tra i gruppi linguistici entra in una cornice costituzionale, realizzando in gran parte l’Accordo Degasperi-Gruber del 5 settembre 1946.

Parte centrale del secondo Statuto d’autonomia in riferimento alla politica linguistica e scolastica è l’art. 19, che recita:

Nella Provincia di Bolzano l’insegnamento nelle scuole materne, elementari e secondarie è impartito nella lingua materna italiana o tedesca degli alunni da docenti per i quali tale lingua sia ugualmente quella materna.

Questa dizione dell’art. 19 e la norma d’attuazione di riferimento, il D.P.R. n. 116 del 1973, codificano strutture separate per le scuole tedesche e italiane, che oggi dovrebbero essere viste in una luce critica soprattutto in riferimento alle insoddisfacenti competenze linguistiche (tedesco, italiano e inglese) delle alunne e degli alunni a livello di scuola secondaria di secondo grado.

I visitatori di questa provincia, con sguardo esterno, hanno l’impressione che in Alto Adige/Sudtirolo quasi tutti parlino relativamente bene la rispettiva seconda lingua e che le nuove generazioni abbiano buona dimestichezza anche con l’inglese. La situazione linguistica dal secondo Statuto d’autonomia in poi è certamente migliorata, anche se bisogna precisare che le competenze in seconda lingua degli alunni e delle alunne del gruppo linguistico italiano delle scuole superiori dagli anni ’70 al 2008 sono aumentate, mentre le competenze del coetaneo gruppo linguistico tedesco sono rimaste uguali nelle zone urbane, dove è presente anche il gruppo linguistico italiano e sono diminuite nelle zone rurali, dove il gruppo linguistico italiano è quasi assente o presente soltanto in percentuali minime.

Bisogna comunque sottolineare che nel periodo precedente, le competenze in lingua seconda del gruppo linguistico tedesco erano complessivamente migliori di quelle del gruppo linguistico italiano.

(A. Abel, C. Vettori, K. Wisniewski (a cura di), KOLIPSI. Gli studenti altoatesini e la seconda lingua: indagine linguistica e psicosociale. Vol. 2, EURAC Research, Bolzano 2012).

Il tedesco come lingua seconda è diventato materia obbligatoria nelle scuole di ogni ordine e grado dopo l’entrata in vigore del secondo Statuto d’autonomia, ma è materia obbligatoria all’esame di maturità nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana soltanto dalla riforma dell’esame di stato del 1999, mentre era materia obbligatoria all’esame di maturità nelle scuole superiori con lingua d’insegnamento tedesca fin dal 1948.

In gran parte della popolazione italiana della provincia si poteva constatare fino alla fine degli anni ’80 un atteggiamento svalutante verso la lingua tedesca e un rifiuto di considerare la lingua parlata sul territorio, il dialetto, come una variante della lingua tedesca[2]. È, comunque, un dato di fatto che con l’art. 19 avviene, almeno in termini giuridici, una chiara rivalutazione del tedesco e dell’italiano come lingue seconde:

Nelle scuole elementari con inizio dalla seconda o dalla terza classe, secondo quanto sarà stabilito con legge provinciale su proposta vincolante del gruppo linguistico interessato, e in quelle secondarie è obbligatorio l’insegnamento della seconda lingua che è impartito da docenti per i quali tale lingua è quella materna.

L’apprendimento della rispettiva lingua seconda è ora ufficialmente rilevante per l’inserimento a pari diritto nella vita sociale e professionale. Ma, soprattutto da parte tedesca, non viene considerata come mezzo e fine per favorire i contatti tra i gruppi linguistici e per intrecciare i mondi di vita. Gemellaggi tra scuole con lingue d’insegnamento diverse vengono visti fino ai primi anni ’90 come qualcosa di pericoloso o almeno minaccioso che avrebbe potuto portare a una mescolanza delle lingue e ad una possibile perdita della “propria” cultura e acquisteranno valore appena nel corso degli anni ’90.

 

Iniziative per il potenziamento del bilinguismo e del plurilinguismo a livello scolastico dal 1990 ad oggi

Nei due decenni dopo l’entrata in vigore del secondo Statuto d’autonomia, il gruppo linguistico italiano si rese conto che a livello amministrativo e politico locale il nuovo Statuto avrebbe determinato per gli italiani il passaggio da una posizione di maggioranza a una di minoranza. A questa percezione si aggiunse l’obbligo del bilinguismo (D.P.R. nr. 752/1976) come condizione preliminare per l’accesso agli impieghi pubblici. E con ciò l’“emergenza” relativa alla conoscenza della lingua tedesca diventò improvvisamente acuta. Già a partire dal 1974, il competente Assessorato alla scuola e cultura in lingua italiana organizzò corsi di tedesco per adulti con il duplice scopo di aumentare il livello di competenza in lingua seconda della popolazione italiana e di prepararla all’esame di bilinguismo. Con legge provinciale nr. 42/1983 venne istituito presso l’Assessorato italiano competente un apposito ufficio per la promozione del bilinguismo. Il periodo dal 1990 ad oggi è stato caratterizzato per entrambi i gruppi linguistici, ma più intensamente per il gruppo linguistico italiano che aveva un maggiore bisogno di bilinguismo, da una serie di iniziative per la promozione dell’apprendimento della rispettiva lingua seconda.

L’Assessorato alla Scuola e Cultura italiana iniziò un iter politico-legislativo per avviare l’insegnamento del tedesco quale lingua seconda già a partire dalla prima classe della scuola elementare. Dopo una lunga diatriba politica locale, una sentenza del Consiglio di Stato ritenne che l’art. 19 dello Statuto non vietasse di iniziare prima della seconda classe con l’insegnamento della lingua seconda e aprì la strada alla legge provinciale n. 2/1994 che permise alla scuola italiana di iniziare con l’insegnamento della lingua seconda già dalla prima classe elementare.

Questa controversia pluriennale sull’insegnamento precoce della lingua seconda nella prima classe elementare, ma anche nelle scuole dell’infanzia, aveva creato una grande incomprensione verso il potere politico tedesco che cercò con tutti i mezzi di bloccare questo progetto temendo l’estensione anche alla propria scuola. Ma, come ha scritto giustamente Mezzalira: «Quel divieto aveva contribuito a trasformare il ‘dovere’ di conoscere la lingua seconda, in un ‘diritto’ al bilinguismo.»[3]

Negli anni ’90 si sviluppò anche una vasta iniziativa dei tre Istituti Pedagogici in provincia volta a realizzare gemellaggi tra le scuole con lingua d’insegnamento italiana e tedesca al fine di realizzare incontri e contatti per favorire l’empatia verso l’altro gruppo linguistico e per potenziare la motivazione all’apprendimento della rispettiva lingua seconda. L’iniziativa è stata sostenuta anche dalla Giunta provinciale (delibera n. 2867/1998), ma non in termini finanziari, provocando negli ultimi anni una forte riduzione dei gemellaggi stessi.

(S. Baur (a cura di), Austauschpädagogik und Austauscherfahrung. Sprach- und Kommunikationslernen durch Austausch, Schneiderverlag, Hohengehren 2012).

Sempre negli anni ’90, le scuole italiane iniziano a richiedere con maggiore forza il “diritto al bilinguismo”, sperimentando in alcune scuole elementari e medie un “insegnamento immersivo” parziale (insegnamento di alcune materie in lingua seconda) e un team teaching tra insegnanti di prima e seconda lingua. Questa sperimentazione è stata vietata dalla Giunta provinciale nel febbraio del 1996 dopo lunghe discussioni e controversie sulla stampa locale e regionale. Il divieto venne motivato con riferimento all’art. 19, che avrebbe vietato la contemporanea presenza in classe di un insegnante di madrelingua italiana e di un insegnante di lingua tedesca. Nell’ ottobre del 1997, la Giunta provinciale decise di abbandonare questa dura posizione e di permettere nelle scuole italiane a certe condizioni un insegnamento allargato della lingua seconda tedesco (enriched second language learning). Venne abbandonato il termine di “insegnamento immersivo” in quanto storicamente troppo vicino all’insegnamento coatto in lingua italiana e all’abolizione delle scuole in lingua tedesca attuata nel 1923 dal regime fascista. A determinate condizioni, come la valutazione esclusiva da parte degli insegnanti italiani nelle materie prescelte per l’insegnamento in lingua tedesca nelle scuole elementari e da parte dei docenti specializzati di materia nelle scuole secondarie, venne concesso un aumento delle ore per l’insegnamento di materie in lingua seconda ed un aumento del contingente dei docenti di lingua seconda tedesco. Questi provvedimenti però non cambiarono nulla alla struttura separata delle scuole.

Nelle scuole con lingua d’insegnamento tedesca vennero realizzati in questi anni vari progetti e ricerche per migliorare le condizioni didattiche dell’insegnamento della lingua seconda italiano, come l’elaborazione di sussidi didattici e di libri di testo e venne notevolmente potenziata la formazione didattica in servizio dei docenti di lingua seconda.

I continui aumenti delle ore d’insegnamento per la lingua seconda tedesco nelle scuole elementari italiane (969 ore di L2 tedesco rispetto a 646 ore di L2 italiano nelle scuole elementari tedesche dalla prima alla quinta classe) ebbero anche conseguenze per la scuola elementare tedesca. Infatti, con legge provinciale n. 2/2004, venne approvato l’insegnamento della lingua seconda italiano anche nelle prime classi della scuola elementare tedesca nella misura di un’ora settimanale obbligatoria e di un’ora settimanale facoltativa, quota comunque inferiore alle 6 ore previste nella scuola italiana.

La continua richiesta di altre modalità per un migliore apprendimento della lingua seconda portava nel 2003/2004 all’elaborazione di un progetto da parte degli Istituti Pedagogici in lingua tedesca e italiana, finalizzato a favorire la frequenza del penultimo anno della scuola superiore nella scuola dell’altra lingua da parte di studenti/studentesse delle scuole secondarie di secondo grado tedesche e italiane.

(I. Cennamo, C. Provenzano (a cura di), Un anno in lingua 2 / Zweitsprachjahr/ N ann te L2 y L3. Una ricerca qualitativa: ascolto e osservazione. Ein Projekt zieht Bilanz, Junior, Azzano San Paolo 2010).

Questo progetto, che ebbe grande successo e che tutt’ora è degno di considerazione, venne approvato dalla Giunta provinciale con delibera n. 4250 del 17.11.2008.

Anche per questa iniziativa non fu necessario procedere a una modifica dell’art. 19 del secondo Statuto d’autonomia, poiché si trattava di libere decisioni di alunne, alunni e genitori. L’iniziativa creò però occasioni di apprendimento linguistico molto potenziato non soltanto per coloro che frequentavano la scuola nell’altra lingua, ma anche per gli alunni e le alunne della classe ospitante, in quanto diventava possibile utilizzare il tedesco e l’italiano per interazioni linguistiche in classe.

Dopo il 2011, si rafforzò anche tra i genitori tedeschi la convinzione che l’art. 19, con la codifica delle scuole separate, pur garantendo certamente un diritto di tutela della lingua madre per la minoranza tedesca, non dovesse limitare o ostacolare la promozione del plurilinguismo, della lingua seconda, dell’inglese e di altre lingue. Ciò avvenne soprattutto su pressione della Consulta dei genitori italiani e della Consulta tedesca, che su questo tema effettuò un sondaggio tra i suoi membri a livello provinciale.

Questo cambio di opinione tra una parte significativa della popolazione tedesca indusse la Giunta provinciale con delibera n. 1034 dell’8 luglio 2013 ad autorizzare sperimentazioni scolastiche nelle scuole elementari e medie tedesche con il metodo CLIL (Content and Language integrated learning), ossia l’insegnamento di una materia curricolare in un’altra lingua. Questa strategia linguistica non poteva riguardare però più del 50% del contingente orario di solo due materie. Con un ulteriore delibera del 12 gennaio 2016 la Giunta provinciale estese queste sperimentazioni anche alle scuole secondarie di secondo grado.

Esperienze interessanti sono state fatte con la sperimentazione CLIL in alcune scuole secondarie tedesche e italiane con uno scambio di docenti. Docenti di materia non linguistica della scuola italiana insegnavano nella scuola tedesca e viceversa. Queste iniziative erano quasi senza oneri, perché non richiedevano la nomina di insegnanti aggiuntivi e mostravano come fosse concretamente possibile apprendere con profitto, anche linguistico, parti di una materia in un’altra lingua.

 

L’Alto Adige/Sudtirolo e il plurilinguismo

Al centro di queste riflessioni pedagogiche vi è sempre stata l’attenzione per la condizione culturale delle minoranze all’interno degli Stati nazionali europei ed in particolare della minoranza linguistica tedesca e ladina in Alto Adige-Sudtirolo e della minoranza slovena in Carinzia. In queste due situazioni, come del resto in moltissimi altri casi di minoranze in aree di confine europee, e non solo, si presentava in nuce e in anticipo un problema che ora è diventato centrale per la politica scolastica, linguistica e culturale dell’Unione Europea: lo sviluppo di una competenza personale plurilingue e interculturale.

A questo punto è necessario distinguere tra multilinguismo e plurilinguismo. Il multilinguismo è un fenomeno sociale. Si tratta di territori in cui ogni giorno per motivi di lavoro o di interazione vengono usate più lingue[4]. Il plurilinguismo invece è un fatto personale, una capacità individuale di usare diverse lingue e linguaggi. In questo senso l’Alto Adige-Sudtirolo è in gran parte un territorio multilingue anche se, come vedremo più avanti, il plurilinguismo personale non raggiunge ancora l’estensione e le competenze desiderate.

L’obiettivo è quello di riuscire ad agire linguisticamente nella realtà dell’altra cultura secondo le regole di questa cultura. È un mettersi in gioco su un palcoscenico molto più complesso di quello che si può trovare nella propria area culturale. Questa sfida non toglie nulla, ma arricchisce e favorisce la comunicazione e la cooperazione creativa e costruttiva tra persone di diverse lingue e culture che così potrà diventare sempre più normalità.

La situazione sociolinguistica e socioculturale si è evoluta negli ultimi decenni anche in Alto Adige – Sudtirolo verso una notevole varietà aggiuntiva. Oltre ai tre gruppi linguistici locali, ora si trovano sul territorio numerose persone, oltre quarantamila in dati assoluti, provenienti dalle più diverse culture con lingue molto differenti. Ciò ha creato una realtà scolastica sempre più eterogenea.

Inoltre, l’aumento di competenza in lingua seconda, atteso e pronosticato da anni, non ha ancora raggiunto livelli generalmente soddisfacenti. L’obiettivo delle linee guida di raggiungere all’esame di stato alla fine della scuola secondaria di secondo grado in lingua seconda tedesco o italiano il livello di competenza B2 del Quadro di riferimento europeo delle lingue, pare ancora essere molto lontano e di difficile realizzazione almeno per le scuole con lingua d’insegnamento tedesca e italiana. Un’eccezione positiva nel raggiungimento di una competenza plurilingue personale è costituita dalla minoranza linguistica ladina in Alto Adige/Südtirol, che può vantare un sistema scolastico rigorosamente trilingue[5]

Negli ultimi 13 anni sono state effettuate nel penultimo anno della scuola secondaria di secondo grado due ricerche sulla competenza linguistica in L2, condotte dalla prof.ssa Andrea Abel dell’Accademia Europea, conosciute sotto l‘acronimo Kolipsi 1 e 2. I risultati della prima ricerca Kolipsi del 2008 (vedasi sopra) non erano soddisfacenti e confermarono un dato esperienziale, ossia che le competenze in L2 tedesco di chi frequentava il penultimo anno delle scuole secondarie di II grado in lingua italiana erano inferiori a quelle dei coetanei e delle coetanee in L2 italiano frequentanti gli istituti in lingua tedesca. Questi risultati non potevano non essere ritenuti insoddisfacenti in considerazione dei pluridecennali sforzi, dal 1975 in poi, in ambito glottodidattico, degli aggiornamenti intensivi su vasta scala dei docenti di L2, delle sperimentazioni pluriennali per l’implementazione di nuovi programmi d’insegnamento prima e delle linee guida poi, dell’elaborazione di nuovi materiali didattici, dei gemellaggi, delle sperimentazioni relative all’aumento dell’insegnamento della L2 tedesca nelle scuole italiane anche attraverso la modalità CLIL, ora anche introdotta nella scuola tedesca.

La speranza che la seconda ricerca Kolipsi del 2015, presentata nel 2017[6] documentasse risultati decisamente migliori è stata duramente delusa. Le competenze non sono aumentate, ma sono scese in una percentuale notevole soprattutto tra gli studenti delle scuole superiori tedesche.

Questi risultati richiedono serie riflessioni, soprattutto se si considera il monte ore per l’insegnamento delle seconde lingue tedesco e italiano molto più alto dell’insegnamento della prima lingua straniera in qualsiasi altro paese europeo. Le scuole superiori tedesche hanno reagito portando i progetti CLIL nelle scuole superiori negli ultimi quattro anni da 6 a 11 su un totale di 23 scuole secondarie di secondo grado. Anche nelle scuole superiori italiane che da anni curano sezioni trilingui (italiano, tedesco, inglese) si procede ad un ulteriore perfezionamento dell’insegnamento plurilingue. Da notare in particolare le sezioni internazionali presso il Liceo Pascoli di Bolzano.

Tutto questo induce comunque a pensare che non sia così facile apprendere la lingua del vicino, soprattutto se i vicini vivono nello stesso territorio e se i traumi del passato sono stati elaborati solo parzialmente.[7]

In effetti, l’italiano e il tedesco per molti sono lingua straniera appresa con i metodi della didattica delle lingue straniere e non attraverso contatti mediati a livello scolastico ed extrascolastico con i parlanti l’altra lingua. La rispettiva altra lingua si apprende soprattutto al fine di una utilitaristica inclusione paritaria in ambienti amministrativi ed economici e meno come lingua della quotidianità per poter colloquiare con i vicini e per stabilire contatti con altri mondi di vita. Allora, però, si tratta di un “falso bilinguismo”, di un bilinguismo che spogliato del suo reale fine comunicativo si presenta nudo, nella nudità dell’alienazione, del puro essere utilizzato.

Vorrei accennare ancora brevemente alla ricerca qualitativa effettuata da Baur/Larcher nel 2011[8], una ricerca sulla percezione soggettiva della socializzazione linguistica di 70 maturandi delle scuole tedesche e italiane che si poneva le seguenti domande-guida: come vengono vissuti dai maturandi dei due maggiori gruppi linguistici le condizioni e le misure strutturali, psicosociali e pedagogiche in famiglia, nel vicinato, nelle amicizie e nelle istituzioni di formazione in riferimento alla promozione o all’inibizione di un bi- e plurilinguismo interculturale? In maniera più semplice, questa domanda guida potrebbe essere posta anche così: Come diventare bilingui in Alto Adige/Sudtirolo o rimanere monolingui?

Il valore di questo studio sulle condizioni e le possibilità dell’apprendimento della seconda lingua sta nel fatto che ha reso visibile – attraverso la raccolta di biografie linguistiche –la costruzione sociale della cultura linguistica in provincia, così come viene vissuta dai giovani maturandi.

Nel corso dell’analisi delle interviste è emerso chiaramente che i campi più critici, identificati da questa ricerca nella politica linguistica della formazione altoatesina-sudtirolese sono:

  1. la costruzione sociale di una diversità quasi naturale e l’automatizzazione di questo discorso tramite, salvo eccezioni, la continua e permanente separazione degli alunni/alunne a tutti i livelli dei sistemi scolastici e
  2. il mito della pillola magica della glottodidattica.

Bilinguismo e plurilinguismo non sono prevalentemente problemi di linguistica o problemi di glottodidattica. Questi si lasciano più o meno risolvere. Sono, invece, eminenti problemi politici, o meglio problemi di politica linguistica.

Un vero salto di qualità nella competenza plurilingue della futura élite di questa provincia si potrebbe ottenere con l’istituzione dell’insegnamento trilingue nel triennio delle scuole secondarie di secondo grado se frequentato da alunni di lingua italiana e di lingua tedesca.

Ma ciò richiederebbe una ristrutturazione di uno dei più importanti piloni del ponte dell’autonomia territoriale in Alto Adige/Sudtirolo, ossia la modifica parziale dell’art.19.

 


Note:

[1] Legge costituzionale n.1/71, testo unico D.P.R 31. agosto 1972, Nr. 670, modificato da due leggi costituzionali del 1993 e del 2001.

[2] S. Baur, Le insidie della vicinanza. Comunicazione e cooperazione in situazioni di maggioranza/minoranza, Alpha Beta, Merano 2000.

[3] G. Mezzalira, Quale bilinguismo per quale società? Gli anni ’80 e’90, in S. Baur, G. Mezzalira, W. Pichler (a cura di), La lingua degli altri. Aspetti della politica linguistica e scolastica in Alto Adige-Südtirol dal 1945 ad oggi, Franco Angeli, Milano 2008, p. 241.

[4] Dodman, Linguaggio e plurilinguismo. Apprendimento, curricolo e competenze, Erickson, Trento 2013, p. 69.

[5] R. Videsott, Plurilinguismo nell’area ladina dell’Alto Adige. Quando plurilinguismo istituzionale e individuale si intrecciano. Multilingualism in the Ladin area in South Tyrol. The interplay between institutional and individual multilingualism, in “Didattica dell’italiano. Studi applicati di lingua e letteratura”, 2021. Online www.rivistadidit.ch, DOI: 10.33683.

[6] A. Abel, C. Vettori, KOLIPSI II. Gli studenti altoatesini e la seconda lingua: indagine linguistica e psicosociale. / Die Südtiroler SchülerInnen und die Zweitsprache: eine linguistische und sozialpsychologische Untersuchung, Eurac Research, Bolzano 2017. http://webfolder.eurac.edu/EURAC/Publications/Institutes/autonomies/commul/Kolipsi_II_2017.pdf.

[7] Baur, 2000; S. Baur, Schulpolitik in Südtirol, in J. Marko, S. Ortino, F. Palermo, L. Voltmer, J. Woelk (a cura di) Die Verfassung der Südtiroler Autonomie. Die Sonderrechtsordnung der Autonomen Provinz Bozen Südtirol, Nomos Verlagsgesellschaft, Baden-Baden 2006.

[8] S. Baur, D. Larcher, Fit für Europa. Studie zur subjektiven Wahrnehmung sprachlicher Sozialisation von Absolventen und Absolventinnen höherer Schulen, alpha beta – Drava Verlag, Meran/Klagenfurt 2011.

Dati articolo

Autore:
Titolo: Scuola, lingua e autonomia in provincia di Bolzano
DOI: 10.52056/9791254691090/09
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Numero della rivista: n.17, giugno 2022
ISSN: ISSN 2283-6837

Come citarlo:
, Scuola, lingua e autonomia in provincia di Bolzano, Novecento.org, n.17, giugno 2022. DOI: 10.52056/9791254691090/09

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