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Il caso marocchino e il caso tunisino per le questioni di genere nella sponda sud del Mediterraneo

Scheda dell’intervento di Leila El Houssi alla Summerschool INSMLI 2014, intitolata “Mediterraneo contemporaneo”

Per affrontare il tema della questione di genere nella sponda sud del Mediterraneo Leila El Houssi propone per la sua analisi i casi del Marocco e della Tunisia. In entrambi gli esempi è più utile parlare di femminismo al plurale e tali movimenti sono da porre in relazione alle trasformazioni profonde che hanno interessato la storia di questi paesi, dai processi di decolonizzazione, alla lotta contro i regimi dittatoriali, fino alle “primavere arabe”.

Il 1946 è l’anno cui si fa risalire la nascita di un movimento femminista in Marocco, quando fu fondata l’associazione Akhwat Al – Safa (Sorelle nella purezza), animata da donne della borghesia urbana che sostenevano il diritto all’istruzione, l’abolizione della poligamia e del ripudio, il diritto alla custodia materna in caso di divorzio e l’uguaglianza di genere nella testimonianza legale.

Quando, nel 1956, sia il Marocco che la Tunisia conquistarono l’indipendenza dalla Francia fu promulgato, a pochi mesi di distanza uno dall’altro, il Codice di Statuto personale. In Marocco il Codice aveva un carattere fortemente discriminatorio, era fondato sulla centralità del marito e/o del padre, legalizzava la poligamia, vietava il matrimonio tra un musulmano e un non musulmano e legittimava la disparità del diritto successorio con lo stesso grado di parentela.

La Costituzione promulgata nel 1962, al contrario, affermò l’uguaglianza giuridica tra i coniugi. Fu per sanare la contraddizione giuridica tra il contenuto patriarcale del Codice e il principio di uguaglianza di genere sancito dalla Costituzione che in Marocco si sviluppò il movimento delle donne, che negli anni settanta e ottanta si organizzò intorno a diverse associazioni, all’interno delle quali, esemplificando, è possibile distinguere un femminismo intellettuale, legato all’ambito accademico, un femminismo militante e un femminismo più combattivo, legato alla politica e alle organizzazioni sindacali.

Il Marocco si presenta tutt’oggi come un paese laboratorio molto interessante; le donne, che sono sempre più presenti nello spazio pubblico, si riappropriano anche dello spazio religioso, per cui, accanto al femminismo laico che continua ad avere la sua vivacità e sostiene i diritti umani e l’uguaglianza di genere all’interno dello stato secolare, si sono sviluppati due diversi orientamenti: il femminismo islamico e la critica di genere portata avanti dalle donne presenti all’interno delle associazioni islamiste.

Le donne che aderiscono a questa nuova elaborazione contestano il termine stesso di femminismo, in quanto prodotto della storia occidentale che è una storia colonialista e neo imperialista. Nei confronti delle donne musulmane il femminismo occidentale ha un approccio di tipo salvifico, c’è l’idea di dover svolgere una funzione civilizzatrice. Le donne arabe, al contrario, rivendicano i propri diritti all’interno della propria religione, storia e cultura.

Asma Lamrabet, fondatrice del Gruppo internazionale di studio sulle relazioni tra le donne e l’Islam, è impegnata da anni nella rilettura dei testi sacri a partire da una prospettiva di genere. Lei sostiene che è la cultura patriarcale e l’interpretazione maschile che hanno sviluppato una visione discriminatoria della religione sulle donne; le donne non sono mai rappresentate come un individuo libero e autonomo ma sono sempre madri, mogli, figlie, sorelle. Nel Corano, invece, la donna è ritratta come un essere umano, e in qualità di essere umano ha diritti di libertà e autonomia.

Un’altra posizione è quella delle organizzazioni femminili islamiste, che propongono una rilettura dei testi sacri in cui sia evidenziato il ruolo sociale e politico della donna e la renda protagonista nei percorsi di fondazione degli stati islamisti. Questa prospettiva gode di un certo favore nella popolazione.

Bourguiba, una volta preso il potere in Tunisia, aveva promosso una serie di riforme modernizzatrici del paese; nel 1956 aveva promulgato un Codice di Statuto personale molto avanzato, che promuoveva l’emancipazione femminile e la considerava uno dei cardini per la costruzione del nuovo stato nazionale, appena liberato dal dominio coloniale francese. Fu abolita la poligamia, soppressa la pratica del ripudio, introdotto il divorzio, fissata una età minima per i matrimoni, introdotto il libero consenso delle parti e la podestà parentale. Bourguiba aveva giustificato l’abolizione della poligamia con lo “sforzo interpretativo” della legge, ponendosi così in armonia con il bisogno di giustizia e uguaglianza tra i sessi sancito dal Corano. Le riforme e l’azione di governo del presidente avevano fatto della Tunisia uno stato islamicamente laico, in cui si era fatto strada un “femminismo di stato”. Nella riflessione di alcune intellettuali, giuriste e sociologhe tunisine è emerso come sia nell’era Bourguiba, sia nell’era Ben Ali (1987-2011), il “femminismo di stato” abbia portato le donne ad essere ostaggio della politica: la loro condizione di emancipazione era la garanzia di una politica governativa moderna e democratica. In realtà il regime di Ben Ali, che interpretando l’Islam poneva norme e divieti, perseguitava le donne che indossavano il velo, considerandole terroriste o conniventi con i terroristi. E’ stato documentato che la polizia, a scopo intimidatorio, ha usato per anni e in modo sistemato la violenza sessuale nei commissariati e nelle carceri sulle donne delle famiglie degli oppositori politici.

La “rivoluzione dei gelsomini” nel 2011 ha coinvolto il Marocco, dove il re è riuscito a mantenere il potere ma è stato costretto a promuovere una serie di importanti riforme, e gli altri paesi arabi.

In Tunisia la cacciata di Ben Ali ha aperto una nuova fase politica, nella quale all’opinione pubblica è sembrato che l’uguaglianza tra uomo e donna potesse essere messa in discussione dal partito islamista al potere Hennada. Nell’agosto del 2012, alla vigilia della giornata della donna, c’è stata una grande manifestazione contro un articolo della bozza costituzionale che sostitutiva l’uguaglianza tra i generi con la “complementarietà”. La protesta è stata efficace: nel 2014 è stata promulgata una costituzione che ha conservato il principio di uguaglianza e introdotto, in senso migliorativo rispetto alla precedente, la libertà di coscienza.

Rimangono aperte questioni importanti, quali la decostruzione del regime dittatoriale che per anni ha dominato il paese, e la necessità per le donne di affrontare le questioni di genere all’interno del nesso tra religione, identità e Islam.

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Dati articolo

Autore:
Titolo: Il caso marocchino e il caso tunisino per le questioni di genere nella sponda sud del Mediterraneo
DOI: 10.12977/nov68
Parole chiave: ,
Numero della rivista: n. 4, giugno 2015
ISSN: ISSN 2283-6837

Come citarlo:
, Il caso marocchino e il caso tunisino per le questioni di genere nella sponda sud del Mediterraneo, Novecento.org, n. 4, giugno 2015. DOI: 10.12977/nov68

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