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Tra utilità e criticità: riflessione sulle linee guida per la didattica della Frontiera adriatica

Tra utilità e criticità: riflessione sulle linee guida per la didattica della Frontiera adriatica

La stazione Transalpina e l’omonimo piazzale fotografati nel 2018. Al centro sul selciato è visibile la targa tonda che marca il confine italo-sloveno.
Foto di Sergio lariseOpera propria, CC BY-SA 4.0, Collegamento

Abstract

Igor Pizzirusso ha intervistato Štefan Čok, docente di scuola e storico che ha dedicato il suo percorso di studi e ricerca all’approfondimento dei rapporti italo-sloveni dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri. Insieme a lui, abbiamo cercato di approfondire alcuni aspetti delle Linee guida per la didattica della Frontiera Adriatica. Un notevole sforzo di sintesi da parte del Ministero dell’Istruzione guidato da Patrizio Bianchi, con molti aspetti positivi e un’indubbia utilità per l’educazione civica, ma non scevro di lacune e criticità.

Partiamo dal metodo: come valuti che un Ministero vagli e proponga delle linee guida per insegnare un determinato tema o un’epoca storica a scuola? Non è la prima volta che accade, c’è stato già un esempio per l’antisemitismo e per il Giorno della Memoria. In questo caso sicuramente c’entra il fatto che sia un tema molto sensibile, dibattuto e oggetto sempre più spesso di fraintendimenti, visioni parziali e strumentali, quand’anche non di mistificazioni. Ma è sufficiente come strumento, in senso generale?

Andiamo con ordine. Di per sé, il fatto che un Ministero pubblichi delle linee guida non è strano o scandaloso, anzi semmai è l’opposto. Come hai detto anche tu, è già avvenuto in passato su altre tematiche e non si tratta pertanto di un’eccezione assoluta. Il punto fondamentale è in realtà intendersi su cosa queste linee guida dovrebbero rappresentare. Le linee guida dovrebbero infatti essere intese come uno strumento non definitivo o esaustivo, quindi in primo luogo sicuramente perfettibile e in secondo luogo oggetto costante di discussione e di legittima critica. Il punto fondamentale è però un altro. Esse dovrebbero innanzitutto porsi l’obiettivo di aiutare il docente nel suo lavoro. Ancor prima quindi di esaminare cosa contengono queste specifiche linee guida per la didattica sulla frontiera orientale, occorre domandarsi se esse abbiano questo tipo di approccio; se esse cioè siano in grado di fornire a chi insegna strumenti ben organizzati su un determinato argomento che l’insegnante vuole affrontare (e che magari conosce di meno). In questo caso, di sicuro allora le linee guida sono uno strumento utile.

D’altro canto, se invece esse diventano qualcosa che imbriglia il/la docente, qualcosa che essenzialmente gli/le impedisce di sviluppare ulteriormente un suo percorso di approfondimento; se, per capirsi, tendono a dire al/alla docente di cosa è opportuno parlare e di cosa no, ostacolandolo o costringendo entro certi limiti la sua azione didattica, allora diventa molto più problematico. A quel punto il tema non è più se le linee guida siano sufficienti; semmai è se le linee guida non siano eccessive o peggio.

Apro qui una parentesi. Ricordiamoci che in Italia vige il principio dell’autonomia scolastica, in virtù della quale il/la docente dovrebbe avere ampio spazio per poter sviluppare il proprio lavoro sulla base delle competenze, della sensibilità e, naturalmente, del rigore metodologico che gli/le appartengono. A volte questo lo si dà per scontato e invece è bene ricordarlo così come è opportuno ricordare che in Italia la logica del sistema scolastico è meno rigida rispetto a situazioni presenti in altri Paesi, in cui in realtà i margini di manovra per il singolo docente sono tutto sommato persino inferiori.

Parlando ora di queste specifiche linee guida, da quanto ho letto e da quanto ho avuto modo di sentire nella loro presentazione che si è svolta a Trieste il 12 dicembre 2022, ho avuto la percezione che siamo nel primo caso, perlomeno a livello di intenzioni.

Se poi la domanda è “tutto questo è sufficiente?”, la risposta è logicamente no (ma su questo ci arriviamo dopo). Va però tenuto in conto che, come ho già accennato, le linee guida non possono essere esaustive di un argomento, soprattutto quando molto complesso; possono invece rappresentare qualcosa che consente di approfondirlo di più.

Adesso apro io una parentesi in base a quanto mi hai detto: forse bisognerebbe riflettere sulla lunghezza di un documento come queste linee guida, che sono effettivamente corpose e quindi – forse – di scarsa usabilità per un’insegnante. Possiamo legittimamente pensare che vengano lette e studiate? È una questione di metodo che possiamo porre come problematica?

Sono indubbiamente corpose ma sono ben consapevole del fatto che, su strumenti di questo tipo, è sempre complicato riuscire a trovare il giusto equilibrio tra sintesi ed esaustività, evitando troppi tagli. Indubbiamente la lunghezza può essere una potenziale problematica, tuttavia non la ritengo insormontabile, sia osservandole da storico che da docente di storia e filosofia dell’area geografica interessata. Personalmente, una delle prime cose che ho controllato nel testo è stato l’indice, per esaminare come le linee guida fossero strutturate. Mi è parso di capire che da lì, tutto sommato, si riesca a cogliere abbastanza bene qual è il senso dell’operazione, cioè fornire un inquadramento storico (del quale parleremo poi) e fornire una serie di strumenti diversi. Naturalmente una valutazione reale e attendibile la darà il tempo, in base a quanto i docenti useranno lo strumento.

E poi, onestamente, è molto più facile criticare uno strumento che scriverlo.

Entriamo invece nel merito. Nella sua introduzione alle linee guida l’ex ministro Bianchi auspica che questo documento sia utile per oltrepassare una prospettiva nazionalista, includendo la prospettiva “dell’altro”. L’obiettivo è raggiunto? Dove le linee guida non sono soddisfacenti o sufficienti, da questo punto di vista?

Innanzitutto ritengo molto importante che ci sia già posti un obiettivo del genere e che questo venga dichiarato già nell’introduzione è un ulteriore elemento significativo e positivo. Se poi si va a vedere più nel dettaglio il contenuto delle linee guida – come ho avuto modo di dire in altre occasioni – si scoprono inevitabilmente dei chiaroscuri.

L’inquadramento storico è abbastanza articolato e mi pare che dia delle buone coordinate al docente per raccapezzarsi sull’argomento perlomeno a livello di periodizzazione generale e orientamento spaziale (entrambe cose che non possono essere date per assodate). Sicuramente è importante la scelta terminologica: il fatto stesso che si sia voluto utilizzare con insistenza “frontiera adriatica” lo trovo parecchio significativo. Questo non perché la definizione di “confine orientale” – finora molto in voga – abbia di per sé una valenza negativa o positiva; di certo però essa indica una prospettiva unicamente italiana. Usare il termine “frontiera adriatica” è quindi già di per sé un indice di complessità, che stimola un ragionamento di confronto e raffronto con le altre realtà nazionali e spinge a chiedersi come si racconta e si insegna la storia negli altri Paesi coinvolti in queste vicende, per i quali questa zona non è ovviamente il confine orientale ma occidentale.

So che può suonare quasi scontato che il confine orientale di uno Stato sia per qualcun altro il confine occidentale, ma, in realtà, questa è già di per sé una chiave di lettura differente che consente di aprire tutta una serie di riflessioni e prospettive che non necessariamente si aprirebbero. Nella prospettiva e nel lavoro del docente è un aspetto fondamentale saper fornire chiavi di lettura ai suoi studenti.

Apro un’altra parentesi su questo: teniamo conto che spesso si afferma (ahimè a ragione) che la storia – come materia di insegnamento – purtroppo non se la passa troppo bene nella scuola italiana di oggi. Altrettanto spesso però, si omette che c’è un’altra materia che non gode di ottima salute: la geografia. Da questo punto di vista, introdurre nel ragionamento una chiave di lettura geografica in un’ottica prospettica è sicuramente, sempre, opportuno.

In queste linee guida tuttavia, ci sono anche delle mancanze.

La prima: la bibliografia, che di per sé è abbastanza strutturata, è però molto “italiana”. Mi rendo conto che per linee guida di questo tipo (e per l’uso che ci si aspetta che ne venga fatto) sia ragionevole immaginare soprattutto opere in lingua italiana. Ciò nonostante, non avrebbe guastato aggiungere qualcosa, magari in inglese; o, ancora, alcune delle numerose opere pubblicate in traduzione (ma anche in originale) da autori non italiani, sicuramente utili da questo punto di vista. Va per altro evidenziato- ed è un’informazione di cui probabilmente molti non sono consapevoli – che il Ministero ha già dichiarato che verrà messa a disposizione sul suo sito anche una bibliografia più allargata e strutturata, di sicuro necessaria come integrazione a quanto contenuto nelle linee guida.

La seconda mancanza che potrei citare riguarda uno dei percorsi suggeriti sul territorio, che pure si inserisce in uno degli aspetti più positivi delle linee guida, ovvero lo sforzo e l’esercizio di immaginare in quali maniere diverse si potrebbero presentare agli studenti le vicende di questa regione. In diversi passaggi si accenna infatti alla letteratura, in altri ai luoghi (e alla toponomastica in particolare). La proposta si collega evidentemente al tema dell’educazione civica, che per altro è giustamente citato all’interno di queste linee guida, sottolineando come queste siano tematiche legate non solo al programma di storia, ma che possono trovare e innescare tanti altri intrecci, pure interdisciplinari. Da questo punto di vista però (e arrivo infine alla mancanza) mi ha stupito vedere la proposta di visita al monumento nazionale di foiba di Basovizza, ma senza alcun accenno a cosa c’è a nemmeno 500 metri da quel memoriale (e che il docente inevitabilmente non può conoscere o non necessariamente conoscerà). Sto naturalmente parlando del monumento, importante sia per gli sloveni che per i croati, in memoria dei fucilati dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato (fascista) nel 1930.

Questo è in realtà un doppio problema. Il primo è che manca una parte fondamentale, un ingranaggio essenziale del ragionamento sulla memoria dell’”altro”. Intendiamoci: questo elemento non è del tutto assente, perché fra siti e bibliografia anche quella vicenda viene raccontata. Però si tratta di uno step successivo, di un passo che il docente deve fare in più e che va oltre la lettura delle linee guida. Il secondo problema è l’assenza di un elemento altamente d’attualità, che rappresenta quindi un ponte concreto tra passato e presente. Anche in questo caso penso sia evidente a cosa mi riferisco, e cioè a quanto avviene su quei due monumenti nel 2020, con la visita dei due Presidenti italiano e sloveno (Sergio Mattarella e Borut Pahor). Il fatto che non si dica che due presidenti della Repubblica, nell’anno del primo lockdown, vanno su entrambi i monumenti tenendosi per mano, è davvero un peccato né se ne comprende a pieno il motivo, soprattutto in funzione del ragionamento sull’educazione civica. Si aprirebbe qui infatti un nugolo di riflessioni sulle simbologie, sul valore e significato della memoria istituzionale, sul confronto con l’”altro” (in questo caso un altro Paese)… Gli spunti sarebbero veramente tantissimi. Lo stesso elemento della fisicità del gesto (tenersi per mano), che ha sostituito i consueti discorsi istituzionali, è un punto di grandissimo interesse. Ogni argomento, ogni aspetto di questa vicenda è affascinante, anche perché può essere problematizzato, cioè può essere un’occasione per aprire nuove piste e a nuovi quesiti, magari posti dagli stessi studenti.

Insomma, qui ritengo che si sarebbe potuto davvero fare uno sforzo maggiore.

In parte ne abbiamo appena parlato ma vorrei ora chiedertelo esplicitamente: da un punto di vista storico-metodologico, la cornice temporale è sufficiente a restituire la complessità del tema e dell’area? La parte medievale e romana ha ad esempio molto più spazio di quanto non ci si potrebbe aspettare. Nel profilo storico, stupiscono inoltre alcune affermazioni, come la rivendicazione di italianità delle terre orientali dell’Adriatico che viene fatta risalire all’epoca romana.

Inizierei a rispondere citando quanto detto poco fa: è davvero complicato tradurre una vicenda così lunga e un tema così articolato in un prodotto sintetico, leggibile e comprensibile, come queste linee guida si propongono di essere. Non dimentichiamoci infatti che si tratta di un testo che deve consentire ai docenti di cogliere gli aspetti fondamentali del tema e da questo punto di vista mi sento di dire che è stato raggiunto un equilibrio abbastanza soddisfacente. Non è indubbiamente perfetto, ci sono difetti, ma alla perfezione – soprattutto su una questione simile – è molto complicato arrivare. Io ad esempio sicuramente non ne sarei capace. E poi sono anche convinto del fatto che ciò che sarebbe perfetto per qualcuno probabilmente non lo sarebbe per qualcun altro.

Fatta questa premessa, l’inquadramento storico delle linee guida mi sembra che tutto sommato consenta di capire abbastanza chiaramente le vicende di questa regione, naturalmente con alcune semplificazioni e ragionando in termini molto generali. Evidentemente ci sono dei difetti; tu hai citato alcuni passaggi, ma personalmente a me ha colpito molto l’uso del termine “slavo” all’interno del documento. Si tratta di un tema centrale, legato proprio a quei processi di identificazione e di costruzione di un’identità nazionale. L’uso del termine “slavo” può infatti avere senso per periodi molto lontani, come l’Epoca carolingia, mentre ne ha decisamente meno quando si parla del Ventesimo secolo, dove i popoli riuniti sotto questa definizione sviluppano in realtà ognuno una propria e ben distinta identità nazionale e sono protagonisti di vicende non di rado comuni, ma spesso diverse e talvolta anche conflittuali. A me, che vivo e insegno in queste zone, la questione in fondo è chiara. A un docente più inconsapevole questo aspetto invece può sfuggire e le linee guida oggettivamente non forniscono una spiegazione sufficiente né gli strumenti per capire come e quando usare il termine slavo o sloveno o croato. Insomma, se la premessa delle linee guida è quella di capire il punto di vista dell’altro, sarebbe importante innanzitutto fare chiarezza (anche terminologica) su chi sia questo “altro”… O forse dovremmo dire “altri”.

Da questo punto di vista, quindi, sarebbe forse stato utile aggiungere qualche elemento in più, per quanto – lo ripeto – nel suo complesso l’inquadramento storico è indubbiamente utile.

Se ragioniamo invece di ambito geografico, un’altra criticità che si rileva è forse lo scarso inquadramento dell’esodo giuliano-dalmata all’interno dei grandi fenomeni migratori avvenuti in Europa nella stessa epoca.

Non posso non concordare, anche perché è un tema di cui mi è capitato, in altri contesti, di occuparmi. Avrebbe sicuramente giovato un passaggio più articolato su cosa avviene intorno alla fine della Seconda guerra mondiale e negli anni immediatamente successivi. Anche in questo caso però, come già accennato, si sarebbe aggiunta altra carne al fuoco, rischiando di rendere il testo ministeriale molto meno comprensibile e digeribile, è la spiegazione più plausibile che mi sento di dare.

Per concludere, ti chiedo un giudizio difficile: queste linee guida sono un’occasione persa per produrre un documento efficace? O invece possono avere un’utilità concreta per i docenti? E se la hanno, cosa fare adesso? Come possono essere utilizzate al meglio in classe? E quali sono i passi successivi?

Io parto da un concetto, che forse ho già espresso: intanto delle linee guida adesso ci sono. Ed è un primo passo concreto. Rimane fondamentale poi valutare il contesto: se l’obiettivo è una ricerca del confronto con l’altro e fornire uno strumento che entra nel bagaglio del docente, questo documento può senza dubbio servire. Non tanto a dare risposte, quanto forse più ad aprire spiragli, filoni di ragionamento che portano a cercare delle risposte diverse e magari ulteriori rispetto a quelle che le stesse linee guida offrono, a far nascere qualche domanda in più che poi gli insegnanti possono trasferire in classe. Leggendo ad esempio la parte sulla letteratura, un docente potrebbe iniziare a chiedersi qualcosa sulla produzione di autori in altre lingue.

Sul confronto e raffronto con l’”altro”, una valutazione potrà essere meglio fatta in futuro. Ma da persona che bene o male insegna e lavora nell’area geografica in questione, posso affermare che questo confronto esiste già, nelle scuole con lingua di insegnamento italiana e slovena in Italia, così come in quelle con lingua di insegnamento slovena e italiana in Slovenia e croata e italiana in Croazia. Il tema quindi non dovrebbe essere soltanto capire come si viveva e come si stava in queste zone 100 anni fa, bensì chiedersi come si vive oggi. Questo può essere per altro un contributo importante anche in termini di educazione civica nelle aree di frontiera, che sono inevitabilmente interessanti per il passato, ma altrettanto per il presente, specialmente in un momento in cui si è tornati purtroppo a parlare di guerra in Europa. Tutto questo potrebbe inoltre contribuire al superamento di vecchie ferite e ai processi di riconciliazione.

Se si va dunque in questa direzione, le linee guida possono essere utili, in una proficua tensione tra rigore metodologico e storiografico ed empatia. Confrontarsi con l’altro vuol dire infatti essere capaci di avere empatia verso l’altro.

Dati articolo

Autore:
Titolo: Tra utilità e criticità: riflessione sulle linee guida per la didattica della Frontiera adriatica
DOI: 10.52056/9791254693162/12
Parole chiave: , , , ,
Numero della rivista: n.18, dicembre 2022
ISSN: ISSN 2283-6837

Come citarlo:
, Tra utilità e criticità: riflessione sulle linee guida per la didattica della Frontiera adriatica, Novecento.org, n.18, dicembre 2022. DOI: 10.52056/9791254693162/12

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