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Insegnare la storia del Novecento: gli esiti di un questionario

Insegnare la storia del Novecento: gli esiti di un questionario
Abstract

L’articolo analizza i risultati del questionario sull’insegnamento della storia del Novecento realizzato dalla rete Parri nel 2024 e somministrato alle insegnanti e agli insegnanti della scuola secondaria di primo e secondo grado che frequentano gli istituti storici. Ne emerge il quadro di docenti preparati e molto interessati all’aggiornamento disciplinare sui temi della storia contemporanea, che in maggioranza si considerano intellettuali più che professionisti della didattica. Emerge anche un notevole interesse per il legame tra storia del Novecento e attualità. Nei confronti dell’educazione civica il giudizio è ambivalente: da un lato si rivendica il suo legame con la storia, dall’altro si diffida di un suo possibile uso in senso acritico e puramente valoriale.

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The article analyses the results of the questionnaire on the teaching of twentieth-century history carried out by the Parri network in 2024 and administered to secondary school teachers attending history institutes. A picture emerges of teachers who are well-prepared and very interested in disciplinary updating on contemporary history topics, the majority of whom consider themselves intellectuals rather than teaching professionals. A considerable interest in the link between 20th century history and current affairs also emerges. With regard to civic education, the judgement is ambivalent: on the one hand there is a claim for its link with history, on the other hand there is mistrust of its possible use in an uncritical and purely value-based sense.

double blind peer review double blind peer review Questo articolo è stato sottoposto a revisione in doppio cieco (double blind peer review)

Premessa

Che cosa vuol dire oggi insegnare la storia del Novecento nelle scuole secondarie di primo e secondo grado? Quali sono i problemi e le esigenze di chi affronta nelle classi questo “pezzo”, tanto importante quanto purtroppo ancora troppo negletto, della programmazione di storia? Si tratta di domande fondamentali per chiunque si occupi di insegnamento della storia contemporanea e quindi inevitabilmente anche per i responsabili delle attività didattiche degli Istituti storici della rete Parri. Non è stata quindi casuale la decisione di elaborare un questionario su questi temi e di somministrarlo ai docenti che frequentano le iniziative degli istituti storici della rete Parri, adottata nei “Cantieri della didattica” del maggio-giugno 2023.[1]

In questo articolo presenteremo i risultati di questo lavoro[2], soffermandoci sulle tre questioni più interessanti emerse dalle risposte:

  • l’identità delle docenti e dei docenti;
  • le esigenze formative nel campo della didattica della storia del Novecento;
  • le attese, gli obiettivi e i problemi dell’insegnamento della storia del Novecento.
Introduzione: il percorso, gli obiettivi, il campione

Il questionario è stato realizzato da un gruppo di lavoro designato dalla commissione didattica della rete Parri nell’autunno 2023[3]. La somministrazione – anonima, a distanza e su piattaforma Google Form – è avvenuta nel periodo 3-21 aprile 2024. Non è stato predefinito un campione, ma si è deciso di invitare i responsabili didattici degli istituti della rete Parri, a cui è stata affidata la somministrazione del questionario, a diffonderlo tra tutte le docenti e i docenti delle scuole secondarie di I e II grado con i quali sono in contatto e che insegnano abitualmente la storia del Novecento.

Il primo obiettivo del questionario era infatti conseguire una migliore conoscenza delle insegnanti e degli insegnanti che partecipano alle iniziative degli istituti della rete: chi sono, quali sono i loro problemi e bisogni formativi. Il secondo obiettivo, strettamente collegato al primo, era il miglioramento delle strategie formative degli istituti storici.

Hanno risposto 936 docenti, di cui 76,2% donne, 59,8% con più di 50 anni di età e 46,7% con più di 20 anni di insegnamento. Per quanto concerne l’ordine scolastico, il 69,2% insegnava nella scuola secondaria di II grado, di cui il 55,7% nei licei, il 30,9% nei tecnici, l’11,4% nei professionali e il 2% in centri di formazione professionale. Se si tiene conto solo di questi indicatori, il campione è abbastanza rappresentativo degli insegnanti delle scuole secondarie italiane.[4]

Il discorso in parte cambia per quanto riguarda la condizione lavorativa, con una percentuale di docenti a tempo indeterminato del campione significativamente più alta (90,9%) rispetto al dato nazionale (73%). Ma, soprattutto, è la distribuzione territoriale a essere completamente diversa da quella dell’insieme del corpo docente della scuola secondaria. Le persone che hanno risposto al questionario si concentrano in regioni collocate soprattutto nel nord del Paese (83,4%), in misura minore nel centro (12,9%) e solo in pochi casi nel sud e nelle isole (3,6%). I dati ministeriali relativi al personale docente delle scuole secondarie ci offrono un quadro ben diverso: il 39,8% insegna nelle regioni del nord, 20,1% in quelle del centro e il 40,1% in quelle del sud e delle isole. Si tratta dell’inevitabile conseguenza della decisione di concentrarsi sui docenti che frequentano gli istituti storici: nel nord sono più numerosi e possono contare su maggiori risorse, soprattutto per la presenza di insegnanti distaccati, seppure in costante diminuzione nel corso degli anni.

 

Identità: intellettuali?

Benché non immediatamente legate agli obiettivi del questionario, le risposte alle domande relative all’autopercezione degli insegnanti sono rilevanti anche in funzione della comprensione di quelle più centrate sul tema dell’insegnamento della storia del Novecento.

Alla richiesta di scegliere tra cinque possibili definizioni di insegnante, distinguendo tra quella che descrive meglio la situazione attuale e quella che maggiormente si condivide, emerge un quadro, rappresentato nel grafico 1, per alcuni aspetti inaspettato.

Grafico 1

Non era affatto scontato che l’opzione preferita fosse “Un/a intellettuale che accende negli studenti l’interesse per la cultura”, che ha raccolto più della metà delle scelte.  Non dimentichiamo che la definizione di insegnante adottata dalla ricerca pedagogica attuale è “professionista riflessivo”[5], corrispondente all’item del questionario “Un/a professionista che fornisce servizi sulla base di competenze specialistiche”, che raccoglie un’adesione molto più bassa (17,4%), collocandosi al terzo posto. Al secondo troviamo la definizione “Un educatore/un’educatrice”, con il 26,1% dei consensi, mentre ottengono percentuali minime gli altri due item (”Un/a funzionario/a che svolge una importante funzione pubblica” e “Un/a impiegato/a”). Con tutta evidenza a queste due definizioni è stata attribuita una connotazione negativa, che è confermata dalla valutazione sulla condizione attuale dell’insegnante. Qui per tre item su cinque i risultati sono rovesciati: “Impiegato” sale dallo 0,2 al 25,6% e “Funzionario” dal 2 al 13,7%, mentre, al contrario, “Intellettuale” scende dal 54,3 all’8,8%.

Questi dati forniscono una possibile chiave di lettura dell’enfasi attribuita alla figura dell’intellettuale come rappresentazione ideale dell’insegnante: probabilmente si tratta di una scelta che ha anche un significato di protesta e rivendicazione. Molti docenti si sentono trattati come semplici impiegati, o tutt’al più funzionari, e vogliono di contro enfatizzare la propria preparazione e la propria importanza culturale e educativa per la formazione delle nuove generazioni.

Lo scarto tra definizione ideale e condizione attuale è invece molto minore nel caso delle due definizioni più plurifattoriali e a maggior contenuto pedagogico-didattico: “Professionista” (da 17,4 a 22,3%) e “Educatrice” (da 26,1 a 29,6%). La differenza molto più contenuta può essere interpretata come una maggiore soddisfazione per la propria condizione lavorativa. In sostanza, chi vive l’insegnamento con un’ottica professionale o educativa considera questa identità in modo positivo e non contrappositivo, e la ritrova maggiormente nella realtà del lavoro quotidiano.

Grafico 2

Un’ultima considerazione riguarda la motivazione professionale. Il Grafico 2 mostra un dato interessante e non scontato, se si tiene conto anche dell’età e dell’anzianità di servizio dei docenti del campione. La media (8,4) e la distribuzione delle scelte mostrano una motivazione inaspettatamente alta. L’insoddisfazione, che emergeva indirettamente dalle risposte alla domanda sulla definizione di insegnante, non viene confermata quando concerne il rapporto che le docenti e i docenti del nostro campione hanno con la professione: anche buona parte di coloro che sono insoddisfatti per l’inadeguato riconoscimento dello status di insegnante non per questo perde entusiasmo e motivazione per il proprio lavoro. Si tratta di un dato confermato anche da recenti ricerche sugli insegnanti italiani che registrano la stessa ambivalenza, o “doppio binario”: insoddisfazione diffusa per la condizione economica e giuridica e per il presunto inadeguato riconoscimento sociale; soddisfazione e persistente motivazione personale per la professione in quanto tale.[6]

La formazione: più contenuti che metodologia

Il questionario proponeva una serie di domande relative alla formazione in entrata e in servizio. Per quanto riguarda le prime, il dato più interessante è l’elevata percentuale di docenti, pari al 63,8%, che, dopo la laurea, hanno conseguito altri titoli di studio. Le possibilità indicate erano molte e variegate per tipologia[7], nondimeno emerge l’immagine di un gruppo culturalmente “robusto”, con una significativa formazione alle spalle.

La solidità culturale del campione è confermata dai dati sulla formazione in servizio. L’86,6% dichiara di svolgere più di 10 ore di aggiornamento all’anno e, di questi, circa un terzo (pari al 26,9% del totale) più di 30 ore. Un’altra domanda riguardava le attività di autoformazione legate all’insegnamento della storia, scelte tra varie tipologie di attività (libri, film, spettacoli teatrali, musei, ecc.): il 72,1% dichiara di dedicarvi almeno 10 ore mensili.

Grafico 3

Un dato più prevedibile emerge dalle risposte alle domande sul contenuto delle iniziative di formazione frequentare nell’ultimo triennio. Anche in questo caso la domanda proponeva un approccio duplice, descrittivo (corsi più frequentati) e valutativo (corsi più apprezzati). Il Grafico 3 mostra che le scelte del nostro campione sono piuttosto nette: i corsi che approfondiscono contenuti storici sono di gran lunga i preferiti e i più frequentati, con uno scarto minimo tra i due piani.  Lo scarto diventa più significativo per gli altri corsi (da quelli di argomenti didattico-pedagogico a quelli sulla tecnologia e l’educazione civica), che risultano più frequentati che apprezzati. Il caso più plateale è quello dei corsi sulla legge della sicurezza, piuttosto frequentati nonostante lo scarso interesse.

Qui si impone una spiegazione: nel mondo della scuola non esiste un vero e proprio obbligo di formazione, se non per i temi della sicurezza o in concomitanza di riforme; per questo motivo la frequentazione di corsi di aggiornamento/formazione è per lo più volontaria. Pertanto non c’è nulla di anomalo nel fatto che i docenti del nostro campione abbiano frequentato soprattutto corsi su temi di loro interesse.

Il che ci porta a un’ultima considerazione. Le risposte sulla formazione in entrata e in servizio confermano il profilo della maggioranza del nostro campione: insegnanti fortemente centrati sulle competenze culturali e disciplinari, che danno meno valore a quelle didattiche e pedagogiche.

Identità: insegnanti tradizionali?

Prima di procedere ad esaminare le domande più specifiche sull’insegnamento della storia del Novecento, concludiamo l’analisi dell’identità degli insegnanti del campione analizzando le domande relative alle scelte didattiche.

Sul piano metodologico prevalgono approcci tradizionali: Il 93,5% del campione risponde di usare spesso o qualche volta la lezione partecipata, il 91,3% la discussione guidata e il 90,1%. la lezione frontale. Tra le metodologie meno tradizionali la più diffusa è il laboratorio con le fonti (70,1%), mentre le altre metodologie più atipiche[8] si collocano sotto il 50%. Il dato trova conferma anche nelle risposte alla domanda sugli strumenti di valutazione: prevalgono le domande scritte a risposte aperta, che l’86,6% dichiara di usare spesso o qualche volta, le interrogazioni individuali (82,3%), le relazioni orali (72,3%) e le prove scritte a risposta chiusa (57,9%). Sotto il 50% gli altri strumenti.[9]

Le risposte al quesito sui libri di testo possono aiutare a completare questo quadro. Solo la richiesta di inserire nei manuali un maggior numero di fonti, anche visive e audiovisive, è sostenuta da più della metà del campione (54,7%). L’adesione agli altri item[10] è invece nettamente più bassa e, soprattutto, caratterizzata da esigenze e richieste opposte: per esempio ottengono sostanzialmente la stessa percentuale le richieste di libri più snelli e di apparati didattici più robusti, la critica del linguaggio troppo accademico e la proposta di testi più approfonditi. Sembra emergere nei confronti dei libri di testo una insoddisfazione tanto diffusa quanto poco definita, probabilmente per la mancanza tra gli insegnanti di una “teoria forte” del manuale e della sua funzione nel processo di insegnamento-apprendimento.[11]

In conclusione: il campione è costituito da docenti di storia molto motivati e interessati ad approfondire la disciplina. La maggioranza declina questa passione in termini didatticamente più tradizionali, dando maggior peso ai contenuti che agli aspetti metodologici ed elaborando una immagine di sé quale divulgatore di alto livello culturale, più che di educatore o professionista della didattica.

Il Novecento e l’attualità

Il Grafico 4 mostra le risposte alla domanda relativa ai motivi per cui si ritiene importante l’insegnamento della storia del Novecento.

 

Grafico 4

Emerge una netta ed evidente centralità attribuita al legame tra l’insegnamento della storia del Novecento e l’attualità. Non solo è l’item che ottiene un consenso pressoché unanime, ma anche gli altri tre che lo seguono hanno a che fare con questa dimensione, poiché si riferiscono alle competenze spendibili nel presente, al legame con la memoria pubblica e alla maggior vicinanza all’esperienza degli studenti. Meno consenso ottengono le affermazioni relative alla presunta maggior facilità di comprensione di questa parte della storia e al tema benjaminiano del legame con le speranze irrealizzate del passato.

Ciò viene confermato dalle risposte alla domanda che chiedeva esplicitamente di prendere posizione sul tema del rapporto tra insegnamento della storia e attualità. Ebbene, praticamente nessuno (solo lo 0,5%) ha scelto l’item che escludeva la possibilità di trattare l’attualità all’interno dell‘insegnamento della storia e solo pochissimi hanno condiviso l’affermazione secondo la quale l’attualità può essere affrontata solo dopo aver trattato la storia del Novecento, quindi solo all’ultimo anno. La grande maggioranza ha invece optato per gli item “Alcuni temi di attualità possono essere affrontati anche prima dell’ultimo anno nell’ambito dell’insegnamento di educazione civica” (75,7%) e “Nell’insegnamento della storia, indipendentemente dall’epoca trattata, bisogna sempre partire da domande sull’attualità” (68,4%).[12]

È interessante notare che la seconda delle affermazioni rimanda all’approccio promosso da Ivo Mattozzi e dall’associazione Clio ’92, che ritiene fondamentale il legame con le domande del presente per innescare processi di apprendimento significativi dei contenuti e delle categorie della storia.[13]

La storia e l’educazione civica

La prima affermazione fa invece riferimento all’educazione civica, come contesto disciplinare in cui appare opportuno trattare i temi d’attualità. Il che ci porta al tema del rapporto tra l’insegnamento della storia del Novecento e quello dell’educazione civica, al quale era dedicata una domanda specifica. Si chiedeva di dare una valutazione usando una scala da 1 a 10, dove 1 corrispondeva all’affermazione “L’insegnante di storia non dovrebbe proprio occuparsi di educazione civica, dato il carattere valoriale di questa disciplina” e 10 all’affermazione “L’educazione civica dovrebbe essere insegnata solo dal docente di storia, per dare profondità storica ai suoi contenuti”.

Il primo dei due poli estremi tra i quali ci si doveva collocare propone una concezione dell’educazione civica puramente valoriale; in quanto tale tenderebbe come minimo a stilizzare o semplificare la storia passata, se non a ignorarla del tutto. Così intesa sarebbe incompatibile con l’insegnamento della storia, che è critico e decostruttivo, anche nei confronti degli eventi del passato monumentalizzati dall’educazione civica.

Il secondo dei due poli invece si ricollega alla tradizione dell’insegnamento dell’educazione civica nell’Italia repubblicana, disciplina introdotta nella scuola italiana nel 1958 per iniziativa dell’allora ministro dell’istruzione Aldo Moro[14]. La materia era affidata agli insegnanti di storia, e non a caso: nelle intenzioni originarie la dimensione storica avrebbe dovuto essere “circoncentrica” all’educazione civica, poiché Aldo Moro riteneva impossibile l’insegnamento delle norme del vivere civile, prima fra tutte la Costituzione, se non riconducendole alla loro genesi storica e quindi all’azione umana.[15]

Grafico 5

Nel grafico 5 emerge come sia prevalente la propensione per il legame dell’educazione civica con l’insegnamento della storia, il che era prevedibile, trattandosi di un campione costituito da persone che insegnano la storia del Novecento. Tuttavia, si tratta di un prevalere pieno di dubbi, tanto che la moda è 5, punteggio scelto da circa un quarto dei rispondenti, anche se la media è 6,5. L’insegnamento dell’educazione civica sembra mettere in difficoltà gli insegnanti di storia contemporanea: per un verso rivendicano il proprio ruolo centrale in merito, dall’altro non possono non percepire il problema di una materia che rischia di assumere contorni meramente valoriali. Questa incertezza potrebbe essere la conseguenza anche della tendenza ad attribuire all’educazione civica un carattere più prescrittivo che critico-storico, che emerge dalla norma e dalle linee guida attuali.[16]

I problemi dell’insegnamento della storia

I problemi legati all’insegnamento della storia erano affrontati nel questionario da due domande, una centrata sulle difficoltà del docente e l’altra su quelle degli studenti.

 

Grafico 6

Come si vede dal grafico 6, tra le risposte possibili alla prima domanda prevale nettamente quella più scontata: “Numero di ore insufficienti”. La recriminazione per il numero di ore inadeguato nelle proprie materie è sicuramente una delle più diffuse tra gli insegnanti della scuola secondaria. Ciò non toglie che, nel caso dell’insegnamento della storia, vi sia una base di realtà legata ai quadri orari della scuola secondaria di secondo grado introdotti nel 2010 dalla cosiddetta “Riforma Gelmini”, in cui le ore della disciplina sono diminuite rispetto al passato in alcuni indirizzi di studio.[17]

L’altro fattore indicato come causa delle difficoltà nell’insegnamento della storia è il numero eccessivo di progetti in orario curricolare, altro disagio ricorrente tra gli insegnanti e affine a quello indicato come terza causa (“Troppe interruzioni del calendario scolastico”), forse frutto anche di una insoddisfazione per la tendenza, ormai ampiamente diffusa nelle scuole, a lavorare per progetti.

Meno rilevanti appaiono il disinteresse degli studenti e l’inadeguatezza dei manuali scolastici. Evidentemente il nostro campione, pur mostrando una diffusa insoddisfazione per i libri di testo, non attribuisce loro una importanza tale da farne un fattore negativo decisivo[18].

Il Grafico 7 mostra invece le risposte alla domanda relativa alle difficoltà di apprendimento della storia da parte degli studenti. In questo caso il disinteresse per la materia sembra pesare di più: è l’item che si colloca al terzo posto, con più della metà del campione che dichiara di essere pienamente o abbastanza d’accordo con questa affermazione. Il primo posto è però occupato dall’affermazione: “Sottovalutazione della difficoltà della materia”. Si tratta di una interpretazione controcorrente rispetto al luogo comune sulla storia come materia “facile” – “basta solo memorizzare date e avvenimenti” – ma diffusa tra i docenti più preparati sulla disciplina, come quelli del nostro campione, che sono maggiormente consapevoli della sua complessità.

 

Grafico 7

La seconda causa di difficoltà è la programmazione troppo estesa. In questo caso la risposta è decisamente prevedibile e probabilmente anche frutto della non chiara distinzione tra programma e programmazione. Come è noto, nella scuola italiana i programmi non esistono più dal 2000, cioè da quando è stata introdotta l’autonomia scolastica, e sono stati sostituiti dalle “Indicazioni nazionali”, che il docente deve trasformare nella programmazione annuale personale. Ogni insegnante avrebbe quindi la possibilità di programmare un numero minore di argomenti, ma spesso questo non viene fatto sia perché le indicazioni vengono concepite come vincolanti, alla stregua dei vecchi programmi, sia perché molti argomenti, ancorché non prescritti, vengono considerati come irrinunciabili, sia, infine, perché si tende a seguire l’impostazione dei libri di testo.

Il rapporto problematico con la programmazione, che non è certo una prerogativa dei soli docenti di storia, emerge anche dalle risposte alla domanda del questionario relativa la lavoro nel dipartimento di materia. Era stata proposta una scala da 1 a 10, dove 1 corrispondeva a “Decido solo io, anche contro le scelte del dipartimento” e 10 a “Mi adeguo in toto alle scelte del dipartimento”.

Grafico 8

Il grafico 8 mostra una forte incertezza al riguardo: vi è solo una leggera tendenza a adeguarsi alle scelte del dipartimento, sintetizzata dalla media 5,5 e dalla mediana 6. Si tratta di un risultato per molti aspetti atteso. Bisogna ricordare che la scuola, in Italia e non solo, è una organizzazione “a legami deboli”, in cui il livello di autonomia dell’insegnante è strutturalmente molto elevato. In un contesto del genere gli organi intermedi, come il dipartimento, hanno un peso limitato e suscitano reazioni ambivalenti.[19] Resta il fatto che per insegnanti come quelli di storia, per i quali “non finire il programma” e non approfondire il Novecento costituiscono una delle difficoltà principali, il lavoro con il dipartimento potrebbe contribuire a risolvere il problema.

 

Conclusioni

La prima considerazione generale che si può trarre dalle risposte al questionario è che le insegnanti e gli insegnanti che frequentano gli istituti della rete Parri sono interessanti e interessati: interessanti, perché propongono uno spaccato del corpo docente italiano caratterizzato da una solida preparazione disciplinare e da una forte motivazione professionale; interessati, per l’elevata disponibilità allo studio e all’aggiornamento.  Un campione di questo genere probabilmente non è casuale, ma è anche il risultato del lavoro svolto dagli istituti storici, la cui offerta formativa ha saputo attirare docenti motivati e preparati e ha contribuito a rafforzare queste qualità.

Una seconda considerazione, più problematica, si collega al prevalere di docenti più interessati ai contenuti che alle metodologie didattiche, che forse rispecchia un’attività formativa degli istituti più centrata sull’aggiornamento disciplinare che sulla didattica.

La terza considerazione riguarda il rapporto dell’insegnamento della storia del Novecento con l’attualità e con l’insegnamento dell’educazione civica: la grande maggioranza del campione attribuisce alla questione una grande importanza e ne coglie le implicazioni e i problemi sul piano sia dei contenuti, sia del metodo.

Tutto ciò costituisce per la rete Parri un riconoscimento positivo, ma anche una sfida.

L’offerta formativa rivolta alle docenti e ai docenti di contenuti relativi al Novecento, decisamente ricca per qualità e quantità, va probabilmente integrata con un maggior numero di iniziative con un taglio più didattico, che si pongano l’obiettivo di riflettere sui temi metodologici e di diffondere pratiche didattiche innovative.

Vi è poi il tema dell’attualità: è evidente la necessità di corsi che approfondiscano sia le emergenze del mondo attuale, sia le problematiche didattiche legate alla trattazione di questi problemi in relazione allo studio del Novecento.

Infine l’educazione civica. Qui per la rete Parri non si tratta solo di tenersi al passo con le novità legislative, e di proporre aggiornamenti e prese di posizione in questo ambito, ma anche e soprattutto di lavorare con le docenti e i docenti muovendo da quella che, con tutta evidenza, è l’impostazione che si sta affermando: sempre più valoriale e prescrittiva e sempre meno storica e critica. Si tratta di proporre corsi che vadano in controtendenza e propongano pratiche e approcci storico-critici all’educazione civica e a tutti i temi connessi, a partire dalle date del calendario civile.[20] Se l’educazione civica deve favorire la formazione di cittadini consapevoli e critici e non di sudditi obbedienti, la storia e i suoi metodi sono fondamentali.

Bibliografia

Note:

[1] I “Cantieri della didattica” sono seminari sulla didattica della storia del Novecento organizzati annualmente e rivolti ai responsabili didattici degli istituti dalla rete Parri. Cfr. www.reteparri.it/formazione/cantieri-della-didattica

[2] Una prima presentazione delle principali risultanze emerse dal questionario è stata realizzata dall’autore di queste righe nel corso dei Cantieri della didattica 2024, che si sono svolti a Roma il 23 maggio 2024.

[3] Il gruppo di lavoro, che ha svolto anche un primo esame dei dati, era composto da Monia Colaci, responsabile della didattica dell’Istituto di Storia dell’Età Contemporanea di Sesto San Giovanni, Silvia Morganti, responsabile della didattica dell’Istituto romano per la storia d’Italia dal fascismo alla Resistenza, Agnese Portincasa, direttrice dell’istituto storico Parri Bologna Metropolitana, e Giorgio Giovannetti, responsabile della didattica dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri. Ne approfitto per ringraziare le colleghe del gruppo per la loro grande disponibilità e per aver creato un clima di lavoro proficuo e amichevole. Ringrazio anche Gianluca Argentin, docente di sociologia presso l’università di Milano Bicocca ed esperto di ricerche sul mondo degli insegnanti, per la sua preziosa e come sempre illuminante consulenza nella elaborazione e validazione del questionario. Ringrazio infine Barbara Bracco, docente di storia contemporanea presso l’Università di Milano Bicocca, per i suoi i suoi utili consigli nella fase di stesura delle domande. Va da sé che la responsabilità del contenuti di questo articolo è esclusivamente mia.

[4] Cfr. https://dati.istruzione.it/espscu/index.html?area=anagScu. Va precisato che i dati del Ministero relativi ai docenti non sono disaggregati per materia di insegnamento, il che impedisce un confronto puntuale con il campione del questionario della rete Parri, che è costituito solo da insegnanti di materie letterarie, storia e filosofia o scienze umane.

[5] Cfr. M. Castoldi, Didattica generale, Mondadori, Milano 2015, pp. 15-21.

[6] Cfr. G. Argentin, Gli insegnanti nella scuola italiana, il Mulino, Bologna 2018, pp. 119-159.  Abbiamo usato l’espressione “presunto inadeguato riconoscimento” perché, come emerge dalla ricerca di Argentin, l’immagine sociale dell’insegnante è meno negativa di quanto pensi la maggioranza della categoria (Argentin 2018, pp. 151-155).

[7] Erano previsti: Dottorato di ricerca, Master, Scuola di specializzazione, Corso di perfezionamento e la voce Altro da completare.

[8] Le altre tecniche proposte erano: Flipped classroom, Debate, Studio di caso, Storytelling e Altre forme di didattica attiva.

[9] Gli altri strumenti proposti erano: Test di profitto forniti da istituti specializzati, Prove comuni di livello proposte dal Dipartimento, Annotazioni sui comportamenti, Relazioni scritte di gruppo, Relazioni scritte individuali, Prove scritte in forma di saggio breve o testo argomentativo, Interrogazioni individuali non programmate, Verifica dei compiti assegnati per casa.

[10] Gli item relativi ai manuali scolastici di storia erano: Dovrebbero dare molto più spazio alla storia del Novecento, Dovrebbero essere molto più aggiornati dal punto di vista storiografico, Sono troppo dispersivi, a causa delle numerose schede che tolgono spazio al profilo storico, Dovrebbero usare un linguaggio meno accademico, Dovrebbero essere molto più approfonditi, Dovrebbero avere apparati didattici più ricchi, Dovrebbero avere più schede di approfondimento, Dovrebbero contenere un numero maggiore di testi storiografici, Dovrebbero dare maggior spazio all’educazione civica e ai temi di attualità, Sono sovraccaricati da troppi apparati didattici, Dovrebbero proporre un maggior numero di fonti, anche visive e audiovisive.

[11] Per una riflessione sui manuali di storia attenta anche alle novità introdotte negli ultimi anni in questo ambito dall’editoria scolastica, si veda: F. Monducci, Il manuale, per una didattica attiva in F. Monducci, A. Portincasa, Insegnare storia nella scuola secondaria, Utet Università, Torino 2023, pp. 171-183.

[12] Era possibile scegliere fino a due affermazioni.

[13] Cfr. Clio ’92, Tesi sulla didattica della storia, 1999, in www.clio92.org/wp-content/uploads/2019/08/Tesi-di-Clio92.pdf. Si veda anche: M. T. Rabitti, Per una nuova storia generale in Monducci-Portincasa 2023, pp. 71-91.

[14] D.P.R. 13 giugno 1958, n. 585. Cfr. M. Caligiuri, Aldo Moro e la costruzione della democrazia. Educazione civica per il XXI secolo in “Pedagogia Oggi”, anno XVIII , n. 1, 2020, pp. 254-268.

[15] Sul confronto tra l’approccio storico e quello astrattamente valoriale all’insegnamento dell’educazione civica si veda: A. Brusa, Educazione civica e storia, in “DIDA Online”, 20 febbraio 2024, www.erickson.it/it/mondo-erickson/educazione-civica-e-storia.

[16] Cfr. www.istruzione.it/educazione_civica. Va precisato che la momento della compilazione del questionario non  erano state introdotte le nuove linee guida (D.M. 7 settembre 2024, n. 183), ma erano ancora vigenti quelle del 2020.

[17] D.P.R. 15 marzo 2010, nn. 87 (Professionali), 88 (Tecnici), 89 (Licei). Per un confronto con il monte ore di storia della scuola superiore precedente il riordino del 2010 si può consultare il sito dedicato di Zanichelli, www.zanichelli.it/scuola/piani-di-studio-scuola-secondaria-di-ii-grado , da cui si evince che il taglio delle ore di storia non ha riguardato gli istituti tecnici e professionali (anche se, nel frattempo, con il D.L. 13 aprile 2017 n. 61 questi ultimi sono stati di nuovo riformati), ma solo alcuni indirizzi dei licei (lo scientifico, il linguistico e le scienze umane, ma non il classico e l’artistico).

[18] Come si evince dal Grafico 7, anche dalle risposte alla domanda sulle cause delle difficoltà degli studenti emerge che non si attribuisce un ruolo rilevante ai manuali scolastici.

[19] Sulle istituzioni scolastiche come organizzazioni a “legami deboli” (loosely coupled), concetto introdotto dal sociologo Karl Weick e spesso applicato alla scuola, si veda: P. Romei, Autonomia e progettualità, La Nuova Italia, Firenze 1995, pp. 57-89.

[20] Cfr. C. Villani, Insegnamento della storia e usi del passato: come educare la coscienza storica degli studenti in Monducci-Portincasa 2023, pp. 139-154.