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Mediterraneo. Una storia da insegnare

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indexMediterraneo. Gli obiettivi di una storia da condividere

Perché questo manuale? Per quale motivo potrebbe interessare il pubblico? Molto semplicemente, il motivo è quello di colmare due ignoranze simmetriche, mostrate dall’esperienza dell’insegnamento: in generale, a causa di divisioni politiche e culturali e di uso identitario della storia, gli allievi e gli insegnanti di una riva conoscono poco e male la storia che si è svolta sull’altra riva2, fatto che innesca la perdita di complessità della storia di una realtà, il Mediterraneo – della quale la ricerca storica ha riconosciuto forti elementi unitari risalenti alla Preistoria — che non può essere compresa fuori da un contesto unitario, che viene risalta ancora se la si inserisce nella storia mondiale. Questo significa che questo manuale supera la questione della “storia dell’altro”, per andare verso una storia condivisa, interattiva. Sia il testo che il metodo di lavoro, che ha presieduto alla sua elaborazione, non si sono limitati a mettere in evidenza gli sguardi egli uni sugli altri (dal Nord verso il Sud e all’inverso), ma a costruire, in una costante interazione, un oggetto comune, plurale e condiviso.

Al tempo stesso, attraverso un procedimento multiprospettico, l’opera non manca di affrontare, direttamente o indirettamente, due questioni: quelle degli stereotipi, spesso di origine accademica, e quella dell’essenzializzazione, che imprigiona gli individui in una identità culturale immobile. Non cerchiamo di sostituire una identità nazionale, o qualsiasi altra identità collettiva, con una identità mediterranea. «Il Mediterraneo si adatta male alle operazioni identitarie collettive; piuttosto, le rimette in gioco: proprio perché è una unità di senso storico, nel suo ruolo di crocevia economico e culturale, Il Mediterraneo non può essere instradato in una operazione collettiva, perché uno esprime – nel presente – un progetto politico, e – nel passato – vi prevale la diversità. La sua storia è plurale. In essa l’unificazione politica realizzata dai Romani, non è stata che un episodio senza conseguenze durevoli. In seguito, è soprattutto la diversità che fu accentuata dalla divisione dell’Impero, dalle “invasioni barbariche”, dal successo dell’Impero bizantino e dalla conquista araba. La storia del Mediterraneo può dunque essere insegnata in modo critico, libera da qualsiasi manipolazione identitaria, mostrandone il carattere composito e la complessità delle relazioni economiche e culturali, che l’hanno costruita nel corso dei secoli; e, in questo senso, questa storia può controbilanciare le operazioni di chiusura identitaria che sono state realizzate sulle due sponde.3»

Liberarsi dalla storia eurocentrica e arabo/islamocentrica

L’allargamento degli orizzonti e la moltiplicazione delle prospettive non possono che contribuire a liberarsi da una storia eurocentica o arabo/islamo-centrica. Ma, per capire l’alterità, non basta apprendere dei fatti storici sulle altre culture. Occorre stimolare il decentramento e l’apertura dello spirito, attraverso un certo numero di posture intellettuali. Dai lavori di Lawrence Kohlberg4, noi sappiamo che la progressione nella scala dei valori e i principi dello sviluppo delle facoltà morali si poggiano largamente sullo sviluppo delle attività intellettuali: i pregiudizi e le incomprensioni si spiegano spesso con il deficit di maturità intellettuale. Il rimedio contro l’etnocentrismo non risiede solamente nel riequilibrio delle scale, entro le quali è configurata la storia scolastica. Dipende, anche (ma essenzialmente) dall’esercizio del pensiero storico5.

Una proposta didattica concreta

Per queste ragioni, ogni capitolo di questa opera, si presenta con due aspetti distinti e complementari:

  • Una sintesi storica, scritta con uno scopo didattico, ma tenendo conto del dibattito storiografico sul Mediterraneo. Dopo l’opera magistrale di Fernand Braudel e la sua concettualizzazione dei tre tempi storici (tempo degli eventi, tempo congiunturale e tempo strutturale)6, conviene citare due altre opere, a titolo di esempio: quella di Peregrine Horden et de Nicholas Purcell7 — che mette in risalto tre, fra le principali caratteristiche del Mediterraneo: connessione, parcellizzazione, diversità — e quella, più recente, di David Abulafia8, centrata sullo spazio marino stesso e sui suoi principali attori: le città, i mercanti e i corsari. Questa sintesi è redatta, inoltre, con la cura di evitare tre atteggiamenti etnocentrici9: quello di chi «ignora l’Altro», quello che «tratta bene gli altri, ma secondo i propri quadri mentali, le proprie interpretazioni» e, infine, quella che «sembra trattare degli altri, ma parla in realtà di noi».
  • Una parte didattica, forte di una serie di studi di caso, chiamati « focus ». Oltre al fatto che questi studi permettono di mettere a fuoco un certo numero di questioni affrontare rapidamente o ignorate nella sintesi storica, essi cercano di dotare gli insegnanti di uno strumento per aiutare gli allievi, a partire da un insieme di documenti, scritti o iconografici, introdotti da una problematica, a formare modo di pensare che permetta loro di svelare e di rifiutare gli stereotipi e le volgarizzazioni correnti.
  • Infine, l’opera comprende un atlante corematico, che sintetizza i principali tornanti storici, che il Mediterraneo ha conosciuto dalle origini ai nostri giorni.

Le due parti, insieme con l’atlante corematico, sono state concepite e realizzate alla luce di questa problematica generale:

« Come si è costruita, attorno al Mediterraneo, una realtà storica specifica attraverso una serie di tensioni ? Tensioni fra spazi (mare e terra, Nord t Sud, Est e Ovest, centro e periferia, polo e reti, rive mediterranee e prolungamento eurasiafricano, mondo mediterraneo e mondo tout court) e tensioni fra civilizzazioni (monoteismo e politeismo, cultura e economia, apertura/scambi e chiusura/ripiegamento, connettività e conflittualità, meticciato e choc, unità e diversità, tradizione e modernità). »

In questo modo, attraverso racconti, documenti e carte, questa opera utilizza insieme i mezzi che servono per informare non solo gli insegnanti e i formatori dei formatori, quanto piuttosto un pubblico che ha la voglia di comprendere in che cosa questo passato mediterraneo “molteplice e contraddittorio”, che “non impone nulla al presente né all’avvenire”, ci fa prendere coscienza che le genti del Mediterraneo “non hanno identità esclusive e perciò assassine, ma una pluralità di origini che costituiscono delle fondamenta comuni e condivise10 ».


Primo periodo.

La fine di un mondo: apogeo e declino del Mediterraneo europeo (1914-1956)


Il Mediterraneo alla vigilia della Prima Guerra mondial

Il Mediterraneo alla vigilia della Prima Guerra mondiale – Cartina fornita dall’autore


La Prima Guerra mondiale

Nel contesto della Prima Guerra mondiale, il Mediterraneo acquista un ruolo strategico da molti punti di vista. Malgrado gli sforzi spiegati dalla Francia, per inviare in Medio Oriente, dei contingenti consistenti durante la Grande Guerra, dal momento che le sue truppe erano impegnate sul territorio nazionale, i Britannici conservano una notevole superiorità militare. Essi gettano tutto il loro peso su questo fronte, al fine di rendere sicuro l’approvvigionamento del petrolio, e soprattutto, il canale di Suez, per tenere sotto controllo la rotta marittima che collega il Regno Unito al gioiello del suo impero coloniale, le Indie. Certamente, questi ruoli diversi possono spiegare le grandi campagne sul fronte del Medio Oriente, tra le quali quelle dirette a controllare lo stretto dei Dardanelli e il canale di Suez. Ma al di l degli interessi direttamente legati al Medio Oriente, l’Africa del Nord, e le colonie francesi o britanniche in generale, diventano degli importanti fornitori di uomini, inviati sui diversi fronti, specialmente francesi.

Fin dal suo ingresso in guerra, l’Impero ottomano decreta il Gjihad contro le forze dell’Intesa- Coscienti tuttavia dell’importanza dell’elemento arabo nell’armata ottomana, i Britannici scelgono di prendere contatto con l’emiro della Mecca, lo sceicco Hussein, in ragione del suo rilievo religioso. Lo scoppio di una rivolta araba potrebbe provocare la distruzione dell’armata ottomana. La corrispondenza fra lo sceicco Hussein e MacMahon, Alto Commissario britannico in Egitto, (luglio 1915-gennaio 1916) conduce a vaghe promesse relative alla costituzione di un Regno arabo, dai confini mal definiti11. Nonostante ciò, i Britannici ottengono la sollevazione del mondo arabo nel 1916, che si traduce nella partecipazione alla guerra di truppe arabe, armate dai Britannici, a fianco dell’Intesa.

Dopo averlo mantenuto lungamente in vita, allo scopo di salvaguardare l’equilibrio europeo, Francia e Gran Bretagna decidono di mettere a morte l’« Uomo malato d’Europa ». Gli accordi Sykes-Picot, conclusi nel 1916, avallano questa decisione. Essi consistono in una ripartizione in zone di influenza francese e britannica12 sulle province arabe dell’Impero ottomano.

In virtù di quegli accordi, la Gran Bretagna si impadronisce di una vasta regione, che si stende dalle frontiere della Persia al fiume Giordano, mentre la Francia ottiene il litorale libanese e siriano insieme alla regione dei Mossoul. E, quanto alla Palestina, essa costituisce una “zona internazionale”, a causa del problema del controllo dei luoghi santi.

Il governo britannico adotta il 2 novembre 1917 un testo, firmato da lord Balfour, il ministro degli Affari esteri, indirizzato a lord Rotschild, nel quale il «Governo di Sua Maesta vede con favore lo stabilimento in Palestina di un Focolaio nazionale del popolo ebreo13».

La fine dell’Impero ottomano e la nuova espansione europea

Il Levante diviene, nell’immediato dopoguerra, il teatro delle rivalità fra i vincitori. Dopo il 1917, la Gran Bretagna cerca di approfittare della sua supremazia militare per imporre la sua egemonia in Oriente, anche a costo di denunciare gli accordi di Sykes-Picot14. Feysal, terzo figlio di Hussein, che ha combattuto a fianco dei britannici, con T. E. Lawrence (Lawrence d’Arabia) come consigliere, tenta di far riconoscere la sovranità del Regno arabo sulla Siria, mentre la Francia si sforza di mantenere la sua presenza in Oriente. Dati questi nuovi rapporti di forza, Clemenceau cede la Palestina e Mossul ai Britannici, in cambio di una partecipazione allo sfruttamento del petrolio della Mesopotamia.

feisal e lawrence d'arabia

Feysal e Lawrence d’Arabia, tra ufficiali inglesi e arabi. Credit: “FeisalPartyAtVersaillesCopy” by The same picture is recorded here and here. The former seems to be originating from this one and the latter seems to be sourced independently sourcing “LTA”.Transferred from fr.wikipedia to Commons by Bloody-libu using CommonsHelper.Note LTA is : Life and Times of the Late King Abdullah of Jordan, Royal Academy for Islamic Civilization Research, 1982). It is NOT the original source of this 1919 public domain photograph. Scroll to the far right and read the note about LTA in the photo gallery at Passia.. Licensed under Public Domain via Wikimedia Commons.

E’ in questo clima di profonde divergenze tra Francia e Gran Bretagna che si apre la Conferenza di pace di Parigi, il 18 gennaio 1919. Questa introduce nel trattato di Versailles la creazione della Società delle Nazioni (SDN). Viene istituito il «mandato», frutto di un compromesso fra gli Stati Uniti anticolonialisti, da una parte, la Francia e la Gran Bretagna dall’altra. Queste vedono affidarsi, in virtù di questo accordo, e sotto il controllo della SDN, l’amministrazione dei territori tolti agli Ottomani. Nel 1920, il trattato di Sèvres viene imposto dai governi dell’Intesa all’Impero ottomano. Grazie a questo accordo, vengono ceduti alla Grecia dei territori dell’Anatolia e della Tracia orientale, mentre l’Armenia è dichiarata libera e indipendente. Tuttavia, Mustapha Kemal, un ufficiale nazionalista, riorganizza l’esercito e riprende l’offensiva. Combatte i Francesi. In cambio della cessazione dell’aiuto turco ai siriani, il trattato di Sèvres è abbandonato e la Cilicia restituita ai turchi. Il 24 luglio 1923, il trattato di Losanna, che non contiene nessuna disposizione in favore degli Armeni scampati al genocidio (1915-1917) dispone il ritiro delle Grecia dai suoi guadagni territoriali del 1920, mentre si effettua uno scambio di popolazioni fra i due paesi. L’anno successivo, il califfato ottomano è abolito e la Repubblica proclamata. La creazione delle compagnie petrolifere francesi e americane, nate dallo smembramento della Turkish Petroleum Company, è la chiave di una presenza degli Usa nel Vicino e Medio Oriente.

Negli anni 20 vengono creati gli Stati del Levante, in un contesto di incertezza francese e di deficit di strategia, relativamente alla gestione degli Stati sotto mandato. I nuovi confini politici del Medio Oriente frammentano i sentimenti identitari. Nel Libano, a dominanza cristiana, i musulmani riescono appena a trovare un loro posto. In Siria, gli Alawuiti e i Druzi sopportano male la tutela francese, dopo essere stati dominati a lungo dagli Ottomani. Non si sentono per nulla appartenenti allo Stato siriano. In Irak, la situazione non è affatto migliore. Ils ne ressentent aucune appartenance à l’État syrien. En Irak, la situation n’est guère meilleure. Feysal si appoggia alla comunità sunnita araba, mentre gli sciiti, che costituiscono la metà della popolazione sono esclusi dalla gestione del potere, allo stesso modo dei Curdi.

In Palestina, l’immigrazione ebrea avanza, scatenando le prime rivolte arabe. In questo modo, ad eccezione della Transgiordania, gli Stati del Levante di nuova costituzione sono eterogenei, in una regione nella quale l’appartenenza religiosa costituisce un elemento fondamentale del sentimento identitario. Dal Marocco alla Siria, il Sud e l’Est del Mediterraneo sono sotto il dominio europeo.

La spinta fascista e nazionalista nel Mediterraneo

Il periodo fra le due guerre è di grandi sconvolgimenti in Europa. Il consolidamento del regime comunista in URSS e l’arrivo al potere dei fascisti in Italia (1922) e dei nazisti in Germania (1933) provocano delle ondate di choc in Europa. In Francia, lo scontro fra fascisti e partiti di sinistra conosce il suo apogeo dopo la crisi del 1934 e conduce al Fronte Popolare del 1926. In Spagna la guerra civile fra strage fra il 1936 e il 1939.

Nel Sud e nell’Est del Mediterraneo, l’avanzata fascista in Europa ispira molte formazioni politiche. Nuovi partiti si dotano di un’organizzazione paramilitare gerarchizzata, come le Camice Nere del Wafd egiziano (1935) o il Partito Falangista libanese (1936). Questo modello si estende fino alla Grecia, con la dittatura di Ioannis Metaxas (1936-1941), che resiste, pur tuttavia, all’invasione italiana del 1941 mai crolla, malgrado il sostegno inglese, davanti all’avanzata tedesca, a causa della superiorità militare della Wehrmacht. In Turchia, il regime Kemalista impone la sua autorità. Per quanto non abbia relazioni ideologiche col fascismo italiano o con il nazionalismo tedesco, si fonda sull’affermazione dell’identità turca, e schiaccia l’insurrezione curda nel corso del 1925. Il regime kemalista, espressione di un razionalismo laico e della forza militare, spinge la Turchia in una modernizzazione a tappe forzate.

La Grande Guerra dà origine a tre tendenze15, che trovano la loro sorgente di ispirazione sia nell’azione del Wafd egiziano, sia nella rivoluzione kemalista, sia nella resistenza di Mohammed Ben Abdelkrim Khattabi, nel Rif marocain.

La grande svolta della Seconda Guerra mondiale

La guerra del Mediterraneo si presenta come un fronte periferico essenziale: arteria vitale per le comunicazioni e il rifornimento marittimo degli Inglesi che resistono in Africa, base di approdo degli Americani e base di partenza per la Vittoria degli Alleati, contro le potenze dell’Asse. Gli sbarchi in Sicilia, in Italia e in Francia sono determinanti nella vittoria finale contro i regimi fascista e nazista16.

La fine della Seconda Guerra mondiale segna l’inizio del declino dell’imperialismo europeo nel Mediterraneo. I nuovi equilibri internazionali, la Carta delle Nazioni Unite, gli ideali marxisti e la creazione della Lega araba nel 1945, costituiscono altrettanti elementi favorevoli per le correnti contestatrici. In Africa del Nord, i nazionalismi si organizzano, col favore di una nuova classe istruita, che si costituisce in partiti politici.

Verso l’indipendenza

In Palestina, le prime rivolte contro i movimenti sionisti cominciano nel 1921. La divisione fra le due comunità si accentua con l’accelerazione dell’immigrazione ebrea, a seguito della presa di potere da parte di Adolf Hitler, e suscita l’aumento delle tensioni, che i Britannici tentano invano di rimediare. Le rivolte arabe riprendono alla grande. Indebolita dalla guerra, la Gran Bretagna trasmette il dossier all’Onu, nel 1947. La commissione d’inchiesta, inviata in Palestina, si spacca sull’organizzazione da dare al paese. I dibattiti all’Onu sono furiosi. Finalmente, il 29 novembre 1947, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite decide la divisione della Palestina. Gli Arabi rigettano la decisione e si apprestano a opporsi alla creazione di uno stato ebreo, in un paese che considerano come proprio e dove costituiscono i due terzi della popolazione17. Il 14 maggio 1948, approfittando del ritiro delle truppe britanniche, il presidente del consiglio nazionale ebraico, David Ben Gurion, proclama la nascita dello Stato d’Israele. La delimitazione delle frontiere sarà decisa dalle armi.

Anche il Maghreb e l’Oriente si incamminano verso l’indipendenza in un contesto di guerra fredda e di tensioni internazionali crescenti. Il Mediterraneo non è che un teatro secondario di uno scontro che si gioca essenzialmente in Europa.


Secondo periodo.

Un Mediterraneo « periferico » (dal 1956 ad oggi)


Il Mediterraneo nella guerra fredda

Per quanto l’Europa costituisca il terreno principale di scontro della guerra fredda, fino agli anni ’60, le due superpotenze si lanciano in una lotta per estendere la propria influenza nel Medio Oriente, così come accade negli altri scenari di scontro planetari. Il Mediterraneo del dopoguerra è teatro di ogni genere di conflitti. La riva Nord è divisa fra l’Ovest liberale e l’Est comunista. A Est e a Sud, si installano delle dittature, animate da ideologie e dottrine diverse. La diversità dei regimi politici del Mediterraneo costituisce uno dei principali fattori di tensione. Le economie occidentali conoscono una crescita ineguale, fondata sul settore secondario e bisognosa di notevoli risorse energetiche. Da ciò, i giacimenti di petrolio della penisola arabica, dell’Irak e della Libia, acquistano una dimensione strategica, allo stesso modo del canale di Suez e del gas naturale algerino.

In questo nuovo contesto internazionale, la rivoluzione egiziana e il nasserismo sconvolgono il paesaggio politico, dal momento che si fondano su un modello esportabile di militarismo nazionale e socialista. L’influenza di Nasser si stende dal Vicino Oriente al Marocco. La crisi di Suez, scoppiata in seguito alla nazionalizzazione della compagnia del canale nel 1056, permette a Nasser di proporsi come artefice della liberazione dei popoli arabi.

Il tempo delle guerre

La prima guerra israelo.arabo del 1948-1949 definisce le frontiere dello Stato di Israele. Al tempo stesso, la spedizione di Suez del 1956 non modifica l’equilibrio delle forze nel Vicino Oriente, ma conferisce a Nasser la statura del leader arabo. Ma la cocente disfatta araba del 1967 porta un duro colpo al prestigio di Nasser e al suo progetto di unità araba, a causa della perdita umiliante di Gerusalemme Est, del Sinai, della Cisgiordania e del Golan. In seguito alla guerra del Kippur, nell’ottobre del 1973, l’Egitto rinuncia alla via militare. Il recupero del Sinai passerà dai negoziati di Camp Devid, nel 1979. L’Egitto viene allora escluso dalla Lega araba e il nazionalismo arabo vola in frantumi. La Siria è incapace di recuperare il possesso del Golan con la forza militare. Fine stratega, Hafez el-Assad cerca una carta di scambio. Il Libano, reso fragile dai dissensi confessionali e dalla presenza dell’esercito palestinese, costituisce un terreno propizio per un intervento diretto.

Il Generale Moshè Dayan, ai piedi del Muro del Pianto, durante la guerra dei Sei Giorni

Il Generale Moshè Dayan, ai piedi del Muro del Pianto, durante la guerra dei Sei Giorni – Foto di proprietà GettyImages

Le guerre libanesi

Le guerre libanesi si svolgono fra il 1975 e il 1990. Consentono a Damasco di interferire negli affari interni del suo vicino. Permettono ancora a Israele, nel 1982, di invadere la parte meridionale del Libano. Nel 1984, Israele ritira le sue truppe dal Libano, ad eccezione di una “zona di sicurezza, a sud, e lascia commettere al suo passaggio massacri fra cristiani e drusi. La guerra diventa allora confessionale. Mostra, più di ogni cosa, la divergenza identitari fra le componenti della popolazione libanese.

La costruzione europea

Sulla riva Nord del Mediterraneo, l’Europa guarisce le ferite della Seconda Guerra mondiale. Divisa dalla Cortina di Ferro, è il cuore della guerra fredda. L’Europa occidentale conosce una crescita economica spettacolare, sotto l’impulso del Piano Marshall, nel quadro del nuovo ordine monetario internazionale di Bretton Woods. Alla creazione della Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) del 1951, succede la Comunità Economica Europea (CEE) del 1957 e l’Unione Europea (UE) del 1992, che comprende a tutt’oggi 28 paesi. Il suo lato Sud si estende dal Portogallo all’Italia, fino alla Croazia, alla Grecia, a Cipro e a Malta.

Malgrado i successi economici e istituzionali, l’Europa non è riuscita a costruire una politica di difesa né una politica estera comune. L’UE può fregiarsi, tuttavia, di tre grandi successi: lo sviluppo, la democrazia e l’instaurazione di una cittadinanza europea18, primo passo verso la costruzione di un’autentica identità europea.

Il mondo arabo nel nuovo ordine mondiale

Di fronte al brillante paesaggio dell’UE, chiamato a estendersi ulteriormente, le rive Sud e Est non fanno una buona figura. Dopo la loro indipendenza, i paesi arabi sono quasi tutti precipitati nell’autoritarismo, e perfino nelle dittature. Al posto di costruire un’identità araba, i regimi di questi paesi hanno forgiato delle identità nazionali, spesso artificiali, che permettono soprattutto di giustificare la conservazione al potere di questo partito o di quel dirigente.

Repubblica islamica sciita dal 1979, l’Iran tenta, dal canto suo, negli anni ’80, di esportare la sua rivoluzione, ma incontra l’ostacolo dei paesi arabi sunniti, come l’Arabia Saudita, l’Irak, l’Egitto o la Giordania. Il suo solo successo è nel Libano, con gli Hezbollah.

Il processo di pace iniziato a Madrid nel 1991, sotto l’egida degli Usa e dell’Urss, si conclude nel 1993 con gli accordi di Oslo. Ma l’assassinio di ’Yitzhak Rabin, nel 1994, e il fallimento dei colloqui riguardanti lo statuto definitivo dei territori occupati, innesca la ripresa dell’Intifada, il blocco dei negoziati e la deriva verso destra dell’elettorato israeliano, in una società profondamente mutata. L’unico successo del processo di Madrid è l’accordo di pace israelo-giordano del 2004.

L’insieme dei regimi (spesso autoritari) del Vicino Oriente si confronta, dagli anni ’80, con nuove forme di contestazione, nate dall’emergere di movimenti islamisti. L’islamismo è un’ideologia politico-sociale ispirata ai valori tradizionali, che si nutre del discredito delle ideologie e dei modelli occidentali.

Il paesaggio religioso e politico del mondo arabo-musulmano si è profondamente modificato nel corso di questi ultimi decenni proprio sotto l’impulso dei movimenti islamisti.

In questo nuovo ordine mondiale, la stagnazione del processo di pace e il sostegno incondizionato degli Usa a Israele moltiplicano le frustrazioni nel mondo arabo. Se gli occidentali fanno della lotta al terrorismo un punto centrale della loro politica di difesa19, la maggior parte dei regimi arabi tentano di contenere l’emergenza delle correnti salafite (che rivendicano il ritorno all’Islam delle origini).

Mondializzazione e mutazioni in corso nei Paesi del Sud e dell’Est del Mediterraneo (PSEM)

La seconda metà del XX secolo è il teatro di grandi mutazioni culturali ed economiche. Nascono nuove istituzioni internazionali (GATT…) e regionali (Asean …). L’ultimo decennio del secolo vede l’implosione dell’Urss e la fine della guerra fredda. In questo mondo in mutazione, dove la riva nord del Mediterraneo diventa una delle aree di potenza mondiale, gli PSEM (Paesi del Sud e dell’Est del Mediterraneo) hanno realizzato, per la maggior parte, dei progressi economici evidenti, ma soffrono di handicap strutturali, quali una crescita demografica poco controllata e un pesante indebitamento. L’analfabetismo affligge, inoltre, alcuni paesi arabi, come il Marocco, l’Algeria e l’Egitto.

Le rivoluzioni che caratterizzano il mondo arabo dal 2010 rimettono in questione l’equilibrio politico regionale. Indipendentemente dall’esito di questi conflitti, occorre sottolineare due tendenze: da una parte, l’emergere di correnti politico-religiose che l’Occidente aveva temuto a lungo, come i Fratelli musulmani e i partiti fondamentalisti, che hanno preso il potere in alcuni paesi arabi, come la Tunisia o l’Egitto; dall’altra, la redistribuzione dei poli di influenza del mondo arabo, in ragione dell’indebolimento dell’Egitto e del crollo della Siria, è ancora in corso, e non permette di intravedere un nuovo ordine mediterraneo.

[Deux exemples d’études de cas (vedi : http://www.cndp.fr/mediterranee-une-histoire/epoque-contemporaine )

  1. Histoire de l’autre : regards croisés sur l’histoire d’Israël et de la Palestine au XXe siècle
  2. Le bassin méditerranéen, un espace migratoire]


Conclusioni

Con il periodo contemporaneo, la storia sembra accelerarsi nel Mediterraneo, producendo una frattura Nord-Sud di ordine demografico, economico, sociopolitico e culturale. Si moltiplicano conflitti, dovuti alla colonizzazione e alla decolonizzazione, dovuti alle controversie territoriali nei BNalcani e nel bacino orientale, a causa della discordia fra Greci e Turchi, a proposito di Cipro, e fra Israeliani e Palestinesi. Si moltiplicano egualmente a causa dello scontro di idee, di credenze, di modi di vita e di ideologie in un mediterraneo circondato interamente da Stati, dalla fine del XX secolo. Il fatto è che “questo spazio, geograficamente chiuso, ma culturalmente aperto, non manca di attrattiva. La sua posizione geografica, le sue vie strategiche di comunicazione, le sue risorse naturali suscitano gli appetiti”. Parallelamente a questi conflitti, i tentativi degli Stati per riavvicinarsi non mancano, ma è presso la società civile che si sta affermando sempre di più una coscienza mediterranea, sia per promuovere un «ideale democratico», sia per «rinforzare la cooperazione culturale e scientifica fra i paesi rivieraschi».


Note

[1] Questo intervento si basa sugli scritti degli autori di Méditerranée, une histoire à Partager. Bayard 2013.

[2] Per un approccio comparato sullo spazio del Mediterraneo nell’insegnamento della storia nei tre paesi che si affacciano su questo mare – la Francia, il Marocco e l’Italia – vedere: Nicole Tutiaux-Guillion , Khadija Wahmi e Luigi Cajani, sotto la presidenza di Mostafa Hassani-Idrissi, Un débat croisé sur la Méditerranée dans l’enseignement de l’histoire, in Le Cartable de Clio, n° 5, 2005, p. 28-43.

[3] Ibid. p. 41. Parole di Luigi Cajani.

[4] Christian Laville, Minorités, compréhension mutuelle et usage de l’histoire, in Cahiers de Clio, n° 84, 1985, p. 28.

[5] Su questa questione vedere specialmente Nicole Lautier, Enseigner l’histoire au Lycée, Armand Colin, 1997, 149 p. Charles Heimberg, L’histoire à l’école. Modes de pensée et regard sur le monde, ESF Éditeur, 2002, 125 p. Mostafa Hassani-Idrissi, Pensée historienne et apprentissage de l’histoire, L’Harmattan, 2005, 326 p. Didier Cariou, Écrire l’histoire scolaire, Paideia, PUR, 2012, 226 p.

[6] Fernand Braudel, La Méditerranée et le monde méditerranéen à l’époque de Philippe II, Armand Colin, 1976, 2 volumes.

[7] Peregrine Horden, Nicholas Purcell, The Corrupting Sea. A Study of Mediterranean History, Oxford, Blackwell Publishers, 2000, 761 p.

[8] David Abulafia, The Great Sea. A Human History of the Mediterranean, Oxford University Press, 2011, 783 p.

[9] Henri Moniot, Sociétés et civilisations non-occidentales dans l’enseignement de l’histoire de France: portée et problèmes didactiques, XVIe Congrès international des sciences historiques, Stuttgart, août 1985.

[10] Henry Laurens, Le rêve méditerranéen, CNRS Editions, 2009, p. 62.

[11] Henry Laurens, L’Orient arabe, ibid., p. 142. Voir également Gérard Khoury, La France et l’Orient arabe, Armand Colin, 1994, p. 93-94.

[12] La Russia era stata coinvolta in queste trattative, ma non ne trasse profitto a causa della rivoluzione dell’ottobre 1917.

[13] Xavier Baron, Proche-Orient, du refus à la paix — Les documents de référence, Hachette Pluriel, 1994, p. 23.

[14] Henry Laurens, L’Orient arabe, ibid., p. 149.

[15] Marc Michel, Décolonisations et émergence du tiers monde, Hachette éducation technique, 2005, p. 68.

[16] R. Hough, The longest battle The War at Sea 1939-1945, London, Cassel & Co, 1986 (chapitre 10“The long Struggle for the Midland Sea”).

[17] Joseph-Henri Denecheau, Jacques Giraut, et al., La Méditerranée arabe et le Proche-Orient au XXe siècle, Masson, 1976, p. 31-32.

[18] Article 8 du traité de Maastricht, 1992.

[19] Bernard Rougier, Le jihad au quotidien, PUF, 2004 et Gilles Kepel, Jihad, Gallimard, Paris, 2003.

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Dati articolo

Autore:
Titolo: Mediterraneo. Una storia da insegnare
DOI: 10.12977/nov66
Parole chiave: , , ,
Numero della rivista: n. 4, giugno 2015
ISSN: ISSN 2283-6837

Come citarlo:
, Mediterraneo. Una storia da insegnare, Novecento.org, n. 4, giugno 2015. DOI: 10.12977/nov66

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