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Storia passionale della guerra partigiana di Chiara Colombini

<em>Storia passionale della guerra partigiana</em> di Chiara Colombini

Copertina del libro dal sito dell’editore.

Chiara Colombini
Storia passionale della guerra partigiana
Laterza, Bari, 2023, pp. 240.

Nella sua Storia passionale della guerra partigiana Chiara Colombini riesce quasi a smentire che la storia «ricostruisce e analizza realtà passate ma non vive dentro queste».[1]

Attraverso scritture a caldo – corrispondenze private, diari e carteggi delle formazioni partigiane – l’autrice conduce chi legge in medias res, nel presente di donne e uomini che prima sognano poi realizzano il proprio sogno a tutti i costi: liberare l’Italia dal nazifascismo.

La lettura d’un fiato del libro consente a chi conosce già le tappe principali e le caratteristiche della guerra partigiana di rivederla tematizzata, da un punto di vista ben preciso; per chi la conosce meno è una straordinaria occasione di avvicinamento diretto, dato dalla potenza delle voci coinvolte.

È una narrazione stringente, quella di Chiara Colombini, costruita per capitoli che toccano tutte le fasi della guerra partigiana. Comincia dall’8 settembre del 1943, quando si mobilitano per primi gli antifascisti di lungo corso, attrezzati per capire che un futuro diverso è possibile, poi i militari che si rifiutano di combattere a fianco della RSI e, infine, chi dopo vent’anni di dittatura comincia la sua esperienza di Resistenza. Chi sceglie di unirsi alle bande in montagna o chi decide di restare   in città si trova di fronte a una realtà che stravolge il vivere quotidiano, in cui è necessario adeguarsi a un’organizzazione che richiede tempo per funzionare e che implica l’addestramento militare, l’allontanamento dalla famiglia, la separazione dagli affetti, l’uso delle armi, il combattimento, il carcere, la tortura. Pagina dopo pagina la guerra partigiana prende vita.

Al centro della ricerca

Per costruire un racconto in diretta, Chiara Colombini ha messo al centro della sua ricerca un corpus di fonti composto da corrispondenze private, diari mai rimaneggiati, carteggi delle formazioni partigiane da cui emergono i sentimenti e le passioni di uomini e donne che hanno fatto la scelta di combattere i nazifascisti: come si sentivano, che cosa provavano di fronte a una situazione di pericolo costante.

Nelle scritture a caldo si legge di amore, paura, dolore, felicità, rabbia, delusione, speranza: passioni e sentimenti normali, propri di ogni essere umano, che si accentuano in relazione all’eccezionale del tempo di guerra, che raduna combattenti uomini, del tutto inesperti militarmente ma anche ufficiali delle guerre in cui il regime fascista aveva impegnato l’Italia nei vent’anni precedenti; combattenti donne, che si sperimentano non solo nell’organizzazione ma anche nell’azione. Il campione delle fonti, volutamente non troppo ampio, è composto prevalentemente da scritture di uomini ma la presenza femminile c’è ed è significativa.  Chiara Colombini ne rivela il limite sociale: sono persone, provenienti da diverse parti d’Italia, nella maggior parte dei casi hanno confidenza con la scrittura. Per questo restituiscono il quadro significativo di un’esperienza totale, dando voce anche a chi non ha lasciato traccia scritta. Dal punto di vista anagrafico è una storia di giovani e di giovanissimi.

Gli scopi del libro

Il libro riesce perfettamente nei due scopi che si prefigge e che l’autrice chiarisce nell’introduzione: affrontare da un punto di vista non solito la storia dei venti mesi della Resistenza al nazifascismo per arginare la  rappresentazione sempre più  retorica e corriva presente nel dibattito pubblico, che mira ad allontanare e relegare l’esperienza togliendole il suo ruolo fondante nella democrazia; appassionare alla storia della Resistenza, facendo parlare fonti che la storiografia tradizionale ha usato soprattutto per ricostruire gli scontri sul campo o ideologici o per mettere in risalto la differenza tra le formazioni.

Colombini definisce le passioni “strumenti” per ripercorrere il periodo della guerra partigiana, precisando che il libro non si concentra sulla storia delle passioni ma che analizzandole restituisce gli eventi storici. In realtà, lettere e diari sono ben più che strumenti: aprono nuovi orizzonti di senso.

Tre “voci” scritte

 Leggendo il libro Storia passionale della guerra partigiana si rimane subito colpiti dall’uso perspicuo delle fonti coeve: lettere e diari di partigiane/i o documenti ufficiali emanati con effetto immediato dagli organi direttivi del movimento di liberazione. Colombini ha individuato alcune questioni chiave che corrispondono a passioni tout court oppure sono cause scatenanti di passioni e su queste compie il suo ragionamento storiografico, ricostruendo la storia dei venti mesi in una trama densa di fatti e sentimenti di cui qui si prova a dare un’idea.

[…] questa lotta, proprio per questa sua nudità, per questo suo assoluto disinteresse, mi piace. Se ne usciremo vivi, ne usciremo migliori; se ci resteremo, sentiremo di aver lavato troppi anni di compromesso e di ignavia (p.21)

Sono parole che Giorgio Agosti scrive a Dante Livio Bianco in una lettera del 4 aprile 1944, spedita da Torino: Colombini la utilizza per spiegare il senso di colpa collettivo che coglie molti, soprattutto tra gli antifascisti, per il tempo trascorso sotto il regime e per l’azione diretta iniziata dopo l’8 settembre. Giorgio Agosti, giudice torinese, iscritto al Partito d’azione e uno dei principali organizzatori delle formazioni Giustizia e Libertà, è una voce molto presente nel libro. Attraverso le sue lettere rivela l’impegno assoluto verso la causa anche a costo di una dolorosa separazione dalla famiglia. Nel febbraio-marzo del 1945 scrive alla moglie Nini, sfollata a Torre Pellice che vorrebbe che «la guerra fosse finita, che non esistessero più né le Gl né il pda, che ci fossimo al mondo soltanto noi due (e il picinin naturalmente)».[2]

Dante Livio Bianco, avvocato di fama e uno dei fondatori delle bande GL nel cuneese, a ottobre e a novembre 1944 scrive alla moglie Pinella.

Se amo la vita, se mi piace vivere, è perché ci sei tu a darle un significato e uno scopo. Tutti i progetti ch’io formulo per l’avvenire, tutti i miei sogni e le mie speranze sono pieni di te (novembre 1944)

Vedessi come sono ridotto: sono deperito e non so quanti chili ho perduto. Ho un gran bisogno di pace, di riposo, di vita con te (ottobre del 1944) (p.125).

Qui si affronta la necessità di conforto e sostegno nella separazione, che è densa di preoccupazione e di ansia.

Ci sono vari passi di lettere d’amore tra Anna di Fiume Veneto, infermiera, e Ario di Udine, comandante della Divisione Mario Modotti.

Il 13 aprile del 1945, Ario riceve una lettera in cui la partigiana Anna sente di dover spiegare la sua scelta:

è vero: non sento tanto forte in me l’amore per la lotta contro l’oppressione del popolo come lo senti tu. Io amo, comprendo, capisco il nostro movimento, lo amo per tutti i suoi fini e per la sua generosità e non da oggi […]. Ho imparato a veramente odiare i fascisti ormai da quattro anni ma il mio odio è nato tra i patrioti sloveni. Assieme ai fascisti ho in seguito odiato l’invasore della mia terra: il tedesco. Ho compreso subito cosa voglia dire “comunismo” perché ho sempre avuto sdegno per la servilità che sottoponeva il nostro popolo al governo mussoliniano. Ma il mio sentimento è soprattutto di odio per l’invasore e l’aggressore della nostra terra. Sono riuscita a spiegarmi Ario? (p. 156).

Anna, dopo aver combattuto a Gorizia con i partigiani sloveni, si unisce al comandante Ario: le loro lettere restituiscono un amore forte, passionale, una preoccupazione reciproca che non prevale mai sul dovere: nella loro storia si inverano le tre guerre di Claudio Pavone: patriottica, civile, di classe.[3]

Questi sono solo tre esempi di squarci privati che chiariscono dal di dentro la guerra partigiana. In questo libro le passioni, i sentimenti che emergono nelle diverse condizioni in cui la guerra mette chi combatte, appaiono forti ma sono sempre ancorati all’ eccezionalità del momento, che pone il dovere al primo posto.

È così che la scelta di Chiara Colombini è “ad alzo zero”:[4] le azioni, le sensazioni, la vita interiore delle partigiane e dei partigiani si leggono direttamente dalle loro parole o in perspicue parafrasi scritte dall’autrice, che è voce precisa, contenuta e concentrata a costruire una narrazione essenziale e a lasciare spazio alle fonti, sempre ricondotte alle linee guida della ricerca. La costruzione sapiente delle note, in più, consente di entrare in contatto con una vasta bibliografia che suggerisce molti approfondimenti.

Storia passionale della guerra partigiana nel contesto didattico 

Il saggio di Chiara Colombini ha in sé inoltre una forte valenza di aggiornamento storiografico. Per chi insegna la ricezione dei risultati della ricerca scientifica è complessa. Le nuove interpretazioni storiografiche, derivanti dall’allargamento delle ricerche o dalla scoperta di nuovi documenti, non raggiungono chi insegna se non in minima parte: diventa impossibile aggiornarsi su tutto l’arco cronologico che implica la disciplina. Oltre ai contenuti disciplinari, è poi necessario attuare la trasposizione didattica, che è la competenza di mediare la conoscenza esperta per adeguarla a quella delle/degli allieve/i e progettare attività che consentano di avvicinare allo specifico della ricerca.[5]

Per non dipendere totalmente dal manuale, che di per sé costituisce un esempio di trasposizione esterna – chi lo ha scritto ha fatto una selezione e ha proposto le attività – è necessario guardare a studi come questo che presenta una tematizzazione precisa allo scopo di rileggere un intero evento ma che, al tempo stesso, coinvolge profondamente perché parla di uomini e donne e della loro esperienza di vita, incarnando la storia. All’interno del curricolo disciplinare tocca il nucleo fondante “guerra” che si declina come simmetrica e asimmetrica (i partigiani combattono contro l’esercito nazionale, contro le forze occupanti),[6] come evento totale che trasforma la società, come spinta a cambiare il ruolo delle donne, imponendo una torsione anche ai sentimenti.

Questi aspetti si configurano come obiettivi disciplinari specifici, riconducibili al curricolo di storia di quinta,[7] sui quali è possibile definire i risultati di apprendimento attesi. Didatticamente dunque si può lavorare sull’analisi dell’esperienza storica concreta (dare volto e corpo a chi ha partecipato alla guerra partigiana), sull’approccio soggettivo alla guerra partigiana, sulle caratteristiche delle fonti coeve agli eventi, sul contesto che determina la scelta di impegnarsi in prima persona e sul rapporto tra passato e presente.

Più volte nel libro Chiara Colombini riflette sul rapporto tra passato e presente, insistendo sulla necessità di approfondire le caratteristiche del presente in cui sono avvenuti i fatti. Ebbene, quel presente è quello che ha portato alla scelta di unirsi alla guerra partigiana. Il forte desiderio di costruire l’Italia libera e di dare il proprio contributo conduce una generazione di giovani – insieme ai più vecchi, gli antifascisti impegnati fin dall’inizio del regime – a sognare un futuro per il quale vale la pena di combattere e, in definitiva, anche di morire. Questo approccio aiuta a riflettere sulle ragioni delle scelte che sono sempre relative al proprio tempo chiarisce che le fonti restituiscono un punto di vista soggettivo su una guerra complessa e articolata.[8]

Materiali per la progettazione di un EAS

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Note:

[1]Brusa, Giochi per imparare la storia. Percorsi per la scuola, Roma, Carocci, 2022, p.46.

[2] C. Colombini, Storia passionale della guerra partigiana, Laterza, Bari-Roma 2023, p. 129

[3] C. Colombini, Storia passionale della guerra partigiana, cit., p. 157.

[4] Sono parole del saggio di Domenico Scarpa, Al piano superiore, la Resistenza, in S. Luzzatto, G. Pedullà, Atlante della letteratura italiana, a cura di S. Luzzatto e G. Pedullà, vol.III Dal Romanticismo a oggi, a cura di D. scarpa, pp. 691.

[5] Cfr. L. Boschetti, Pensare storicamente: sei capacità su cui lavorare in classe, in Insegnare storia nella scuola secondaria. Il laboratorio dello storico e altre pratiche attive, a cura di A. Portincasa, F. Monducci, Milano, UTET, 2022, pp. 31-48

[6] Cfr. G. De Luna, Quel che resta del Novecento, UTET, Milano 2023, PP.108-129.

[7] C’è una vasta bibliografia sulla costruzione del curricolo di storia. Si segnalano i saggi della sezione I metodi in  Pensare storicamente. Didattica, laboratori, manuali, a cura di S. Andorno, L. Ambrosi, M. Angeli, Franco Angeli, Milano 2020 , pp.48-123.

[8]  In questa cartella si propone la progettazione di un’ attività articolata in tre fasi, che ricalcano quelle degli Episodi di Apprendimento Situato (EAS)#, rispettando le tre azioni didattiche di base (anticipare, produrre, riflettere): una di esplorazione dei materiali, una di attività in piccolo gruppo e una di riflessione.