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L’immagine, l’evento e la didattica della storia

Abstract

L’autrice propone un percorso di analisi e didattica delle fonti audiovisive partendo in particolare dal ruolo delle immagini tratte dalla Tv nella costruzione dell’immaginario degli studenti. Invita cosi i docenti a confrontarsi e interagire con l’immaginario storico veicolato da alcune serie televisive. Si sofferma poi sul rapporto tra le rappresentazioni storiche generali proposte dalle immagini contemporanee sulla storia e il loro rapporto con la storia come studio scientifico e come disciplina di insegnamento. Propone poi alcuni percorsi didattici, in particolare sulla storia delle donne, a partire dagli archivi audiovisivi disponibili su web.


barbottinaPartiamo da un’immagine, dove si vede Barbottina, una delle figlie di Barbapapà, che legge nella sua Barbacasa, ma, facendo attenzione e guardando verso destra si notano due manifesti: il ritratto di Angela Davis e la fabbrica icona del maggio francese: La lotta continua.

È un’immagine semplice nella quale si legge, con efficace sintesi, il rapporto fra immagini e immaginario.

Gli anni Settanta, per me bambina, si racchiudono in questo incredibile mix di gioco e rivoluzione.Per altri non sarà così e l’immagine-icona degli anni Settanta sarà un’altra, e corrisponderà, magari, a qualcosa che viene elencato in questa canzone. E tuttavia questa illustrazione serve per esemplificare il mio lavoro degli ultimi anni e che si esplicita attraverso .alcune parole chiave: immagini- immaginario; storia-soggettività; visibilità.

Un’immagine è come il sasso nello stagno di cui parlava Gianni Rodari ne La grammatica della fantasia, che, non va dimenticato, è un testo sulla didattica e in cui l’autore si riferisce alla parola.

Il sasso nello stagno

«Un sasso gettato in uno stagno suscita onde concentriche che si allargano sulla superficie, coinvolgendo nel loro moto, a distanze diverse, con diversi effetti, (…) Quando poi tocca il fondo, sommuove la fanghiglia, urta gli oggetti che vi giacevano dimenticati, alcuni dei quali ora vengono dissepolti, altri ricoperti a turno dalla sabbia. (…) Non diversamente una parola, gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e di profondità, provoca una serie infinita di reazioni a catena, coinvolgendo nella sua caduta, suoni, immagini, analogie, ricordi, significati e sogni».

Quello che per Rodari era una parola, per noi è un’immagine. In questo caso un’immagine storica. Lo comprendiamo quando a lezione mostriamo un’immagine: tutti intervengono. Le immagini interpellano il nostro senso della storia, mettono in discussione la nostra rappresentazione. Ci fanno discutere e questo succede anche in una classe.

Ma le immagini che abbiamo in mente da dove vengono? Secondo Dante le immagini piovono dentro la nostra fantasia direttamente da Dio. Per Italo Calvino la fantasia è un posto dove ci piove dentro (Lezione sulla visibilità)

Potremmo partire da questa bella suggestione calviniana.

Da dove piovono le immagini della storia che hanno in testa i ragazzi e le ragazze che frequentano la scuola, come confrontarsi con una generazione di persone ricche di informazioni storiche ma assai povere di esperienza per decifrarle.

Proviamo ad esemplificare partendo da questa clip.

Nella clip ci sono immagini storiche e di finzione montate in un racconto verosimile.

Perché riusciamo facilmente ad usare questo termine per parlare della Colonna infame di Alessandro Manzoni e facciamo fatica a farlo per una serie televisiva?

Narcos

La seconda serie di Narcos è uscita il 2 settembre ed è stata lanciata da Netflix con questa immagine:

pablodies

“Pablo dies”, con il commento: “la storia è il più grande spoiler” (spoiler, dall’inglese To spoil: rovinare).Nel senso che lo spoiler rovina l’attesa della fine perché la anticipa.

Anche la storia, come disciplina, è un grande spoiler perché si sa sempre come va a finire. E tuttavia Ma non per questo sembra essere meno interessante per i ragazzi che seguono le serie. Questa è la contemporaneità, questo è il presente e non bisogna avere paura di entrarci dentro a scuola perché i gli studenti e le studentesse ci stanno già.

Si può cercare di capire quali strumenti possono essere usati per interagire con questa generazione la cui fantasia è popolata da immagini storiche. Senza presumere, soprattutto, di essere i primi a dover affrontare questo problema.

Un passo indietro

Proviamo a fare un passo indietro nel tempo: fino al 1905 in Olanda. Lo storico dell’arte Johan Huzinga ha 33 anni. Ha alle spalle studi di linguistica, una specializzazione in sanscrito, ma nei primi anni del ‘900 si avvicina alla storia, e in particolare alla storia politica del medioevo olandese. Nel 1905, nella prolusione che segna l’inizio della sua carriera universitaria, afferma: “Lo storico dà forma visibile a “immagini” del passato, lo fa usando la sua immaginazione, poiché secondo lui: «quello che la storia compie nei confronti del passato non è mai fotografare, ma è rappresentare». Huizinga è fra i primi a sostenere che fra i compiti dello storico accademico vi sia quello di confrontarsi con quella che lui definisce la “sensazione storica” e che si può tradurre con le rappresentazioni storiche generali del suo tempo (quella che oggi definiamo public history).

E aggiunge: «Il tempo in cui ognuno si formava la propria idea di una civiltà passata attraverso la lettura sembra essere finito […] Ai giorni nostri sono le arti figurative che presiedono al formarsi di simili rappresentazioni culturali; il mezzo con cui si stabilisce la percezione è cambiato; l’organo della conoscenza storica si è fatto più visivo: il guardare ha preso il posto del leggere»4.

Come affrontare, però, nella pratica didattica quotidiana la relazione fra l’immaginario del nostro presente con la storia “così come è stata”. È evidente, infatti, che parlare di storia è diverso dalla parola pubblica sulla storia (e quando ragioniamo di immagini noi ragioniamo di questo). Solo questo dobbiamo chiedere alle immagini: non usarle per raccontare la storia.

Le immagini come fonte per la storia?

Ma soffermiamoci sull’uso delle immagini. Sulla loro natura di fonte per la storia.Perché agli storici – tutti – interessano le fonti audiovisive? La storia è abbastanza nota: la scuola delle Annales amplia la nozione di documento (sulle origini qui). Michel Vovelle scrive che “Ogni epoca si dà le fonti che rispondono ai propri bisogni”. Gli storici, alla buon’ora, iniziano a ragionare sugli audiovisivi, cinema, addirittura televisione.

Solo negli anni Ottanta lo storico francese Marc Ferro affronta la questione e in L’histoire sous surveillance (1985), compie la prima, importante, suddivisione metodologica per quanto riguarda l’uso degli audiovisivi come fonte. Ma va oltre. Il punto, spiega Ferro, è che gli audiovisivi non devono essere considerati soltanto come possibili fonti:

  • gli audiovisivi possono diventare, anzi sono già diventati, una nuova lingua per scrivere la storia;
  • gli audiovisivi sono agenti di storia, materia di cui è fatto l’immaginario storico collettivo del nostro tempo;
  • gli audiovisivi, infine, sono un supporto per la creazione di nuove fonti attraverso il loro uso nel raccogliere e conservare testimonianze.

E, infine, gli audiovisivi non sono il racconto della storia ma un’interpretazione

Secondo Vovelle le fonti visive sono sintomi culturali, non oggetti ma sintomi: sistemi di simboli. Non c’è niente di oggettivo in un’immagine. Perché innanzitutto c’è lo sguardo di chi l’ha catturata. E poi il contesto in cui è stata prodotta. E il taglio e il montaggio.

Secondo Paul Ricoeur la ricerca storica è «condannata ad oscillare senza fine tra fiducia e sospetto».

Ma, se questo, è vero la storia ha bisogno di un atto di fede, per essere creduta? E le immagini possono rispondere a questa esigenza?

Insomma, basta vedere per credere? No. Mai.

E tuttavia il rischio è enorme: le fonte audiovisiva appaga questo atteggiamento fideistico ed è la pietra angolare su cui si è andato costruendo nel corso del ‘900 un neo-positivismo culturale, non tanto per colpa degli storici – che degli audiovisivi non si sono mai fidati – ma del grande pubblico e della scuola che non ha saputo educare all’ermeneutica di queste fonti.

Le narrazioni audiovisive a contenuto storico,  siano documentari o fonti audiovisive, stanno alla ricerca storica in modo completamente diverso rispetto a tutte le altre. Se infatti una narrazione orale o scritta, una volta riportata nel dibattito pubblico, può generare memoria, un’immagine, fotografia, e ancora più facilmente un filmato, genera testimonianza.

Chiunque infatti può ritenere di aver assistito ad alcuni degli eventi-clou del XX secolo proprio in virtù delle immagini filmiche che glielo hanno raccontato: l’uomo sulla luna, l’assassinio di Kennedy, il crollo delle torri gemelle, il pestaggio di Rodney King e la morte di Carlo Giuliani a Genova nel 2001.

Alcuni percorsi

L’immagine e l’evento. Quale storia raccontare attraverso le fonti audiovisive: la storia evenemenziale o la storia profonda, la lunga durata? Su questo tema gli storici risentono, innanzitutto, di una scarsa dimestichezza con la fonte, si soffermano sull’immagine evento, sul singolo avvenimento, molto più per questioni pratiche che per questioni epistemologiche. E’ molto più semplice, infatti, analizzare un singolo programma, come lo sbarco sulla luna ad esempio, e ragionare sul suo ruolo di agente di storia, piuttosto che confrontarsi con decine di programmi difficilmente accessibili, per vedere come essi possano essere usati per ricostruire la lunga durata di fenomeni storiografici. Eppure vale la pena farlo; un caso di studio emblematico è offerto, in tal senso, dalla storia delle donne perché la televisione – in modo incerto, con alti e bassi, con censure, passi indietro ma anche grandissimi passi avanti – ha fin dall’inizio “studiato” le donne italiane dando loro, per la prima volta, voce in modo diretto.

Le donne

Le interviste che la RAI ha prodotto a partire dagli anni Cinquanta sono una miniera unica per studiare soggetti ai margini: la contadina friulana, l’analfabeta, la studentessa calabrese non sono state ascoltate, in principio, da nessuno se non dalla TV.

L’interesse verso la storia orale è assai tardivo in Italia e inizialmente privo di una connotazione di genere. La TV ha portato nelle case degli italiani la voce e il volto di quell’anello forte – per usare un’espressione di Nuto Revelli – quell’anello forte della società italiana che sono le donne appartenenti agli strati sociali più marginali.

Il periodo preso in considerazione ha una data ad quem: il 1958, anno in cui viene approvata la legge.

Un evento solo in apparenza marginale di fronte ai grandi stravolgimenti del dopoguerra: da un punto di vista della storia culturale il 1958 offre la possibilità di notare come, per la prima volta, i media italiani siano letteralmente obbligati a parlare di sessualità. Di tratta della RAI, che in regime di monopolio dal 1954 occupa lo spazio dell’etere destinato alla televisione, e la Incom, che ha ripreso l’eredità dei cinegiornali Luce e, con un tocco di americanismo glamour e uno sguardo divertito sulle notizie, si occupa dell’informazione al cinema, ancora per un decennio.

Per quanto riguarda la RAI, è il primo commentatore politico del telegiornale nazionale, Ugo Zatterin, a dare la notizia e riesce a farlo senza nominare mai le parole sesso, prostituzione, casa di tolleranza, ecc….È lo specchio del conformismo della società italiana, certo, ma è soprattutto un pezzo di storia della tv, quello dominato dal codice di autoregolamentazione che – riprendendo il codice Hayes, pensato per Hollywood – introduce nella neonata TV elementi di autocensura fortissimi. Diverso il tono della Incom: il cinegiornale, complice una senatrice Merlin che evidentemente sta al gioco, si diverte mostrando la politica in atto di chiudere tutto quello che ha in casa: il rubinetto, l’armadio e così via.

Sono due modi di fare informazione, spesso confusi nel grande calderone delle immagini montate in Tv. Due sguardi dettati da diverse politiche dirigenziali. La Incom, ad esempio, darà largo sostegno al deputato socialista Loris Fortuna nella battaglia per l’introduzione in Italia di una legge sul divorzio, mentre la Rai si terrà largamente ai margini della discussione, e gli unici repertori interessanti sull’argomento (cinegiornali come inchieste) si possono trovare oggi nell’archivio Incom, e non in quello Rai.

In compenso la Rai apre all’inchiesta, e grazie a programmi come Il lavoro della donna, Chi legge, Viaggio in Italia, Noi come siamo (solo per citarne alcuni) è possibile ricostruire uno spaccato di un Paese nel quale le donne iniziano a prendere la parola, in politica, nella scuola, nell’università, nelle grandi battaglie per i diritti civili. Una soggettività, una centralità che ci è restituita anche dallo sguardo degli operatori televisivi.

Il cambiamento del ruolo della donna è documentato, infatti, anche dall’inquadratura: mano a mano che passano gli anni le donne sono sempre meno soggetti ai margini, e riempiono la scena, come le studentesse, le giovani che non hanno più pudore a mostrarsi alla macchina da presa. Anche così si può raccontare la lunga durata in TV.

Ci sono, poi, eventi che accelerano il corso della storia: è il caso di Franca Viola, o la prima legge sul divorzio in data 1969. Sono due episodi s’inseriscono all’interno di un percorso senza diventare predominanti nella narrazione. Ciò che avviene perché le trasformazioni del quotidiano pesano, tanto quanto quelle del diritto, all’interno della storia delle donne. Trasformazione che la televisione ci ha raccontato.

Altri percorsi sono possibili a partire dalle immagini.

Del Terrorismo non abbiamo le fonti, ma – come dice John Foot – abbiamo il vissuto di chi lo ha subito, il contesto in cui è nato. In questo caso il compito dello storico non è emettere sentenze ma dare voce a uomini e donne. Ma se è difficile insegnare gli anni Settanta, ancora  di più è districarsi all’interno dell’iconografia sul decennio. Ma partire da un’immagine-icona, vedere come è stata prodotta, da chi, in quale contesto, perché e come è diventata un’icona, è un utile esercizio antiretorico. Per quanto riguarda un possibile lavoro sulla Criminalità, sarebbe non solo un utile strumento storiografico, ma anche un modo per lavorare sui miti degli studenti (si pensi a serie come Gomorra a Romanzo Criminale). Infine l’Immaginario. Da cosa partire? Politica, economia, costume? Io vi propongo una periodizzazione sulle immagini che hanno cambiato la percezione del mondo, (un video di immagini e immaginario). Sarebbe interessante lavorare nella direzione di una costruzione di un’esegesi dell’iconografia in rete, per provare a trasformare i ragazzi in archeologici dell’immaginario del presente.

Strumenti e risorse:

Teche Rai archivio audiovisivo della Tv pubblica italiana.

Home movies, archivio bolognese di filmati familiari, utile strumento didattico per ragionare sul quotidiano e l’autobiografia come format storico.

AAMOD, archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, svolge una intensa attività di didattica delle fonti audiovisive. Conserva il patrimonio filmico del partito comunista e del movimento sindacale.

BFI. British Film Institute, archivio che conserva il patrimonio audiovisivo inglese e svolge una fondamentale opera di didattica con numerose pubblicazioni disponibili online.

Testi citati:

G.Rodari Grammatica della fantasia. Introduzione all’arte di inventare storie, Einaudi, 1974

M.Ferro L’ histoire sous surveillance. Science et conscience de l’ histoire, Gallimard, 1987

J.Huizinga Le immagini della storia. Scritti 1905-1941, Einaudi, 1993

Immagine di copertina tratta da https://vimeo.com/163846063

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Dati articolo

Autore:
Titolo: L’immagine, l’evento e la didattica della storia
DOI: 10.12977/nov148
Parole chiave: , , , ,
Numero della rivista: n. 7, febbraio 2017
ISSN: ISSN 2283-6837

Come citarlo:
, L’immagine, l’evento e la didattica della storia, Novecento.org, n. 7, febbraio 2017. DOI: 10.12977/nov148

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