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Decolonising minds. Tracing Italian colonial aggressions in Addis Ababa and South Tyrol

Decolonising minds. Tracing Italian colonial aggressions in Addis Ababa and South Tyrol

Collage elaborato da una delle classi durante l’attività didattica. Si tratta di una rappresentazione esagerata della gratificazione turistica forzata delle popolazioni indigene attraverso i regali benintenzionati del mondo industrializzato. Il soldato simboleggia l’aggressione e l’appropriazione missionaria, economica e culturale dei popoli indigeni.

Abstract

L’articolo proposto presenta il progetto didattico “Decolonising minds” promosso dall’OEW – Organizzazione per un mondo solidale e realizzato in due licei bolzanini, uno di lingua italiana (liceo Carducci), l’altro di lingua tedesca (Realgymansium), insieme a una scuola di Addis Abeba, la Miskaye Hizunan Medhanealem Monastery School. Le classi coinvolte nel progetto hanno effettuato ricerche sulle tracce del passato coloniale presente nella città di Bolzano e ad Addis Abeba. Scopo del progetto  è stato quello di superare i limiti della visione tradizionale della storia e promuovere una comprensione della complessa eredità coloniale.

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The proposed article presents the educational project “Decolonising minds” promoted by OEW – Organization for a Solidary World and implemented in two high schools in Bolzano, one Italian-speaking (Liceo Carducci) and the other German-speaking (Realgymansium), along with a school in Addis Ababa, the Miskaye Hizunan Medhanealem Monastery School. The classes involved in the project conducted research on traces of the colonial past present in the city of Bolzano. The aim of the project was to overcome the limitations of the traditional view of history and promote an understanding of the complex colonial heritage.

Partecipare a un movimento globale: “Rhodes Must Fall!”

Nel 2015 studenti e studentesse, studiosi e studiose dell’Università di Città del Capo sono riusciti/e a ottenere la rimozione della statua del colonialista Cecil Rhodes dal loro campus. Questa azione è stata accompagnata dalla rivendicazione di “decolonizzare” il sistema educativo. Sebbene tali rivendicazioni non siano del tutto nuove (lo scrittore keniota Ngũgĩ wa Thiong’o[1] aveva già pubblicato nel 1986 un libro dal titolo “Decolonizzare la mente”), la protesta nell’Università sudafricana ha ricevuto un’attenzione mondiale. In molti luoghi si sono svolti dibattiti sul modo in cui trattare quelle vicende storiche che oggi consideriamo problematiche e le loro testimonianze fisiche nello spazio pubblico (monumenti, statue, odonomastica, iscrizioni, affreschi, rilievi ecc.).

Questi dibattiti si sono riaccesi nel 2020, dopo l’uccisione di George Floyd da parte di un agente di polizia negli Stati Uniti; in tutto il mondo, decine di migliaia di persone si sono unite alle proteste di Black Lives Matter contro il razzismo. In questa occasione, in Italia gli attivisti e le attiviste hanno insistito ancora una volta sulla necessità di sviluppare una maggiore consapevolezza pubblica riguardo al passato coloniale del nostro Paese, per andare alle radici dell’ideologia razzista. È stato allora che, a Bolzano, la colonna romana dedicata alle guerre fasciste nel parco dietro il Monumento alla Vittoria è stata imbrattata con vernice rossa. Da notare che un’iscrizione sul suo basamento fa riferimento, tra l’altro, alla Libia e all’Africa orientale.[2]

Poiché il passato coloniale ha lasciato il segno in molte città italiane (una sinossi si trova in questa mappatura: Viva Zerai! – uMap (openstreetmap.fr), la discussione pubblica ha condotto alla realizzazione di diversi progetti di “decolonizzazione” dello spazio pubblico, una cui panoramica si può ritrovare qui: Una mappa per ricordare i crimini del colonialismo italiano – Wu Ming 2 – Internazionale),

L’OEW – Organizzazione per un mondo solidale (www.oew.org), un’associazione non-profit che opera principalmente nella promozione di una maggiore consapevolezza sui temi della migrazione e di un’equa convivenza (sia a livello locale che globale) e che cerca spesso un ampio confronto con il pubblico altoatesino, ha voluto rilanciare in provincia di Bolzano le questioni che stavano alla base delle proteste a livello internazionale. L’OEW ha avviato così una serie di progetti denominati “Decolonising minds”, il primo dei quali è stato quello che qui si presenta, sviluppato e realizzato insieme alla moderatrice interculturale Shemsia Oumer Daud.

 

Fare ricerca sulle tracce coloniali ad Addis Abeba e Bolzano

L’idea centrale del progetto è stata quella di invitare tre classi di tre diverse scuole secondarie di II grado, a Bolzano e ad Addis Abeba, per occuparsi delle tracce del passato coloniale nel rispettivo contesto cittadino. La classe 5H del Liceo Carducci in lingua italiana si è concentrata sulle tracce che il colonialismo ha lasciato nello spazio urbano di Bolzano, non lontano dalla sede della scuola; la classe 5D del Liceo scientifico di lingua tedesca di Bolzano ha analizzato le fotografie di un sudtirolese combattente in Etiopia; studenti e studentesse di Scienze Sociali di una classe della Miskaye Hizunan Medhanealem Monastery School hanno infine riflettuto su come la presenza degli aggressori italiani abbia plasmato il paesaggio urbano di Addis Abeba. Il lavoro di ricerca sui lasciti materiali del colonialismo è stato poi arricchito da una riflessione sui limiti della propria prospettiva, grazie al confronto tra tutti i partner del progetto.

 

Fasi del progetto

Il progetto, condotto in tre lingue (italiano, tedesco, inglese), si è sviluppato durante l’anno scolastico 2020/2021 e si è svolto in buona parte utilizzando forme di didattica a distanza, a causa della pandemia,  ma anche della distanza geografica tra le classi di Bolzano e quella di Addis Abeba.

I FASE: Introduzione al progetto e approfondimento storico
Attraverso un primo incontro online, gli storici Andrea Di Michele – professore associato presso la Libera Università di Bolzano – e Adane Kassie, – Assistant Professor di storia presso la Debre Markos University, Etiopia – hanno introdotto il tema generale del colonialismo italiano in Africa. Successivamente, con una seconda videoconferenza, i:le partecipanti delle due classi di Bolzano sono stati condotti da Andrea Di Michele lungo una passeggiata virtuale tra le vie e i monumenti della città di Bolzano del periodo fascista che recano tracce del passato coloniale. Per farlo è stata utilizzata la piattaforma Story Map di knight lab (https://storymap.knightlab.com/)

II FASE: Lavoro in classe
In un secondo momento, si è svolto un lavoro di approfondimento in classe sui temi affrontati nelle conferenze, con un focus tematico sul coinvolgimento locale al progetto coloniale italiano e su quelli che sarebbero stati gli oggetti della ricerca. Ciò ha consentito di introdurre elementi di base sulla metodologia della ricerca storica e sulla selezione delle fonti da considerarsi pertinenti per il lavoro di ricerca programmato.

Vi è stata poi una discussione sul ruolo della soggettività in storiografia e sull’unilateralità, in particolare, della prospettiva eurocentrica nello studio del passato coloniale. È seguita una fase di lavoro individuale o in piccoli gruppi incentrato sulle varie testimonianze della storia coloniale.

I risultati di questi lavori sono confluiti nella brochure Decolonising minds. Tracing Italian colonial aggressions in Addis Ababa and South Tyrol, che raccoglie tutti i risultati del progetto – compresi quelli dei:lle partecipanti etiopi – e che può essere scaricata alla pagina https://www.oewplus.org/it/materiali-di-lavoro/decolonising/decolonising-minds.

III FASE: Condivisione e presentazione
Attraverso una videoconferenza, gli studenti e le studentesse hanno condiviso i risultati delle rispettive ricerche da Addis Abeba a Bolzano, discutendo anche delle conseguenze del colonialismo per la nostra coesistenza oggi in una comunità globale.

È seguito un momento di  illustrazione pubblica del progetto, con la presentazione della brochure al Liceo Carducci di Bolzano e una conferenza stampa.

A titolo esemplificativo, qui di seguito mostriamo soprattutto la ricerca svolta dalle classi di Bolzano.

 

Attività 1: il colonialismo italiano

Il progetto è stato realizzato con una classe di maturità del  liceo scientifico di lingua tedesca.  L’introduzione tematica dell’insegnante si è concentrata inizialmente sugli eventi relativi all’invasione fascista dell’Etiopia e alle azioni di guerra che hanno violato i diritti umani, nonché sulla percezione e sulla ricezione di questo evento storico nel periodo successivo fino ai giorni nostri. Per molto tempo, la prospettiva coloniale e razzista ha impedito di affrontare l’argomento e, fino ad oggi, ha impedito allo Stato italiano di pagare un risarcimento.

I testi della giornalista keniota Binyavanga Wainaina e della scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie hanno richiamato l’attenzione degli:lle studenti:esse e delle insegnanti su un’immagine stereotipata dell’Africa diffusa e interiorizzata, hanno affrontato la visione coloniale della storia e espresso la loro critica a una visione unilaterale della storia:

La conseguenza della storia unica è questa: priva le persone della loro dignità. Ci rende difficile riconoscere la nostra uguaglianza come esseri umani. Sottolinea le nostre differenze piuttosto che le nostre somiglianze. (…)

Le storie sono state usate per espropriare e diffamare. Ma le storie possono anche essere usate per dare potere e umanizzare. Le storie possono spezzare la dignità di un popolo. Ma le storie possono anche restituire quella dignità.[3]

Fotografie di guerra – fotografie di viaggio

Anche le fotografie raccontano delle storie/la storia; quali storie/quale storia raccontino dipende anche da chi le guarda. La base materiale per il lavoro del progetto è stata la collezione fotografica di Luis Leiter, conservata presso l’Archivio Provinciale dell’Alto Adige. Tale fondo fotografico, interamente digitalizzato, è consultabile online a questo indirizzo:

https://archiviofotografico.provincia.bz.it/SLA_images/category/52

Luis Leiter, nato ad Algund/Lagundo (Bolzano) nel 1910, trascorse 21 mesi come soldato italiano nella guerra d’Abissinia (1935-1936/41). Dopo sei mesi di combattimenti, Leiter rimase in Africa orientale con alcune centinaia di altri sudtirolesi per i restanti 15 mesi come soldato d’occupazione. Come fotografo dilettante, ha immortalato questo periodo con la sua macchina fotografica. Le sue foto documentano la guerra, ma soprattutto la vita quotidiana dei soldati sudtirolesi in Abissinia ed Eritrea. Di questo fondo è stata fatta una preselezione di 30 foto che è stata presentata ad alunni e alunne per una prima  visione. Una coppia di alunni:e ha selezionato una foto ciascuno, in totale sono state inserite nel progetto dodici foto.

In una seconda fase, studenti e studentesse hanno lavorato insieme per capire cosa può comportare l’analisi delle foto e a cosa prestare attenzione. Il linguaggio visivo, in particolare la fotografia, ha i suoi strumenti e le sue regole. Ogni alunno/a ha portato le foto delle sue vacanze in paesi extraeuropei e insieme al resto dei compagni e delle compagne ha discusso su cosa percepiamo come “esotico” e su come questo esotismo viene messo in scena nelle immagini. L’intera classe ha ricevuto una guida metodologica con domande sul motivo, il contesto e la prospettiva delle foto e hanno iniziato a lavorare in coppia sul testo. L’obiettivo era descrivere le foto nel dettaglio, porre domande e offrire interpretazioni. I testi sono stati discussi insieme, sono emerse ulteriori domande e poi i testi sono stati nuovamente rivisti. Alcuni testi sono diventati la versione finale dopo una sola revisione, altri sono stati rivisti tre o quattro volte. La professoressa di inglese ha poi assistito nella traduzione dei testi in inglese, la lingua comune in questo progetto. Di seguito un esempio di descrizione e interpretazione delle immagini

Intimità disturbata 

L’immagine mostra due donne africane, una ragazza più giovane e un bambino. Una delle due donne sta allattando, ma questo momento di intimità tra madre e figlio viene interrotto dai soldati. Le donne africane sono circondate da diversi soldati italiani e sembrano un po’ preoccupate. Le donne sono vestite in modo molto semplice. I loro vestiti sono logori e siedono a piedi nudi sulle pietre. I soldati, invece, sono in uniforme. Già qui si notano le grandi differenze. Si nota subito anche la prospettiva da cui è stata scattata la foto: i soldati guardano le donne etiopi dall’alto in basso. Quando si guarda la foto, ci si sente a disagio, come se si fosse disturbata una situazione molto privata. L’allattamento stesso è qualcosa di molto intimo tra madre e figlio, un momento che non dovrebbe essere disturbato e soprattutto non dovrebbe essere fotografato. L’angolazione da cui è visto il gruppo intensifica ulteriormente questa sensazione di disagio, perché sembra che si stia guardando dall’alto in basso. Sembra che le donne siano sottomesse a noi, perché loro sono sedute e noi siamo in piedi sopra di loro. Sono anche circondate dai soldati in cerchio, il che presumibilmente rende la situazione ancora più scomoda per loro. Si ha la sensazione di essere il fotografo stesso, soprattutto perché la ragazza guarda direttamente nella macchina fotografica. Forse questa angolazione rappresenta la posizione degli europei che vedono la storia. Ma se la foto fosse stata scattata dalla prospettiva delle donne? Allora l’immagine avrebbe un significato completamente diverso e noi ci sentiremmo completamente diversi, perché non conosceremmo la storia dal loro punto di vista. La ragazza sembra molto confusa e dall’espressione del viso si capisce che è un po’ spaventata. Le donne sono sedute molto vicine, presumibilmente per proteggersi a vicenda. Tuttavia, non sembra che i soldati le stiano minacciando. Piuttosto, sembra che abbiano fatto irruzione nella situazione. La foto è molto espressiva e ha immediatamente catturato la nostra attenzione tra la moltitudine di immagini. La prospettiva particolare, la scena insolita e l’intimità disturbata: tutti questi elementi ci hanno spinto a scegliere questa foto. Inoltre, la foto non è in posa, è davvero un’istantanea e quindi molto naturale. Probabilmente siamo stati anche ipnotizzati dalla giovane ragazza che guarda nella macchina fotografica. Come abbiamo già detto, conosciamo la situazione solo dal punto di vista dei soldati; quindi, per noi era importante includere e comprendere anche la prospettiva opposta. Inoltre, forse inconsciamente abbiamo voluto analizzare proprio questa foto perché, in quanto donne, possiamo identificarci in qualche modo con le donne africane presenti nell’immagine. In particolare, possiamo simpatizzare con la ragazza, che deve avere più o meno la nostra età. Tra le donne si crea spesso un legame, indipendentemente dalla loro origine e dalla loro cultura.

 

Con la professoressa di disegno, le classi hanno poi realizzato dei collage utilizzando delle foto di Leitner o altre foto per poi elaborarle e straniandole e così da dare loro un nuovo significato. Anche di questi lavori un esempio, con la didascalia scritta da una alunna.
 

Tourism as colonialism 

Il collage mostra un villaggio etiope. Al centro dell’immagine c’è un soldato bianco circondato da un gruppo di bambini etiopi. Le figure sono tratte da una fotografia di Luis Leitner. Il soldato è circondato dagli abitanti del luogo, alcuni dei quali lo guardano confusi, altri stupiti. Oggetti fortemente contrastanti sono stati deliberatamente disegnati nel quadro con un pennarello nero.

Il collage è una rappresentazione esagerata della gratificazione turistica forzata delle popolazioni indigene attraverso i regali benintenzionati del mondo industrializzato. Il soldato simboleggia l’aggressione e l’appropriazione missionaria, economica e culturale dei popoli indigeni. Alla fine, non si riesce a togliersi di dosso l’impressione dell’autocompiaciuto “uomo bianco” che pone sé stesso, il suo progresso tecnico e la sua cultura al di sopra di quella del villaggio “nero”.

 

Attività 2: tracce del colonialismo nella città di Bolzano

Il progetto, realizzato dalla classe 5H del Liceo Carducci ha voluto riflettere sui monumenti e sull’odonomastica presenti nella città di Bolzano e realizzati durante il ventennio fascista.

Durante il periodo fascista si manifesta l’intento di favorire l’italianizzazione della provincia di Bolzano, annessa nel 1919 e proprio in questi anni, oltre il fiume Talvera si espande un nuovo quartiere dove, a partire da Piazza Vittoria con il Monumento alla Vittoria, troviamo numerosi edifici e una odonomastica dal forte significato simbolico. Proprio dietro al monumento troviamo la Colonna Romana, a lato della piazza le due vie dedicate a Padre Reginaldo Giuliano e Antonio Locatelli che da Piazza Vittoria portano a Piazza IV Novembre, e poco più a sud la Via Amba Alagi. Di notevole interesse sono anche i due bassorilievi posti sul lato destro di Corso Libertà. Su Corso Italia troviamo il Palazzo del Tribunale e di fronte la Casa del fascio (ora Palazzo degli Uffici finanziari). Su quest’ultimo edificio è inserito il bassorilievo di Hans Piffrader con al centro il duce a cavallo, un bassorilievo che racconta la storia del fascismo attraverso le immagini allo scopo di omaggiare il percorso storico che ha portato l’Italia a ritrovare la pace grazie all’operato del Partito fascista.

La classe divisa in gruppi da due ha analizzato, studiato e descritto i monumenti e le vie presenti nel quartiere, fornendo anche una proposta volta a decostruire e controbilanciare i forti contenuti ideologici che tali opere trasmettono.

Esempio 1

L’architettura e l’urbanistica sono stati strumenti essenziali per l’italianizzazione fascista dei diversi territori; Bolzano è tutt’oggi caratterizzata da un’impronta coloniale molto spesso sfuggente agli occhi dei più. È impossibile non dare importanza al monumento di Piazza della Vittoria o al fregio di Piazza Tribunale, ma molte opere lasciate in eredità dagli anni ’30 si confondono con il paesaggio urbanistico, fra queste si trovano i due bassorilievi situati nel passaggio da Piazza della Vittoria verso via Giuliani. Nel bassorilievo posto a destra è raffigurata al centro la personificazione dell’Italia, torreggiante su una famiglia inginocchiata ai suoi piedi; sulla destra il colonizzatore appare dominante sull’uomo a terra sotto di lui — il messaggio di quest’ultimo è il trionfo dell’Italia fascista su quella uscita dalla prima guerra mondiale. L’invasore, oltre ad essere munito di bandiera, mette in evidenza una forte devozione nei confronti della Donna Italia. Il significato dell’opera è crudo, una cieca convinzione di essere portatore di salvezza e di stare dalla parte giusta della storia. È passato quasi un secolo dalla sua creazione, ed oltre al cambio di visuale che contraddistingue l’oggi, ciò che differenzia la Bolzano di adesso da una Bolzano di allora è la riflessione introspettiva di un’intera città, se non nazione. Oggi più che mai si è ben consapevoli delle atrocità che sono state commesse nel nome della “civilizzazione” e che il mito “italiani brava gente” non basta più per coprire tali colpe. I bassorilievi, così come le opere fasciste che si trovano a Bolzano, sono un promemoria con lo scopo di aprire dialoghi e sensibilizzare laddove manca di animo e di memoria. Bisogna rileggere queste opere con consapevolezza e autocritica, lasciando nel passato lo sguardo coloniale.

 

Esempio 2

Durante il periodo fascista furono organizzate spedizioni militari in Africa Orientale, proclamata ufficialmente italiana da Benito Mussolini il 9 maggio 1936 dopo la conquista dell’Etiopia. Tuttavia “l’espansione fascista” non si limitò alla colonizzazione dell’Africa, ma si cimentò anche in una missione italianizzante di Bolzano, cambiando nomi alle vie e alterando l’aspetto urbanistico della città. Corso Libertà è un esempio di quest’opera: prima chiamato Corso Vittorio, successivamente venne ribattezzato Corso IX Maggio e solo dopo la caduta del nazismo il nome fu modificato in quello attuale. All’interno dei portici del corso, in particolare gli archi che portano in via Padre Reginaldo Giuliani furono realizzati, in seguito alle conquiste in Africa, due bassorilievi in rappresentanza della supremazia coloniale italiana. Nella raffigurazione di sinistra, al centro possiamo vedere la personificazione dell’Italia armata di spada e vestita come un’antica romana, mentre ai suoi piedi troviamo degli africani seminudi inginocchiati. Il messaggio che arriva è chiaro: gli italiani sono portatori di civiltà, lavoro e progresso in una terra caratterizzata da barbarie e povertà. Oggi però sappiamo che non è andata così: la spada e lo scudo dell’Italia sono simbolo della violenza usata per sottomettere un popolo che in realtà non aveva bisogno di un intervento esterno che lo “migliorasse”. È importante non cancellare queste tracce del nostro passato per ricordarci che anche l’Italia ha avuto un ruolo nella colonizzazione e quindi che il mito dell’italiano “buono”, secondo cui gli altri stati sono nel torto e noi no, non coincide più con la realtà. Dobbiamo prendere in considerazione le nostre azioni e comprendere che anche noi abbiamo sbagliato e non sempre siamo stati nel giusto.

 

Riflessione finale

L’adozione di un approccio che abbracci la complessità e respinga le semplificazioni rappresenta un passo fondamentale verso una visione più inclusiva e accurata della storia. La realizzazione del progetto ha portato le classi coinvolte a riflettere proprio su questo punto, soffermandosi sui seguenti concetti:

  • necessità di respingere un approccio unilaterale alla storia;
  • valorizzazione della complessità storica;
  • decostruzione delle narrazioni semplificate e stereotipate.

Il progetto, proponibile in numerose realtà urbane italiane, ha dimostrato di potersi svolgere utilmente in modalità ibrida, sia per quanto riguarda gli interventi degli/delle esperti/e che hanno affiancato il lavoro in classe e sul territorio , sia per il confronto e gli scambi di idee tra le classi partecipanti.

 

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
  • A.W. Asseroti, A. Mattioli (a cura di), Der erste faschistische Vernichtungskrieg. Die italienische Aggression gegen Äthiopien 1935-1941, Köln 2006.
  • A. C. Budabin, Heritage politics in the case of Black Lives Matter in Bolzano-Bozen, Italy, in “European Journal of Cultural and Political Sociology”, 10:4, 2023, pp. 577-602, DOI: 10.1080/23254823.2023.2169183
  • S. De Pretto, Im Kampf um Geschichte(n). Erinnerungsorte des Abessinienkrieges in Südtirol, Göttingen 2020.
  • A. Di Michele, Guerre fasciste e memorie divise in Alto Adige/Südtirol, in: Geschichte und Region/Storia e regione, 25. Jahrgang, 2016, Heft 1 – anno XXV, 2016, n. 1
  • E. Flaiano, Tempo di uccidere, Adelphi, 2020, 5ª edizione.
  • A. Giardina, G. Sabbatucci, V. Vidotto, Lo spazio del tempo vol. 3, Laterza.
  • E. J. Hobsbawm, Il Secolo breve. 1914-1991: l’Era dei grandi cataclismi, traduzione di Brunello Lotti; Collana SuperBur Saggi, BUR, 2000.
  • E. J. Hobsbawm, L’Età degli Imperi. 1875-1914 (The Age of Empires), traduzione di Franco Salvatorelli, Laterza, Roma-Bari, 2003-2012.
  • B. Kirchmayr, M. Wurzer (a cura di), Krieg und Fotografie. Neue Aspekte einer alten Beziehung in transnationaler und postkolonialer Perspektive, in “Zeitgeschichte”, 45 (2028) 2.
  • E. Manera, Colonialismo/Un’altra storia? Conversazione con Igiaba Scego e Carlo Greppi, https://www.doppiozero.com/unaltra-storia-conversazione-con-igiaba-scego-e-carlo-greppi (parte I,II,III,IV).
  • I. Scego, La linea del colore, Bompiani, 2020.
  • G. Steinacher, Dall’Amba Alagi a Bolzano, Tracce d’Africa in Alto Adige,  University of Nebraska-Lincoln, https://digitalcommons.unl.edu/historyfacpub/131/
  • G. Steinacher (a cura di), Zwischen Duce und Negus. Südtirol und der Abessinienkrieg (1935-1941), Bozen 2006.
  • N. wa Thiong’o, Decolonising the mind: the Politics of Language in African Literature, Melton 1986.
  • B. Wainaina, Ankleben verboten! 13 Thesen, wie man über Afrika schreiben sollte, aus: Markus Kessel (Hg.): Afrika. Neue Rundschau, Frankfurt a.M. Heft 2 /2009.
  • M. Wurzer, „Reisebuch nach Afrika“. Koloniale Erzählungen zu Gewalt, Fremdheit und Selbst von Südtiroler Soldaten im Abessinienkrieg, in “Geschichte und Region/Storia e regione”, Heft1/2016, S. 68 – 95.

      

MATERIALI VIDEO E AUDIO

 

 


Note:

[1] Ngugi wa Thiong’o: Decolonising the mind: the Politics of Language in African Literature, Melton 1986.

[2] Alexandra Cosima Budabin (2023) Heritage politics in the case of Black Lives Matter in Bolzano-Bozen, Italy, European Journal of Cultural and Political Sociology, 10:4, 577-602, DOI: 10.1080/23254823.2023.2169183.

[3] Chimamanda Ngozi Adichie: The danger of a single story, TED talk 2009.