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PCTO e luoghi di memoria cavouriani: un incontro possibile

PCTO e luoghi di memoria cavouriani: un incontro possibile

Dipinto raffigurante l’inaugurazione della tratta ferroviaria tra la zona di Principe e Sampierdarena. Nell’immagine è visibile villa Rosazza, sede attuale della Fondazione Casa America
Di Davide Papalini – Opera propria, Pubblico dominio, Collegamento

Abstract

Al termine della triennale esperienza di formazione rivolta ai docenti da parte della rete degli Istituti Storici Piemontesi gli organizzatori del corso riflettono sulle potenzialità del percorso svolto in termini di spendibilità didattica in classe e nei percorsi di PCTO. Dopo un’analisi sul significato stesso dei Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento, gli autori delineano una possibile strategia ed espongono un esempio concreto di attività realizzata sui luoghi di memoria cavouriani.

 

Progettare un PCTO: alcune avvertenze

Quali sono —in base alle linee guida del ministero[1], ma anche alle esperienze accumulate in questi anni dalle scuole — le caratteristiche richieste a un PCTO?

Per rispondere alla domanda, si potrebbe partire da una rapida analisi dall’acronimo scelto, nel 2019, dal Miur per sostituire la più consueta espressione, in vigore fino a quel momento, di alternanza scuola-lavoro.[2]

L’acronimo PCTO contiene tre parole chiave: percorsi, competenze e orientamento.

Consideriamole brevemente una per una.

 Percorso

Nel linguaggio comune della didattica il termine indica una sequenza di attività, svolta con un gruppo di studenti o un’intera classe, finalizzata a consentire, attraverso un lavoro attivo, la graduale acquisizione di un certo argomento, nonché di determinate competenze.

Nel caso dell’acronimo, si potrebbe forse scorgere nell’espressione “percorsi” anche qualcosa di simbolico: l’idea che sotto la guida dei loro insegnanti — un PCTO, lo ricordiamo, è un’attività curricolare — gli studenti debbano uscire dalla scuola, non solo idealmente, ma anche e il più possibile fisicamente, per venire a contatto con il mondo del lavoro. Un’espressione, quest’ultima, che include evidentemente le aziende dei vari settori produttivi, ma anche agenzie o istituzioni culturali. O, come nel caso esaminato in questo articolo, luoghi di memoria — fisici ma non solo — intesi come deposito, patrimonio, capitale di carattere storico, paesaggistico, ambientale, culturale.

Scriveva Bevilacqua:

Io credo […] che noi tutti abbiamo davanti agli occhi un grande testo di storia che non riusciamo a leggere o che comprendiamo solo in parte e confusamente. È il grande libro del territorio: lo scenario della nostra vita quotidiana in cui sono iscritti i segni del lavoro e dell’opera di modificazione prodotta dalle generazioni che ci hanno preceduto. È in questo spazio che la storia universale ha conosciuto e conosce le sue declinazioni particolari ed è qui che gli insegnanti dovrebbero essere in grado di mostrare il dipanarsi materiale del processo storico [3]

Nel 2020 e nel 2021 la pandemia ha colpito al cuore i PCTO, non consentendo agli studenti di muoversi all’esterno della scuola; ma non ne ha impedito del tutto l’attuazione: attraverso “visite virtuali” e attività condotte in DaD, talvolta con risultati di rilievo, molti docenti hanno saputo far buon viso a cattiva sorte.

Il fattore tempo è di assoluta importanza, quando si inizia a progettare un PCTO.  

La durata di un percorso didattico collegato al mondo del lavoro è, ovviamente, flessibile, ma non può essere troppo breve. Un PCTO è qualcosa di più di un’unità di apprendimento; sotto le 12-14 ore annuali, a giudizio di chi scrive, non può scendere, perché ha bisogno:

  • di un momento informativo per introdurre l’argomento scelto; cui si può eventualmente aggiungere, in via preliminare,
  • un momento formativo, per dotare gli studenti di una “cassetta degli attrezzi” che consenta loro di lavorare (e pensare) in modo autonomo, utilizzando fonti e documenti utili;[4]
  • di visite esterne: ad aziende, parchi tecnologici, musei, archivi, luoghi di memoria, siti d’interesse turistico, ambientale, scientifico ecc.;
  • di una fase laboratoriale, in cui gli studenti svolgono attività in gruppo (cooperative learning), cimentandosi con la preparazione di un prodotto finale (learning by doing);
  • di un momento metacognitivo e/o di restituzione.

I PCTO che danno i risultati migliori sul piano delle didattiche attive e dell’apprendimento sono, per la verità, quelli pluriennali (2 se non addirittura 3 anni scolastici).

 Competenze

Non è certo fra gli scopi di questo articolo ricostruire il dibattito più o meno recente intorno alla categoria pedagogico-didattica di competenza.[5]

Daremo per acquisito un fatto: che anche quella del secondo ciclo, come già quella del primo, sia destinata a essere sempre più una scuola delle competenze, e non soltanto una scuola delle conoscenze. Ribadendo peraltro, una volta per tutte, che lavorare in classe sulle competenze non significa certo trascurare, o peggio ancora bandire, le conoscenze…

La domanda viceversa inevitabile, ai fini del conseguimento dell’obiettivo —progettuale— che si intende raggiungere, è: quali sono le competenze da sviluppare quando si svolge un PCTO?

C’è un primo “livello” a cui un PCTO non può fare a meno di guardare, ed è quello legato alle 8 competenze di cittadinanza individuate già nel 2007 dal Miur [6] Qualunque PCTO, infatti, ne presuppone lo sviluppo: gli studenti, infatti, soprattutto nella fase laboratoriale, mettono in gioco le loro capacità di ideazione, nonché di realizzazione di un compito in ambiente prevalentemente digitale, lavorando in gruppo e imparando a collaborare per conseguire un obiettivo comune.

Ma un PCTO dedicato a un luogo di memoria consente anche di passare a un secondo livello, sviluppando per esempio competenze:

  • di ricerca, di trattamento e analisi di dati e flussi di informazioni;
  • di valorizzazione della storia di un territorio (strategie di heritage), anche in funzione del turismo culturale;
  • di progettazione di attività “sul campo” (parchi, siti memoriali o monumentali, musei tradizionali o diffusi, archivi ecc.) compresa la creazione di materiali e l’addestramento a visite guidate;
  • di promozione della cittadinanza attiva, del community engagement, dell’educazione alla tutela del patrimonio storico-paesaggistico-naturalistico-ambientale;
  • di comunicazione sociale e culturale.

Ciascun punto dell’elenco sottintende, certo, dei traguardi di competenza di una certa complessità; ma la scommessa per i docenti è, per l’appunto, quella di calarli in, di adattarli a, compiti di realtà conformi alle capacità e agli standard di apprendimento dei ragazzi della scuola secondaria di secondo grado.

Non si farà cenno invece, in questa sede, alle competenze strategiche trasversali e/o tecnico professionali indicate da ogni scuola nel Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF) per ogni specifico indirizzo di studi, delle quali il docente non potrà non tenere conto. Né si parlerà di competenze disciplinari: che potranno certo essere sviluppate, ma che non sono le più importanti per i PCTO. I quali, tra l’altro, dovrebbero sempre configurarsi come attività trasversali alle varie discipline.

Orientamento

È l’ultima parola dell’acronimo, solitamente trascurata.

Eppure, i PCTO possono e devono diventare strumenti per lo sviluppo delle capacità orientative degli studenti, ovvero:

  • saper scegliere il proprio percorso formativo post diploma
  • saper scegliere il proprio percorso professionale
  • imparare a imparare (che è una delle 8 competenze chiave dell’apprendimento permanente indicate dall’Unione europea nel 2006, poi riformulate con lievi mutamenti, più lessicali che concettuali, nel 2018).[7]

È appena il caso di aggiungere, arrivati a questo punto, che non si può progettare un PCTO senza mettere in campo adeguati strumenti di monitoraggio, come:

  • il diario di bordo dello studente;
  • la scheda di osservazione del docente esterno;
  • la scheda di valutazione dello studente (a cura del tutor esterno e del tutor interno);
  • il questionario di soddisfazione dello studente.
A proposito di luoghi di memoria

Quello di “luogo della memoria” è un concetto storiografico proposto, intorno alla metà degli anni Ottanta, da Pierre Nora che ne ha dato la seguente definizione: «Una unità significativa, d’ordine materiale o ideale, che la volontà degli uomini o il lavorio del tempo ha reso un elemento simbolico di una qualche comunità».[8]

Un luogo di memoria è, quindi, uno spazio fisico e mentale, in cui la compresenza di elementi materiali e simbolici consente a una collettività di riconoscersi, alimentando il legame con la propria storia. Estensivamente, un luogo di memoria può essere un museo, un monumento ma anche una semplice lapide, un archivio ma anche un singolo documento di grande rilievo,[9] un anniversario, una data del calendario civile, una località dove si è svolto un evento significativo e così via.

Un determinato sito, per diventare luogo di memoria, ha bisogno che vi sia la volontà di ricordare da parte dei membri di una comunità (molti, infatti, sono i luoghi di memoria potenziali che però non sono mai diventati davvero tali: o perché noti a pochi, o perché ignorati o dimenticati del tutto). Ma questo è soltanto il primo – seppur indispensabile – dei requisiti.

Il secondo è che il luogo di memoria sia/sia stato oggetto di un processo di “costruzione”: nel migliore dei casi collettiva, più o meno guidata dal lavoro degli storici; nel peggiore, imposto “dall’alto” e colorato con le tinte dell’ideologia e della propaganda, spesso attraverso quei meccanismi di riduzione/rimozione/revisione su cui si basano i  processi  di generazione della memoria pubblica. È per questa ragione che lo studio di un luogo di memoria diviene terreno privilegiato per un incontro tra ricerca storica e Public History.  

Nel progettare il nostro PCTO “cavouriano”, però, dobbiamo considerare anzitutto il luogo di memoria nella sua dimensione didattica; in particolare, di una didattica della storia rinnovata, che punti a una modalità di trasmissione della storia più adatta alle nuove generazioni.

Come è emerso, infatti, nel convegno di studi tenutosi nel dicembre del 2018 a Rocca delle Caminate (FC),[10] i luoghi di memoria hanno enormi potenzialità didattiche. Possono, infatti, offrire agli studenti, attraverso l’esperienza/conoscenza diretta di un territorio, l’opportunità di mettere prontamente in relazione il presente con il passato, il “vicino” con il “lontano”.

Tra scuola e luoghi di memoria può e deve crearsi un circolo virtuoso, in cui la scuola, o meglio la “comunità” costituita dal docente e dal gruppo classe, compie il primo passo decidendo di educare gli studenti allo sguardo.

È una parola chiave, sguardo; perché ciò che fa di un sito un luogo di memoria non è soltanto il paesaggio, il ricordo di un evento storico o certe tracce materiali, ma soprattutto un determinato modo di guardare. Non può esservi vera didattica dei luoghi di memoria senza che gli studenti apprendano un modo tutto nuovo – insieme curioso, intuitivo e scientifico – di osservare ciò che li circonda.

Progettare un PCTO dedicato a Cavour e ai suoi luoghi di memoria

Si è detto nella prima parte che un PCTO “ben temperato” prevede, di solito, una fase iniziale informativa.

In questo caso, però, non si tratta di fornire agli studenti le informazioni di base sulla figura di Cavour statista, artefice dell’unità nazionale. Questo aspetto è di solito affrontato nelle ore curricolari.[11]

Cavour modernizzatore nel campo delle infrastrutture

Il focus del nostro ipotetico PCTO dovrà essere, invece, il tema di Cavour modernizzatore nel campo delle infrastrutture, sia ferroviarie (la linea Torino-Genova, il Traforo del Frejus) sia idrauliche (il Canale Cavour).

Ma procediamo con ordine, iniziando dalle strutture ferroviarie.

Com’è noto, le strade ferrate sono un segno forte che viene impresso nel territorio europeo nel corso del XIX secolo: le ferrovie, infatti, come già ci ricordava molti anni fa il pioniere della storia del paesaggio italiano, Emilio Sereni, rappresentano «un agente nuovo, che opera con poderosa efficacia nel senso di una profonda rielaborazione e di una larga ridistribuzione geografica delle forme del paesaggio».[12]

La modernizzazione ferroviaria, fortemente voluta da Cavour con il sostegno del suo ministro dei Lavori pubblici, l’ingegnere esule lombardo Pietro Paleocapa, consentì al Piemonte, partito non certo in pole position nella corsa degli stati italiani alla costruzione di strade ferrate,[13] di colmare il divario iniziale attraverso una quantità di opere tale che, come scrive Stefano Maggi, «portò il territorio piemontese alla fine del decennio [1850-1860] ad avere il maggiore chilometraggio ferroviario della penisola».[14] Aggiunge lo storico: « Cavour gestì con intelligenza la politica delle strade ferrate, realizzando una vera e propria rete con interventi in parte statali e in parte privati, sotto il vigile controllo dei tecnici ministeriali».[15]

La Ferrovia Torino-Genova e il Traforo del Frejus

Partendo dalle considerazioni di cui sopra, il docente come primo passo potrà visitare, con gli studenti, alcuni siti dedicati all’incremento della rete ferroviaria nel Regno di Sardegna.

A questo proposito, caso vuole che nei mesi scorsi si siano svolte in alcune città del Piemonte (Asti, Alessandria) le celebrazioni del 170° anniversario del completamento della linea Torino-Genova (1853-2023). Due siti, in particolare, si ricollegano al palinsesto delle iniziative [16] e possono essere importanti da visitare:

Il primo, caratterizzato da un’efficace linea del tempo, consente di visualizzare immediatamente la cronologia delle vare fasi di costruzione della ferrovia, il cui primo tratto, il tronco Torino-Moncalieri-Trofarello, viene inaugurato nel 1848. Riveste poi particolare interesse, per un possibile approfondimento, il tratto finale della linea, completato nel 1853: di notevole impegno ingegneristico per via dello scavo della galleria dei Giovi tra Busalla e Mignanego, con i suoi 3254 metri era allora il più lungo tunnel d’Italia e uno dei più lunghi del mondo.[17]

Del secondo dei siti, nel quale viene presentata l’esposizione alessandrina, segnaleremo la parte dedicata alla sezione su Limmagine della ferrovia attraverso la lente degli artisti, che fa riferimento a una fonte particolare, le 15 incisioni che il pittore svizzero Carlo Bossoli realizzò per il volume The railway between Turin and Genoa.

Il Traforo del Frejus, invece – che doveva sostituire l’antica strada postale che valicava il colle del Moncenisio –  vede i lavori iniziare nel settembre del 1857 e concludersi nel 1871. Anche sul Frejus non mancano siti da visitare per una prima informazione su tempi, modi e spese di realizzazione dell’opera.[18] Ma non sarà inutile proporre agli studenti, in aggiunta, la lettura di un passo di un discorso che Cavour pronunciò al Parlamento subalpino nel 1857 in occasione del dibattito sul Traforo:

Noi veniamo a chiedervi la spesa di 20 o 21 milioni per compiere il tratto che separa la ferrovia del Piemonte da quella della Savoia… Quando il Moncenisio sarà perforato ed attraversato dalle locomotive, quando in tutte le stagioni dell’anno voi potrete spedire merci da Genova, da Torino, a Lione ed a Ginevra, oh! Siate certi che il traffico interno e l’esterno cresceranno in una proporzione enorme; i nostri prodotti troveranno vantaggiosi mercati, e la loro esportazione potrà aumentare immensamente.[19]

Alla titanica opera del Frejus è dedicato il celebre monumento ai caduti realizzato da Luigi Belli nel 1879, sito in piazza Statuto, a Torino.

Di Franco56 – Fotografia personale, CC BY-SA 3.0, Collegamento

Un ulteriore argomento di riflessione sull’opera è quello suggerito già a suo tempo dalla pubblicistica e dalla propaganda governativa, ovvero l’accostamento tra il Traforo del Frejus (1871) e il quasi contemporaneo Canale di Suez (1869).

Scrive sempre Stefano Maggi:

Nel corso degli anni ’60 [dell’Ottocento] il mondo ebbe davanti le due gigantesche opere di scavo della galleria del Moncenisio e del canale di Suez, che nell’immaginario collettivo erano preordinate a un solo fine, quello di accorciare la distanza fra Occidente e Oriente, ma che soprattutto simboleggiavano l’epoca delle grandi scoperte tecnologiche e del dominio dell’uomo sulla natura. Era il tempo del «positivismo», una filosofia a larga diffusione popolare, che sembrava in grado di dare una spiegazione e un significato al progresso, creando il convincimento che la scienza, con le sue applicazioni pratiche e le sue prospettive morali e sociali, avrebbe risolto i problemi dell’uomo, avviando una condizione di benessere e di pacifica convivenza. La ferrovia, con le sue conquiste, rappresentò in questo contesto uno dei principali emblemi dello sviluppo, contribuendo da protagonista a incentivare la percezione positiva dello sviluppo umano. [20]

 

Il Canale Cavour: una soluzione a secolari problemi irrigui

Con il suo elegante e lineare snodarsi attraverso la pianura, il Canale Cavour costituisce un fondamentale elemento del paesaggio agricolo irriguo del vercellese, del novarese e della Lomellina. La sua presenza ha reso stabili alcune coltivazioni, in particolare quella del riso, favorendo la nascita di un paesaggio agrario unico in Europa, il “mare a quadretti”[21].

Il Canale può essere a tutti gli effetti considerato un bene culturale, ma costituisce anche una importante riserva d’acqua per le coltivazioni risicole e un valido baluardo agli incessanti fenomeni di consumo di suolo da urbanizzazione diffusa.

L’apertura del canale e delle sue diramazioni ha trasformato un paesaggio che si caratterizzava per la presenza di acquitrini, dossi aridi e sabbiosi, foreste, in un ecosistema agricolo irriguo in cui coesistono canali, rogge, fontanili, risaie e altre colture irrigue oltre alle cascine. Un ecosistema che l’uomo ha tenacemente strappato alla natura modificandolo profondamente, e che è ormai fissato così saldamente nella memoria storica da apparire del tutto naturale.

Il primo passo di un’attività laboratoriale sul canale Cavour potrebbe quindi consistere nell’invitare gli studenti a raccogliere informazioni sulla lunga lotta degli uomini per conquistare all’agricoltura un paesaggio ostile. La ricerca di modalità di irrigazione di queste terre, infatti, risale a parecchi secoli addietro, come emerge dalle carte.

La storia ci ricorda comunque che, nonostante i tentativi dei secoli precedenti, a metà dell’Ottocento la pianura novarese e la Lomellina erano ancora in gran parte prive d’irrigazione o scarsamente irrigate, mentre nel Milanese le irrigazioni favorite dal sistema dei navigli avevano portato l’agricoltura lombarda a risultati invidiabili e, al di là del Sesia, il Vercellese era ormai quasi interamente irriguo.

Un altro aspetto su cui i ragazzi potrebbero indagare in via preliminare le fonti è il ruolo svolto dalla risicoltura nello sviluppo agricolo di questi territori.[22]

Il ruolo di Camillo Cavour

Per iniziativa del Conte di Cavour, con legge 3 luglio 1853 n. 1775, viene costituita la prima “associazione di irrigazione” – quella “dell’Agro all’Ovest del Sesia” di Vercelli. L’associazione porta numerosi vantaggi, come Cavour stesso aveva previsto e diventa un esempio per altri territori affinché si riprenda l’antico progetto di derivare acqua dal fiume Po per irrigare le campagne vercellesi, novaresi e della Lomellina.

La famiglia del Conte Benso di Cavour possedeva una tenuta a Leri, nella quale per sedici anni fu agente generale l’agrimensore vercellese Francesco Rossi. Il Rossi, tra il 1842 e il 1846, effettuò per primo livellazioni con le quali dimostrò che era possibile derivare un canale dal Po a Crescentino, che avrebbe potuto portare le acque sino al Sesia, oltre Oldenico e da lì sino al Ticino in prossimità di Trecate, con un percorso di circa 70 chilometri. L’agrimensore durante le misurazioni illustrò ad alcuni funzionari del Governo, tra cui gli Ispettori Ingegneri Noè e Fagnani, ciò a cui stava lavorando, venendo di seguito convocato a Torino per un colloquio con il Ministro Thaon De Revel, in cui veniva invitato a svolgere un’ulteriore livellazione e a presentare “uno schema di massima del nuovo Canale”[23].

Nel 1852 Cavour, divenuto Presidente del Consiglio dei Ministri, riprese l’idea dando incarico a Noè, Ispettore Ingegnere dei Regi Canali, di provvedere al progetto definitivo del canale ideato da Francesco Rossi. Il 12 aprile 1866, a meno di tre anni dalla posa della prima pietra, a Chivasso il Principe Eugenio di Savoia Carignano procedeva alla solenne inaugurazione del nuovo Canale, alla presenza dei Ministri dell’Agricoltura e delle Finanze e di molte altre autorità civili e militari[24].

Lo straordinario patrimonio dell’Archivio Est Sesia

I vent’anni trascorsi tra l’avvio e la conclusione dell’impresa sono perfettamente ricostruibili attraverso la documentazione conservata nell’“Archivio Storico dei Canali Cavour”, vera palestra in cui possono affinarsi le capacità di ricerca di studentesse e studenti.

A pagina 81 del numero speciale di Est Sesia dedicato ai centocinquanta anni del Canale Cavour, Claudia Baratti scrive:

Un ingente patrimonio di documenti proviene dallo scioglimento dell’Amministrazione finanziaria Canali Cavour: il vasto compendio documentale, denominato “Archivio Storico dei Canali Cavour”, unico nel suo genere e per questo indivisibile, era composto da 250 casse di documenti e ben 12 armadi di disegni! Con la denominazione di “Archivio Storico dei Canali Cavour” si intende indicare non soltanto l’insieme dei documenti d’archivio vero e proprio provenienti dalla disciolta Amministrazione Generale Canali Cavour ma anche l’imponente raccolta di disegni (circa 20.000 fra mappe, progetti, planimetrie ecc.) risalenti in alcuni casi al Tardo Medioevo, che la stessa Amministrazione ereditò da Enti più antichi (Società Anonima del Canale Cavour, Uffici dello Stato Sabaudo, Case nobiliari ecc.). Le Associazioni degli utenti dei canali irrigui – Est Sesia di Novara e Ovest Sesia di Vercelli – riunite nella Coutenza Canali Cavour (a cui sono stati dati in consegna tutti i canali demaniali per la gestione) hanno chiesto e ottenuto nel 1983 di poter conservare e mettere a disposizione degli studiosi l’imponente Archivio ritenuto culturalmente fondamentale ed indivisibile. Per la miglior conservazione e fruizione di tale documentazione l’Est Sesia ha messo a disposizione in Novara un apposito edificio, contiguo alla sede dell’Associazione stessa (via Avogadro n. 7) predisponendo un centro di documentazione per lo studio della storia del territorio, che ha assunto la denominazione di “Archivio Storico delle Acque e delle Terre Irrigue”[25]

A questo già rilevante patrimonio si devono aggiungere circa 15.000 disegni, tra cui si annoverano mappe e planimetrie databili a partire dalla metà del XVIII secolo fino ai giorni nostri e la cui parte più interessante è rappresentata dal progetto esecutivo del Canale Cavour, che comprende oltre 2.000 pezzi. Accanto queste carte e a loro supporto è stata raccolta una vasta documentazione fotografica «eseguita lungo il grande cantiere del Canale Cavour che restituisce anche gli aspetti più umani del cantiere divenendo utile testimonianza delle condizioni lavorative e in generale sociali delle popolazioni delle aree risicole.[26]

Infine, nelle sale dell’Archivio Storico delle Acque e delle Terre Irrigue, sono conservati i modelli in legno degli imponenti manufatti di derivazione ed attraversamento dei Canali Cavour, realizzati all’epoca della costruzione dei canali stessi. Tali modelli furono presentati dallo Stato italiano alla grande Esposizione Internazionale di Parigi del 21 ottobre 1878.

L’uso didattico dell’Archivio Storico dei Canali Cavour: un esempio di laboratorio sulle fonti

Affrontare con gli studenti lo studio di questa impresa attraverso i documenti conservati presso l’ “Archivio Storico dei Canali Cavour” permette di condurli in un percorso interdisciplinare che li porta ad una maggiore consapevolezza non solo dei fatti del passato, ma anche delle urgenze ambientali che gravano oggi su questo territorio, soprattutto a seguito della grave crisi idrica degli ultimi mesi. Con interessanti affondi di storia sociale, esplorabili attraverso i giornali di cantiere e la ricca documentazione fotografica, si possono ricostruire, accanto alle vicende ufficiali della costruzione del Canale, le condizioni di lavoro delle migliaia di persone impiegate nel cantiere, l’interesse che la costruzione suscitò sia per le innovazioni tecniche che utilizzava sia per la trasformazione paesaggistica che i residenti vedevano accadere giorno dopo giorno sotto i loro occhi. Nel 1863 la pianura, che Carlo Cattaneo aveva definito un “enorme deposito di fatiche” aveva un aspetto completamente diverso da quello dei secoli precedenti e si avviava a diventare una delle zone agricole più produttive d’Italia.

Uno dei motivi che ha reso da subito interessante l’Archivio Storico delle Terre e delle Acque irrigue è che esso è digitalizzato e consultabile a partire da questo link: https://arc.estsesia.it/index.php

Dopo la registrazione, gratuita, si accede ad un’area in cui sono consultabili le seguenti banche dati:

  • Archivio Canali Cavour: atti patrimoniali
  • Archivio Canali Cavour: disegni
  • Archivio Canali Cavour: posizioni
  • Archivio Canali Cavour: atti regi canali
  • l’Archivio Storico Acque e Terre irrigue: sede di Novara
  • l’Archivio Storico Acque e Terre irrigue: sezione di Vigevano

La ricerca è abbastanza semplice e l’insegnante potrà indirizzarla sull’argomento o sugli argomenti che intende maggiormente approfondire. La qualità e la quantità di documenti reperibili nelle banche dati permettono infatti di tracciare diverse piste di ricerca e di mettere gli studenti nella condizione di agire in un fondo archivistico con una certa autonomia.

Il lavoro sull’archivio è stato da subito indicato ai docenti che hanno partecipato al corso di Formazione su Cavour e l’agricoltura, avviato nel marzo 2021, quindi in piena DaD.

Esemplare è l’esperienza che ne è derivata, svolta dalla professoressa Tiziana Paracino del Liceo delle Scienze Umane ed Economico Sociale “Contessa Tornielli Bellini” di Novara con la classe 4H.

Per il suo percorso sperimentale di formazione e ricerca-azione la professoressa ha proposto inizialmente ai ragazzi la partecipazione ad una delle lezioni del Corso, quella dell’architetto Claudia Baratti, che verteva proprio sul tema “La costruzione del canale Cavour nei documenti dell’Archivio dell’Est Sesia – Archivio Storico Acque e Terre Irrigue” e la visione della registrazione degli altri incontri, per un totale di dieci ore.

Dodici ore sono poi state dedicate a visite didattiche e tredici alla revisione dei testi con la classe e alla registrazione del video che raccoglie l’esperienza, mentre non sono state conteggiate le ore che i ragazzi hanno dedicato ciascuno agli approfondimenti assegnati. Sono state inoltre svolte delle visite, oltre che all’archivio, con la guida dell’architetto Baratti, ad altri luoghi di memoria evocati nel Corso di Formazione, come Palazzo Bellini a Novara, il Museo Nazionale del Risorgimento Italiano di Torino e il Canale Cavour in confluenza con il Canale Regina Elena e con il torrente Terdoppio di Novara (località Veveri). È stato possibile attivare collegamenti interdisciplinari tra diversi insegnamenti: Italiano, Storia, Scienze, Tecniche d’archivio, Arte.

L’esperienza della professoressa Paracino e della sua classe contiene tutte le fasi che sono state individuate come necessarie: il momento informativo e quello formative, le visite esterne, la fase laboratoriale vera e propria, che è stata svolta con il cooperative learning e che ha visto la produzione di un video nel quale studentesse e studenti coinvolti hanno riletto e reso pubblica la loro esperienza.

Importante è stata l’individuazione, fin dall’inizio, di alcuni temi guida (le condizioni di sicurezza sul lavoro degli operai, l’attenzione della stampa alle vicende costruttive, la funzione delle strade alzaie, ecc.), per poi passare alla ricerca dei documenti d’archivio utili ad approfondire il tema scelto e alla loro rielaborazione. Anche se la documentazione era consultabile online, è risultata comunque utile la visita in archivio per comprendere il criterio di archiviazione seguito e quindi per facilitare la successiva ricerca, oltre che per acquisire gli indispensabili criteri di analisi dei documenti.

La scelta della docente è stata quella di sfruttare, per il momento informativo, i materiali prodotti per il corso stesso. Operazione che potrebbe essere ripetuta da quanti volessero organizzare un PCTO sui luoghi della memoria Cavouriani, avendo ormai a disposizione le lezioni di ben tre anni di Corso, dalle quali trarre sempre nuove piste di ricerca.

Alla conclusione del percorso i ragazzi coinvolti hanno espresso le loro opinioni sull’esperienza svolta e si sono dichiarati molto soddisfatti. A loro dire, la frequentazione dell’archivio e lo studio approfondito di un episodio di storia locale hanno permesso anche a loro, che pure abitano a Novara, di conoscere una parte importante della storia della loro città che prima non erano mai state oggetto di attento studio. Sempre secondo i ragazzi è stato poi importante il metodo utilizzato: non una lezione frontale, ma una vera immersione nel territorio per meglio comprenderne le caratteristiche e l’unicità, nelle carte per valutare di persona lo svolgimento dei fatti storici. Sempre, però, con una preliminare attenta conoscenza della cornice in cui collocare l’esperienza diretta.

 


Note:

[1] Cfr. https://www.miur.gov.it/documents/20182/1306025/Linee+guida+PCTO+con+allegati.pdf/3e6b5514-c5e4-71de-8103-30250f17134a?version=1.0&t=1570548388496, url consultata il 4 maggio 2023.

[2] Una buona sintesi sulle vicende dell’alternanza scuola-lavoro, nelle sue varie declinazioni e evoluzioni, nell’ambito della scuola secondaria italiana è la voce « PCTO » di Wikipedia, di probabile ispirazione ministeriale: cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Percorsi_per_le_competenze_trasversali_e_per_l%27orientamento.

[3] P. Bevilacqua, Sull’utilità della storia per l’avvenire delle nostre scuole, Donzelli, Roma 1997, p.107.

[4] Nella cassetta degli attrezzi, fra gli strumenti più importanti, devono esserci le cosiddette information skills, ovvero quelle abilità che sono necessarie per accedere alle informazioni indispensabili allo svolgimento di una ricerca. In ambito anglosassone è diffuso da decenni un « modello » di problem solving nel campo delle informazioni chiamato Big6, utilizzato diffusamente tanto nella pratica come nello studio. Esso prevede sei tappe fondamentali: cfr. https://thebig6.org/thebig6andsuper3-2.

[5]  Se proprio si deve dire qualcosa a proposito del concetto di competenza, una definizione generica, e per questo tutto sommato « ecumenica », che potrebbe essere adottata è: comprovata capacità di usare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e/o personale.

[6] Allegato 2 del D.M. 139/2007 (cfr. https://archivio.pubblica.istruzione.it/normativa/2007/dm139_07.shtml ).

[7] Cfr. https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32018H0604(01).

[8] P. Nora, Les Lieux de Mémoire, 3 voll., Gallimard, Paris 1984–1992.

[9] Si pensi, tanto per fare un esempio, all’importanza che ha per la società americana l’originale della Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America, nonché alla cura e alla protezione militare con cui è conservato…

[10] Cfr. A. Gagliardo, I Luoghi della memoria: temi e prospettive, in “Novecento.org”, n. 12, agosto 2019. DOI: 10.12977/nov298. L’articolo costituisce una puntualizzazione del dibattito sui luoghi di memoria.

[11] Se, però, non dovesse essere possibile inserire il PCTO al momento giusto della normale programmazione —quando, cioè, viene introdotto il Risorgimento— si potrà ricorrere, per introdurre la figura di Cavour, a un breve testo esperto  o a un video  che gli studenti potranno leggere o guardare autonomamente a casa e poi discutere in classe (in attesa di un successivo approfondimento curricolare).

[12] E. Sereni, Storia del paesaggio agrario italiano, Universale Laterza, Roma-Bari 1974 (prima ed. Laterza 1961), p. 365.

[13] Precedono infatti la ferrovia Torino-Genova: la Napoli-Portici (1839); la Milano-Monza (1840); la Padova-Mestre (1842).

[14] S. Maggi, Le ferrovie, Storica paperbacks Il Mulino, 2003 p. 32. L’autore è uno storico delle comunicazioni dell’Università di Siena.

[15] Maggi, 2003, p.32.

[16] L’insieme delle manifestazioni è ricordato in https://toge170.org/, sito che contiene, tra l’altro, un’efficace linea del tempo. Cfr. Anche https://www.fsnews.it/it/eventi/arte/2022/12/19/mostra-alessandria-ferrovia-torino-genova-rotaia-lunga-170-anni.html, dedicato alla mostra di Alessandria che reca il suggestivo titolo Torino-Genova: una rotaia lunga 170 anni.

[17] Maggi, 2003, p. 34.

[18] Ne indichiamo alcuni: https://torinostoria.com/entriamo-nellanno-del-frejus/; https://www.storicang.it/a/frejus-150-anni-sotto-le-alpi_15321; https://www.camillocavour.com/associazione/incotri-cavouriani/il-tunnel-del-frejus/. Utile, e visivamente efficace, anche il breve video realizzato dalla TELT –il promotore pubblico binazionale incaricato della realizzazione e della gestione del nuovo tunnel della Torino-Lione– che fornisce molte informazioni sul Traforo del Frejus evidenziando anche la continuità esistente tra quel traforo e l’attuale tunnel della TAV: https://youtube.com/watch?v=YFxXUpx2AG0. Il collegamento storico tra le due opere può permettere di avviare interessanti discussioni in classe, a partire da un’analisi delle analogie e delle differenze di contesto storico.

[19] Cfr. L. Jannnattoni, Il treno in Italia, Editalia, Roma 1976, pp. 140-141, riportato da Maggi, 2003, p. 57. L’intervento di Cavour che precedette la votazione finale si può leggere in https://torino.corriere.it/cultura/21_settembre_16/cavour-discorso-traforo-0e7df6be-1728-11ec-8284-145049fd3f8d.shtml.

[20] Maggi, 2003, pp. 57-58.

[21] Così lo descrive Sebastiano Vassalli nel romanzo Terre d’acque: «Guardando il paesaggio che vedo dalla finestra del mio studio, a volte cerco di immaginare come fosse la campagna novarese prima della coltivazione del riso… perché la regione in cui viviamo è una delle più modificate dall’opera dell’uomo che esistano. Anche 5 o 6 secoli fa la campagna novarese era completamente diversa da com’è adesso. la pianura era ondulata… la coltivazione del riso è passata come un rullo compressore sopra quel paesaggio, cancellandolo e spianandolo».

[22] La prima attestazione della coltura del riso nella Pianura Padana è costituita da due lettere scritte da Galeazzo Maria Sforza nel 1475 nella tenuta ducale di Villanova di Cassolnovo, nelle quali si fa riferimento a coltivazioni di riso. Se la risicoltura diede una spinta decisa alla realizzazione di quella colossale e meravigliosa opera di organizzazione irrigua, non bisogna dimenticare che la costruzione del Canale Cavour venne a più riprese richiesta con decisione dalle popolazioni danneggiate dalle Guerre di Indipendenza, in particolare nel 1859. Notevoli furono i sacrifici sostenuti dalle campagne vercellesi, novaresi e lomelline durante le Guerre d’Indipendenza a causa dei saccheggi conseguenti ai frequenti passaggi di eserciti e degli allagamenti.

[23] Per una dettagliata ricostruzione della storia del canale si rimanda al numero speciale di Est Sesia, Periodico dell’Associazione Est Sesia Novara uscito in occasione del centocinquantesimo anno di fondazione del Canale e in particolare agli articoli a firma di C. Baratti: Est Sesia, Anno LXII – Ottobre 2016 -Luglio 2019 – n. 119. L’affermazione tra virgolette è ripresa all’interno del fascicolo citato da Claudia Baratti, La costruzione del Canale Cavour. La faraonica impresa all’indomani dell’Unità d’Italia, pag. 17.

[24] Per la storia del canale sono interessanti i video https://www.youtube.com/watch?v=EVu2gME17eE e https://www.youtube.com/watch?v=K863rA-BELM.

[25] Baratti, 2016-2019, p. 81.

[26] Baratti, 2016-2019, p. 82.