Select Page

Il lago e la città. Questioni di sostenibilità ambientale

Il lago e la città. Questioni di sostenibilità ambientale

Foto dell’autrice

Abstract

Il rapporto tra il contesto ambientale e gli insediamenti urbani costituisce una problematica complessa, che coinvolge anche il problema di scelte sostenibili/insostenibili e responsabili/irresponsabili adottate nel corso della storia di una città. L’esempio di Como è, da questo punto di vista, esemplare. Una relazione indissolubile, infatti, si è instaurata, fin dalle origini, fra Como e il suo lago. Lo studio di caso esplora questo rapporto attraverso documenti e mappe utili a ricostruire il caso particolare e a fornire i necessari strumenti per interpretare la questione in termini più generali.

___________________

The relationship between the environmental context and urban settlements is a complex issue, which also involves the problem of sustainable/unsustainable and responsible/irresponsible choices made throughout a city’s history. The example of Como is, from this point of view, exemplary. Indeed, an indissoluble relationship has been established between Como and its lake since its origins. The case study explores this relationship through documents and maps that are useful to reconstruct the particular case and provide the necessary tools to interpret the issue in more general terms.

Premessa

Il rapporto tra il contesto ambientale e gli insediamenti urbani costituisce una problematica complessa, che coinvolge anche il problema di scelte sostenibili/insostenibili e responsabili/irresponsabili adottate nel corso della storia di una città. L’esempio di Como è, da questo punto di vista, esemplare. Una relazione indissolubile, infatti, si è instaurata, fin dalle origini, fra Como e il suo lago. I Romani ne riconoscono la posizione strategica in riva al lago, sia dal punto di vista militare che commerciale. Per avviare l’insediamento antropico della convalle, sulla quale viene innalzata successivamente la città, è stato necessario, in via preliminare, bonificarne le molteplici zone paludose e successivamente, nel corso di tutta la sua storia, costruire argini, deviare torrenti, regolamentare acque, confrontarsi con periodiche inondazioni e problemi di deterioramento ambientale; non ultimo l’inquinamento dovuto alla sviluppo industriale tessile della città.

Per introdurre gli studenti a questa complessità, in occasione della Summer school 2021 della rete Parri, dal titolo Sviluppo sostenibile, ambiente e patrimonio nell’Educazione civica. La centralità della Storia[1], si è costruito lo studio di caso[2] presentato in queste pagine. Gli aspetti che vi vengono indagati vertono intorno a quattro nuclei tematici: 1. la fondazione della città di Como; 2. il perché di una scelta “insostenibile” dal punto di vista ambientale; 3. le continue emergenze che ne sono derivate; 4. la recente idea di costruire delle paratoie per preservarla dalle inondazioni. Per ognuno di questi nuclei tematici viene offerto un vasto apparato di fonti, utilizzabili anche per costruire attività didattiche alternative allo studio di caso (laboratori in classe o lezioni “documentate”).

Questo studio di caso è stato pensato per una classe organizzata in quattro gruppi di lavoro, ciascuno con un proprio “dossier di documenti” e un proprio “dossier di lavoro”, che permettono, a partire dalle fonti, di approfondire alcuni degli aspetti connessi ai diversi gruppi tematici. Al termine dell’attività, la restituzione da parte dei diversi gruppi permette di avere una ricognizione dell’intero “caso di studio” nella sua complessità.

Si può anche scegliere, tuttavia, sulla base degli aspetti che si vogliono maggiormente sottolineare, di far lavorare tutti i gruppi su una sola delle varianti proposte.


 

Testo per docenti

Novum Comum: una città per scelta politica.

Il Lario è un lago glaciale. Ai tempi delle glaciazioni i movimenti dei ghiacciai hanno scavato la conca lacustre direttamente entro la roccia probabilmente rimodellando ampiamente valli preesistenti entro le quali si erano incanalati. Allo sbocco della valle glaciale, in pianura,  viene depositata una enorme quantità di rocce dando luogo ad uno sbarramento, l’anfiteatro morenico, e creando così un lago terminale, allungato in direzione nord-sud, con pareti ripide, profondo al centro e acqua fredda e con poca luminosità in profondità.

Il lago di Como è, infatti, un lago complicato, ricco di feconde contraddizioni; ha un’accentuata direzionalità nord-sud, ma è anche un lago che sembra un fiume e che perciò ha una forte trasversalità; ha molti ingressi principali (o molte uscite), cioè almeno due a sud (Como e Lecco) e due a nord (la valle dell’Adda e quella del Mera); ma ha anche numerosi ingressi secondari (o uscite), cioè ha un bacino enorme e articolato (in proporzione più vasto e articolato di quello degli altri laghi lombardi). A partire da questa situazione, le relazioni tra i paesi rivieraschi sono complesse, instabili, dinamiche, difficilmente identificabili.[3]

Intorno al IX secolo a. C. si insediano i primi abitatori stabili nella zona collinare meridionale, meglio esposti climaticamente, favoriti ecologicamente e collegati all’arco alpino da una serie di percorsi che, mantenendosi sempre sul crinale delle montagne, garantiscono un facile spostamento senza guadi di fiumi e attraversamenti di paludi. Il clima è divenuto relativamente mite, assicurato dalla grande massa d’acqua del lago e dalle montagne che sbarrano l’accesso ai venti freddi settentrionali. La piana interna della convalle (dove verrà fondata Novum Comum) è ancora in massima parte paludosa.

Per quanto riguarda il problema della presunta palude sul fondo della convalle, è vero che questo sarebbe testimoniato da due toponimi della medesima: la moia e rondineto. La moia, corrispondeva all’attuale piazza del Popolo alla confluenza di un corso d’acqua che scendeva dalla Pudenziana con un altro che scendeva da S. Giuliano. Tali corsi erano originati da due fonti cantate da Benedetto Giovio[4] con il nome di Sorga o Fons Lanterii l’una, l’altra con Lacustra o Fons San Juliani. Di questa seconda il Giovio scrive che essa nasceva zampillando con varie polle e che ad essa «bevono gli uomini, gli armenti e le fiere e si dissetano tutti gli uccelli. Da qui un ruscello va ad alimentare le piante, gli alti pioppi e i teneri salici: immesso nei prati produce foraggio per un triplice taglio. Rotolandosi per un luogo precipitoso si associa alle acque amare che generano oppio, i giunchi e la velenosa cicuta, finchè arriva ai lidi dell’ameno Lario … ». […] Rondineto, come è notorio, era la località ove nel secolo XII sorse la chiesa e il monastero degli Umiliati, detta Santa Maria de Rondineto, località sulla quale attualmente sorge il Collegio Gallio. Anche questa località si trovava alla confluenza di abbondanti acque che scendevano dalle vicine alture di S. Giovanni Pedemonte, acque provenienti da due fonti celebrate dal Giovio con il nome di Aventina o Fonte di San Giovanni in Monte, e di Sparga o Fonte di San Giovanni nel Convento nonché dalle acque della Premula o Fonte di Santa Margherita, confinante con il convento d’Arundineto.[5]

Dal VII secolo a.C. Comum Oppidum diventa un centro egemonico di una regione piuttosto vasta che comprende almeno altri ventotto centri infrastrutturali, con preminente funzione di fortificazione e difesa. Como è un emporio commerciale importante in collegamento, anche culturale, con il mondo transalpino, etrusco e attico.

Nel 196 a.C. il console Marco Claudio Marcello sconfigge gli Insubri e i loro alleati proprio nei pressi dell’antica Como, ricevendo la resa della città in collina e dei centri fortificati del territorio. I romani stringono con i comensi un trattato federativo di amicizia: cominciano ad arrivare artigiani e coloni romani, avviando in modo non traumatico un processo di romanizzazione  del territorio.  Nell’89 a.C. un’incursione di Reti devasta la città e ne disperde gli abitanti. Sulla base del trattato di amicizia il console Pompeo Strabone interviene a sostegno di Como, riconducendovi la popolazione e restaurando l’abitato. Como diventa colonia latina.

Nel 77 a.C. avviene la prima sicura immigrazione di coloni romani, circa tremila e le loro famiglie.  Potrebbero essersi fermati nella convalle, zone laterali di Coloniola o Vico, dando inizio alla bonifica dei terreni paludosi.

Con la politica di Cesare diretta all’espansione romana verso nord nei vasti territori gallici, la posizione del Comasco diviene di fondamentale importanza strategica. Cesare conduce a Como cinquemila coloni e fonda, nel 59 a.C., un nuovo grande centro urbano, cui viene imposto il nome di Novum Comum, al centro della convalle avendo bonificato l’area paludosa che esisteva allo sbocco congiunto dei torrenti Cosia (il più importante), Fiume Aperto e Valduce.

Ritornando al problema dei torrenti e ai pericoli connessi ai medesimi, non tanto quanto fattori di impaludamento, ma soprattutto di alluvionamenti, credo che si debbano all’opera dei coloni romani le prime grandi difese contro tali pericoli.
Ad essi infatti la tradizione attribuisce la deviazione del torrente Cosia, che in origine doveva ovviamente scorrere nel centro della convalle, verso settentrione incanalandolo entro due muri, onde portare le sue acque e quelle di tutti gli altri corsi superiori, fra cui il Fiume Aperto, verso il Lago. Ad essi ancora va  probabilmente attribuito la deviazione del Valduce a est dell’attuale Borgo di S. Vitale. Opere senza dubbio di grande impegno, alle quali i Romani erano particolarmente preparati, e che essi probabilmente intrapresero in vista della fondazione, secondo la loro prassi tradizionale, della Novum Comum.
Ma queste due eccezionali opere idrauliche, se da un lato furono provvidenziali per la nostra città, dall’altro, forse perché troppo artificiali rispetto all’andamento naturale dei torrenti, richiesero un continuo impegno di manutenzione.[6]

La situazione instabile dei torrenti deviati creerà sempre notevoli preoccupazioni alla città (frequenti alluvioni) e sarà origine di continui lavori di manutenzione: ripulitura degli alvei, ripristino degli argini.

Da questo momento la città avrà con il lago e le acque una relazione complessa: luogo strategico e di opportunità, causa di insidie e distruzioni.

Per una città situata in riva ad un lago, nel fondo di una valle circondata da montagne, dalle quali scendono numerosi torrenti, il problema delle acque è, ed è sempre stato, ovviamente un problema fondamentale. Lo è stato per i primi abitanti della convalle, lo è stato per i Romani che vi portarono le loro colonie, lo è stato per i nostri antenati che durante il medioevo e l’età moderna troviamo intenti a costruire argini e fare deviazioni e canali, lo è tuttora per noi.[7]

Perché la fondazione di una città “non sostenibile”

Quale è stata la motivazione che ha spinto alla fondazione di una nuova città in una conca in parte paludosa, solcata da torrenti, che in certi momenti dell’anno possono aumentare considerevolmente la portata delle acque, acque che scendono dalle montagne e dalla colline che circondano la convalle? I Romani, esperti in ingegneria idraulica, possono non aver valutato che una tale scelta avrebbe comportato nel corso degli anni e dei secoli continui interventi di manutenzione e il dover affrontare emergenze alluvionali ed esondazioni?

La motivazione risiede certamente nel ruolo strategico che andava assumendo in quel momento, metà I secolo a.C, per l’espansione di Roma verso il nord Europa, il Lario.

Tra i sentieri che le legioni avranno dovuto risalire, gli antichi itinerari lungo cui dall’epoca protostorica merci e viaggiatori trovavano una alternativa ai trasporti per via d’acqua, vi sarà stato quello che, sviluppandosi nella zona pedecollinare, costeggiava le rive del Lario per tutta la loro lunghezza. dirigendosi poi verso i vicini valichi alpini. Transitando per quei sentieri i Romani avranno immediatamente notato quali potenzialità caratterizzassero questa ampia vallata prealpina, con la sua posizione eccezionale sia dal punto di vista strategico sia commerciale: possibile baluardo a difesa delle retrostanti terre padane ed insieme testa di ponte verso le regioni transalpine degli Elvezi e dei Germani.

L’obiettivo di Giulio Cesare era dunque rafforzare Como ed il Lario per la sua importanza quale via di comunicazione con i passi alpini verso l’Europa centrale, teatro delle operazioni militari del proconsole. Comum Oppidum, in collina e orientata a sud, era ovviamente inadeguata: era necessario costruire una città a ridosso del lago, punto di arrivo di molte strade essenziali per la regione padana (Comasina, Valassina),  con un porto adatto alla partenza e all’arrivo di navi finalizzate al trasporto di truppe e vettovaglie verso i passi alpini dello Spluga, del Maloja, del Septimer e dello Julier.

Le comunicazioni tra i vari insediamenti del lago avvengono, allora come per molti secoli a venire, quasi esclusivamente per via d’acqua. La Strada Regina – cioè l’antico percorso via terra, raccordo di antichi impervi sentieri, tracciato lungo la riva occidentale del Lago di Como fra il capoluogo lariano, Chiavenna e Coira, probabilmente, già esistente in tarda età romana ma documentata per la prima volta nel 1187 – sarà adibita prevalentemente ai traffici locali. Costituisce un’infrastruttura complementare al “sistema Lario”, ovvero alla  rete articolata di percorsi che puntano a nord, verso i i valichi alpini, e a sud, verso la valle padana e successivamente Milano.

Tra la città e il Lario la relazione è e sarà sempre strettissima. Como è una delle quattro città romane della penisola (le altre erano Miseno, Ravenna e Aquileia), in cui vi è  un  praefectus classis, cioè un comandante in capo di una delle flotte marine. Il suo compito è organizzare la flotta e difendere la città e il lago dalle improvvide incursioni dei barbari, che spesso calano dai monti per depredare. Nel corso dei secoli il Lario, e con lui la città, divengono spesso teatro di  transito di eserciti e  di guerre navali, per esempio durante la guerra greco-gotica; lo scontro fra Milano e Como (1118-1127) per lo stesso controllo del lago; la contrapposizione fra Impero e Comuni;  le guerre per il controllo del ducato di Milano in epoca Rinascimentale.

Oltre alla flotta militare è molto importante, in epoca romana e nelle successive, la flotta commerciale (Nautae costituiti in Collegium nautarum Comensium): i nautae hanno molti privilegi, godono di immunità ed esenzioni. La navigazione commerciale ha un forte incremento in epoca medioevale a causa del trasporto dei prodotti dai paesi d’origine ai vari monasteri di pianura, del rame proveniente dalla Germania e diretto a Genova (XII secolo).

Quando un porto non è più adatto, perché inadeguato e per l’innalzamento delle acque, ne viene costruito un altro in una nuova posizione (cosa che accade ben due volte nel XIII secolo).

In età viscontea vi è un grande sviluppo di tutto il comparto legato ai commerci e alla nautica militare. I mercanti di Como trafficano in panni francigeni, lane di Inghilterra, sete, velluti, pelli, oro filato, spezie.

Questa grande mole di attività e traffici, soprattutto legata alla concia delle pelli – per la quale il territorio lariano acquisisce negli ultimi secoli una certa notorietà –, alla tintura della lana e allo sbiancamento delle tele, hanno già provocato, in epoca medioevale,  contraccolpi piccoli o grandi sull’equilibrio naturale, e in primo luogo, su quello delle acque dei torrenti e del lago.  Fenomeno che andrà peggiorando sempre più nel corso del tempo. Tanto che, quando nella seconda metà dell’Ottocento,  si apre il dibattito sulla realizzazione dell’acquedotto per la città di Como, non sono poche le voci che fanno notare come tale opera non sia differibile per l’insalubrità dei pozzi della convalle, “inquinati” dagli scarichi industriali, in particolare tintorie, insediatesi nelle immediate vicinanze della città.

Un incremento della navigazione lacustre si verifica durante il periodo della fiera pasquale (citata dal 1280). Nel 1379 viene nominato un Capitano del Lago di Como da Gian Galeazzo Visconti:  ha l’incarico della sorveglianza dei dazi da esigere dalle navi che trafficano sul Lario; con una scorta di sessanta guardie e due corrabiesse [le imbarcazioni rapide di impiego militare citate negli “Statuti di Como”, N.d.A.] perlustra il lago a caccia di contrabbandieri di sale, grano e altre merci. Risiede nella torre di Bellagio.

All’inizio del Quattrocento con Filippo Maria Visconti il naviglio comasco aumenta: si costruiscono o riparano sia navi maggiori (gatto, navi grandi, corrabiesse) sia navi minori (barbotte e brigantini): nel 1432 è registrata una nave da cinquecento uomini (da guerra e da rappresentanza). I costruttori comaschi, abilissimi, si devono spesso recare altrove per riparare o costruire navi occorrenti alla flotta ducale (come nel 1427 sul Lago d’Iseo, dove si reca Pietro da Breggia). Viene istituito l’Ufficiale del naviglio di Como, che ha strette relazioni con il Capitano del Lago.

La diminuzione dei traffici lacustri sotto la dominazione spagnola è una naturale ed inevitabile conseguenza dell’impoverimento delle industrie e dei commerci, che provoca una grande emigrazione di operai e di mercanti dalla città di Como.  Continua invece,  durante le numerose guerre del XVII secolo,  il ruolo strategico del lago. Durante la guerra per la successione monferrina (1613-1617) vengono trasportate più volte truppe  ed artiglierie dal forte di Fuentes[8] per via lacuale nella valle padana.

Esondazioni lacustri, alluvioni, tracimazioni fluviali: una città sempre in emergenza.

Malgrado l’importanza strategica che caratterizza la città sul lago, essa si contraddistingue nel corso dei secoli per una intrinseca fragilità ambientale, dovuta appunto alla sua innaturale ed artificiale collocazione.

Eventi naturali catastrofici si sono succeduti nel corso del tempo: probabilmente dalla fondazione – ma la mancanza di fonti antiche ci impedisce di poterne avere assoluta certezza –, sicuramente dal XIII secolo. (Si veda l’allegato Prospetto esondazioni)

Esondazioni lacustri, alluvioni e tracimazioni fluviali si alternano costantemente.

A Como non è mancato nemmeno il fenomeno rarissimo dell’acquemoto, causato, una prima volta, da un terremoto nel 1255.

[…] due anni dopo d’estate, il Lario e gli altri laghi vicini ebbero scosse di terremoto. Lo stesso Lario, senza colpi di vento, con un flusso e reflusso, lasciò a secco la spiaggia per venti braccia.[9]

Una seconda volta, in questo caso vi sono addirittura due testimoni all’evento, gli storici Benedetto Giovio e Francesco Muralto[10], nel 1505.

Fu di questi tempi, cioè il 6 luglio del 1505, che il Lario e gli altri laghi intorno cominciarono sull’alba a rigonfiare molto come fa il mare col flusso e riflusso; perocchè il nostro lago, dal porto ove erano le navi, come un fiume rapidissimo traboccò in città per circa cinquanta passi, e tosto addietro con tanta lestezza che lasciò nudi i macigni sul basso fondo e i pesci minuti, e ciò senza un fiato di vento. Si ripetè più volte quela giorno questa vicenda, ma sempre più debolmente.[11]

L’acqua arriva vicino al Duomo.

Le esondazioni del lago sono un problema plurisecolare che si trascina fino ai giorni nostri.

La prima esondazione di cui si ha una traccia documentaria è riferibile al 1431. In una lettera ducale datata 20 settembre 1431 viene delegato, in qualità di perito,  l’abate dell’abbazia di Acquafredda al fine di scoprire le cause di tale evento e proporre eventuali soluzioni, dopo aver sentito i deputati delle terre di Lecco, Mandello e Bellano. Per contrastare il problema si decide di creare un  nuovo arco al ponte visconteo di Lecco per permettere maggior deflusso delle acque lacustri. Soluzione insufficiente tanto che, nel 1438 vi è un’altra esondazione dopo la quale gli esperti (ingegneri Pietro da Castel San Pietro, Gregorio da Pizzoleone e Pietro da Breggia), inviati per effettuare un sopralluogo, consigliano di asportare le ghiaie nei pressi del ponte visconteo mentre un’ordinanza proposta dalla città di Como e resa operativa da un decreto ducale impone la rimozione delle peschiere fisse a monte o a valle del ponte stesso.

Le esondazioni non si fermano, però. Nel Quattrocento le fonti ne attestato altre cinque (1470, 1481, 1482, 1487, 1489; nel Cinquecento, secondo alcune fonti quattordici (1502, 1504, 1508, 1520, 1541, 1553, 1567, 1568, 1569, 1570, 1580, 1586, 1588, 1596) secondo altre addirittura venticinque (Battista de Ballerini, Sommario dei testimoni esaminati a favore della città di Como sopra li capitoli della medesima prodotti in Como, Mendrisio, Chiavenna e Lugano, 1581).

Si susseguono azioni per tentare di arginare il problema.

Non erano rimasti però i nostri con le mani in mano. Ci informa il Piazzoli[12] come «Per evitare questi  mali si sono fatti in differenti tempi escavationi di giarra alla bocca del fiume Adda a Lecco et più abbasso, ove fù giudicato necessario tornasse meglio, acciò ch’il natural corpo del fiume fosse più veloce et libero dalli impedimenti e perché così venesse ad abbassarsi il lago, et cessar l’inondazione, o altezza delle acque. L’anno 1571, trattando dei tempi nostri, si diedde principio à fare una escavatione nel detto fiume Adda a Lecco dei quadretti di giarra nu. 61478 qual fu compita l’anno 1577 la qual impresa fù fatta da Francesco Lombardo et Pietro Martire e Marsorate Impresarij,  a sol.  1. den.  3 per quadretto,  come per misure et consegna fatta dal Ingegniere Antonio Piotto Vacallo.  Altra  escavatione fu fatta l’anno 1587 d’altri quadretti di giarra nu. 45078 et de altri nu. 1124 et altri nu. 32 oltre altri quadretti nu. 383 di muro per trattenere la giarra che non scorri nel fiume».  Lavori fatti sotto la sorveglianza dell’ingegnere Piotto Vaccallo o Piotto da Vacallo sopra accennato.[13]

Nei due secoli le fonti attestano anche varie alluvioni e tracimazioni di fiumi.

Nel 1417, il Valduce tracima e danneggia  le mura del Castello della Torre Rotonda (demolito all’inizio del XIX per far spazio al Teatro Sociale), mentre nel 1437 tocca al Fiume Aperto. Nel 1490 il Cosia inonda il Monastero di Rondineto provocando tre vittime. Nel 1506, in contemporanea con una esondazione, una alluvione si abbatte sull’intero borgo di Porta Sala (dal Crocefisso a Piazza Cacciatori delle Alpi).

Le esondazioni riprendono nel nuovo secolo. In quelle del 1614 e 1627 le fonti riferiscono che il lago era entrato all’interno della Cattedrale e per la città si andava in barca. Nel 1643, 1647, 1649 si susseguono altri eventi simili che culminano nell’esondazione del 1673, contemporaneamente con un’inondazione del torrente Cosia, così gonfio da costringere a tagliare alcuni ponti, per dare maggiore sfogo alla corrente. Il 29 giugno le acque, cresciute in pochissimo tempo, arrivano all’altezza di Via Volta, angolo via Raimondi n. 73 dove è tuttora murata una lapide dell’epoca, mentre un’altra lapide è in via Diaz n. 52 ed è riferibile all’evento del 1678.

Et mi feci condurre con una barca per le contrade allagate, et ivi viddi le case, le botteghe, Chiese, ed il corpo di guardia vicino al Molo [oggi piazza Cavour], erano sotto acqua circa una picca … e altro non viddi ne sentij ch’esclami de poveri che si trovavano assediati dall’escrescenza delle acque nelli luoghi più superiori delle case loro per non negare, chiedendo ad alta voce agiutto per Amor d’Iddio, ed elemosina per vivere, non avendo ne acqua da bevere, lasciando giù per tale effetto cestini con le corde dalle finestre e si stima sarebbero morti di fame e sete quando che, dalla Pietà della città non fossero stati soccorsi … ed per questa si grande inondazione sono morti alcuni senza confessione, e senza poter avere i SS.mi Sacramenti, et dopo morti lasciati giù con corde dalle finestre, per dargli sepoltura, stando che non si poteva entrare nelle case loro per l’altezza dell’acqua, che haveva occupato gli uscij. Nel Duomo vi era l’acqua alta, che si andava in barca sino alli scalini dell’Altar Maggiore, et si portò fuori da detto Domo e altre Chiese Parrocchiali da religiosi il SS. O con grandissimo terrore di tutta la città.
Viddi anco le rovine grandi fatte dall’acqua per l’aver gettate a terra muraglie, e balaustre de giardini, et condotto via terreni, guastato giardini, case, monasteri, merci che si trovavano nelle botteghe, magazzini, e nella Dogana vicina al lago ove sono situate la maggior parte delle botteghe del Mercimonio della città pel sbarco delle merci dell’Allemagna, pel traffico con le terre del Lago, con la Valtellina, ed con li Griggioni … persi Oglij, Vini, Grassine e Farina … il Sale nella gabella per buona parte consumato dalle acque … si sono guastate molte migliaia di libri di gallette. Oltre tutti questi casi gravi e nottabili pregiudicij si accresce il fattore dell’Aria che v’ha causando l’acqua infettata per essere entrata nelli sepolcri e nei vasi, cloache destinate a ricevere le immondizie, nel mentre che và giornalmente calando lasciando fanghi e altre lordure che si pol fortemente dubitare d’un qualche morbo generale in detta città.
Mi portai anche in barca nelli Borghi, fuori dalle Muraglie annessi alle Città dalla parte del lago ed entrai nelle contrade e viddi non minori disagi e calamità per non dire maggiori delle già di sopra espresse per la città mentre tutti questi borghi erano tutti sott’acqua in maggior altezza con li poveri sequestrati in casa disperati dalla fame.[14]

Il rischio dell’abbandono della città è reale: urgono provvedimenti atti ad arginare gli eventi catastrofici. Più lettere del podestà Don Giovanni de Galuiz y Valenzuela al Presidente del Senato, riferibili al 1673, descrivono la preoccupazione delle autorità cittadine in merito.

Il timore che i cittadini sieno per disertare la Città per buona parte allagata viene ribadito in un’altra lettera del Podestà al Governatore. Ne sono ragioni: la temuta corruzione dell’aria al declinare dell’inondazione: le perdite che hanno dovuto soffrire nelle merci, sul traffico delle quali la maggior parte trae sostentamento e guadagno: e più la giusta paura di trovarsi nuovamente precipitati a rovina se non si trova un rimedio a tanto danno (si no se hallase algun remedio a tanto mal). E. valga il vero, l’aria mefitica che si sprigionava dalle tombe doveva essere terribile, ed il lettore consideri che molte chiese erano invase dalle acque e che in tutte le chiese i morti avevano sepultura.[15]

Ancora una volta si opta per migliorare la situazione del Ponte di Lecco e dell’Adda (problema delle peschiere abusive), che però non impedisce le esondazioni del 1678, del 1679 e quella “internazionale” del 1689 (ha un grande clamore perché concomitante con la morte del papa comasco Innocenzo XI).

Il Seicento registra anche alcune alluvioni.

Il 14 ottobre 1607 il Cosia allaga interamente i monasteri di Santa Chiara, nell’attuale via Milano, quello di Santa Margherita, via Borsieri, e il Collegio Gallio distruggendo il muro ad ovest: del fatto rimane una lapide conservata nello stesso edificio. Il 17 ottobre del 1610 avviene un evento di grande portata, dovuto all’azione di tutti e tre i torrenti.

Prima di arrivare nell’area di San Martino il Cosia distrusse sette mulini e un torchio; poi nella zona di San Martino, travolse una casa e due mulini, sradicando diversi vigneti. Scendendo ancora distrusse il ponte di San Sebastiano e fece cadere la facciata dell’omonima chiesa (ora San Bartolomeo) ed entrò nel convento di Santa Chiara, mentre il Fiume Aperto, nel borgo di San Rocco, sotto San Lazzaro, svelse un tronco e provocò la morte di due donne. Le acque dei due torrenti e di altre rogge si unirono e allargarono le campagne di San Giuseppe, quindi discesero per il borgo di Porta Torre “aprendo diverse botteghe” ruppero le mura cittadine e trascinarono con sé fino al lago credenze, casse, telai, libri, botti, tavoli e sedie, e nello stesso tempo riempirlo di materiali il fossato e la città che corregga lungo il perimetro delle mura. Parte di queste acque invece di dirigersi per via Milano invasero il borgo dell’Ospedale scendendo per l’attuale via Cadorna, demolendo una porzione dello stesso nosocomio e rovinando le colonne dell’edificio chiamato “la crocetta”. In quest’area lavoravano i conciatori di pelle, e anche il pellame finì nelle fosse del lago, mescolato all’olio e al vino usciti dalle cantine devastate. La vicenda non finì a questo punto, dato che vennero gravemente danneggiati monasteri di San Pietro Celestino (situato presso l’attuale SS. Crocefisso) quello di San Gerolamo, di Santa Margherita e di San Carlo (via Gallio).  Nell’alluvione del 1610 vennero distrutti anche il ponte di Rondineto,  chiamato anche ponte di San Rocchetto e quello a cavallo tra Santa Margherita e il “prato comune” noto come Quarto ponte. Dall’altra parte della città, intanto, il Valduce aveva inondato il borgo di San Vitale (area dell’ex Seminario) e nella sua corsa verso il lago, entrò prima nel monastero di San Lorenzo (via Dante) poi in quello di Sant’Antonio (via Rezzonico). I danni furono ingentissimi, in quanto venne pesantemente compromesso l’intero sistema agricolo della città, allora condotto dai monasteri situati fuori dalle mura. Si corse ai ripari, costruendo una chiusa alla Rienza, una ai Tre Mulini e un’altra al Fiume Aperto, mentre il ponte di San Sebastiano (San Bartolomeo) venne ricostruito ad un’unica campata.[16]

Nel corso del Seicento avvengono altre sette inondazioni con distruzioni (cinta muraria, ponti), morti e feriti: nel 1646, nel 1667, nel 1673.

Nel Settecento si susseguono costantemente nuovi eventi esondativi: il 17 giugno 1703 il lago raggiunge gli organi della cattedrale, il 28 e il 29 i gradini dell’altare maggiore per tornare nel suo alveo solo il 27 luglio; nel 1705 vengono segnalati due punti di esondazione all’altezza di via Muralto (chiesa di San Nazaro) e dell’attuale via Borgovico (area ex caserma dei carabinieri), dove straordinarie frotte di pesci, tinche, invadono gli orti del Convento di San Marco, e putrefacendo producono un nauseabondo odore. Altre esondazioni si ebbero nel 1710, sempre in estate, nel 1714 e nel 1716.  Nel 1714 il nuovo macello viene costruito per rispondere al problema: il pavimento più altro rispetto al calpestio cittadino, la ghiacciaia non interrata al primo piano. Dal 1746 al 1750 accadono cinque esondazioni: quella del 1747 è particolarmente lunga (inizio settembre-inizio ottobre). Dopo tale esondazione si convoca il Congresso di Vaprio, le cui decisioni sono ratificate dal Trattato di Mantova (con la Repubblica di Venezia).

Avendo la Commissione sopra i confini preso in considerazione l’istanza fatta dalla Città e Contado di Como per lo spurgo del fiume Adda nel modo proposto dal fu Ing.re  Ferdinando Pessina sotto li 3 ottobre 1750, e compiuto dall’ingegnere Bernardo, Fratello, sotto lì 6 ottobre 1751, e nel tipo e detto piano annesso,  è venuta in determinare che si mandi ad esecuzione nel modo e forma spiegate nell’annesso appuntamento de’ 28 stesso …. Quindi dalla prefata Ecc.ma Commissione incaricati Noi sottoscritti ci siamo portati alla visita del detto Fiume Adda,  ed avendo seriamente ponderate le determinazioni della prefata Ecc.ma Commissione, siccome lette le relazioni degl’ingegneri Camerali Fratelli Pessina, abbiano divisato le operazioni da farsi necessarie all’intento, cioè di sgombrare il letto dal fiume tanto dagl’impedimenti manufatti, quanto dalla deposizione delle ghiaje ammucchiatesi appunto per l’impedita velocità delle correnti, e di opportunamente, cioè o verso il profondo del Lago ovvero al possibile più a seconda del Fiume dell’Adda, rivolgere gli sbocchi di quattro Torrenti, due de’ quali scendendo dal Bergamasco, e due dal Milanese sboccando rettamente nel fiume, a due s’ incontrano, onde incrocicchiando, conseguentemente elidendosi in gran parte la velocità del Fiume, non possono poi da queste acque esser trasportate quelle materie, che le acque de’ torrenti con seco trascinano. Laonde fattesi da Noi le più mature considerazioni, che la materia delle acque richiede, siamo concordemente di parere, che si debba eseguire quanto segue correlativamente al Tipo generale firmato dal Geometra Carlo Cesare Prina, ed alli due nostri fogli particolari qui ingiunti, uno del contado di Lavello, o di Olginate l’altro.[17]

Con il Congresso di Vaprio si avviano i lavori di ripulitura di tutti i fiumi dalla Bergamasca al Milanese e si sperimenta una macchina per drenare la sabbia, chiamata “rodone”, inventata da padre Nicolò Ghezzi , che entra in uso all’imboccatura del Lago di Olginate nel 1754, ma due anni dopo è trascinata via dalla piena dell’Adda. A Como non rimane che pagare le spese del recupero e della demolizione.

Fra le diverse opere in quel tempo fatte vi fu pure un congegno che il Padre Ghezzi  aveva proposto nelle sue lettere sulle fontane. Questo ordigno altro non era che un lungo cilindro girevole intorno ai suoi perni posati orizzontalmente su due barchette ben ancorate. Al detto cilindro erano applicate ali a guisa di ruote da mulino, ma lunghe quanto il cilindro, e alte quanto è alta l’ acqua dell’ Adda. Sulle ali erano disposte per il lungo punte di ferro. Queste dovran servire di rastello a dar moto ai renaio, che empie quel fondo (a Lecco) sicché la corrente, con tutta quella forza, con cui spinge le ali del cilindro urterà pure e rialzerà quelle arene, in cui si abbattano, e paratie rotolare all’ingiù. Il Padre Ghezzi si riprometteva meraviglie dal suo congegno: messo in opera al principio di maggio, doveva, a detta sua, prima del finire d’ agosto aver sterrato tutto il ponte e nettato a segno che altro più non restasse che a metter in opera le chiuse per poter tenere il lago invariabilmente allo stesso livello.[18]

Ancora una volta, come era capitato da tempo immemore, sorgono contenziosi fra Como e Lecco relativi alla competenza di spesa per far fronte alle esondazioni di Como: questa pretende che Lecco partecipi agli oneri, Lecco sostiene che tutte le azioni siano state inutili, ed inoltre, a svantaggio della città allo sbocco dell’Adda, visto che vedeva rimosse continuamente le lucrose peschiere.

Il delegato della comunità di Lecco nel contenzioso, Francesco Reina, nella sua Memoria al Magistrato Politico Camerale afferma:

[…] Conosciutosi in tal guisa e la inutilità, ed il nocumento delle opere dai Comaschi eseguite, nulla vale a loro il desumerne l’inutilità delle Relazioni de’ Periti, e da venerati Decreti de’ Magistrati … Resterebbe non ostante ai Comaschi, per rendere minori le proprie sciagure, di tentare l’aprimento di un nuovo Emissario in vicinanza della propria Città … e che, con dispendio, e con le profonde regole dell’arte particolarmente eseguito potrebbe riescire loro di qualche vantaggio.[19]

Nel 1792 il lago raggiunge i borghi di Vico e Sant’ Agostino e allaga un terzo della città: le cronache raccontano di molti senzatetto. Ancora in piazza il lago è nel 1795, 1796 e 1797.

Per quanto riguarda le alluvioni la situazione non è migliore: dopo un episodio nel 1752, vi sono le alluvioni del Cosia dell’agosto 1761, che devasta i borghi di San Martino e Vico avvia un principio di epidemia, e quella del 16 e 17 agosto 1765 che principia dalla distruzione dalle chiuse della Rezia, fino ad arrivare al Borgovico provocando danni ingentissimi a costruzioni, strade e soprattutto tutti i mulini della convalle con rischio di carestia. Data la gravità della situazione vengono inviati in città l’ingegner Bonola e il naturalista e matematico Randelli, che propongono la creazione di un argine e due chiuse nella località Rezia e Tre Mulini (un’altra chiusa s’ipotizzata per il Fiume Aperto). Durante i lavori è rimosso un isolotto di sassi presso la Rienza. Al termine dei lavori, però, sopravvene in quel punto un’altra alluvione. Si chiama, allora, il gesuita Giovanni Antonio Lecchi, matematico ed idraulico di Maria Teresa d’Austria, che, nella sua relazione indica di rifare o adeguare i ponti cittadini, risanare il bacino montano e tagliare le piante che minacciano di cadere nel torrente.

La soluzione radicale del problema della pulizia dell’alveo torrentizio nella sua posizione cittadina venne risolta da Cesare Beccaria, che fece impiegare dal 1788 al 1792, gli operai, in quel momento disoccupati a causa di una grave crisi del tessile, allo scavo delle ghiaie fino alla foce del Cosia, con il riempimento del Pra Pasquè e la formazione di un Saliceto.[20]

La situazione non migliora nel corso dell’Ottocento. Nel novembre del 1801, nel giugno 1804 e ancora nel   novembre 1807 il lago raggiunge il Duomo. Nel maggio 1810, nel 1816, 1821, 1823, 1826 vi sono piene di notevole entità. Nel settembre del 1829 l’acqua arriva a piazza Volta, piazza del Vescovado (ora piazza Grimoldi), piazza Duomo, via Volta, Campo Garibaldi, la chiesa di S. Giorgio nel Borgo Vico ed il borgo di Sant’Agostino.

Altri eventi si registrano nell’ottobre del 1844 e del 1851.

Il 18 giugno 1855 l’acqua copre la porzione della città che va dall’attuale piazza Verdi a via Maestri Comacini sino ai giardini di ponente in via Volta: in luglio si annoverano anche tre forti scosse di terremoto, si diffonde il colera che conduce alla morte 490 persone. A settembre vi è una ulteriore esondazione.

Di questi eventi rimane una bella stampa nella quale è evidente la meraviglia della gente che naviga per piazza Duomo,  mentre un cavallo e il suo elegante cavaliere osservano la scena. Una barca entra direttamente in Cattedrale, mentre una contadina con la tipica raggera d’argento nei capelli, si alza le gonne per non bagnarsele (si veda il documento 19).

Nel 1868, anno in cui si inizia a prendere “dati tecnici”, l’acqua raggiunse +0,61 m sulla soglia della porta maggiore del Duomo, +0,81 sul piano base del monumento dedicato a Volta e circa 3,90 m sopra lo zero idrometrico. Dopo un evento nel 1886 (due metri sopra lo zero idrometrico) accade l’esondazione del 1888. Nella notte tra il 9 e 10 settembre l’acqua passa da un livello di 0,90 a 2,12 m sopra lo zero idrometrico, mentre il 12 e 13 settembre l’acqua raggiunge un livello di 3,68 m. L’acqua lambisce l’angolo tra via Porta e via Vittorio Emanuele, la via Sant’Antonio e la scuola Raschi in via Rosselli. Alla soglia della porta maggiore della cattedrale (quotata 200,55 m.s.l.m.) l’acqua arriva al livello di 201,12 m.s.l.m. e tutt’ora si apprezzano sugli stipiti del portale delle piccole righe scalpellate in ricordo di tale esondazione.

Anche la situazione nel versante alluvioni non migliora con l’Ottocento. Malgrado i vari interventi eseguiti, probabilmente non in modo ottimale «in omaggio al vezzo di fare e disfare» (Giambattista Giovio, Alcuni Opuscolij Patri, 1804), vi sono fenomeni come quello del 1808  che danneggiano le chiuse della Rienza, rifatte poi totalmente nel 1817.

Un riepilogo dei punti di rottura degli argini del torrente Cosia e del torrente Valduce nei secoli XII-XIX si trova in Furio Ricci, La terra segnata (p. 80). (Si veda in proposito il documento 20)

La prima esondazione del nuovo secolo è del 1901, con tanto di fotografia di Como sommersa immortalata sulla «Domenica del Corriere». Altre uscite del Lario si ascrivono agli anni 1907, 1917, 1920, 1925; nel novembre 1928 dovono intervenire i soldati del Genio di Pavia per gettare ponti, passerelle, perché a causa del freddo, l’acqua era gelida; nel 1935 e nel 1939 il lago è ancora fuori dall’alveo. Nel 1938 si costituisce il Consorzio dell’Adda, operativo dal 1942 con la costruzione della diga di Olginate e  l’allargamento del letto dell’Adda. Anche se la situazione, con queste azioni, è decisamente migliorata, altre esondazioni vi sono state anche nella seconda metà del Novecento: nel 1951, 1960 nel 1963, nel 1974, nel 1976 aggravate dal fenomeno della subsidenza del suolo nella zona litoranea centrale.  L’esondazione del luglio 1987 è conseguenza della disastrosa alluvione della Valtellina. Nel 1993 l’esondazione del Lario incomincia alle 3 di sabato 25 settembre e si conclude alle 20 di giovedì 28 ottobre, ben 33 giorni dopo. Si tratta di un’esondazione con pochissimi precedenti nel dopoguerra, da quando è stata costruita la diga di Olginate che permette di aumentare notevolmente il deflusso delle acque in caso di piena. Prima di rientrare definitivamente, il lago per tre volte indietreggia, per poi fermarsi e ricominciare ad invadere piazza Cavour e le zone circostanti, raggiungendo alle 22 del 15 ottobre un livello massimo di 265 cm. sopra lo zero idrometrico (il livello medio del lago); da notare che l’acqua incomincia ad invadere la piazza, che è il punto più basso che si affaccia sul Lario, quando si trova a 120 cm. sopra lo zero. Il livello raggiunto è esattamente uguale a quello del luglio 1987 (alluvione in Valtellina). In quell’occasione però il lago era tornato nel suo perimetro in poco meno di una settimana (http://www.meteocomo.it/galleria/thumbnails.php?album=51).

Negli anni Trenta del Novecento (1931-1935) si decide di mettere mano al torrente Cosia e di coprirlo creando Viale Giulio Cesare: è un lavoro molto impegnativo che vede la costruzione di un letto artificiale, il rifacimento dei ponti, l’incanalamento di rogge e di corsi minori. Ma l’8 settembre del 1951 avviene la tragedia: una frana, causata dalle incessanti piogge del mese di ottobre, si stacca a monte (Cascina Poè e Bus), si rovescia nel Cosia e forma una diga alta una cinquantina di metri, creando un bacino d’acqua che, rompendosi, spazza il paese di Tavernerio, distrugge diverse case, provoca sedici morti, alcuni dei quali sono rinvenuti alla foce del torrente, presso i giardini a lago. Un altro pericolo viene vissuto nel 1976, quando il Cosia interrato minaccia di risalire dai tombini a San Bartolomeo.

Con il nuovo secolo le esondazioni continuano: si hanno nel novembre del 2000, nel giugno 2001, nel novembre del 2002 con punti di esondazione in Piazza Cavour, piazza Matteotti, lungolago Trieste, via Foscolo, viale Masia, Tempio Voltiano, Piazza Volta con livello dell’acqua 2,65 metri sopra il livello idrometrico (http://www.centrometeolombardo.com/Files/reportage/OldFoto/Alluvioni/comasco/Nov2002/Como27-11-02parte1.htm).

Altre vi sono nel luglio del 2008, nel maggio 2010, l’11 maggio 2014 e, l’ultima, questa estate a luglio del 2021.

La questione paratie

Con l’alluvione della Valtellina nel 1987, una tragedia che causa 53 vittime e migliaia di miliardi di lire di danni, disastro che a Como comporta l’allagamento di una parte consistente della città (piazza Cavour, piazza Volta arrivando sino al Duomo), viene emanata una legge nazionale ad hoc per rimediare ai danni e prevenire futuri disastri (Legge Valtellina n. 102 del 2 maggio 1990, poi 23 del 1992). Gli interventi, oltre a prevedere azioni nelle zone effettivamente colpite, permettono «esecuzione di opere di protezione, con riguardo specifico alla città di Como».

16 miliardi di lire sono accantonati per la città. Il consigliere del PDS di allora e membro del comitato ristretto chiamato a gestire la legge speciale, Gianstefano Buzzi, dichiara al giornale «La Provincia»: «Bisognava fare qualcosa per Como e decisi di fare qualcosa per finanziare una serie di interventi per mettere in sicurezza il territorio».  Invece si comincia a formare l’idea di fare un piccolo Mose (il Modulo sperimentale elettromeccanico che dovrebbe salvare Venezia dall’acqua alta) comasco che avrebbe dovuto difendere il fronte lago della città fino a 200,30 m s.l.m.

Con i 31 milioni spesi per le paratie (cifra che potrebbe aumentare ancora) Como avrebbe potuto pagare i danni di mille esondazioni – ricorda nel settembre 2014 La Provincia –. E visto che il lago esce in media ogni cinque anni, i soldi sarebbero bastati fino all’anno 7014.

Tra l’altro si stimano, avendo regolato meglio il flusso delle acque, una quindicina di esondazioni lievi ogni 100 anni e solo una importante in questo lasso di tempo.

Quattro anni dopo l’approvazione della Legge Valtellina la Regione Lombardia, con delibera 860, affida l’incarico di redigere un progetto agli architetti Conti, Majone e Terragni. Qualche mese dopo, a metà del 1995, a un anno dall’insediamento, la prima Giunta Botta esprime parere favorevole al progetto preliminare con paratie mobili per 16 miliardi di lire (circa 8 milioni di euro). Nel 1997 la Regione delibera il progetto e il Comune aumenta la spesa per gli incarichi ai progettisti.

Il 21 ottobre del 1998 la seconda Giunta del sindaco Botta, senza passare per una discussione e un voto in Consiglio Comunale, avvia il progetto esecutivo. I costi salgono a 26 miliardi e 500 milioni di lire (circa 13 milioni di euro); per “risparmiare” si inizia a pensare a posare alcune paratie fisse.

Nel 2002 il sindaco Stefano Bruni, succeduto a Botta, prosegue il percorso intrapreso dal centrodestra comasco. Nel dicembre del 2003 viene approvato un nuovo progetto esecutivo da 15 milioni di euro.

L’anno successivo la prima gara d’appalto va deserta e il Comune prevede la possibilità di fare varianti, mentre viene fatta una revisione del progetto convalidata dalla società Inarcheck.

Nel febbraio del 2005 viene riapprovato il progetto così come revisionato: Antonio Viola prende la direzione lavori, Antonio Ferro responsabile unico del procedimento. Un anno dopo l’azienda veneziana Sacaim vince l’appalto dei lavori, dopo l’esclusione della prima classificata per irregolarità contributive. Il contratto viene firmato nel maggio 2007: si prevedono costi per poco meno di 17 milioni di euro.

Dopo una preliminare bonifica dell’area partono i lavori nel gennaio del 2008, che dovrebbero durare 1.085 giorni, con una penale per ogni giorno di sforamento (il termine sarebbe stato il 27 dicembre 2010).

Viene studiata una prima variante, mai approvata, che prevede l’eliminazione del Mose comasco spostando la difesa da in mezzo al lago a riva attraverso la creazione di un muro di contenimento che elimina le scalinate di accesso all’acqua: per lo “scandalo muro”  si dimette l’assessore competente e  viene aperto un procedimento da parte della Provincia per difformità sulle altezze del cantiere. Il 5 dicembre 2009 vengono fermati i lavori.

L’anno successivo la Regione assicura un intervento di oltre 2 milioni di euro e lancia un concorso di idee per la risistemazione completa del fronte lago. Il progetto vincitore viene bocciato dalla Soprintendenza e non se ne fa nulla. Comincia un balletto di sospensioni e riprese dei lavori, con vertenze aperte con la ditta appaltatrice, fino ad arrivare all’inizio del 2012 con l’approvazione di una seconda variante per poco più di 19 milioni di euro e la ripresa dei lavori.

Si arriva quindi a una nuova tornata elettorale e anche a causa dell’immane disastro prodotto, il centrodestra, diviso, perde la città (nelle elezioni precedenti nonostante tutto il sindaco uscente aveva ottenuto più del 56 per cento dei suffragi) e a Bruni succede per il centrosinistra Mario Lucini, che prosegue l’opera.

Però il nuovo sindaco vuole ulteriori approfondimenti, forte anche di un contributo del luglio 2012 del Tavolo della competitività comasco che: «Ritiene necessario, in particolare, pervenire, di concerto con la Regione Lombardia, ad una ridefinizione e ad un ridimensionamento del progetto originario, adeguandolo alle mutate condizioni e operando per limitare l’invasività delle opere», nel dicembre dello stesso anno blocca i lavori per indagini geologiche, sismiche, strutturali, idrauliche, architettoniche e paesaggistico-ambientali.

Le indagini portano nel luglio successivo all’elaborazione di una terza variante e si trova un cosiddetto accordo bonario con Sacaim per contenziosi vari fra amministrazione e ditta appaltatrice per le sospensioni dei lavori e lavori eseguiti male. Il Comune di Como  di impegna a versare quasi 3 milioni di euro (cosa che farà nel maggio del 2014). La Regione interviene per sostenere economicamente il Comune promettendo 13 milioni di euro.

Nel settembre del 2014 viene consegnata la perizia della terza variante: i costi sono lievitati a 32,9 milioni.

Nel mentre il cantiere è fermo. Delle tre aree in cui è diviso, la prima verso i giardini a lago è stata costruita, tranne il definitivo arredo fruibile al pubblico temporaneamente garantito da un accordo con Amici di Como dall’estate del 2013 (dopo un primo intervento dovuto a Zambrotta nel 2011); la seconda, da S. Agostino alla ex biglietteria della Navigazione abbandonata, è bloccata a metà dei lavori; la terza, di fronte a piazza Cavour, non ha visto ancora nessun tipo di intervento.

I lavori rimangono sospesi per l’intervento dell’Autorità Nazionale Anticorruzione e della Corte dei conti: entrambi chiedono chiarimenti su procedure e costi.

Lucini, intanto, lavora per arrivare ad una ripresa dei lavori e, a gennaio 2015, sembra riuscire ad ottenere le autorizzazioni e gli accordi fra tutte le parti coinvolte (Sacaim, Regione, Soprintendenza, ecc.). Il nuovo e ultimo progetto viene presentato in aula consiliare ad aprile (1, 2), ma l’Anticorruzione non concede il nullaosta e blocca tutto.

Sotto la lente di questa Autorità finisce la terza variante perché troppo impegnativa economicamente: non si tratterebbe di affrontare l’imprevisto geologico dei rischi che correrebbero gli edifici edificati fronte lago, ma di vero e proprio progetto differente, a cui si aggiunge l’affido di varie parti del progetto a diversi professionisti senza ricorrere ad un appalto specifico. Si contesta anche la direzione del cantiere affidato a Pietro Gilardoni, al momento dirigente comunale,  che, però,  aveva lavorato per la ditta Sacaim fra il 2007 e il 2008 quando era libero professionista.

L’11 ottobre 2016 Regione Lombardia decide di farsi carico dell’opera (16 milioni di euro circa), affidando a Infrastrutture Lombarde i lavori di manutenzione e pulizia. Infatti all’inizio del 2017 da Sant’Agostino ai Giardini di Ponente, la passeggiata si presentava non fruibile a fronte degli oltre 5.000 mq occupati dalle aree di cantiere e di stoccaggio di materiali. Il costo per questi lavori, avviati nell’aprile del 2017 e conclusi in tempo record dopo circa tre mesi, è stato di 340 mila euro e ha permesso il rifacimento dell’intero perimetro del marciapiede, la rimozione della vecchia biglietteria, il rifacimento della pavimentazione, il ripristino del verde nei pressi dei Giardini di Ponente e infine il recupero del parapetto storico “a timoni”, che nel progetto esecutivo verrà valorizzato quale segnale distintivo della città.

Nel mentre si susseguono una serie infinita di disavventure giudiziarie, che hanno portato alla condanna di quasi tutti quelli che si sono occupati a vario titolo del cantiere, tecnici e un paio di sindaci compresi.

A cura di ILSPA sono state effettuate analisi e verifiche delle soluzioni strutturali ed idrauliche riguardanti le opere di costruzione della nuova Vasca di laminazione “A” e quelle di adeguamento sismico della già esistente Vasca “B”; riguardanti le opere impiantistiche ed architettoniche, per l’allargamento della passeggiata pedonale, per valorizzare l’arredo urbano della città, la realizzazione della nuova biglietteria e della sala d’attesa; nonché quelle relative alla protezione idraulica della sponda e al contenimento delle esondazioni.

A luglio 2020 grazie all’intervento della Regione i lavori, già costati 35 milioni di euro, sono ripresi e per concludere le paratie ne serviranno altri 13.  Secondo l’ultimo cronoprogramma entro aprile 2022 dovrà essere consegnata la prima parte dei lavori, ovvero la nuova piazza di Sant’Agostino e un tratto di Lungo Lario Trieste. A marzo 2023 invece verranno consegnati il restante tratto del lungolago, la zona di fronte a piazza Cavour e la sistemazione della vasca B che va adeguata sismicamente.

RACCOLTA DI DOCUMENTI DISPONIBILI[21]


  

Testo per studenti (o testo-base)

Il Lario è un lago glaciale profondo e freddo, allungato in direzione nord-sud, attraversato dal fiume Adda che sbuca a Lecco e con pareti ripide e torrenti che vi precipitano.

Intorno al IX secolo a. C., nella zona collinare meridionale (Comum Oppidum) si insediano i primi abitatori stabili, mentre la piana interna della convalle a lago è ancora in massima parte paludosa. Dal VII secolo a.C. Comum Oppidum, la protocittà in collina, diventa un emporio commerciale e culturale in contatto con mondo transalpino (a nord) ed Etruschi e Greci (a sud). È un centro a capo di altri ventotto centri sparsi nel territorio circostante, con preminente funzione di fortificazione e difesa. Nel 196 a.C. il console Claudio Marcello sconfigge gli Insubri e i loro alleati presso Comum Oppidum, la città e i centri fortificati si arrendono. I Romani stringono con i Comensi un trattato federativo di amicizia; arrivano artigiani e coloni, avviando la romanizzazione in modo pacifico. Nel  77 a.C. avviene la prima massiccia immigrazione di coloni romani (tremila), che potrebbero essersi stabiliti nelle zone laterali della convalle, dando inizio alla bonifica dei terreni paludosi. Nel 59 a.C., reputando la convalle una zona strategica per l’espansione verso nord, Cesare fonda Novum Comum, facendo deviare torrenti e bonificare paludi.

Da questo momento la città avrà con il lago e le acque una relazione complessa: luogo strategico e di opportunità, causa di insidie e distruzioni. Per quale motivo i Romani, abilissimi “ingegneri” idraulici, non hanno valutato che fondare una città in una conca paludosa, prossima ad un lago alpino, solcata da fiumi che divengono spesso impetuosi per la variabilità delle condizioni atmosferiche, potesse avere conseguenze non sostenibili?

La motivazione risiede nell’aver privilegiato il ruolo strategico del Lario nell’espansione di Roma verso il nord Europa: l’obiettivo di Giulio Cesare è sfruttare il lago come via di comunicazione veloce verso il teatro di operazioni militari romane in sostituzione degli impervi sentieri montani. La vecchia Comum Oppidum in collina è inadeguata allo scopo. Novum Comum si colloca a ridosso del lago, punto di arrivo di molte strade essenziali per la regione padana (Comasina, Valassina), e ha un porto adatto alla partenza e all’arrivo di navi sulle quali trasportare truppe e vettovaglie verso i passi alpini (Spluga, Maloja, Septimer  Julier). In seguito, la città assumerà uno spiccato ruolo commerciale e produttivo.

Malgrado l’importanza strategica che caratterizza la città sul lago, essa si contraddistingue nel corso dei secoli per una intrinseca fragilità ambientale, dovuta appunto alla sua innaturale ed artificiale collocazione. Eventi naturali catastrofici si sono succeduti nel corso del tempo. Esondazioni lacustri, alluvioni e tracimazioni fluviali si alternano costantemente. Le esondazioni del lago sono un problema tipico e plurisecolare che si trascina fino ai giorni nostri. Le azioni per arginare il fenomeno saranno per secoli insufficienti e per lo più inutili e interesseranno non tanto la città di Como, quanto la “rivale” Lecco, luogo di emissione del fiume Adda dal Lario. Nel 1938 si costituisce il Consorzio dell’Adda, operativo dal 1942 con la costruzione della diga di Olginate e  l’allargamento del letto dell’Adda. Con queste azioni la situazione migliora ma non impedisce molte altre esondazioni nella seconda metà del Novecento, aggravate dal fenomeno della subsidenza del suolo nella zona litoranea centrale.

A Como non è mancato nemmeno il fenomeno rarissimo dell’acquemoto – cioè un sorta di maremoto, ma lacustre – documentato ben due volte, nel 1255 e nel 1505.

Per far fronte a tutte queste problematiche, dopo l’alluvione della Valtellina del 1987 (53 vittime e danni ingenti), che ha avuto conseguenze anche a Como con l’allagamento di buona parte della città, il Comune, grazie ai fondi della Legge Valtellina del 1990, riesce a far partire opere per proteggersi dal lago. Dal 1997 si alternano moltissimi progetti (addirittura un piccolo Mose come a Venezia, poi fortemente ridimensionato), che subiscono spesso nel corso del tempo rallentamenti e sospensioni a causa di fallimenti di aziende, inchieste e processi.

Le opere non sono ancora terminate. 

 

DOSSIER DEI DOCUMENTI – GRUPPO 1

Documento 1: caratteristiche del lago di Como
“Il lago di Como è, infatti, un lago complicato, ricco di feconde contraddizioni; ha un’accentuata direzionalità nord-sud, ma è anche un lago che sembra un fiume e che perciò ha una forte trasversalità; ha molti ingressi principali (o molte uscite), cioè almeno due a sud (Como e Lecco) e due a nord (la valle dell’Adda e quella del Mera); ma ha anche numerosi ingressi secondari (o uscite), cioè ha un bacino enorme e articolato (in proporzione più vasto e articolato di quello degli altri laghi lombardi). A partire da questa situazione, le relazioni tra i paesi rivieraschi sono complesse, instabili, dinamiche, difficilmente identificabili.”
(brano tratto da: Fabio Cani, Bisogna giocare di sponda in https://ecoinformazioni.files.wordpress.com/2008/02/ecoinformazioni-383-web.pdf)

Documento 2:  la convalle e l’acqua
“Per quanto riguarda il problema della presunta palude sul fondo della convalle, è vero che questo sarebbe testimoniato da due toponimi della medesima: la moia e rondineto. La moia, corrispondeva all’attuale piazza del Popolo alla confluenza di un corso d’acqua che scendeva dalla Pudenziana con un altro che scendeva da S. Giuliano. Tali corsi erano originati da due fonti cantate da Benedetto Giovio  con il nome di Sorga o Fons Lanterii l’una, l’altra con Lacustra o Fons San Juliani. Di questa seconda il Giovio scrive che essa nasceva zampillando con varie polle e che ad essa “bevono gli uomini, gli armenti e le fiere e si dissetano tutti gli uccelli. Da qui un ruscello va ad alimentare le piante, gli alti pioppi e i teneri salici: immesso nei prati produce foraggio per un triplice taglio. Rotolandosi per un luogo precipitoso si associa alle acque amare che generano oppio, i giunchi e la velenosa cicuta, finché arriva ai lidi dell’ameno Lario …”. […] Rondineto, come è notorio, era la località ove nel secolo XII sorse la chiesa e il monastero degli Umiliati, detta Santa Maria de Rondineto, località sulla quale attualmente sorge il Collegio Gallio. Anche questa località si trovava alla confluenza di abbondanti acque che scendevano dalle vicine alture di S. Giovanni Pedemonte, acque provenienti da due fonti celebrate dal Giovio con il nome di Aventina o Fonte di San Giovanni in Monte, e di Sparga o Fonte di San Giovanni nel Convento nonché dalle acque della Premula o Fonte di Santa Margherita, confinante con il convento d’Arundineto”
(brano tratto da: Matteo Gianoncelli, Como e la sua convalle, 1999, p. 14 e 15).

Documento 3: i Romani bonificano la convalle e fondano Novum Comum
Ricostruzione grafica degli insediamenti romani nella convalle. Al  centro della piana, ormai bonificata, è Novum Comum; a ovest Vico; ad est Coloniola

(tratta da: Como e la sua Storia. Dalla Preistoria all’attualità, Nodo Libri, 1993).

Documento 4: esondazioni e lagomoti nel Rinascimento
“[…] due anni dopo d’estate, il Lario e gli altri laghi vicini ebbero scosse di terremoto. Lo stesso Lario, senza colpi di vento, con un flusso e reflusso, lasciò a secco la spiaggia per venti braccia”.
“Fu di questi tempi, cioè il 6 luglio del 1505, che il Lario e gli altri laghi intorno cominciarono sull’alba a rigonfiare molto come fa il mare col flusso e riflusso; perocché il nostro lago, dal porto ove erano le navi, come un fiume rapidissimo traboccò in città per circa cinquanta passi, e tosto addietro con tanta lestezza che lasciò nudi i macigni sul basso fondo e i pesci minuti, e ciò senza un fiato di vento. Si ripeté più volte quel giorno questa vicenda, ma sempre più debolmente”.
(brani tratti da: Benedetto Giovio, Historiae Patriae libri duo, Como, 1982, p. 13).

 Documento 5: le conseguenze di inondazioni ed esondazioni nel 1600
“Il timore che i cittadini sieno per disertare la Città per buona parte allagata viene ribadito in un’altra lettera del Podestà al Governatore. Ne sono ragioni: la temuta corruzione dell’aria al declinare dell’inondazione: le perdite che hanno dovuto soffrire nelle merci, sul traffico delle quali la maggior parte trae sostentamento e guadagno:  e più la giusta paura di trovarsi nuovamente precipitati a rovina se non si trova un rimedio a tanto danno (si no se hallase algun remedio a tanto mal). E, valga il vero, l’aria mefitica che si sprigionava dalle tombe doveva essere terribile, ed il lettore consideri che molte chiese erano invase dalle acque e che in tutte le chiese i morti avevano sepultura”.
(brano tratto da: Cencio Poggi, Gli introduttori dell’arte della seta in Como, Le piene del Lario, Como 1848, ristampa anastatica a cura della Famiglia comasca, 1990, p. 17). 

DOSSIER DI LAVORO – GRUPPO 1

  1. Dopo aver letto il documento n. 1 rispondi alle seguenti domande:
    1. Perché nel testo si afferma che il lago di Como (Lario) presenta delle “contraddizioni”?
    2. Le caratteristiche del Lago di Como (Lario) implicano quali conseguenze nei territori rivieraschi?
  1. Dopo aver letto il documento n. 2 rispondi alle seguenti domande:
    1. Quali sono i toponimi che fanno supporre l’esistenza di paludi nella convalle (l’attuale sede della città di Como)?
    2. Sottolinea nel testo, con due diversi colori, le parti relative alla Moia e a Rondineto.
  1. Dopo aver osservato attentamente l’immagine del documento 3 rispondi alle seguenti domande.
    1. Dove i Romani costruiscono e fondano Novum Comum ?
    2. Quale forma assume la pianta di Novum Comum ?
    3. Perché i Romani scelgono quella posizione per costruire una nuova città? Qual è il loro fine? Cerca nel testo-base la risposta a questa domanda
  1. Dopo aver letto il documento 4 rispondi alle seguenti domande.
    1. Che cosa si intende per lagomoto?
    2. Quali sono le conseguenze del lagomoto in città?
  1. Svolgi le seguenti attività relative al documento 5
    1. Sottolinea all’interno del documento n. 5 le ragioni per le quali si teme che i cittadini comaschi abbandonino la città dopo le continue esondazioni ed inondazioni del Seicento.
    2. Il testo di Cencio Poggi riprende una lettera ufficiale. Chi è il mittente? Chi è il destinatario?
    3. La fonte in questione è di prima o seconda mano?

DOSSIER DEI DOCUMENTI – GRUPPO 2

Documento 1: caratteristiche del lago di Como
“Il lago di Como è, infatti, un lago complicato, ricco di feconde contraddizioni; ha un’accentuata direzionalità nord-sud, ma è anche un lago che sembra un fiume e che perciò ha una forte trasversalità; ha molti ingressi principali (o molte uscite), cioè almeno due a sud (Como e Lecco) e due a nord (la valle dell’Adda e quella del Mera); ma ha anche numerosi ingressi secondari (o uscite), cioè ha un bacino enorme e articolato (in proporzione più vasto e articolato di quello degli altri laghi lombardi). A partire da questa situazione, le relazioni tra i paesi rivieraschi sono complesse, instabili, dinamiche, difficilmente identificabili.”
(brano tratto da: Fabio Cani, Bisogna giocare di sponda in https://ecoinformazioni.files.wordpress.com/2008/02/ecoinformazioni-383-web.pdf) 

Documento 2:  la convalle e l’acqua
“Per quanto riguarda il problema della presunta palude sul fondo della convalle, è vero che questo sarebbe testimoniato da due toponimi della medesima: la moia e rondineto. La moia, corrispondeva all’attuale piazza del Popolo alla confluenza di un corso d’acqua che scendeva dalla Pudenziana con un altro che scendeva da S. Giuliano. Tali corsi erano originati da due fonti cantate da Benedetto Giovio  con il nome di Sorga o Fons Lanterii l’una, l’altra con Lacustra o Fons San Juliani. Di questa seconda il Giovio scrive che essa nasceva zampillando con varie polle e che ad essa “bevono gli uomini, gli armenti e le fiere e si dissetano tutti gli uccelli. Da qui un ruscello va ad alimentare le piante, gli alti pioppi e i teneri salici: immesso nei prati produce foraggio per un triplice taglio. Rotolandosi per un luogo precipitoso si associa alle acque amare che generano oppio, i giunchi e la velenosa cicuta, finché arriva ai lidi dell’ameno Lario …”. […] Rondineto, come è notorio, era la località ove nel secolo XII sorse la chiesa e il monastero degli Umiliati, detta Santa Maria de Rondineto, località sulla quale attualmente sorge il Collegio Gallio. Anche questa località si trovava alla confluenza di abbondanti acque che scendevano dalle vicine alture di S. Giovanni Pedemonte, acque provenienti da due fonti celebrate dal Giovio con il nome di Aventina o Fonte di San Giovanni in Monte, e di Sparga o Fonte di San Giovanni nel Convento nonché dalle acque della Premula o Fonte di Santa Margherita, confinante con il convento d’Arundineto”.
(brano tratto da: Matteo Gianoncelli, Como e la sua convalle, 1999, p. 14 e 15). 

Documento 3: fiumi e zone paludose della convalle (dove ora si trova la città di Como)
Tavola grafica dei torrenti Cosia, Fiume Aperto e Valduce e delle paludi di Moia e Rondineto


(tratta da: Matteo Gianoncelli, Como e la sua convalle, 1999, allegato).

Documento 4: esondazione del 1673
“Et mi feci condurre con una barca per le contrade allagate, et ivi viddi le case, le botteghe, Chiese, ed il corpo di guardia vicino al Molo [oggi piazza Cavour], erano sotto acqua circa una picca … e altro non viddi ne sentij ch’esclami de poveri che si trovavano assediati dall’escrescenza delle acque nelli luoghi più superiori delle case loro per non negare, chiedendo ad alta voce agiutto per Amor d’Iddio, ed elemosina per vivere, non avendo ne acqua da bevere, lasciando giù per tale effetto cestini con le corde dalle finestre e si stima sarebbero morti di fame e sete quando che, dalla Pietà della città non fossero stati soccorsi … ed per questa si grande inondazione sono morti alcuni senza confessione, e senza poter avere i SS.mi Sacramenti, et dopo moti lasciati giù con corde dalle finestre, per dargli sepoltura, stando che non si poteva entrare nelle case loro per l’altezza dell’acqua, che haveva occupato gli uscij. Nel Duomo vi era l’acqua alta, che si andava in barca sino alli scalini dell’Altar Maggiore, et si portò fuori da detto Domo e altre Chiese Parrocchiali da religiosi il SS.O [Santissimo Sacramento, ovvero le ostie consacrate] con grandissimo terrore di tutta la città”.
(brano di Don Ortensio Cantone, questore del Magistrato straordinario del governo, 15 luglio 1673, tratto da: Furio Ricci, La terra segnata, Editoriale, 2001, pp. 52-53).

 Documento 5: opere per cercare di evitare le esondazioni del Lario
“Non erano rimasti però i nostri con le mani in mano. Ci informa il Piazzoli[22] come “Per evitare questi  mali si sono fatti in differenti tempi escavationi di giarra alla bocca del fiume Adda a Lecco et più abbasso, ove fù giudicato necessario tornasse meglio, acciò ch’il natural corpo del fiume fosse più veloce et libero dalli impedimenti e perché così venesse ad abbassarsi il lago, et cessar l’inondazione, o altezza delle acque. L’anno 1571, trattando dei tempi nostri, si diedde principio à fare una escavatione nel detto fiume Adda a Lecco dei quadretti di giarra nu. 61478 qual fu compita l’anno 1577 la qual impresa fù fatta da Francesco Lombardo et Pietro Martire e Marsorate Impresarij,  a sol.  1. den.  3 per quadretto,  come per misure et consegna fatta dal Ingegniere Antonio Piotto Vacallo.  Altra  escavatione fu fatta l’anno 1587 d’altri quadretti di giarra nu. 45078 et de altri nu. 1124 et altri nu. 32 oltre altri quadretti nu. 383 di muro per trattenere la giarra che non scorri nel fiume”. Lavori fatti sotto la sorveglianza dell’ingegnere Piotto Vaccallo o Piotto da Vacallo sopra accennato”.
(brano tratto da: Cencio Poggi, Gli introduttori dell’arte della seta in Como, Le piene del Lario, Como 1848, ristampa anastatica a cura della Famiglia comasca, 1990, pp. 8-9).

 

DOSSIER DI LAVORO – GRUPPO 2

  1. Dopo aver letto il documento n. 1 rispondi alle seguenti domande:
    1. Perché nel testo si afferma che il lago di Como (Lario) presenta delle “contraddizioni”?
    2. Le caratteristiche del Lago di Como (Lario) implicano quali conseguenze nei territori rivieraschi?
  1. Dopo aver letto il documento n. 2 e il documento 3 esegui le seguenti attività:
    1. Quali sono i toponimi che fanno supporre l’esistenza di paludi nella convalle (l’attuale sede della città di Como)?
    2. Sottolinea nel testo, con due diversi colori, le parti relative alla Moia e a Rondineto.
    3. Quali sono i fiumi che solcano la Convalle e dove si posizionano? Evidenziali con colori diversi.
    4. I Romani si stanziano nella Convalle già nel 77 a.C. Cerca nel testo-base dove si stabiliscono e quali azioni mettono in campo per abitarci stabilmente.
  1. Dopo aver letto il documento 4 rispondi alle seguenti domande.
    1. Dove si sono rifugiati gli abitanti delle case vicine al Molo? Che cosa fanno?
    2. Oltre alle case, quali altri luoghi vengono colpiti?
    3. A tuo parere la fonte in questione è diretta o indiretta? Chi scrive e quale ruolo ricopre?
  1. Svolgi le seguenti attività relative al documento 5
    1. Dove si interviene per evitare le esondazioni del Lario nella città di Como?
    2. Sottolinea all’interno del testo in quali anni sono effettuate le “escavazioni di giarra” (ghiaia). A tuo parere, queste opere sono utili e risolvono il problema? Perché?

DOSSIER DEI DOCUMENTI – GRUPPO 3

Documento 1: caratteristiche del lago di Como
“Il lago di Como è, infatti, un lago complicato, ricco di feconde contraddizioni; ha un’accentuata direzionalità nord-sud, ma è anche un lago che sembra un fiume e che perciò ha una forte trasversalità; ha molti ingressi principali (o molte uscite), cioè almeno due a sud (Como e Lecco) e due a nord (la valle dell’Adda e quella del Mera); ma ha anche numerosi ingressi secondari (o uscite), cioè ha un bacino enorme e articolato (in proporzione più vasto e articolato di quello degli altri laghi lombardi). A partire da questa situazione, le relazioni tra i paesi rivieraschi sono complesse, instabili, dinamiche, difficilmente identificabili.”
(brano tratto da: Fabio Cani, Bisogna giocare di sponda, in https://ecoinformazioni.files.wordpress.com/2008/02/ecoinformazioni-383-web.pdf)

Documento 2: fiumi e zone paludose della convalle (dove ora si trova la città di Como)
Tavola grafica dei torrenti Cosia, Fiume Aperto e Valduce e delle paludi di Moia e Rondineto


(tratta da: Matteo Gianoncelli, Como e la sua convalle, 1999, allegato).

Documento 3: le deviazioni dei torrenti
“Ritornando al problema dei torrenti e ai pericoli connessi ai medesimi, non tanto quanto fattori di impaludamento, ma soprattutto di alluvionamenti, credo che si debbano all’opera dei coloni romani le prime grandi difese contro tali pericoli.
Ad essi infatti la tradizione attribuisce la deviazione del torrente Cosia, che in origine doveva ovviamente scorrere nel centro della convalle, verso settentrione incanalandolo entro due muri, onde portare le sue acque e quelle di tutti gli altri corsi superiori, fra cui il Fiume Aperto, verso il Lago. Ad essi ancora va  probabilmente attribuito la deviazione del Valduce a est dell’attuale Borgo di S. Vitale. Opere senza dubbio di grande impegno, alle quali i Romani erano particolarmente preparati, e che essi probabilmente intrapresero in vista della fondazione, secondo la loro prassi tradizionale, della Novum Comum.
Ma queste due eccezionali opere idrauliche, se da un lato furono provvidenziali per la nostra città, dall’altro, forse perché troppo artificiali rispetto all’andamento naturale dei torrenti, richiesero un continuo impegno di manutenzione.”
(brano tratto da: Matteo Gianoncelli, Como e la sua convalle, 1999, p. 17)

Documento 4: esondazione del Lario del 1673
“Viddi anco le rovine grandi fatte dall’acqua per l’aver gettate a terra muraglie, e balaustre de giardini, et condotto via terreni, guastato giardini, case, monasteri, merci che si trovavano nelle botteghe, magazzini, e nella Dogana vicina al lago ove sono situate la maggior parte delle botteghe del Mercimonio della città pel sbarco delle merci dell’Allemagna, pel traffico con le terre del Lago, con la Valtellina, ed con li Griggioni … persi Oglij, Vini, Grassine e Farin … il Sale nella gabella per buona parte consumato dalle acque… si sono guastate molte migliaia di libri di gallette. Oltre tutti questi casi gravi e nottabili pregiudicij si accresce il fattore dell’Aria che v’ha causando l’acqua infettata per essere entrata nelli sepolcri e nei vasi, cloache destinate a ricevere le immondizie, nel mentre che và giornalmente calando lasciando fanghi e altre lordure che si pol fortemente dubitare d’un qualche morbo generale in detta città.
Mi portai anche in barca nelli Borghi, fuori dalle Muraglie annessi alle Città dalla parte del lago ed entrai nelle contrade e viddi non minori disagi e calamità per non dire maggiori delle già di sopra espresse per la città mentre tutti questi borghi erano tutti sott’acqua in maggior altezza con li poveri sequestrati in casa disperati dalla fame”.
(brano di Don Ortensio Cantone, questore del Magistrato straordinario del governo, 15 luglio 1673, tratto da: Furio Ricci, La terra segnata, , 2001, pp. 52-53).

Documento 5: la macchina di Niccolò Ghezzi
“Fra le diverse opere in quel tempo fatte vi fu pure un congegno che il Padre Ghezzi  aveva proposto nelle sue lettere sulle fontane. Questo ordigno altro non era che un lungo cilindro girevole intorno ai suoi perni posati orizzontalmente su due barchette ben ancorate. Al detto cilindro erano applicate ali a guisa di ruote da mulino, ma lunghe quanto il cilindro, e alte quanto è alta l’ acqua dell’ Adda. Sulle ali erano disposte per il lungo punte di ferro. Queste dovran servire di rastello a dar moto al renaio, che empie quel fondo (a Lecco) sicché la corrente, con tutta quella forza, con cui spinge le ali del cilindro urterà pure e rialzerà quelle arene, in cui si abbattano, e paratie rotolare all’ ingiù. Il Padre Ghezzi si riprometteva meraviglie dal suo congegno: messo in opera al principio di maggio, doveva, a detta sua, prima del finire d’ agosto aver sterrato tutto il ponte e nettato a segno che altro più non restasse che a metter in opera le chiuse per poter tenere il lago invariabilmente allo stesso livello”.
(brano tratto da: Cencio Poggi, Gli introduttori dell’arte della seta in Como, Le piene del Lario, Como 1848, ristampa anastatica a cura della Famiglia comasca, 1990, p. 27).

DOSSIER DI LAVORO – GRUPPO 3

  1. Dopo aver letto il documento n. 1 rispondi alle seguenti domande:
    1. Perché nel testo si afferma che il lago di Como (Lario) presenta delle “contraddizioni”?
    2. Le caratteristiche del Lago di Como (Lario) implicano quali conseguenze nei territori rivieraschi?
  1. Dopo aver letto il documento n. 2 e il documento 3 esegui le seguenti attività:
    1. Quali sono i fiumi che solcano la Convalle e dove si posizionano? Evidenziali con tre colori diversi nel documento 2
    2. Quali sono le zone paludose presenti in convalle e dove si posizionano? Evidenziale con il colore blu nel documento 2
    3. Chi devia i tre torrenti presenti nella convalle e perché? Come cambia il corso dei torrenti dopo le opere idrauliche eseguite?
    4. Quali sono le conseguenze dei lavori di deviazione dei torrenti?
  1. Dopo aver letto il documento 4 rispondi alle seguenti domande.
      1. Dopo aver letto il documento 4 spunta solo i riferimenti agli oggetti danneggiati dall’esondazione presenti nel testo.
        Muraglie (muri di contenimento) Olii
        Sale Sepolcri
        Castelli Soffitte
        Monasteri Musei
        Caserme Vini
        Frutta Carne
        Pesce Farina
    1. Dal testo si possono trarre alcune località con cui la città di Como commercia? Quali sono e dove si trovano?
    2. Perché Don Ortensio Cantone afferma che anche l’aria è infetta?
  1. Svolgi le seguenti attività relative al documento 5
    Macchina di Niccolò Ghezzi
    NB: La macchina di Niccolò Ghezzi viene distrutta quasi subito da una piena.

    1. Dove si posiziona la macchina di Niccolò Ghezzi per evitare le esondazioni del Lario nella città di Como?
    2. A cosa serviva la macchina di Niccolò Ghezzi?
    3. La macchina di Nicolò Ghezzi non sarà uno strumento utile ad impedire le esondazioni del Lario. Quale azione permette un notevole miglioramento della situazione? Cerca nel testo-base la risposta a questa domanda.

DOSSIER DEI DOCUMENTI – GRUPPO 4

Documento 1: il problema delle acque
“Per una città situata in riva ad un lago, nel fondo di una valle circondata da montagne, dalle quali scendono numerosi torrenti, il problema delle acque è, ed è sempre stato, ovviamente un problema fondamentale. Lo è stato per i primi abitanti della convalle, lo è stato per i Romani che vi portarono le loro colonie, lo è stato per i nostri antenati che durante il medioevo e l’età moderna troviamo intenti a costruire argini e fare deviazioni e canali, lo è tuttora per noi”
(brano tratto da: Matteo Gianoncelli, Como e la sua convalle, 1999, p. 13).

Documento 2: il ruolo strategico di Novum Comum
Carta delle principali strade romane della Lombardia occidentale e dei passi alpini.


(tratta da: Como e la sua Storia. Dalla Preistoria all’attualità, Nodo Libri, 1993)

Documento 3: le distruzioni provocate dal Cosia
“Prima di arrivare nell’area di San Martino il Cosia distrusse sette mulini e un torchio; poi nella zona di San Martino, travolse una casa e due mulini, sradicando diversi vigneti. Scendendo ancora distrusse il ponte di San Sebastiano e fece cadere la facciata dell’omonima chiesa (ora San Bartolomeo) ed entrò nel convento di Santa Chiara, mentre il Fiume Aperto, nel borgo di San Rocco, sotto San Lazzaro, svelse un tronco e provocò la morte di due donne. Le acque dei due torrenti e di altre rogge si unirono e allargarono le campagne di San Giuseppe, quindi discesero per il borgo di Porta Torre “aprendo diverse botteghe” ruppero le mura cittadine e trascinarono con sé fino al lago credenze, casse, telai, libri, botti, tavoli e sedie, e nello stesso tempo riempirlo di materiali il fossato e la città che corregga lungo il perimetro delle mura. Parte di queste acque invece di dirigersi per via Milano invasero il borgo dell’Ospedale scendendo per l’attuale via Cadorna, demolendo una porzione dello stesso nosocomio e rovinando le colonne dell’edificio chiamato “la crocetta”. In quest’area lavoravano i conciatori di pelle, e anche il pellame finì nelle fosse del lago, mescolato all’olio e al vino usciti dalle cantine devastate. La vicenda non finì a questo punto, dato che vennero gravemente danneggiati monasteri di San Pietro Celestino (situato presso l’attuale SS. Crocefisso) quello di San Gerolamo, di Santa Margherita e di San Carlo (via Gallio).  Nell’alluvione del 1610 vennero distrutti anche il ponte di Rondineto,  chiamato anche ponte di San Rocchetto e quello a cavallo tra Santa Margherita e il “prato comune” noto come Quarto ponte. Dall’altra parte della città, intanto, il Valduce aveva inondato il borgo di San Vitale (area dell’ex Seminario) e nella sua corsa verso il lago, entrò prima nel monastero di San Lorenzo (via Dante) poi in quello di Sant Antonio (via Rezzonico). I danni furono ingentissimi, in quanto venne pesantemente compromesso l’intera sistema agricolo della città, allora condotto dai monasteri situati fuori dalle mura. Si corse ai ripari, costruendo una chiusa alla Rienza, una ai Tre Mulini e un’altra al Fiume Aperto, mentre il ponte di San Sebastiano (San Bartolomeo) venne ricostruito ad un’unica campata.”
(brano tratto da: Furio Ricci, La terra segnata, Editoriale, 2001, pp. 78-80).

Documento 4: il Congresso di Vaprio
Congresso di Vaprio
“Avendo la Commissione sopra i confini preso in considerazione l’istanza fatta dalla Città e Contado di Como per lo spurgo del fiume Adda nel modo proposto dal fu Ing.re  Ferdinando Pessina sotto li 3 ottobre 1750, e compiuto dall’ingegnere Bernardo, Fratello, sotto lì 6 ottobre 1751, e nel tipo e detto piano annesso,  è venuta in determinare che si mandi ad esecuzione nel modo e forma spiegate nell’annesso appuntamento de’ 28 stesso …. Quindi dalla prefata Ecc.ma Commissione incaricati Noi sottoscritti ci siamo portati alla visita del detto Fiume Adda,  ed avendo seriamente ponderate le determinazioni della prefata Ecc.ma Commissione, siccome lette le relazioni degl’ingegneri Camerali Fratelli Pessina, abbiano divisato le operazioni da farsi necessarie all’intento, cioè di sgombrare il letto dal fiume tanto dagl’impedimenti manufatti, quanto dalla deposizione delle ghiaje ammucchiatesi appunto per l’impedita velocità delle correnti, e di opportunamente, cioè o verso il profondo del Lago ovvero al possibile più a seconda del Fiume dell’Adda, rivolgere gli sbocchi di quattro Torrenti, due de’ quali scendendo dal Bergamasco, e due dal Milanese sboccando rettamente nel fiume, a due s’ incontrano, onde incrocicchiando, conseguentemente elidendosi in gran parte la velocità del Fiume, non possono poi da queste acque esser trasportate quelle materie, che le acque de’ torrenti con seco trascinano. Laonde fattesi da Noi le più mature considerazioni, che la materia delle acque richiede, siamo concordemente di parere, che si debba eseguire quanto segue correlativamente al Tipo generale firmato dal Geometra Carlo Cesare Prina, ed alli due nostri fogli particolari qui ingiunti, uno del contado di Lavello, o di Olginate l’altro.”
(brano tratto da: Cencio Poggi, Gli introduttori dell’arte della seta in Como, Le piene del Lario, Como 1848, ristampa anastatica a cura della Famiglia comasca, 1990, pp. 25-26).

Documento 5: stampa dell’esondazione del lago del 1855
Stampa di Piazza Duomo durante l’esondazione del Lario del 1855.

DOSSIER DI LAVORO – GRUPPO  4

  1. Dopo aver letto il documento n. 1 rispondi alle seguenti domande:
    1. Perché, a tuo avviso, il problema delle acque è fondamentale per la città di Como?
    2. Da quanto tempo viene affrontato il problema delle acque?
  1. Dopo aver visionato il documento n. 2 esegui le seguenti attività:
    1. In antico sono presenti molte strade in Lombardia? In che direzione si sviluppano?
    2. Quali sono le città collegate dalle varie strade? Cerchiale nel documento
    3. Il Lago di Como è interessato da ben tre strade? Dove corrono? Indicale con colori diversi nel documento
    4. I Romani fondano Novum Comum anche per utilizzare la via d’acqua del Lago di Como per trasportare velocemente truppe e merci verso i passi alpini. Perché non le strade già esistenti? Sviluppa delle ipotesi in merito aiutandoti con il testo-base.
  1. Dopo aver letto il documento 3 rispondi alle seguenti domande.
    1. Quali danni compie il Cosia durante l’alluvione del 1610?
    2. Il Cosia, il Fiume Aperto ed altri torrenti entrano nella città murata. Fai un elenco delle conseguenze della forza devastante delle acque.
    3. Quali provvedimenti si prendono dopo l’alluvione
  1. Dopo aver letto il documento 4 completa la tabella sottostante.
Istanza presentata da
Fine dell’Istanza
Progetto del piano di
Operatività del piano (cosa si dovrebbe fare)
  1. Osserva il documento 5 e descrivi quello che viene rappresentato nel dettaglio

BIBLIOGRAFIA:

Articoli, saggi, monografie:

  • Cani, Bisogna giocare di sponda, in https://ecoinformazioni.files.wordpress.com/2008/02/ecoinformazioni-383-web.pdf
  • Como e la sua Storia. Dalla Preistoria all’attualità, Nodo Libri, 1993.
  • Comune di Como – componente geologica, idrogeologica e sismica (a cura di D. D’Alessio e A. Gentilini), Piano di governo del territorio (Lr. 12/2005 e smi), Allegato D4. Schede alluvioni e inondazioni, settembre 2010
  • Gianoncelli, Como e la sua convalle, NewPress, Como 1999.
  • Ricci, La terra segnata, Editoriale, Como 2001.
  • Cencio Poggi, Gli introduttori dell’arte della seta in Como, Le piene del Lario, Como 1848, ristampa anastatica a cura della Famiglia comasca, 1990

Galleria fotografiche online delle esondazioni:

Articoli e video online sulla questione delle paratie:


Note:

[1] Molte delle relazioni degli esperti intervenuti alla Summer sono state pubblicate nel dossier di Andrea F. Saba and Nadia Olivieri, Sviluppo sostenibile, ambiente e patrimonio nell’Educazione civica. La centralità della Storia, (https://www.novecento.org/elenco-dossier/sviluppo-sostenibile-ambiente-e-patrimonio-nelleducazione-civica-la-centralita-della-storia-7520/).

[2] Per la presentazione di questa metodologia didattica, si rimanda ad A. Brusa, Gli studi di caso. Insegnare storia in modo partecipato e facile, in “Novecento.org”, n. 3, 2014. DOI: 10.12977/nov39.

[3] F. Cani, Bisogna giocare di sponda, in https://ecoinformazioni.files.wordpress.com/2008/02/ecoinformazioni-383-web.pdf.

[4] Benedetto Giovio (Como, 1471 – Como, 3 agosto 1545), benchè fosse di professione notaio era un colto uomo di lettere, appassionato di storia locale. Si occupò dell’istruzione dei fratelli, tra cui il più famoso Paolo, archiatra di papa Clemente VII, ma soprattutto umanista creatore del concetto moderno di Museo, di cui realizzò il primo esempio nel quartiere di Como del Borgovico. L’opera principale composta da Benedetto Giovio è  la Historia patria, in due libri. Il primo libro è dedicato alla ricostruzione delle origini e della storia della città di Como fino all’anno 1532; il secondo, a completamento del precedente, presenta un elenco dei vescovi di Como e dei luoghi sacri della città e del contado, tratta del sito originario della città, dei suoi più antichi edifici e degli uomini più illustri di Como, dal poeta Cecilio Stazio, ai Plinio a suo fratello Paolo. Le fonti citate, invece, appartengono alla raccolta di liriche Carmina (1959, p. 124).

[5] M. Gianoncelli, Como e la sua convalle, NewPress, Como 1999, p. 14 e 15.

[6] Gianoncelli, 1999, p. 17.

[7] Gianoncelli, 1999, p. 13.

[8] Il forte fu edificato nel 1603 sul colle di Montecchio Est, per controllare il Pian di Spagna, una piccola pianura, estesa poco meno di 1600 ettari, posta alla confluenza della Valtellina e della Valchiavenna, tra il Lago di Mezzola e la porzione più settentrionale del Lago di Como. La fortificazione aveva come scopo impedire ogni velleità di espansione dei Grigioni, che intendevano allargare il proprio dominio dalla Valtellina e dalla Valchiavenna fino all’Alto Lago di Como. Dopo alterne vicende venne distrutto nel 1796 dalle truppe napoleoniche. Attualmente i ruderi sono sede museale.

[9] B. Giovio, Historiae Patriae libri duo, Como, 1982, p. 13.

[10] Francesco Muralto è un giureconsulto comasco della fine del XV secolo.

[11] Giovio, 1982, p. 13.

[12] Discorso di Cesare Piazzoli Sindaco del Contado, Como 1614.

[13] C. Poggi, Gli introduttori dell’arte della seta in Como, Le piene del Lario, Como 1848, ristampa anastatica a cura della Famiglia comasca, 1990, pp. 8-9.

[14] Don Ortensio Cantone, questore del Magistrato straordinario del governo, 15 luglio 1673, in F. Ricci, La terra segnata, Editoriale, Como 2001, pp. 52-53.

[15] Poggi, 1990, p. 17.

[16] Ricci, 2001, pp. 78-80.

[17] Poggi, 1990, pp. 25-26.

[18] Poggi, 1990, p. 27.

[19] Poggi, 1990, p. 32.

[20] Ricci, 2001, p. 84.

[21] Nei dossier preparati per gli studenti, i documenti sono stati rinumerati.

[22] Discorso di Cesare Piazzoli Sindaco del Contado, Como 1614.