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Il bambino nascosto: storia, memoria e testimonianza nell’esperienza didattica

Il bambino nascosto: storia, memoria e testimonianza nell’esperienza didattica

La prima parte dell’intervista è disponibile qui:

Franco Debenedetti Teglio è un “Hidden child”, un bambino nascosto. Nato nel 1937, ha trascorso i suoi primi otto anni di vita, vissuti quasi in incognito, sotto la scure delle leggi razziali del suo paese, l’Italia, poi nascosto, senza nome, anche all’estero, nel terrore continuo di essere catturato. Dopo il diploma ha lavorato come consulente di direzione aziendale. Le conseguenze dell’ esperienza vissuta nella prima infanzia sono state molto pesanti per lui e per la sua famiglia. Dal 2001 Franco ha cominciato a ricostruire il suo passato, dal 2005 svolge incontri di testimonianza e sensibilizzazione nelle scuole e per adulti. Nel 2008 ha realizzato per le biblioteche civiche torinesi la mostra “17 novembre 1938: lo Stato Italiano emana le leggi razziali”.

Elena
Buongiorno Franco. Abbiamo parlato a lungo dei provvedimenti legislativi del 17/11/1938. Vorremmo adesso capire meglio come si svolgono i tuoi incontri di testimonianza, in particolare quelli che svolgi nelle scuole. Per prima cosa, raccontami come hai iniziato a prepararti a questo ruolo.

Franco
Come ti ho detto, quando ho cominciato a ricostruire la mia storia, ho pensato che fosse importante farla conoscere, perché dei “reduci bambini” e dei “danni” delle Leggi Razziali difficilmente si parla. Per questo, spesso, quando vado nelle scuole, la prima cosa che dico è che non sono stato imprigionato in un campo, per far comprendere che la persecuzione verso gli ebrei si è manifestata in molti modi.

Come sei arrivato alla costruzione del percorso di testimonianza?

Di lavoro ho fatto il consulente di direzione aziendale: un lavoro nomade, che mi ha messo in contatto con oltre duecento aziende e al quale mi sono formato lavorando, non avendo io una laurea. Quando è calato notevolmente il lavoro, per ragioni legate all’età e ad altri fattori, mi sono chiesto cosa fare e ho cominciato a sentire il bisogno di un tuffo nel mio passato. Ho iniziato a raccogliere informazioni sulla mia famiglia e sui miei primi anni di vita, come ti ho descritto nel nostro primo incontro. Per questa ricerca ci sono voluti anni: Ho dovuto parlare con molte persone e andare a visitare dei posti, oltre che analizzare lettere, fotografie. Questa ricostruzione mi ha portato, a sua volta, a sentire l’esigenza di capire perché mi erano successe le cose che stavo scoprendo.

Che cosa hai fatto per colmare questa esigenza?

Mi sono messo a studiare la grande storia, a creare il contesto in cui si è sviluppata la mia infanzia. Questo mi serviva anche a mettere ordine nelle vicende del mio passato che andavo scoprendo. Sapevo che mi erano accadute delle cose, ma non avevo dei riferimenti cronologici precisi, mi mancavano le date. Studiando la storia dei totalitarismi, del razzismo, dell’Italia e della Francia le cose si sono fatte più chiare. Però mi mancava ancora qualcosa.

Che cosa?

Mi mancava l’aspetto psicologico: non è possibile capire la storia senza conoscere come è fatto l’individuo e le reazioni, l’influenza che da dal punto di vista psicologico su di lui hanno le vicende storiche. Così mi sono messo a cercare dei testi abbastanza semplici di psicologia sociale e ho cominciato a studiare questo aspetto. Se lo si trascura, non si capisce la storia.

Quali testi ti sono stati utili?

In particolare quelli di Adriano Zamperini, che ho anche conosciuto. Ha scritto libri brevi, ma molto efficaci, adatti anche ad un pubblico non sofisticato, come me. Da questi testi ho anche tratto delle modalità per parlare ai ragazzi, facendo loro capire quali reazioni e sentimenti prova un individuo quando viene cacciato dalla società civile e anche le reazioni di chi caccia gli altri dalla società civile. Ho imparato delle parole fondamentali, come ignorare: cosa vuol dire ignorare una persona nel doppio aspetto di chi è ignorato e di chi ignora. Cosa vuol dire scacciare una persona, dal punto di vista di chi scaccia e di chi è scacciato. Tramite la psicologia sociale la mia preparazione per affrontare il pubblico e trasmettere tutto quello che avevo ricostruito soprattutto ai ragazzi, fornendo loro il contesto storico, la mia biografia, ma anche il tipo di sensazioni che chi subisce, come chi agisce, prova, è diventata più efficace. La storia avviene perché una serie di persone sono state portate a farsi delle guerre, sono state portate a inimicarsi altri individui, a vederli come nemici anche se sono come loro, per questo è importante capire i meccanismi che si innescano in queste situazioni: per comprendere appieno le situazioni stesse.

Quali difficoltà hai incontrato nel portare le testimonianze nelle scuole?

Raccogliere i dati su di me, come ti ho spiegato, è stato molto difficoltoso, quindi non ho potuto iniziare subito a raccontare ad altri la mia storia. Rimangono dubbi su alcuni elementi, periodi, non sempre posso affermare una cosa con estrema precisione, ma ormai ho raggiunto una buona definizione del mio periodo da bambino nascosto. Soprattutto all’inizio, quando avevo dei vuoti li riempivo, perché era necessario alla mia ricerca e poi anche alla sua divulgazione, non avere salti cronologici nella narrazione. Quindi, sulla base degli studi che avevo condotto, inserivo nella mia biografia fatti verosimili, mutuati da altre storie. Questa imprecisione mi metteva, mi mette ancora, in difficoltà, quando mi si chiede, ad esempio, “quando ti hanno cacciato dalla Francia?”, perché non lo posso ricordare essendo allora molto piccolo. Di questo come di altri eventi all’inizio non conoscevo la data esatta, poi l’ho trovata in una lettera che si erano scambiate mia madre e mia nonna. Ma non sempre accade di trovare un riscontro preciso. La paura di fare affermazioni che potrebbero essere smentite, perché imprecise, da qualcuno che vuole negare che queste cose sono accadute e potrebbe attaccarmi su questo aspetto mi è rimasta e rappresenta una difficoltà che io definisco di tipo interno. Poi ci sono invece difficoltà di tipo esterno, organizzative.

Come ti sei mosso per colmare i vuoti con la conoscenza della grande storia?

Anche per colmare questa lacuna ho studiato molto, ma, soprattutto all’inizio, ho cercato anche un confronto. Quando preparavo la mostra sulle leggi razziali che mi avevano chiesto le Biblioteche Civiche di Torino ho anche contattato degli storici, perché un pannello della mostra è un quadro cronologico e volevo in qualche modo che venisse controllato da un esperto. Quando è possibile e ci sono persone che mi aiutano in questo, lascio che siano gli esperti di storia a introdurmi negli incontri di testimonianza: fanno un breve quadro del periodo e io poi mi inserisco. Per molte ragioni questo non è sempre possibile e quindi devo confidare nel fatto che i ragazzi siano stati preparati a scuola.

Quali sono le difficoltà organizzative di cui hai accennato?

Per quello che ho potuto appurare io, di solito un testimone che va nelle scuole incontra i ragazzi una sola volta, per un numero limitato di ore, portando la sua storia, importantissima, ma raramente questa testimonianza si inserisce in un percorso più ampio. La testimonianza, per quanto bella, significativa e toccante rischia di restare isolata, di non innescare un meccanismo di riflessione su questi temi da parte dei ragazzi. Quando ho deciso di iniziare a parlare ad un pubblico scolastico io avevo un’altra intenzione: ciò che volevo era far comprendere i precedenti della Shoah, far sentire non tanto l’orrore, ma come viene colpito l’individuo nella sua psiche da questo tipo di vicende, quali sono le conseguenze sulla sua vita successiva. Per ottenere questo un breve incontro non è sufficiente e bisogna contemporaneamente “toccare molte corde” nel pubblico: bisogna parlare alla pancia, cosa di cui non mi vergogno certo,ma anche parlare di amore, alla parte razionale. Limitarsi a raccontare le cose terribili o belle che si sono vissute senza contestualizzarle limita l’esperienza di incontro con il testimone, non la fa fruttare appieno.

Possiamo dire che hai sviluppato un metodo per ottenere il risultato che ti eri prefisso?

Quando vengo contattato, chiedo alle scuole di poter incontrare contemporaneamente più classi per tre o quattro ore, modalità del mio primo intervento, ma è abbastanza difficile ottenerlo. Ho predisposto materiali informativi, ho sviluppato dei percorsi di narrazione e racconto. Chiedo anche di avere dei lavori fatti dai ragazzi dopo il nostro incontro.

Perché chiedi di avere più classi contemporaneamente?

Perché lo ritengo un processo educativo e se io riesco ad avere contemporaneamente davanti a me duecento o trecento ragazzi invece di una classe alla volta l’efficacia, a parità di fatica e impegno mio è decisamente più alta, ma anche adesso che la mia attività è rodata e abbastanza conosciuta ottenerlo non è semplice o scontato. Questo dipende dal modo in cui è organizzato l’orario scolastico, perché per gli insegnanti è sempre complicato accordarsi con i colleghi che non mi hanno invitato in modo da poter avere più ore a disposizione nel corso della mattinata, ma spesso mancano anche gli spazi in cui riunire tanti ragazzi insieme, non sempre esiste un’aula magna. C’è poi il problema dell’attrezzatura: collegare un microfono, un videoproiettore non è sempre possibile. Ti ho detto all’inizio che il mio lavoro è sempre stato quello di riorganizzare le aziende: ho poi trasferito questa modalità nell’attività di testimonianza, attività che ho fatto e faccio possiamo dire “su larga scala”. Ormai sono più di centocinquanta le scuole in Italia in cui sono stato ospitato e sempre, dopo il primo contatto che può avvenire in modi differenti, invio agli insegnanti delle schede che contengono alcuni concetti che devono spiegare ai ragazzi prima del mio arrivo, con le modalità di svolgimento dell’incontro. Così è chiaro che non sarà una mattinata come quella che probabilmente si aspettano e che è necessario un lavoro prima e uno dopo il mio arrivo nelle classi, che va coordinato dagli insegnanti. Può capitare che torni in anni successivi nella stessa scuola, perché si crea un buon rapporto con la dirigenza, con il corpo insegnanti e così tutte le classi, nel tempo, fanno questo percorso con me.

Incontri studenti di tutte le età?

All’inizio le testimonianze erano rivolte solo ai ragazzi più grandi. Da qualche anno ho inserito anche le ultime due classi della scuola primaria. Ogni ordine di scuola però ha una modalità di intervento diversa: tempi differenti, ma anche contenuti e modalità di racconto diverse.

Hai detto che incontri scuole in tutta Italia

Si, si potrebbe pensare che abitando io a Torino abbia incontrato e continui a incontrare solo le scuole torinesi. Ci sono invece scuole di questa città nel quale non sono mai stato. A settembre, ad esempio, sono stato diversi giorni in Trentino, dove sono stato accolto da una organizzazione impeccabile. Mi hanno invitato in occasione della settimana dell’accoglienza e da questo capisci che non c’è un periodo dell’anno esclusivo nel quale fare questi incontri. Certo, il contenuto storico è ben definito, ma nelle mie intenzioni non c’è solo quella di far conoscere un aspetto dell’oppressione esercitata dai totalitarismi nei confronti degli ebrei alla metà del secolo scorso poco conosciuto, ma anche riflettere sul presente e sul ripetersi di certi comportamenti.

Nel primo incontro come riesci a parlare ai ragazzi per diverse ore?

Anche gli insegnanti, prima di cominciare a studiare i cambi classe, hanno sempre timore che tre, quattro ore siano troppe, che i ragazzi non riusciranno a restare fermi e attenti così a lungo. Molto spesso poi è accaduto di andare oltre il tempo programmato, perché erano invece molto interessati. Tu hai assistito più volte e sai che io non resto seduto tutto il tempo: la mia narrazione è sempre accompagnata da immagini, video, musiche. Tutti materiali della grande o della mia storia che ho cercato e raccolto e che utilizzo per far comprendere meglio. Nel caso dei bambini, ad esempio, mi porto anche alcuni oggetti, come i guanti fatti con la lana delle mie pecore, così possono immediatamente capire di cosa sto parlando. Il registro narrativo che adotto è di tipo attoriale, anche sotto questo aspetto ho cercato dei modelli di riferimento, mi sono confrontato con degli esperti e poi ho cercato la modalità migliore per me.

Che cosa deve essere disposto a fare un gruppo classe che chiede di incontrarti?

Oltre alla disponibilità di un orario lungo nel primo incontro io chiedo che gli studenti siano già informati sulle leggi razziali e che poi facciano dei lavori di restituzione. Invio più che dei modelli degli esempi, ormai conservo un archivio con diverse migliaia di lavori fatti da studenti della primaria, della secondaria di primo e secondo grado di tutti i tipi: racconti, disegni, video, musiche, sceneggiature. Ho fatto un calcolo di quanto tempo mi richiede spiegare tutto questo prima di arrivare a incontrare i ragazzi: rispetto al tempo netto che passo in una scuola: circa dieci volte tanto. Può sembrare esagerato, ma si tratta di aprire un contatto, mandare i documenti, parlare con gli insegnanti dopo che sono stati letti, trovare una data, organizzare il viaggio, che magari comprende anche un soggiorno, se sono riuscito a fare in modo che ci siano più classi che mi ascolteranno e che quindi incontrerò magari in due o tre giorni di seguito. E’ una difficoltà che si pone anche negli incontri con gli adulti, ma in modo minore.

Puoi spiegarmi cosa intendi quando dici che fornisci esempi per i lavori da realizzare?

Ad esempio con la primaria può capitare nel corso dell’incontro di fare un esercizio relativo a una mappa, che io chiamo un laboratorio e che ho immaginato nei dettagli. I bambini devono poi disegnare la loro mappa, secondo alcune indicazioni, spiegando in quale posto si nasconderebbero in caso di pericolo e chi salverebbero, potendo salvare solo un numero limitato di persone.

mappa

Molti dei ragazzi a cui hai portato la tua testimonianza nell’incontro di restituzione ti fanno delle domande e in quella occasione tu rispondi, mentre non accetti che ti vengano poste domande, perlomeno restano senza risposta, al primo incontro

Si, è una scelta. La mia storia è piuttosto complessa e io ho bisogno di un tempo abbastanza lungo per esporla, almeno tre ore, cosa che spesso spaventa gli insegnanti, anche se conservo molte lettere che mi sono state scritte dagli insegnanti che mi avevano invitato che poi mi ringraziano e si scusano per le resistenze iniziali. Io mando queste richieste agli insegnanti che mi contattano, spiego anche che preferisco la prima volta incontrare più ragazzi insieme e che poi tornerò, dedicando del tempo alle singole classi per rispondere alle domande che naturalmente i ragazzi hanno da pormi e anche per discutere con loro dei lavori che hanno prodotto dopo il nostro primo incontro. Non posso farlo quando racconto, altrimenti la narrazione non procede.

E’ difficile per te ottenere il rispetto di queste richieste?

Lo era di più all’inizio, quando ancora non avevo messo del tutto a punto le tappe del percorso che avevo in mente, ma, soprattutto, rispetto ad oggi non avevo certezza dei risultati. L’esperienza accumulata mi ha permesso di perfezionare la mia proposta e anche di avere ragionevoli margini di certezza che se si fanno tutti i passaggi che ho previsto l’efficacia è buona, l’esperienza può essere calata nel contesto scolastico e far crescere i ragazzi.

Qual è l’aspetto più critico?

La difficoltà maggiore la incontro nell’ottenere de lavori di restituzione da parte delle classi, ma anche da parte degli adulti, perché chiedo un feedback anche quando incontro cittadini, gruppi di adulti. Questo perché soprattutto in ambito scolastico questo significa mettere a disposizione altre ore per continuare il lavoro e anche impegnarsi per realizzarlo, pensare, progettare e poi realizzare. I ragazzi devono essere condotti a riflettere e ragionare su ciò che hanno sentito, a calare la mia storia nella loro quotidianità. La scuola deve impegnarsi in questo: la cosa che chiedo è anche di scardinare le modalità classiche lezione/compito che vengono proposte, a fare un lavoro molto personalizzato, al di là della tecnica che si sceglie, che io consiglio sempre sia quella che meglio si adatta alle capacità del ragazzo o della ragazza, anche se non è una tecnica usata a scuola. Riesco ad ottenerlo, in media, una volta su cinque.

Perché è così importante per te il lavoro di restituzione?

Si tratta della parte più importante del processo educativo che mi sono prefisso di innescare quando ho concepito il mio percorso di testimonianza: senza, il mio intervento non si differenzia molto da tante attività “mordi e fuggi” che si fanno oggi a scuola. La riflessione a livello personale è importante, solo riflettendo a lungo su quanto si è ascoltato è possibile che nei ragazzi si generi un cambiamento. Questo si aggiunge al lavoro degli insegnanti, beninteso, lavoro importantissimo. La mia presenza non sostituisce il programma, ma apre delle possibilità diverse che hanno come scopo proprio quello di provocare un cambiamento nelle persone che mi hanno ascoltato. Non vorrei comunque essere scoraggiante: il fatto che scuole o comuni mi chiamino più volte nel corso degli anni è una piacevole conferma del fatto che evidentemente qualcosa passa in questi incontri e tra i lavori comunque numerosi che conservo nel mio archivio molti sono davvero belli, non solo esteticamente intendo, ma mi dimostrano che il messaggio è stato davvero recepito.

Esiste un modo per vedere questi lavori?

Sono tutti conservati a casa mia, archiviati, tengo un elenco preciso. Purtroppo non ci stanno più tutti nel mio studio, anche per via delle dimensioni di alcuni, quindi ce ne sono appesi in corridoio, messi in armadi in altre stanze della casa.

Quando li ritiro a scuola faccio compilare il file con ciò che ricevo direttamente da un ragazzo, che in quel momento diventa il segretario e registro una breve spiegazione del lavoro da parte di chi lo ha eseguito.

registro_restituzione

A casa scarico i file audio, metto tutto in una cartella con il nome della scuola, la data. Anche in questo caso si tratta di un lavoro lungo, che però è importante per me e che comincia anche ad essere utilizzato da degli studenti che fanno delle tesi di laurea e che mi contattano. Adesso capita più spesso che i lavori siano dei video, allora io posso farli vedere ad altre scuole, metterli in rete. Capita che dei giornalisti si interessino al mio lavoro e anche loro mi aiutano a diffondere questi materiali. Posso poi indicarti quali lavori sono fruibili on line.

C’è un lavoro particolare di cui puoi parlarci in chiusura?

Il mio desiderio per il futuro, oltre a continuare gli incontri, è quello di sistematizzare questo archivio. Ho iniziato con una esperienza fatta in una scuola primaria di Torino, la Niccolò Tommaseo. I ventisei alunni che avevo incontrato hanno prodotto come restituzione un disegno ciascuno. Con molta pazienza, la collaborazione e la disponibilità degli insegnanti, ma anche con il contributo della fondazione ebraica Marchese Guglielmo De Levy
e la collaborazione con le Biblioteche Civiche Torinesi ho creato un montaggio tra i disegni e la descrizione dei disegni stessi fatta dai ragazzi: ogni disegno è presentato dalla viva voce dell’autore registrata in classe durante l’incontro di “restituzione al testimone”. Ne è venuta fuori una mostra, abbastanza semplice da esporre, multimediale diciamo. Il lavoro finito è molto significativo e vorrei poter continuare su questa strada, anche se questa modalità non è applicabile a tutti i lavori che ricevo.

[inserire immagine poster mostra 26]

Quali sono i tuoi prossimi impegni di testimonianza?

A questo punto dell’anno ho già programmato la settimana della Memoria: mi muoverò, con alcuni amici della rete degli Istituti Storici, tra Milano, Varese e Novara. Ma sono abituato a partire anche senza preavviso, quindi non so dirti con precisione quale sarà la prossima volta che andrò in una scuola o parlerò a degli adulti.

Bibliografia di riferimento

Enzo Collotti, Il fascismo e gli ebrei. Le leggi razziali in Italia, Laterza, 2006
Alexander Stille, Uno su mille : cinque famiglie ebraiche durante il fascismo, Mondadori, 1994
Nando Tagliacozzo, Dalle leggi razziali alla Shoà 1938-45. Documenti della persecuzione degli ebrei per conoscere, per capire, per insegnare, Sinnos, 2007
Ines Testoni, Adriano Zamperini, Psicologia sociale, Einaudi, 2002
Adriano Zamperini, L’ ostracismo. Essere esclusi, respinti e ignorati, Einaudi, 2010

Sitografia relativa a Franco Debenedetti Teglio

Intervista a Franco Debenedetti Teglio

https://www.youtube.com/watch?v=0AcvVSaTyTA

La mostra sulle leggi razziali creata da Franco Debenedetti Teglio

https://www.youtube.com/watch?v=pqrPqtZdPTU

Documentazione on line sui lavori di restituzione

Sergio Franzese, Un rap per Franco e altre storie. Lavori di “restituzione” al testimone delle leggi razziali, Franco De Benedetti Teglio

http://www.hakeillah.com/5_16_20.htm

La mostra 26 piccoli artisti 26 grandi opere

https://www.youtube.com/watch?v=GAB5Am76fA

Video Le verità taciute

https://www.youtube.com/watch?v=evJWBYbx5Pw&t=86s

Video Zakhor (ricorda!), un rap per Franco – recita completa

Dati articolo

Autore:
Titolo: Il bambino nascosto: storia, memoria e testimonianza nell’esperienza didattica
DOI: 10.12977/nov205
Parole chiave: , , , ,
Numero della rivista: n.8, agosto 2017
ISSN: ISSN 2283-6837

Come citarlo:
, Il bambino nascosto: storia, memoria e testimonianza nell’esperienza didattica, Novecento.org, n. 8, agosto 2017. DOI: 10.12977/nov205

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