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La libertà responsabile cui oggi siamo chiamati

La libertà responsabile cui oggi siamo chiamati

Il dossier sulla Summer school 2020
si compone di 5 coppie di parole chiave.
Questo testo afferisce alla coppia di parole chiave

Libertà/Responsabilità

Abstract

Nella seconda giornata della Summer School 2020 abbiamo chiesto a Giovanni De Luna e Laura Boella di riflettere con noi sulle parole chiave Libertà e Responsabilità. Laura Boella riprende qui alcuni spunti dalla sua riflessione di quel giorno, nella quale il focus è la trasformazione del rapporto fra libertà e responsabilità che la pandemia ha provocato. Come intendere e dare senso alle limitazioni alla libertà personale che si sono rese necessarie nelle pandemia globale ancora in corso? Secondo Boella si tratta di intendere con chiarezza le fragilità di un mondo globale bisognoso di cure. E della responsabilità necessaria a farsene carico.

In questo tempo di pandemia globale stiamo assistendo a una valorizzazione della libertà e insieme alla sua crisi. Si è ampliato lo spazio della libertà come autodeterminazione, capacità di scegliere, di progettare il futuro, ma, nello stesso tempo, assistiamo a una fuga dalla libertà, che spesso diventa delega ad altri delle decisioni e rifiuto di assumersene la responsabilità.

Che cosa è successo?

Da un lato, la scoperta dei meccanismi biologici, psicologici, storici e culturali che sono componenti innegabili di ogni atto libero e cosciente ci ha reso consapevoli dei limiti entro i quali governiamo e controlliamo ciò che facciamo. Anche i dispositivi digitali e il flusso di informazioni a nostra disposizione ci mettono di fronte al fatto che la nostra individualità fa parte di una specie di coro, riecheggia le opinioni, i comportamenti di molti altri, anche sconosciuti. Al tempo stesso, assistiamo a un allargamento della libertà sul nostro corpo, in particolare sulla nostra fisiologia: possiamo decidere se e quando curarci, procreare, morire. Libertà totalmente ignota ai nostri padri.

Si tratta di una situazione che invita a un rinnovamento dell’idea di libertà. Anzi si può dire che gli appelli alla responsabilità oggi sempre più frequenti siano legati al mutamento dell’esperienza della libertà. Si pensa che la responsabilità possa limitare l’arbitrio umano che arriva fino al delirio di onnipotenza – nei confronti dei nostri simili, nei confronti della natura – e sia una misura contro l’individualismo incontrollato.

Bisogna però ricordare che ci troviamo di fronte a due mondi completamente diversi. La libertà parla il linguaggio del diritto e dei diritti, di un potere di negoziare con l’autorità in via di principio non vincolato. È nota la distinzione di Isaiah Berlin fra “libertà da” e “libertà di”: la prima è la libertà negativa, priva di ostacoli che consente di esercitare la libertà positiva di fare, trasformare, prendere iniziative. Se guardiamo bene, questa distinzione è tutta legata al soggetto, al rapporto con azioni e intenzioni individuali.

La responsabilità invece parla il linguaggio dell’obbligo e della relazione: noi rispondiamo delle conseguenze di ciò che facciamo. È rispetto e riconoscimento dell’altro.

Questa differenza attraversa tutta la tradizione, ma si è sempre accompagnata alla priorità della libertà sulla responsabilità. Solo un soggetto libero, capace di intendere e di volere, è responsabile (per il diritto imputabile) delle proprie azioni.

Ma è ancora questo il nodo della questione? Per rispondere a questa domanda diventa sempre più urgente una riflessione specifica sulla libertà.

Le neuroscienze, interrogandosi sulla libertà, sono arrivate alla conclusione che la libertà è un’illusione. Non siamo stati noi, ma il nostro cervello. Abbiamo compiuto un gesto aggressivo perché i nostri meccanismi cerebrali ci hanno portato a farlo.

La filosofia del Novecento ha seguito una strada diversa. Il rinnovamento dell’idea di libertà è passato attraverso la responsabilità. La sequenza classica per cui la libertà viene prima della responsabilità è stata rovesciata. Il rinnovamento dell’idea di libertà non è passato per la sua negazione, bensì attraverso la priorità della responsabilità e la conseguente idea di una libertà responsabile.

Hans Jonas in un libro che anticipava le attuali preoccupazioni sul degrado ambientale – Il principio responsabilità (1979) –, si è posto il problema dell’agire nell’epoca tecnologica, dell’impossibilità di controllare i suoi effetti distruttivi della natura e sull’integrità biologica degli esseri umani. L’etica della responsabilità di Jonas ha richiamato l’attenzione sulla fragilità della natura, uguale a quella della specie umana, e quindi al senso del limite, al principio di precauzione e di rispetto rivolto soprattutto a garantire un’aria da respirare e una terra da abitare per le generazioni future. Il nuovo imperativo etico è diventato quello di preservare l’umanità e la vita. L’etica della responsabilità di Jonas, insomma, è un’etica della fragilità: siamo fragili come lo sono la terra e l’aria. Ciò che è fragile ci chiama alla cura, alla custodia e al senso del limite.

In questo scenario il ruolo assunto dalla responsabilità non abolisce l’idea di libertà, ma porta a una radicale trasformazione dell’idea di soggetto: l’idea tradizionale di un soggetto autonomo e capace di scegliere e di decidere cosa fare cede il passo a quella di un soggetto relazionale, originariamente legato agli altri, nelle mani degli altri, che ha bisogno degli altri, i quali a loro volta hanno bisogno di lui. Non c’è responsabilità se non sentiamo di dover rispondere a qualcuno o a qualche evento che ci chiede di farcene carico.

L’idea di una responsabilità che viene prima della libertà parla di un passaggio necessario dall’egoismo all’altruismo, dall’autoreferenzialità alla solidarietà, alla condivisione. L’Io libero e autonomo è diventato un Noi. In tempi di COVID è chiaro a tutti come non sia possibile salvarsi da soli.

E’ giusto chiedersi, però, cosa ne sia della libertà: non la libertà intesa come arbitrio, ma la libertà di un individuo che si assume il rischio dell’assunzione di una responsabilità. Questo soggetto responsabile non è un partito, lo Stato, un’associazione, l’umanità intera. Se così fosse, la responsabilità sarebbe qualcosa di troppo astratto e lontano dalla vita.

Dobbiamo invece chiederci se un Io relazionale, immerso fin dalla nascita in una rete di relazioni, conservi l’elemento imprescindibile della libertà, la capacità di distinguere tra il bene e il male, la capacità di dire di no a un potere autoritario, di investirsi in prima persona del compito di combattere per la libertà e la giustizia di chi vive in condizioni di disuguaglianza e di oppressione.

La responsabilità chiamata all’appello della storia, degli avvenimenti (anche sanitari) che coinvolgono l’umanità intera, non abolisce la libertà; al contrario, diventa il nuovo fondamento della libertà dell’individuo. Anche in un contesto di responsabilità per avvenimenti che non dipendono da lui, a volte non lo coinvolgono, l’individuo resta unico e insostituibile, non si dissolve per magia diventando un “noi” per puro istinto biologico di sopravvivenza.

“Siamo tutti sulla stessa barca”, recita una frase molto diffusa. Questo è vero, ma dobbiamo ammettere che siamo tutti sulla stessa barca divisi da un comune destino.

La globalizzazione o il virus producono diseguaglianze, come sappiamo. E viene sempre il momento in cui ciascuno di noi singolarmente deve farsi carico della responsabilità per gli altri derivante dall’appartenere a un mondo in cui siamo interdipendenti, in perenne connessione con gli altri.

Una nuova idea di libertà nasce dal rapporto con gli altri e non con sé stessi, con la realtà storica e politica, da una realtà alla quale possiamo dire di sì o di no e che dobbiamo giudicare nei termini di giustizia e di responsabilità. Solo individualmente ci si può assumere il rischio di amare, di agire per il bene o il male, consapevoli del fatto che non siamo più individui sovrani, ma ci troviamo in un rapporto di conflitto e sproporzione con gli avvenimenti storico-politici, con il mondo della tecnocrazia, della finanza e dell’economia globale.

È importante rimarcare questa sproporzione, anche se non si deve fare l’errore di vederla come il trionfo di forze che ci passano sopra la testa e ci rendono frustrati e impotenti. Proprio nel cuore di questa sproporzione si gioca oggi la libertà, ossia l’impegno per preservare la possibilità, anche minima, di agire per impedire che la realtà si chiuda e che il mondo si restringa al cortile di casa o ai confini nazionali e la mente diventi prigioniera.

Questo tipo di libertà responsabile corrisponde per me all’essere presenti al proprio tempo, cioè al parlare, agire, pensare mantenendo l’importanza e il valore dell’individuo contro la logica della massa e contro le odierne eco-chambers (quelle dei social). La presenza al proprio tempo può assumere le forme più diverse. Lo studio, la ricerca, mettere al mondo un figlio, fare bene una lezione, guardare in faccia ciò che accade senza accontentarsi delle spiegazioni preconfezionate, un gesto di aiuto, ridare alle parole il loro significato, ricorrere a un sano umorismo.

Non si tratta di gesti eroici e straordinari, ma dell’esercizio di una capacità di cui tutti siamo dotati. La capacità di interrompere tutte le derive, tutti i processi automatici. Di interrompere il flusso di ciò che passa sopra la nostra testa. Di scompaginare le carte, rifiutare gli anestetici che ci vengono propinati in dosi massicce e che rendono irriconoscibile la realtà reale.

Avere la capacità di aprire lo spazio a nuovi valori e comportamenti: questa è la libertà responsabile a cui oggi siamo chiamati.

DELLA STESSA COPPIA DI PAROLE CHIAVE:

Autore:

Laura Boella

Laura Boella (Cuneo, 12 gennaio 1949) è una filosofa, accademica e traduttrice italiana, professore ordinario di filosofia morale presso l'Università degli Studi di Milano.

Dati articolo

Autore:
Titolo: La libertà responsabile cui oggi siamo chiamati
DOI: 10.12977/nov367

Numero della rivista: n.15, febbraio 2021
ISSN: ISSN 2283-6837

Come citarlo:
, La libertà responsabile cui oggi siamo chiamati, Novecento.org, n. 15, febbraio 2021. DOI: 10.12977/nov367

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