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Videogiocare la storia tra Public History, usi pubblici e didattica. Introduzione al dossier

Videogiocare la storia tra Public History, usi pubblici e didattica. Introduzione al dossier
Abstract

Introduzione al dossier “Videogiochi, storia e rapporto con il pubblico: MOD, forum, social network”, in cui l’autore fornisce una rapidissima panoramica sul rapporto tra industria videoluduca e ambito culturale-scientifico, per poi soffermarsi maggiormente sui possibili usi pubblici e didattici del videogames. In chiusura viene descritto a grandi linee il contenuto del dossier.

Il videogioco tra industria commerciale e artefatti culturali

L’interesse per il videogioco è in crescita costante nella società odierna. Come strumento di intrattenimento, esso ha ormai detronizzato le altre forme di più lunga tradizione quali la letteratura, il cinema, la televisione o la musica.

Da ciò deriva evidentemente anche una crescita esponenziale del tessuto produttivo, almeno per ciò che riguarda il mondo anglosassone e, in parte, francese. Dal canto suo, l’Italia rimane un mercato qualitativamente interessante, con produzioni di pregevole fattura sia tecnica che contenutistica, ma quasi trascurabile in termini quantitativi per grandezza delle software house e budget connessi. Ciò nondimeno, il nostro Paese è comunque costantemente nella top ten del mercato di consumo, anche grazie all’attività di molti gamer nostrani attivi sui canali Youtube e Twitch..

I motivi di un tale dirompente successo risiedono verosimilmente nell’innalzamento della qualità delle produzioni videoludiche, sia a livello grafico che sceneggiativo, e nella natura intrinsecamente interattiva del gioco, che si differenzia da un film, da un libro o da una serie TV per la capacità di far esercitare al pubblico un’esperienza e un’azione diretta, attraverso la quale si può determinare lo sviluppo di vicende vissute in prima persona, malgrado la mediazione digitale.[1]

La sua grande diffusione si è a lungo accompagnata a resistenze, critiche e persino demonizzazioni. Ancora una volta, lo scenario anglosassone si differenzia da quello italiano per una maggiore consapevolezza sul medium (che potremmo quasi definire media literacy), frutto di partnership tra aziende tecnologiche e agenzie formative, sconosciute alle nostre latitudini. Nel nostro Paese persistono tuttora sacche di enorme diffidenza, nelle quali si arriva persino ad associare il videogioco a molti dei mali della società moderna, a cominciare dalla violenza crescente,[2] quando non vere e proprie patologie cliniche, come l’epilessia.[3] Una parabola analoga, a ben vedere, è stata vissuta da altri nuovi media del passato più o meno recente: ad esempio, ricordiamo ancora cosa si diceva della televisione non più di trent’anni fa. Fortunatamente, anche in Italia queste esagerazioni sono confinate a sacche sempre più minoritarie della società, complice anche un cambio di paradigma a cui hanno contribuito diversi fattori. Significativa in tal senso è stata nel 2017 la dichiarazione dell’allora Ministro della cultura Franceschini, che definì il gioco “un arte da coltivare”.[4] Negli ultimi anni inoltre, il videogioco è diventato oggetto di studio in ambienti accademici[5] soprattutto grazie alla generazione dei primi videogiocatori, nati negli anni Settanta e Ottanta e oggi studiosi e professori universitari di – tra le altre materie – sociologia, storia dei media, storia sociale e public history.

Con questo tuttavia non si vuole apparire ludoentusiasti e non certo per il valore lievemente spregiativo che l’epiteto sottende. Non va ipocritamente taciuto, né ottusamente negato, che Il videogioco, analogamente ad altri prodotti mediatici, presenta insiti vantaggi e altrettanto insite criticità. Non solo: così come accade per i film o gli spettacoli teatrali o i romanzi, possono esserci tanto buoni quanto cattivi prodotti videoludici; o buoni e cattivi utilizzi degli stessi. Il videogioco è uno strumento, che si può leggere, interpretare o usare a seconda delle esigenze o delle inclinazioni. Ha le sue fragilità, che però possono essere sfruttate o ovviate da chi lo utilizza e dai suoi scopi.

 

Strumento didattico e strumento di Public History

Nel suo rapporto con le scienze storiche, il gioco è stato recentemente definito come uno strumento naturale di Public History.[6] Nella sua accezione più fedele, la Public History presuppone il coinvolgimento attivo del pubblico nella costruzione della narrazione storica. E’ il concetto di shared authority, in cui lo storico condivide anche i “ferri del mestiere” con il pubblico. Nei videogiochi (e nei giochi in generale) il pubblico è costituito dai giocatori, che contribuiscono attivamente a creare la narrazione ludica. Anzi, essa è esattamente il prodotto del connubio tra cornice narrativa, meccaniche di gioco, componenti e azione del giocatore. In un gioco in cui vi sia la storicità, anche solo a livello di ambientazione storica. il giocatore diventa pertanto produttore di un contenuto che, in qualche modo, è storico.

La questione è in realtà più complessa di così[7] e non la si approfondirà per mere ragioni di tempo e di spazio. Certamente però, non si può affermare che qualsiasi gioco in cui vi sia della storicità sia automaticamente un prodotto di Public History, per quanto rimanga innegabilmente un suo oggetto di interesse e di studio.

Allo stesso modo il videogioco può avere un’enorme forza dirompente se usato in ambiente didattico: un ice breaker capace di introdurre, semplificare e rendere vivo un particolare evento o processo storico, a cui far seguire tuttavia un momento di debriefing nel quale il/la docente deve scomporre l’esperienza ludica e analizzare quanto sperimentato dagli/dalle alunni/e durante le sessioni di gioco.

L’uso del videogioco in classe si porta appresso tuttavia alcune criticità di non facile soluzione. Da un lato il tema dei costi e delle licenze: non si può acquistare una copia per ogni studente né è teoricamente possibile usarne una con la classe intera, trattandosi spesso di esperienze individuali. Dall’altro lato, rimane insoluto il consueto grande problema del tempo a disposizione, che per gli/le insegnanti di storia è già poco in relazione alle messe di argomenti da trattare.[8] Si può comunque insegnare ai nostri studenti a “giocare bene”: consigliare di privilegiare alcuni prodotti rispetto ad altri o, per gli ordini di scuola superiori, a saper leggere il gioco come un prodotto mediatico della contemporaneità, con i suoi vizi, i suoi pregi e le sue finalità sottintese, spesso figlie della visione della società del creatore o del produttore.[9]

 

Re furfanti e soldati folli

Scrive Ambrose Bierce:

History is an account, mostly false, of events, mostly unimportant, which are brought about by rulers, mostly knaves, and soldiers, mostly fools.[10]

[La storia è un resoconto, per lo più falso, di eventi, per lo più irrilevanti, determinati da governanti, per lo più furfanti, e soldati, per lo più folli.]

 Se ragioniamo di prodotti videoludici ad alto impatto commerciale (e quindi ad ampia diffusione), non possiamo quasi mai sfuggire da questa dimensione. Esistono certo notevoli eccezioni, come la saga di Assassin’s Creed,[11] ma a parte questa e poche altre,  i videogiochi più venduti sono sostanzialmente di due tipi:

  1. Gli “strategici in tempo reale”, dove si sceglie una nazione, una fazione o un popolo da governare e condurre alla conquista del continente o del mondo, come monarchi semi divini e immortali. Questo tipo di gioco porta con sé una fortissima dimensione controfattuale che, se ben studiata e interpretata, può avere ricadute educative interessanti (anche solo nell’instillare l’idea di una storia fluida e non monolitica, come spesso si è portati a pensare).[12]
  2. Gli “sparatutto in soggettiva”, dove si vestono i panni di un soldato chiamato a sfidare da solo – o con i propri compagni – autentiche orde di nemici.

Riflettendo sugli orizzonti temporali e le epoche di riferimento, nella prima tipologia si trovano videogiochi che spaziano dall’evo antico a quello moderno, con una particolare predilezione per l’epoca romana e il Medioevo. Si tratta per lo più di fascinazione e nostalgia. L’età romana (e antica in generale) suscita il rispetto dovuto a un periodo che viene ancora (e spesso) letto come l’apice della società umana. Del Medioevo invece prevale una visione romantica, in cui la guerra è un corpo a corpo nobile e cavalleresco (con buona pace degli arcieri), lontana dal fenomeno di massa evocato dai conflitti della contemporaneità, con i loro milioni di vittime e gli echi fragorosi delle armi da fuoco. Medioevo ed età romana sono poi epoche per certi versi meno complesse rispetto all’età moderna, quando il mondo si allarga, le variabili economiche e sociali si moltiplicano e vengono introdotte tematiche oggi sempre più scottanti quali il colonialismo e lo schiavismo (quest’ultimo incredibile grande assente in quasi tutti i prodotti videoludici).

Nel secondo caso invece è ovviamente la contemporaneità a spadroneggiare e in particolare la Seconda guerra mondiale. La scelta delle case produttrici  è – se vogliamo – utilitaristica e “morale”. La Seconda guerra mondiale permette, più di ogni altro conflitto, di dividere le parti in gioco in modo netto e dicotomico tra buoni e cattivi, in bene e male. Chi mai si pone il dilemma etico se sia giusto o meno sterminare una guarnigione di nazisti? Lo scontro armato diventa così manicheo, lineare, asettico, e la violenza a esso connessa è in qualche modo accettabile perché perpetrata ai danni del “male assoluto”.[13] Non è per altro un caso che i primi due giochi “sparatutto in soggettiva” siano Wolfenstein 3D,[14] in cui il nemico è rappresentato dai nazisti, e Doom,[15] in cui invece si fronteggiano mostri e demoni; né è una coincidenza che una delle saghe belliche più celebri abbia introdotto fin dalla schermata di avvio del gioco World War 2[16] la modalità per combattere i “nazisti-zombie”.[17]

 

Il rapporto con il pubblico

Il dossier si inserisce parzialmente in questo solco. Il testo di Gonzato “Avanti Savoia!” esamina in realtà un contesto di ambientazione piuttosto raro, anche se in crescita soprattutto dopo il centenario del 2014: la Grande guerra. La natura di conflitto di posizione, e quindi statico, privo di una divisione così netta tra bene e male, ha fatto sì che le maggiori case produttrici ignorassero per lungo tempo la Prima guerra mondiale, perché meno appetibile e quindi meno vendibile. A essa sono poi legati, soprattutto in Italia e in Francia, mitizzazioni che sfociano nella sacralità e che per questo ne hanno reso spesso difficoltosa la trasposizione ludica. Né è una prova la polemica di qualche anno fa in riferimento proprio al gioco esaminato da Gonzato nel suo contributo.[18]

I testi a doppia firma (Moles-Rossi e Gonzato-Sorrentino) prendono invece in esame soprattutto l’epoca moderna e quella romana. Perché dunque sono pubblicati su una rivista che studia prevalentemente – e con rarissime eccezioni ben delimitate – il Novecento?

La risposta è nell’approccio. Tutti e tre i saggi non si concentrano su come la storicità entra in questi prodotti videoludici. L’aspetto è menzionato ed è presente, ma l’attenzione volge maggiormente agli effetti che questi giochi producono nel pubblico di riferimento e quindi, di riflesso, nella società. Attraverso i canali social, i forum in rete e l’analisi delle mod[19] è possibile registrare le interazioni che si generano all’interno delle comunità dei videogiocatori e.recepire quali istanze di discorso storico emergono in questi particolare contesti non specialistici; quali esigenze si evidenziano e prevalgono in rapporto all’accuratezza; quali livelli di consapevolezza e conoscenza del passato traspaiono e quali approfondimenti stimolano; quali conoscenze vengono privilegiate dagli utenti, solitamente molto attenti alla cultura materiale – di cui spesso si dimostrano veri esperti – ma poco interessati ai processi storici nel loro complesso; quali usi (e abusi) pubblici o politici erompono e con quali conseguenze.

Si tratta di temi di enorme interesse, prescindendo dalle epoche storiche rappresentate. Riguardano un medium nuovo, sul quale ancora molto è da scoprire, ma di cui certo conosciamo e riconosciamo la capacità di determinare effetti diretti, immediati e tangibili nella nostra società e quindi, conseguentemente, nei nostri studenti e – in numeri sempre maggiori – nelle nostre studentesse. Giochi che, peraltro, per loro costituiscono spesso il primo approccio ad alcuni argomenti storici, in largo anticipo rispetto a quanto vivono nelle aule della loro scuola.

 


Note:

[1] Che pure si fa sempre più evanescente, grazie ai sistemi di realtà virtuale.

[2] M. Pellitteri, M. Salvador, Conoscere i videogiochi. Introduzione alla storia e alle teorie del videoludico, Latina, Tunué, 2014, pp. 148-166.

[3] P. Ortoleva, Prefazione, in M. B. Carbone, R. Fassone (a cura di), Il videogioco in Italia. Storie, rappresentazioni, contesti, Mimesis, Milano 2020, p. 17

[4] F. Cella, Franceschini e il made in Italy: «I videogiochi, un’arte da coltivare», Il Corriere della Sera, 28 settembre 2017 https://www.corriere.it/tecnologia/videogiochi/17_settembre_28/franceschini-made-italy-videogiochi-arte-games-week-3d12be92-a454-11e7-b9ac-71d7c26035bb.shtml; Cinema, Franceschini: firmato il nuovo decreto per il tax credit videogiochi, dal sito del Ministero della cultura www.beniculturali.it/comunicato/20597, url consultate il 17 ottobre 2023.

[5] Solo superficialmente, si ricordano qui i due convegni organizzati dall’Università di Salerno. Programma e sinossi sono consultabili sul sito della stessa Università, alle pagine [www.unisa.it/unisa-rescue-page/dettaglio/id/529/module/87/row/6637/il-videogioco-in-italia-teorie-metodi-e-prospettive e www.unisa.it/unisa-rescue-page/dettaglio/id/529/module/87/row/8974/il-videogioco-in-italia-contesti-nazionali-e-transnazionali, url consultate il 17 ottobre 2023.

[6] I. Pizzirusso, Il videogioco in Italia. Riflessioni e sollecitazioni tra studi interdisciplinari e Public History, in “Italia contemporanea”, n. 303, dicembre 2023. Il testo è frutto di una riflessione non ancora conclusa all’interno del gruppo di lavoro “Storia e gioco” dell’Associazione italiana di Public History (https://aiph.hypotheses.org/il-gruppo-di-lavoro-su-storia-e-gioco, url consultata il 17 ottobre 2023).

[7] Si veda ancora Pizzirusso, 2023.

[8] All’interno del volume L. Boschetti, S. Ditrani, R. Guazzone, Insegnare storia con le nuove tecnologie, Carocci, Roma 2022, vengono prospettate alcune attività didattiche che utilizzano il Discovery tool (https://www.ubisoft.com/it-it/game/assassins-creed/discovery-tour) degli ultimi capitoli della saga di Assassin’s Creed. Si tratta di una modalità “extragame”, che permette l’esplorazione degli scenari del gioco al di fuori della trama, con un evidente scopo didattico. Inserito all’interno di attività più complesse, il Discovery tool è sicuramente un buon modo di integrare il videogioco a lezione, per quanto il suo approccio sia poco ludico e più da visita interattiva.

[9] Per approfondire, si veda R. Guazzone, Cooperate, Deconstruct, Design, in “Public History Weekly”, n. 11, 2023, DOI: dx.doi.org/10.1515/phw-2023-21326.

[10] A. Bierce, The Devil’s Dictionary, 1911

[11] Assassin’s Creed, Ubisoft, 2007.

[12] Si prendano ad esempio i lavori fatti con studenti universitari statunitensi da Martin e Wainwright.

[13] Si elude qui, ma solo per ragioni di spazio, l’importante tema della propaganda militarista che questi giochi operano sottotraccia.

[14] Wolfenstein 3D, Apogee Software, 1992.

[15] Doom. IdSoftware, 1993.

[16] Call of Duty. World War II, Activision Blizzard, 2017

[17] Per approfondimenti: I. Pizzirusso, Da Wolfenstein a Wolfenstein: nazisti-zombie e il concetto di “male assoluto” nell’universo videoludico, in E. Salvatori (a cura di), AIPH 2020 – Book of Abstract, AIPH, 2021, ISBN: 9788894410839

[18] R. Fassone, La guerra ingiocabile. Approcci videoludici alla prima guerra mondiale, in G. Alonge, S. Zanatta (a cura di), La Grande guerra e la memoria contemporanea. Cinema, televisione e cultura visuale (1914-2018), Fondazione Museo storico del Trentino, Trento 2021, pp. 246-257.

[19] Le mod (contrazione di modification) sono un insieme di modifiche estetiche e funzionali a un videogioco, create da professionisti oppure da giocatori appassionati, allo scopo di aggiornare, migliorare o semplicemente rendere diverso il gioco.

Dati articolo

Autore:
Titolo: Videogiocare la storia tra Public History, usi pubblici e didattica. Introduzione al dossier
DOI: 10.52056/9791254695371/06
Parole chiave: , , , ,
Numero della rivista: n.20, dicembre 2023
ISSN: ISSN 2283-6837

Come citarlo:
, Videogiocare la storia tra Public History, usi pubblici e didattica. Introduzione al dossier, Novecento.org, n.20, dicembre 2023. DOI: 10.52056/9791254695371/06

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