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Calcio e moschetto. La costruzione dello sport nazionale sotto il fascismo

"Saggi ginnici 4" di Ignoto - Archivio privato della famiglia Riggio.. Con licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons.

Saggi ginnici 4” di Ignoto – Archivio privato della famiglia Riggio.. Con licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons.

 

Testo per i professori

Calcio e moschetto: la costruzione dello sport nazionale sotto il fascismo

La pratica e l’attenzione sportiva in Italia si affermarono parallelamente agli sviluppi della modernità: dapprima monopolio di aristocratici e borghesi, con l’aumento della disponibilità di risorse economiche e tempo libero si allargò la base di riferimento e lo sport cominciò ad assumere un ruolo più ampio all’interno della società italiana. Il fascismo, meglio dell’associazionismo cattolico e dei movimenti socialisti, seppe cogliere il potenziale contributo che lo sport e l’educazione fisica potevano offrire alla socializzazione di massa e investì risorse organizzative e finanziarie, assumendo il controllo dell’associazionismo sportivo e creando le condizioni per estendere la pratica sportiva a vari livelli a tutta la popolazione, attraverso l’organizzazione del tempo libero. La politica sportiva del fascismo non prevedeva, almeno inizialmente, un’attenzione particolare per il calcio: le simpatie sportive dei vertici fascisti si indirizzavano verso sport più completi come il nuoto, più tradizionali come la scherma o più moderni e dirompenti sul piano culturale, come l’automobilismo. Il gioco del football, in Italia ribattezzato “calcio”, aveva origini anglosassoni e la sua pratica non corrispondeva perfettamente all’ideale di esercizio fisico propria della cultura fascista. Tuttavia, il crescente interesse popolare verso il calcio rese questo sport interessante per i progetti politici fascisti, in quanto si colse la sua potenzialità per contribuire a sviluppare il senso dell’identità nazionale, per distogliere l’attenzione delle masse dai problemi politici e per usare gli eventuali successi allo scopo di migliorare il profilo del regime nella considerazione goduta presso gli ambienti diplomatici internazionali. I successi della nazionale italiana negli anni trenta (le vittorie nei due mondiali del 1934 e del 1938, la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Berlino del 1936) furono l’esito di un disegno politico coerente che si attuò attraverso fasi successive e progressive.

L’organizzazione dell’intero settore sportivo esigeva la necessità di controllare le singole federazioni, obiettivo raggiunto attraverso la sistematica infiltrazione di esponenti fascisti; garantita così la maggioranza nell’assemblea del Comitato olimpico nazionale italiano (Coni), in cui si riunivano i delegati delle varie federazioni, il passo successivo fu l’elezione del presidente (Lando Ferretti, ideologo dello sport fascista) e del consiglio direttivo del Coni, cui erano subordinate gerarchicamente tutte le varie federazioni sportive.

Nel 1926 il segretario del Partito fascista, Augusto Turati, nel Foglio d’ordine del 4 dicembre comunicava che il Coni doveva essere considerato un organo alle dipendenze del partito e pertanto il suo vertice, come quelli delle federazioni di tutte le discipline sportive, era soggetto a nomina dall’alto. In questo modo anche la Federazione italiana giuoco calcio (Figc) veniva fascistizzata e affidata fino al 1933 a Leandro Arpinati, squadrista ed esponente di rilievo del partito, parlamentare e sottosegretario, che fu anche presidente del Coni dal 1931 al 1933, anno in cui cadde in disgrazia politica, tanto da essere definitivamente emarginato e addirittura perseguitato con l’invio al confino a Lipari.

Ferretti, contestualmente alla nomina di Arpinati, promosse la revisione degli statuti federali, incaricando allo scopo tre esperti che elaborarono la “Carta di Viareggio”. Il documento prevedeva l’apertura al professionismo dei calciatori, attraverso la distinzione fra dilettanti e non-dilettanti; la libertà di trasferimento dei calciatori alle squadre di tutto il territorio nazionale (precedentemente la residenza effettiva dei calciatori doveva coincidere con quella della società di appartenenza, per cui i trasferimenti avevano luogo solo nell’ambito provinciale) con la conseguente legalizzazione del calcio-mercato; il blocco dei calciatori stranieri, in linea con la politica autarchica, prevedendo dal 1928 l’inammissibilità del loro tesseramento nel campionato italiano (erano però ammessi allenatori stranieri e fu possibile il tesseramento degli “oriundi”, calciatori sudamericani che vantavano antenati italiani, alcuni dei quali sarebbero stati decisivi per i successi della nazionale); la creazione di una divisione nazionale, inizialmente suddivisa in due raggruppamenti, settentrionale e meridionale, propedeutica all’istituzione del girone unico nazionale (il campionato italiano così come è ancora oggi organizzato), che fu istituito a partire dalla stagione 1929-30. Preliminare a questa ristrutturazione del torneo fu la spinta alle fusioni societarie, particolarmente al Centro-Sud, che determinò la nascita di club come la Roma, la Fiorentina e il Napoli, risultato della razionalizzazione del numero di società calcistiche attive in queste città. Le diverse misure adottate erano funzionali alla trasformazione del calcio in sport-spettacolo, evento da praticare ma soprattutto da osservare: allo scopo era necessario avviare una politica di costruzione di impianti sportivi adeguati. Il primo a essere inaugurato fu lo stadio “Littoriale” di Bologna, nel 1926; seguirono altri impianti, come lo stadio “Berta” di Firenze (oggi “Artemio Franchi”) e lo stadio “Mussolini” di Torino (divenuto dopo il fascismo Stadio comunale, oggi Stadio olimpico), molti dei quali sono ancora oggi gli stadi utilizzati dalle squadre del calcio professionistico, nati in conseguenza della legge del 21 giugno 1928, n. 1580 “Provvedimenti per la costruzione dei campi sportivi”, con la prescrizione che fossero dotati di pista d’atletica in vista di un utilizzo polisportivo. Gli stadi divennero veri e propri “teatri di massa”, dove si radunavano folle oceaniche cui poteva facilmente rivolgersi la propaganda del regime, che si esprimeva anche attraverso gesti simbolici come l’imposizione dell’obbligo del saluto romano prima dell’inizio delle partite. Il controllo politico del calcio si esplicò anche attraverso la centralizzazione della Fgci, la cui sede si spostò da Torino a Roma, via Bologna.

Concorreva a sostenere il disegno politico del regime l’allineamento degli organi della stampa sportiva, fondamentali per creare linguaggio e miti del calcio attraverso resoconti enfatici e ispirati al nazionalismo sconfinante nella xenofobia, particolarmente quando giocava la nazionale, i cui successi sportivi furono adottati come esempio della rigenerazione nazionale e razziale (la vittoria al mondiale del 1938 fu ottenuta nella finale che si svolse a Parigi il 19 giugno 1938; poco più di un mese dopo, il 25 luglio, veniva diffuso il “Manifesto della razza”, propedeutico alle successive leggi) e come metafora della società fascista: la squadra vincente si fondava sulla collaborazione collettiva, ma erano richiesti anche gli individualismi dei più dotati di tecnica e inventiva, come nella società occorrevano i capi e i migliori, ma non si poteva fare a meno dei cosiddetti minori. L’identificazione della squadra nazionale con il regime fu esplicitamente sancita dall’apposizione > del fascio littorio sulla maglia azzurra accanto al > fregio sabaudo a partire dal 1927, e rafforzata dall’utilizzo di una divisa completamente nera, il colore del fascismo, in occasione di un amichevole contro la Francia nel 1935, delle Olimpiadi di Berlino del 1936 e della partita del campionato mondiale disputata a Colombes, di nuovo contro la Francia, il 12 giugno 1938.

Bibliografia

Saggi

F. Fabrizio, Sport e fascismo. La politica sportiva del regime 1924 -1936, Guaraldi, 1976

A. Papa – G. Panico, Storia sociale del calcio in Italia, Il Mulino, Bologna, 2002

S. Martin, Calcio e fascismo. Lo sport nazionale sotto Mussolini, Mondadori, Milano 2006

M. Canella – S. Giuntini (a cura di), Sport e fascismo, Franco Angeli, Milano 2009

Articoli o saggi brevi

P. Milza, Il football italiano. Una storia lunga un secolo, in Italia contemporanea, giugno 1991, n. 183, pp. 245-255

D. Cante, Propaganda e sport negli anni trenta. Gli incontri di calcio tra Italia e Austria, in Italia contemporanea, settembre 1996, n. 204, pp. 521-544

A. Papa, Il campionato di calcio, in Mario Isnenghi (a cura di) I luoghi della memoria. Personaggi e date dell’Italia unita, Laterza, Bari, 1997

P. Dietschy, La memoria del calcio e il fascismo, in Paginauno n.20, dicembre 2010 – gennaio 2011 (http://www.rivistapaginauno.it/Calcio-fascismo.php)

Risorse on line

  1. http://dlib.coninet.it/ (progetto Biblioteca digitale del CONI)
  2. http://www.archiviolastampa.it/ (collezione del quotidiano La Stampa)
Materiali per lo studio di caso

I testi sono stati selezionati andando alla ricerca di fonti giornalistiche d’epoca, provenienti principalmente, ma non esclusivamente, dalla stampa sportiva quotidiana e periodica, legata al fascismo a livelli diversi.

Il documento 1 propone uno scritto di Leandro Arpinati in cui il leader del fascismo bolognese e massima autorità calcistica in quanto presidente della Fgci all’epoca in cui scrive riconnette l’architettura dello stadio Littoriale alla romanità, motivo che ritorna nelle parole e nei simboli del fascismo applicati al calcio. Il testo evidenzia la doppia natura della struttura, teatro attivo e passivo di sport, sottolineandone la vocazione “circense” e spettacolare accanto alla dimensione dell’educazione fisica della gioventù, che si riflette anche nella distinzione fra “campioni” e “soldati”. E’ il testo in cui si conferma che il fascismo non privilegiava il calcio tra gli sport, ma ne assecondava il successo popolare cercando di appropriarsene.

Il documento 2 , relativo all’edizione dei campionati mondiali di calcio del 1934, enfatizzando all’inizio e alla fine le capacità organizzative del fascismo e il clima politico particolarmente favorevole, contrapposto a quanto si dice del clima politico della Francia, in cui si sono disputati i campionati mondiali di calcio del 1938 (vedi doc. 4c), evidenzia il progetto di educazione fisica del regime e l’organizzazione della gioventù, affermando nuovamente la doppia natura della concezione sportiva fascista: le masse sportive affidate alle organizzazioni dopolavoristiche e i campioni curati dalle federazioni dipendenti dal CONi che, a sua volta, dipende e si identifica nel partito.

Il documento 3 propone alcuni simboli del fascismo imposti al calcio. Le maglie della Nazionale hanno come primo colore l’azzurro di Casa Savoia e come secondo colore il nero del fascismo; si fregiano della croce sabauda sormontata dalla corona ma anche del fascio littorio. Prima di ogni partita è obbligatorio il saluto romano, raffigurato anche nei manifesti e nei francobolli commemorativi degli eventi calcistici, come il campionato mondiale del 1934. L’investimento propagandistico del regime riguarda tutti gli strumenti di comunicazione di messaggi sportivi legati al calcio; si noti nel francobollo delle poste coloniali anche il riferimento all’architettura classica e la presenza del fascio littorio.

Il documento 4 propone un editoriale pubblicato su Il Littoriale all’indomani della vittoria nel campionato mondiale del 1938, disputato in Francia, nel corso del quale la squadra azzurra subì una contestazione organizzata dai fuoriusciti politici italiani in occasione della partita disputata, con la maglia nera, contro la squadra nazionale francese. Il testo, oltre al riferimento negativo nei confronti del paese ospitante, cui l’Italia dichiarerà guerra due anni dopo, contiene il richiamo all’Italia imperiale, dopo le conquiste coloniali, mentre il popolo italiano è annoverato fra quelli “giovani e audaci”; la superiorità calcistica sconfina in ambiti più vasti, morali e spirituali, oltre che fisici e tecnici; infine, si dichiara esplicitamente il valore diplomatico e propagandistico dei successi sportivi.

Il documento 5 proviene dalla rivista ufficiale del fascismo fiorentino, “Il Bargello”, fondata da Alessandro Pavolini, e propone una riflessione sulla vittoria italiana ai campionati del mondo del 1934 destinata ad un pubblico non necessariamente interessato agli eventi sportivi. E’ un esempio di come gli ambienti intellettuali fascisti cerchino di appropriarsi, a fini politici e propagandistici, della vittoria sportiva attraverso la sottrazione ai calciatori in quanto tali ( protagonisti che diventano strumenti anonimi ) del merito che viene ascritto al popolo, alla patria, alla nazione in virtù di una forza virile e morale da applicarsi in ogni campo della umana attività .

In appendice ho inserito in un breve dossier alcuni documenti aggiuntivi utilizzabili alternativamente a quelli proposti agli studenti (vedi p. 10-11).

Testo per gli allievi

Calcio e moschetto: la costruzione dello sport nazionale sotto il fascismo

“ Si diano alla nazione tedesca sei milioni di corpi allenati nello sport, imbevuti di fanatico amor patrio e di spirito offensivo, e uno stato nazionale potrà, se sarà necessario, in un paio d’anni farne un esercito”. Così scriveva Adolf Hitler in Mein Kampf nel 1925. Una volta raggiunto il potere il nazionalsocialismo avrebbe dato attuazione al programma del suo leader, potendo contare, come riferimento, sull’esperienza messa in atto dall’Italia fascista, che da tempo aveva organizzato una politica finalizzata alla trasformazione del paese in una nazione sportiva e militarizzata.

Il regime fascista in Italia aveva realizzato molte opere pubbliche nel settore dello sport: nelle principali città aveva costruito grandi stadi, vere e proprie vetrine dell’architettura fascista, e nei comuni di medie e piccole dimensioni aveva favorito la realizzazione dei campi littori, costruiti secondo un modello uniforme che prevedeva un utilizzo polisportivo. Parallelamente il regime aveva assunto il controllo assoluto dello sport attraverso l’istituzione del Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI), l’insediamento di esponenti fascisti ai vertici delle singole federazioni sportive 1 e l’organizzazione di tutto il movimento sportivo, dalla base di massa ai vertici del professionismo.

A livello popolare nel frattempo era in crescita l’interesse per il calcio, che pure non rappresentava il settore disciplinare favorito delle gerarchie del regime: tuttavia il fascismo seppe cogliere le potenzialità dello sport-spettacolo emergente per contribuire a sviluppare il senso dell’identità e dell’orgoglio nazionale, rafforzare il patriottismo di stampo militaresco, utilizzare i successi per migliorare l’immagine del Paese negli ambienti diplomatici internazionali. I vertici fascisti si appropriarono del calcio nel tentativo di creare consenso sociale e trasmettere contemporaneamente i propri ideali.

L’immagine della squadra nazionale italiana vittoriosa nei campionati del mondo nel 1934 e nel 1938 e alle Olimpiadi di Berlino del 1936 si identificava totalmente con simboli e riti fascisti; all’obiettivo dell’identificazione contribuiva una stampa completamente allineata che ebbe un ruolo fondamentale per la propaganda dei valori fascisti.

Dossier

Documento 1

Dalle Terme di Caracalla allo stadio Littoriale di Bologna

“ L’idea di costruire un grande stadio a Bologna mi venne visitando le Terme di Caracalla e dalla convinzione profonda, radicata in me da molti anni, che lo sport sia il migliore dei mezzi per dare alla nostra gioventù una sana educazione morale e nazionale oltre che fisica. E’ quindi il Littoriale non un circo atto solo a spettacoli, ma un centro di vitalità, una scuola, una palestra. Necessità di vita del complesso organismo obbligano a farlo servire, nei giorni festivi, da teatro per i grandi spettacoli; ma la miglior vita al Littoriale si svolge nei giorni feriali, poiché la sua vera funzione, quella per la quale è stato costruito, è l’ospitalità larga e completa, l’offerta di tutti i mezzi necessari ai giovani che vogliono e debbono crescere alla scuola virile del Fascismo. Così, più spesso che per assistere a grandi partite, io sono al Littoriale per vedere i ragazzi delle scuole di Bologna che a migliaia già si alternano sul prato verde nelle loro sane e proficue esercitazioni, per seguire gli allenamenti nell’atletica, nel nuoto, nella scherma, nel calcio, in tutti gli sport insomma, dei neofiti, i quali stanno già avviandosi a costruire anche a Bologna una delle falangi dalle quali non solo balzeranno i campioni destinati ai trionfi nelle Olimpiadi, ma anche i forti soldati temprati a tutte le battaglie della vita nazionale”

Leandro Arpinati racconta la nascita dello stadio Littoriale di Bologna, ora “Stadio Renato Dall’Ara”, inaugurato il 31 ottobre 1926, in Lo sport fascista, 1928, fascicolo 1

Documento 2

I campionati del mondo del 1934

[…] All’Italia è stata affidata dunque l’organizzazione di questo torneo. Nessuna Nazione all’infuori dell’Italia oggi può dare al mondo sicure garanzie per la perfetta riuscita di una manifestazione che non esitiamo a giudicare colossale. Il segreto di questa possibilità è tutto nella concezione organizzativa sportiva del fascismo che fa discendere il suo sistema dai principii informativi politici e sociali che Mussolini ha dettati a tutto il mondo […]

“ Una delle novità essenziali dello Stato fascista è quella di possedere, accanto alle normali organizzazioni dei poteri pubblici, un’altra organizzazione comprendente una infinità di istituzioni le quali hanno per iscopo di avvicinare lo Stato alle masse, di penetrare in esse, di organizzarle, di curarne più da vicino la vita economica e spirituale, di farsi tramite e interprete dei loro bisogni e delle loro aspirazioni. Il Fascismo pertanto ha fatto quello che il vecchio liberalismo e la stessa democrazia avevano sempre trascurato: si è avvicinato al popolo, è penetrato fra i contadini, gli operai, gli agricoltori, i piccolo borghesi, si è accostato ai fanciulli, ai giovani, si è reso interprete dei bisogni del popolo, lo ha educato politicamente e moralmente, lo ha organizzato non solo dal punto di vista professionale ed economico ma anche dal punto di vista militare culturale educativo e ricreativo”. Da queste parole scritte parecchi anni orsono da Benito Mussolini nella relazione sul progetto di legge del Gran Consiglio del Fascismo, balza fuori netta e precisa la figura del nuovo Stato italiano nel quale il fascismo ha creato una infinità di organizzazione, a lato di quelle politiche, e che vanno dal campo assistenziale e sindacale a quello educativo e ricreativo. Educativo e ricreativo del cervello e dei muscoli e nel quale sono comprese tutte le organizzazioni italiane che oggi, in virtù della geniale concezione mussoliniana, formano un tutto organico, perfetto e compatto con un’unica direttiva, segnata dalla grande mente del Capo, che accoglie i giovani dagli otto ai 17 anni nell’Opera Nazionale Balilla, dai 18 nelle organizzazioni giovanili e nella Milizia, che convoglia le masse sportive nelle organizzazioni dopolavoristiche e cura il campione nelle Federazioni che dipendono direttamente dal CONI, il cui Presidente è lo stesso Segretario del Partito. E’ questa organizzazione armonica e perfetta preannunciata e poi attuata da Benito Mussolini, che consente all’Italia di preparare una edizione dei Campionati del Mondo di calcio che farà epoca nella storia delle grandi competizioni internazionali. L’Italia, che prima ha l’onore fra le nazioni europee di far disputare nelle sue storiche, bellissime e ridenti città questo campionato, ha un tale clima politico ed un sistema organizzativo siffatto che danno pieno affidamento di sicura e perfetta riuscita.

Da “32 Stati (ma saranno anche di più…) in lotta pei Campionati Mondiali di calcio” di Augusto Parboni, Lo sport fascista, 1933, fascicolo 12

Documento 3

Simboli e riti del fascismo nel calcio 2

"Giuseppe Meazza 1930-1933" di Ignoto - GiuseppeMeazza.it. Con licenza Pubblico dominio tramite Wikimedia Commons.

Giuseppe Meazza 1930-1933” di IgnotoGiuseppeMeazza.it. Con licenza Pubblico dominio tramite Wikimedia Commons.

Le maglie della Nazionale in uso fra 1934 e 1938 con i simboli di Casa Savoia e il fascio littorio

saluto romano

Il saluto romano

Documento 4

Le vittorie 3

Dinanzi alla fulgida vittoria conquistata dagli Azzurri in terra di Francia le parole contano poco. Non possono essere le frasi a sottolineare il significato di questo secondo campionato del mondo che l’invitto “Undici” italiano ha ancora una volta dominato nel nome del Duce. C’è soltanto la fierissima commozione di tutti gli Italiani: commozione che ha unito ieri milioni di cuori in un cuore solo, proteso oltre confine per dire agli atleti di Mussolini la profonda gratitudine della Nazione. Vittorioso in Italia nel 1934 – XII, vittorioso a Berlino nel 1936 – XIV, vittorioso a Parigi nel 1938-XVI, il Calcio italiano ha ormai clamorosamente affermato e ribadito la sua indiscutibile superiorità nel mondo. Superiorità che non è fatta soltanto di tecnica, ma di volontà, non soltanto di muscoli, ma di spirito. Ancora una volta il trionfo ha illuminato coloro che sorreggono la gagliardia fisica con una sconfinata forza morale: quella forza che deriva dalla fede, dall’orgoglio, dal prestigio dei figli della nuova Italia imperiale e fascista. In un paese travagliato e immiserito dalle più tristi e infeconde lotte di partito, la compagine azzurra è apparsa come la personificazione stessa di quelle qualità civili, di quel patrimonio ideale che i popoli giovani e audaci hanno posto a base della loro vita nazionale. Calmi, sereni, tenaci, sicuri i rappresentanti sportivi dell’Italia fascista hanno sistematicamente demolito squadre, preconcetti e calunnie. La loro azione è sempre stata squisitamente e poderosamente fascista. Giorno per giorno, con fermezza inesorabile, hanno dimostrato di essere i più forti. Leviamoli in alto, sugli scudi della nostra passione e del nostro entusiasmo! Essi hanno ancora una volta riaffermato che lo Sport – guidato da uomini che sappiano effettivamente essere fedeli interpreti degli ordini del Duce – è un meraviglioso ambasciatore di italianità nel mondo.

Da Il Littoriale, 290 giugno 1938, “I più forti”

Documento 5

Oltre il significato sportivo

E’ stata l’affermazione di un intero popolo, l’indicazione della sua forza virile e morale e non un fatto essenzialmente sportivo. Noi fascisti non riusciamo a capire come questo indispensabile contributo dello spirito nazionale possa essere separato dai risultati che bisogna ottenere. Quando si lavora in ogni campo della umana attività, si lotta in nome della patria, è la patria che trionfa su tutto, è l’intera nazione che partecipa per giungere a quell’obiettivo, che spinge e incoraggia i protagonisti che diventano strumenti anonimi ma consapevoli di questa volontà.

Gli azzurri nel nome del Duce, in Il Bargello, 17 giugno 1934

Attività didattica

  1. Contestualizzazione
  • Ricava dal manuale gli eventi più importanti del fascismo e costruisci una retta cronologica. Affiancala ad un’altra retta, nella quale inserirai, al posto giusto, i documenti qui citati. Cerca i possibili collegamenti fra eventi storici e documenti

  1. Rapporto fra testo e documenti
    • Nel testo si afferma che il calcio non era lo sport favorito dalle gerarchie fasciste: rintraccia nella documentazione gli elementi a sostegno di questa affermazione.

    • Individua nella documentazione i passi in cui ci si riferisce all’organizzazione e alla funzione educativa dello sport.

    • In base agli elementi raccolti nei precedenti esercizi essi spiega in un breve testo il modello di educazione sportiva che emerge.

  1. Lavoro sui documenti
    • Partendo dall’affermazione in base a cui il fascismo si è appropriato del calcio e prendendo in considerazione principalmente i materiale del documento 3, scrivi un breve paragrafo di illustrazione del rapporto fra il calcio e il regime fascista. Ci sono altri documenti che forniscono informazioni su questo argomento?

    • Dall’analisi dei vari documenti emerge inequivocabilmente il culto del Duce: dopo aver individuato e raccolto tutti i riferimenti, componi un paragrafo analitico delle qualità, dei meriti e in generale del ruolo che si attribuisce al leader del fascismo.

  1. Integrazione del testo
  • Riprendi la citazione dal Mein Kampf di Hitler riportata in apertura del testo, rapportala alla documentazione che hai esaminato e sviluppa il tema dell’affinità programmatica del fascismo e del nazionalsocialismo in termini di educazione sportiva e militare

Appendice

Dossier aggiuntivo di documenti da utilizzare, a discrezione del docente, in alternativa o in aggiunta a quelli proposti nella documentazione dello studio di caso

  1. Il linguaggio del documento rappresenta un esempio dell’enfasi retorica tipica del periodo, incentrata sui concetti di patria, fede nella vittoria, forza che deriva dall’unità d’intenti verso l’obiettivo comune in nome del Duce e del fascismo.

“ Gli azzurri premono con indomita tenacia. Ciascuno di essi è una catapulta capace di qualsiasi scatto, di qualunque inverosimile prodezza. Ed ecco che il pallone, saettando a fulminare la rete avversaria, squarcia la nube di ansietà che s’era addensata sull’italianissimo cielo dello Stadio. Ritorna la fede, la certezza. Vinceremo. Il nome della patria è lanciato ritmicamente da migliaia di petti generosi a incitare gli undici difensori dei nostri colori sportivi. Italia, Italia, Italia! E si guarda il Duce, che è lì a sostenere e ingigantire la fede di tutti. Tempi supplementari. Interminabili momenti di trepidazione, cuori sospesi, denti stretti. Poi il punto della vittoria […]Italia, Italia, Duce, Duce! I due nomi risuonano da un capo all’altro, fusi in un grido solo, indissolubili. Per l’Italia, nel nome del Duce gli “azzurri” hanno vinto […]”

Da Il Littoriale, 11 giugno 1934, “La scalata vittoriosa” di Nino Cantalamessa

  1. Nel documento, scritto da Vittorio Pozzo, è possibile cogliere l’assenza di riferimenti diretti al Duce e al regime, salvo l’inevitabile citazione dell’inno fascista “Giovinezza” che nel cerimoniale accompagnava l’inno nazionale, all’epoca la “Marcia Reale”. Potrebbe essere utilizzato come testimonianza di una scrittura meno propagandistica a livello politico, benché pervasa dalla retorica patriottarda.

Berlino, 17 mattino. Il miracolo si è compiuto. La squadra dei goliardi d’Italia, composta nella sua totalità di elementi nuovi alle prove internazionali e sconosciuti nel gran mondo sportivo, ha riportato l’alloro in un torneo irto di difficoltà di ogni genere ed a cui partecipavano autentiche, agguerritissime squadre nazionali di ogni paese del mondo. La bandiera d’Italia è salita sul più alto pennone dello Stadio e le note dei nostri inni nazionali hanno echeggiato nel vasto recinto per valore e merito di questo audace, intelligente, entusiasta manipolo di sportivi […] La squadra pare una famiglia che, unita, concorde, decisa, lotti per la propria esistenza.. E termina in bellezza, termina attaccando. […] E riceve la medaglia d’oro e si incorona dell’alloro della vittoria e vede salire lassù sul pennone, piantata tanto in alto che pare proprio nell’Olimpo la bandiera nostra, proprio la nostra, che obbliga la folla a scoprirsi e a irrigidirsi alle note della “Marcia Reale” e di “Giovinezza”. […] Compiere vittoriosamente il proprio dovere verso la Patria è la più grande soddisfazione che un uomo di fede e di sport possa compiere.

Da La Stampa del 17 agosto 1936, articolo di Vittorio Pozzo, commissario tecnico della Nazionale dal 1929 al 1948

  1. Vittorio Pozzo, commissario tecnico della nazionale ma anche uomo della prima guerra mondiale, esplicita la similitudine fra il calcio e la guerra, distinguendo fra chi combatte e chi guida il combattimento e insistendo sull’intreccio di qualità necessarie per la vittoria

Il Calcio è come la guerra. Ha le sue battaglie, i suoi combattenti, e le sue strategie. Ed ogni combattimento va affrontato con armi che si adattino alla particolare bisogna, con piani che rispondano alla conoscenza di quanto fa il nemico, con soldati che abbiano le qualità fisiche, morali e tecniche per battersi con l’avversario della giornata sono necessarie.

Vittorio Pozzo, Lo sport fascista 1929, a. II, fascicolo 4

  1. Bruno Roghi, una delle firme più prestigiose della Gazzetta dello Sport e del giornalismo sportivo italiano anche dopo la seconda guerra mondiale, proponendo la similitudine militare sancita dal Vittorio Pozzo, sottomette l’esito della battaglia ad un fine superiore alla vittoria in sé (l’idea che è più grande di loro) e si identifica la squadra come espressione di una “razza”, termine connotativo centrale nell’ideologia fascista.

Sono le rare, rarissime partite nelle quali si assiste alla metamorfosi dei giocatori, non più piccoli ometti colorati che fanno il loro mestiere, con la palla fra i piedi, ma piccoli militi valorosi che combattono per un’idea che è più grande di loro, ma che essi servono per il divino inconscio che è il genio dei soldati all’assalto. Sono le partite, in altre parole, dove non una squadra di undici uomini, ma una razza si manifesta colle sue attitudini e i suoi istinti, le sue collere e le sue estasi, il suo carattere e le sue pose. La partita che gli italiani hanno vinto allo stadio appartiene a questa categoria di partite.

Bruno Roghi, Soldati dello sport, in La Gazzetta dello Sport, 11 giugno 1934, p. 1

Note

1 Leandro Arpinati (1892-1945) fu tra i fondatori del fascio di combattimento bolognese, podestà della città dal 1926 al 1929, sottosegretario al ministero degli Interni dal 1929 al 1933, presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio (FGCI) dal 1926 al 1933. Nel maggio del 1933 fu destituito per aver criticato il regime e l’anno successivo fu arrestato e relegato al confino per dieci anni. Morì il 22 aprile 1945 per mano di partigiani comunisti.

2 “Il Fascismo storico, così inteso dalla fondazione del Popolo d’Italia e l’inizio delle campagne >interventiste nel 1914 al termine della >Repubblica Sociale Italiana (RSI) nel 1945, fece ampio uso della simbologia classica dell’antica Roma: esempi ne furono il >Fascio littorio , il >Saluto romano , l’utilizzo della lettera “V” in luogo della “U” e l’ >aquila romana . Il >fascio littorio è un antico simbolo >romano di potere ed autorità, formato da verghe legate insieme da nastri rossi. Esso venne ripreso da vari movimenti politici ed entità statali a partire dalla fine del >XVIII secolo , divenendo quindi simbolo dei >Fasci italiani di combattimento di >Benito Mussolini nel >1919 .” [Da Wikipedia, Simbologia fascista]. Il saluto romano, di dubbia origine storica, utilizzato dai legionari fiumani per iniziativa di Gabriele D’Annunzio nel 1919, fu reso obbligatorio nella pubblica amministrazione a partire dal 1925.

3 La Nazionale italiana vinse il suo primo campionato del mondo il 10 giugno del 1934, nella finale disputata a Roma contro la Cecoslovacchia, terminata nei tempi supplementari con il punteggio di 2-1. Due anni dopo, il 15 agosto 1936 a Berlino la squadra italiana si aggiudicò la medaglia d’oro del torneo di calcio sconfiggendo l’Austria, sempre nei supplementari e con il punteggio di 2-1. Infine, il 19 giugno 1938 vinse il secondo campionato del mondo battendo l’Ungheria per 4-2 nella finale di Parigi.

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Dati articolo

Autore:
Titolo: Calcio e moschetto. La costruzione dello sport nazionale sotto il fascismo
DOI: 10.12977/nov75
Parole chiave: , , , ,
Numero della rivista: n. 4, giugno 2015
ISSN: ISSN 2283-6837

Come citarlo:
, Calcio e moschetto. La costruzione dello sport nazionale sotto il fascismo, Novecento.org, n. 4, giugno 2015. DOI: 10.12977/nov75

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