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Parlamento europeo, elezioni e partiti fra europeismo ed euroscetticismo

Parlamento europeo, elezioni e partiti fra europeismo ed euroscetticismo

By DiliffOwn work, CC BY-SA 3.0, Link

Abstract

Il Parlamento europeo è l’organo rappresentativo della volontà politica dei cittadini dell’Unione. Dall’istituzione dell’elezione diretta a suffragio universale, che risale al 1978, si è registrata una costante diminuzione della partecipazione al voto, attestatasi nelle ultime due tornate intorno al 42 per cento. Il fenomeno si è accompagnato nell’ultima consultazione alla crescita generale di consenso verso partiti e movimenti euroscettici o antieuropeisti; tale concomitanza genera interrogativi sulle prospettive del processo di integrazione. L’interesse politico negli stati membri dell’Ue ha una caratterizzazione prevalentemente nazionale: l’organizzazione della politica a livello europeo richiede una conoscenza più approfondita e una maggiore attenzione dell’opinione pubblica, per assecondare processi di cambiamento democratico che sono stati individuati fra le più urgenti priorità dalla Commissione europea presieduta da Juncker.

Parlamento europeo, elezioni e partiti fra europeismo ed euroscetticismo

Destinazione didattica

Il dossier è stato progettato per un percorso relativo a Cittadinanza e Costituzione destinato al triennio degli Istituti di istruzione secondaria superiore, in particolare per le classi terze, essendo incentrato su nuclei tematici quali la partecipazione alla vita pubblica e la cittadinanza europea, anche in vista della possibile estensione del diritto di voto a sedici anni: In alternativa può costituire strumento di approfondimento interdisciplinare storico-giuridico per le classi quinte degli istituti in cui il curriculum preveda l’insegnamento del diritto.

I prerequisiti richiesti sono la conoscenza generale della storia dei processi di integrazione europea e nozioni elementari di storia politica del secondo Novecento.

L’Europa sconfitta alle elezioni

Le elezioni europee del 2014, cadute nel pieno della crisi dell’Eurozona e delle misure di austerità applicate, in particolare, ai paesi mediterranei, si sono svolte sotto un pesante clima di sfiducia verso i trattati e le convenzioni su cui si incardina l’Unione europea, oltre che verso i partiti tradi­zionali che furono attori del processo di integrazione avviatosi dal 1948. In molti paesi dell’Ue i partiti nazionali euroscettici o apertamente ostili all’integrazione europea, marginali sino ad allora nel quadro politico continentale, hanno accresciuto i consensi rafforzando la loro presenza nel Parlamento europeo (Pe), dove i deputati che hanno aderito a gruppi di orientamento anti­euro­peista sono passati da 31 nel 2009 a 81 nel 2014.

Questo fenomeno si inserisce in una prospettiva di costante crescita dell’astensionismo elettorale dal 1979, anno della prima elezione diretta a suffragio universale del Pe, al 2014: le consultazioni europee, spesso interpretate come occasione di giudizio politico interno sull’operato dei vari governi, non sembrano suscitare la necessaria attenzione sull’assetto politico comunitario.

Due cause della sfiducia

Per giustificare il disinteresse politico e civico verso gli appuntamenti elettorali europei si è soliti accusare il deficit di democrazia che caratterizza l’Unione e soprattutto il ruolo scarsamente decisionale del Pe, argomento che appare attenuato dalle trasformazioni intervenute con il Trattato di Lisbona, che ha ampliato i poteri dell’Europarlamento.

Il deficit che appare più rilevante sul piano politico è invece l’insufficiente azione svolta da partiti e movimenti europei, molto meno incisivi nel panorama civico, se non addirittura assenti, rispetto ai partiti nazionali; tra le conseguenze di questo deficit vi sono la lentezza e la difficoltà di costruzione di un ceto politico specificamente europeo che guardi ai cittadini anziché alle istituzioni dell’Ue.

L’obiettivo che si propone questo dossier è quello di approfondire la conoscenza di strutture e forme dell’organizzazione politica a livello europeo, attraverso una sintetica ricostruzione storica elettorale e uno sguardo approfondito sugli attuali scenari, dove recitano protagonisti tradizionali accanto a nuovi soggetti che si schierano in gran parte su posizioni radicali, mentre le recenti e contrastanti esperienze della Brexit e delle elezioni presidenziali francesi fortemente giocate sul tema europeo sembrano il preludio di nuove profonde e contrastanti trasformazioni.

Breve storia del Parlamento Europeo (Pe): 1979-2014

Il Pe prima del 1979

Riunitasi per la prima volta a Strasburgo il 19 marzo 1958, l’Assemblea parlamentare europea, che assunse la denominazione di Parlamento europeo nel 1962, era composta da 142 membri indicati dai governi dei paesi che costituivano la Cee (Belgio, Francia, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi e l’allora Germania Ovest); dopo l’adesione di Danimarca, Irlanda e Regno Unito, effettiva dal 1973, i membri aumentarono a 198. Il potere del Parlamento europeo era di carattere consultivo e di controllo. La decisione di svolgere elezioni europee a suffragio universale diretto fu presa nella Conferenza al Vertice di Parigi del 9 e 10 dicembre 1974; con successivo Atto del Consiglio dei ministri del 20 settembre 1976 fu richiesto agli stati membri di ratificare il suffragio diretto e di adottare leggi elettorali nazionali omologhe, richiesta solo in parte accolta dal Regno Unito, che non intese modificare il proprio sistema maggioritario tradizionale.

Le elezioni a suffragio diretto universale

Entrato in vigore il 1° luglio 1978 l’Atto citato, tra il 7 e il 10 giugno 1979 si svolsero le prime elezioni europee per individuare i 410 europarlamentari previsti all’epoca (i successivi allargamenti dell’Unione europea   comportarono l’aumento del numero di deputati da eleggersi, fino all’attuale quota di 751). Si concludeva una lunga fase di incubazione, iniziata con il Congresso dell’Europa svoltosi all’Aja nel 1948, quando per la prima volta, nell’ambito della commissione politica, si discusse di un organismo rappresentativo sovranazionale e si avanzò l’idea di un’assemblea rappresentativa eletta a suffragio universale.

Ci vollero trent’anni per arrivare al traguardo, per l’opposizione di quanti temevano che l’istituzione di un parlamento eletto dai cittadini avesse come conseguenza la cessione della sovranità nazionale o paventavano la presenza di partiti comunisti. Erano di qualche ostacolo i partiti comunisti in Italia e, in misura minore, in Francia, fortemente radicati nei rispettivi paesi, che, all’epoca, guardavano al blocco sovietico. Ma erano esitanti anche coloro che, pur decisamente europeisti, giudicavano prematuro, se non controproducente, un passaggio elettorale diretto. Non si trattava solo di uno scontro fra nazionalismo ed europeismo, quanto piuttosto di divergenze fra quanti consi­deravano necessario procedere a marce forzate per la formazione della “coscienza europea” e quanti ritenevano prioritario lavorare al radicamento dell’ideale europeo per evitare che una prematura chiamata alle urne – con il rischio di un alto astensionismo per indifferenza o disinteresse – dele­gittimasse il processo avviato.

In effetti, alla vigilia del primo appuntamento elettorale, i sondaggi dell’eurobarometro avevano rilevato una scarsa informazione presso i cittadini, diretta conseguenza della diffusa noncuranza degli organi di stampa nei confronti dell’evento. Scrive in proposito Daniele Pasquinucci: “Nell’autunno del 1978 solo il 50% degli intervistati dichiarava di aver sentito o letto qualcosa sul Pe; e di questi solo il 28% sapeva che si trattava delle elezioni dirette. Nell’aprile del 1979 i due dati erano saliti rispettivamente al 65% e al 43%. Il paese con i cittadini più informati era l’Italia (77% e 60% con aumenti di 28 e 33 punti tra l’ottobre-novembre 1978 e l’aprile successivo), mentre in coda vi erano i britannici (55% e 25%, con incrementi di 11 e 7 punti)”[1].

Un astensionismo crescente

La prima tornata elettorale a suffragio universale diretto esercitò comunque un buon richiamo sull’elettorato, se paragonata ai dati successivi. Essa fece registrare il picco della partecipazione al voto nelle consultazioni europee con il 61,99 per cento di votanti. Da allora, il trend è stato discendente. In misura contenuta fino al 1994, quando si registrò un valore percentuale pari al 56,67, e in misura più accentuata dal 1999, quanto la partecipazione si è fissata al 49,51 per cento, per poi calare fino al 42,97 del 2004. Finalmente, si stabilizzò al 42,61 del 2014.

L’Italia, che partecipò alle elezioni del 1979 con percentuali di votanti inferiori soltanto a Belgio e Lussemburgo (dove vigeva e vige ancora l’obbli­gatorietà del voto), è precipitata da una percentuale di votanti pari all’85,65 nel 1979 al 57,22 del 2014, con una costante diminuzione, trend che ha avuto una sola lieve inversione fra 1999 e 2004.

In generale, il calo molto vistoso in termini assoluti richiede qualche attenzione, soprattutto se si mettono a confronto i dati del 2009 con quelli del 2014. In Francia, Germania, Paesi Bassi e Regno Unito, infatti, vi è stato un incremento di votanti, così come in Grecia, Svezia, Lituania, Romania e Ungheria. Piccoli segnali di ripresa di attenzioni per il livello europeo della politica o, visto il parallelo incremento di deputati euroscettici, un aumento della partecipazione finalizzato a inviare messaggi per lo sman­tellamento dell’Unione? Sullo sfondo si profila però un altro quesito: fino a che punto ha inciso e incide sul numero di votanti la sensazione delle irrilevanti conseguenze politiche del voto, nono­stante l’obiettivo incremento del ruolo decisionale del Pe dal Trattato di Lisbona in poi?

Il primo Parlamento europeo

Il primo Parlamento europeo eletto dai cittadini ebbe una fisionomia piuttosto moderata, se rapportato alle precedenti assemblee a nomina indiretta. Sebbene il gruppo dei socialisti europei avesse la maggioranza relativa, condizione che avrebbe mantenuto fino alla tornata del 1999, la sua rappresentanza era diminuita notevolmente. Il gruppo del Partito popolare europeo, che avrebbe raccolto la maggioranza relativa nel 1999 man­tenendola fino all’attuale legislatura, confermò la sua dimensione, mentre ci fu un’avanzata di con­servatori, soprattutto per i meccanismi elettorali del Regno Unito[2], e di comunisti. Fra questi ultimi, pre­valentemente italiani e francesi accomunati dal progetto dell’eurocomunismo, le divergenze sull’Europa erano notevoli, al punto che si trovarono a convivere spiriti antieuropeisti e padri del progetto di unità europea, come Altiero Spinelli, che fu eletto come indipendente nelle file del Pci.

I principali sconfitti della tornata elet­to­rale apparivano i laburisti e i gollisti, superati dagli alleati di governo liberal-democratici che eles­sero come deputata Simone Veil, recentemente scomparsa, che fu il primo presidente del Pe. Dopo due anni e mezzo ci fu l’avvi­cendamento con il socialista olandese Piet Dankert e l’inaugurazione della prassi del mandato di metà legislatura, sancita oggi come disposizione dell’art. 19 del Regolamento del Pe, che fissa la durata degli incarichi di presidenza e vicepresidenza a due anni e mezzo.

Le novità del quadro politico nelle elezioni successive

La storia delle elezioni europee nelle tornate successive non fece registrare particolari sconvolgimenti. Negli anni ’80 si verificarono la crescita degli ecologisti e della destra francese del Front National e, in Italia, il sorpasso temporaneo del Pci sulla Dc. Le elezioni del XXI secolo, caratterizzate dall’ingresso dei nuovi stati, tuttavia, hanno modificato notevolmente la composizione dell’Europarlamento, perché hanno inciso sulle dimensioni e le sorti dei gruppi “storici”, favorendo il successo dei gruppi “euroscettici” in paesi come Paesi Bassi, Polonia, Svezia, Austria e Regno Unito, e l’adesione di molti deputati dell’Europa dell’Est ai gruppi che ostentano posizioni critiche sull’Ue.

Dopo la transizione del 2009, che – a parte il risultato dell’Ukip (partito euroscettico) affermatosi come secondo partito del Regno Unito davanti al Labour (il partito socialista) – aveva fatto registrare una battuta d’arresto dei partiti euroscettici,  le elezioni del 2014 hanno segnato un ritorno significativo di consenso verso di essi, conseguenza della sfiducia verso Bruxelles che ha raggiunto, nell’opinione pubblica, valori maggioritari anche in paesi a tradizione europeista come l’Italia.

Una riflessione ponderata sull’euroscetticismo impone di distinguere fra forme ed espressioni ideo­logiche tradizionalmente di destra, e un euroscetticismo alimentato dalla crisi, dalla disoccupazione e dal disagio sociale di fronte alle politiche comunitarie di austerity. Le parole d’ordine e i temi della polemica politica, tuttavia, sono gli stessi: l’attacco contro il “superstato europeo”, la sua burocrazia, la moneta unica. Anche le politiche sul tema delle migrazioni diventano un cavallo di battaglia comune. Per orientarsi in questo quadro, complesso e molto fluido, è necessario capire bene l’architettura politica dell’Unione Europea.

L’architettura politica dell’Unione Europea

Il Parlamento europeo

In seguito al Trattato di Lisbona, il Pe ha ampliato le proprie prerogative. È stato equiparato al Consiglio europeo in molti ambiti tematici soggetti a procedura legislativa ordinaria. Nelle materie trattate con procedura legislativa speciale, il Pe, invece, è chiamato a svolgere ruolo consultivo o approvativo. L’equiparazione al Consiglio europeo riguarda anche l’esame e l’approvazione del bilancio annuale dell’Ue. Altro importante riconoscimento, che accresce il potere del Pe, è l’approvazione della Commissione europea (il consiglio dei ministri dell’Europa). Infatti, per quanto i suoi membri vengano scegli dal Presidente, la sua composizione è sottoposta alla voto di approvazione del Pe. Inoltre, il Pe ha il potere di obbligare alle dimissioni la Commissione, attraverso una mozione di sfiducia. Infine, al Pe è riconosciuto diritto di iniziativa in materia di revisione di trattati costitutivi.

Passi avanti signi­ficativi, ma non ancora definitivi per fare del Pe il centro decisionale principale. Per il momento, il potere di iniziativa legi­slativa resta prerogativa della Commissione europea.

Deputati e gruppi

L’attuale configurazione del Parlamento Europeo prevede un numero massimo di 751 parlamentari. Ogni stato può esprimere da 6 a 96 deputati, in base al principio della proporzionalità degressiva[3]. L’Italia ha eletto nell’attuale assemblea 73 deputati.

L’organizzazione interna dei deputati prevede il raggruppamento per affinità politiche e non per nazionalità. Per costituire un gruppo politico servono 25 deputati che rappresentino almeno un quarto degli stati membri. I deputati possono scegliere di non aderire a gruppi politici: in questo caso rientrano nella categoria dei “non iscritti”. I gruppi parlamentari godono di un so­stan­zioso finanziamento da parte del Pe, fattore che favorisce le aggregazioni anche tra deputati di incerta affinità politica.

I partiti politici europei

Il Trattato di Maastricht del 1992 riconosceva i partiti politici a livello europeo come un importante fattore per l’integrazione, in quanto concorrenti alla formazione della coscienza europea e mezzo di espressione della   volontà politica dei cittadini dell’Unione. Gli enunciati, oltre a determinarne la natura di aggregazioni transnazionali in cui avrebbero dovuto fondersi e non sommarsi le identità nazionali, si imperniavano su espressioni indissolubilmente legate a una volontà politica europeista (“integrazione in seno all’Ue”, “coscienza europea”); per favorire questi processi la legislazione ha previsto forme di sostegno economico con risorse tratte dal bilancio comunitario una volta determinato lo statuto dei partiti, sottintendendone l’adesione ai valori comunitari. Anche nei successivi passaggi (vedi il Trattato di Lisbona del 2007 e il Trattato sull’Unione europea del 2012) si conferma il ruolo attribuito ai partiti politici a livello europeo nella formazione della coscienza politica europea e nell’espressione della volontà dei cittadini dell’Unione, ma scompaiono i riferimenti all’integrazione europea. Si tratta, forse, di una presa d’atto che, rispetto alle previsioni o alle speran­ze di una stagione più ottimistica, i partiti “a livello europeo” non hanno sostenuto il processo di in­tegrazione con l’efficacia auspicata e del fatto che nelle istituzioni dell’Ue agiscono forze, legittimamente rappresentative della volontà di consistenti settori dell’opinione pubblica, che perseguono progetti politici indifferenti, se non ostili, al rafforzamento dell’integrazione.

Statuto e finanziamento dei partiti politici europei

Nel 2014 il Consiglio dell’Ue ha approvato un regolamento che introduce alcune novità di importanza non secondaria, a partire dalla modifica della definizione di “partiti a livello europeo” o “partiti a livello dell’Unione”, mutata in “partiti europei”.  Il testo definisce i requisiti necessari per il riconoscimento dello status di partito politico europeo: avere la personalità giuridica nello Stato membro ove si elegge la sede, avere una rappresentanza in almeno un quarto degli stati membri nel Parlamento europeo o in assemblee na­zionali o regionali, oppure avere ricevuto alle ultime elezioni per il Parlamento europeo il 3% dei voti in un numero di stati pari ad un quarto del totale dei membri, rispettare i valori previsti dal Trattato del 2012, avere partecipato alle elezioni europee o avere espresso pubbli­camente l’intenzione di parteciparvi, non perseguire scopi di lucro. Per accedere ai finanziamenti europei occorre, inoltre, avere un deputato nel Pe. Si è così voluto rafforzare il rapporto fra i partiti e le istituzioni, istituendo contemporaneamente un’Autorità indipendente per i partiti politici europei e le fondazioni collegate, con il compito di vagliare il possesso dei requisiti idonei alla registrazione e vigilare sul loro rispetto.

Nel quadro politico europeo i partiti che più recentemente, soprattutto dopo la crisi del 2008, sono stati ammessi a percepire sovvenzioni dalle istituzioni dell’Ue rappresentano orientamenti politici euroscettici o addirittura antieuropeisti. In qualche caso celano, dietro denominazioni ispirate a principi di pace, libertà e democrazia e statuti dalla formulazione impeccabile, istanze ideologiche in contrasto con alcuni principi fondamentali dell’art. 2 del Tue, come il rispetto dei diritti delle persone appartenenti a minoranze e la non discriminazione.

Le fondazioni politiche

Sono organizzazioni che agiscono a sostegno dei partiti attraverso l’osservazione, l’analisi e l’arric­chimento del dibattito sui temi di politica pubblica, sul processo di integrazione, la cooperazione e promozione di collaborazioni tra fondazioni politiche nazionali, mondo accademico e altri soggetti interessati. Le condizioni per accedere ai finanziamenti comunitari sono l’affiliazione a un partito europeo, il pos­sesso di personalità giuridica diversa da quella del partito nello Stato membro dove le fondazioni hanno sede, l’assenza di fini di lucro e una composizione equilibrata a livello geografico dell’organo di gestione.

Verso un rilancio della democrazia?

Il 13 settembre 2017, in occasione del discorso annuale sullo stato dell’Unione, Jean-Claude Juncker ha dichiarato: La nostra Unione deve fare un balzo democratico in avanti. Troppo spesso le elezioni europee non sono state altro che la somma di campagne elettorali nazionali. La democrazia europea merita di più. Dobbiamo dare ai partiti europei i mezzi per organizzarsi meglio.” Il discorso si collega alla promessa di rendere più democratica e trasparente l’Ue, fatta nel 2014, in occasione della sua elezione alla presidenza della Commissione europea.

Nel mese di novembre 2017 la Commissione ha presentato una proposta di modifica dello statuto e del finanziamento dei partiti politici europei e delle fondazioni politiche europee, motivata con la necessità di “ulteriori sforzi per rafforzare la partecipazione dei cittadini e l’inclusività delle elezioni, nonché per aumentare la dimensione europea del dibattito politico, contrastare la scarsa affluenza alle urne, rafforzare ulteriormente la legittimità democratica del processo decisionale dell’UE, evidenziare le affiliazioni tra i partiti nazionali ed europei, e promuovere la responsabilità politica”.

Le istituzioni europee, dunque, si interrogano su come aumentare la trasparenza dei partiti ammessi a finanziamento, come garantirsi della loro legittimità democratica, come rafforzare l’applicazione delle leggi e contrastare gli abusi. Per raggiungere questo obiettivo, propongono di rendere più stretto il legame tra la reale rappresentanza e il finanziamento e vogliono imporre l’obbligo ai partiti nazionali di dichiarare l’affiliazione al partito europeo di riferimento, mediante la pubblicazione sul web del logo e del programma politico relativo[4].

L’appuntamento elettorale del 2019 sarà l’occasione per verificare le prospettive della politica a livello europeo e la sua capacità di interpretare l’aumento di senso di appartenenza e legame di sentimento con l’Ue riscontrato dai sondaggi di Eurobarometro nel marzo 2017 attraverso l’inversione di tendenza della partecipazione al voto.

Bibliografia

  • Daniele Pasquinucci – Luca Verzichelli, Elezioni europee e classe politica sovranazionale 1979-2004, Bologna, Il Mulino,  2004
  • Nicoletta Mosconi, (a cura di), Mario Albertini, Tutti gli scritti, Il Mulino, vol. I-IX, 2006/2010, ora disponibile on line
  • http://www.fondazionealbertini.org/sito/index.php?option=com_content&view=article&id=31:tutti-gli-scritti-1985-1995&catid=10:mario-albertini
  • Daniele Pasquinucci, Uniti dal voto? Storia delle elezioni europee 1948-2009, Milano Franco Angeli, 2013
  • Alessandro Cavalli – Alberto Martinelli, La società europea, Bologna, Il Mulino, 2013
  • Beniamino Caravita, a cura di, Le elezioni europee del 2014, Napoli, Jovene, 2015
  • Daniele Pasquinucci – Luca Verzichelli (a cura di), Contro l’Europa?: i diversi scetticismi verso l’integrazione europea, Bologna : Il mulino, 2016
  • Marinella Belluati – Paolo Caraffini, L’ Unione europea tra istituzioni e opinione pubblica, Roma, Carocci, 2015

Sitografia

Per le informazioni relative al Parlamento europeo si rinvia al portale: http://www.europarl.europa.eu/portal/it

In particolare si possono trovare informazioni sui partiti e le fondazioni europee ai seguenti indirizzi: ttp://www.europarl.europa.eu/pdf/grants/Grant_amounts_parties_01_2017.pdf e http://www.europarl.europa.eu/pdf/grants/Grant_amounts_foundations_01_2017.pdf

Link istituzionali dei gruppi parlamentari:

Siti generali:

Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Genova: https://hopeurope2.weebly.com/partiti-politici-a-livello-europeo.html

Il dossier: documenti, partiti e legislazione

A. Documenti
  1. Il manifesto di Ventotene. Seconda parte “I compiti del dopoguerra – L’unità europea”

Il Manifesto di Ventotene, considerato uno dei documenti politici fondamentali per il progetto dell’Unione europea, fu elaborato nel pieno della seconda guerra mondiale da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, con Eugenio Colorni ed Ursula Hirschmann, intellettuali antifascisti perseguitati dal regime. Nella seconda parte, che si propone in forma quasi integrale, la tesi centrale è l’abolizione della divisione dell’Europa in stati nazionali sovrani, che costituiva secondo gli autori il vero discrimine fra partiti progressisti e reazionari. L’analisi del quadro politico postbellico prospettato si rivela di estrema attualità e si propone come elemento di riflessione non solo retrospettiva, nonostante siano passati oltre settant’anni dalla prima pubblicazione.

Fonte: http://www.sociologia.unimib.it/DATA/Insegnamenti/3_2351/materiale/lezione%203%20-%20manifesto%20di%20ventotene.pdf

  1. Le prime elezioni a suffragio universale diretto. “Il voto europeo”, di Mario Albertini

La decisione di indire le elezioni per il Parlamento europeo rese certo quanto era considerato soltanto possibile, alimentando la convinzione dei movimenti europeisti. In Italia, sin dagli anni della seconda guerra mondiale, Altiero Spinelli e altri antifascisti perseguitati politici, tra cui Ernesto Rossi e Luciano Bolis, avevano avviato l’attività del Movimento federalista europeo (Mfe), che, a partire dalle tesi del Manifesto di Ventotene, si impegnava per la creazione di un parlamento sovranazionale eletto a suffragio diretto dai cittadini europei. Lo scritto del 1978 di Mario Albertini, collaboratore di Altiero Spinelli alla guida del Mfe, prima di assumerne in prima persona la direzione, evidenzia il carattere storico eccezionale dell’elezione del Parlamento europeo e prefigura le conseguenze dell’evento.

Fonte: http://www.fondazionealbertini.org/sito/albertini/vol_vii/VII-1978-1-Il%20voto%20europeo.pdf

  1. Affluenza alle urne 1979-2014

Si propongono come materiali statistici sulla partecipazione al voto le elaborazioni Tns/Scytl in collaborazione con il Parlamento europeo reperibili sul sito istituzionale del Parlamento europeo.

Il primo grafico a barre mostra l’andamento dell’affluenza alle urne nelle varie tornate delle elezioni europee, riferendosi alla media dei paesi votanti. Occorre considerare che nella prima tornata gli Stati membri erano 9: Germania, Francia, Italia, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo, Regno Unito, Danimarca e Irlanda (Eu9); nel 1984 si aggiunse al voto la Grecia, entrata a fare parte dell’Ue nel 1981 (Eu10); nel 1989 il voto si estese a Spagna e Portogallo, che aderirono nel 1986 (Eu12); rimasta immutata nella sua composizione nel 1994, l’Ue si allargò nel 1995 ad Austria, Svezia e Finlandia, i cui elettori parteciparono al voto nel 1999 (Eu15); l’ingresso di Polonia, Ungheria, Slovenia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Cipro e Malta nel 2004 fece estendere la consultazione dello stesso anno a 25 paesi (Eu25); nel 2007 si aggiunsero Bulgaria e Romania, di conseguenza le elezioni del 2009 riguardarono 27 stati (Eu27); l’ultimo Stato che aderì all’Unione europea fu la Croazia nel 2013, cosicché nel 2014 i paesi chiamati al voto furono 28 (Eu28).

Le barre del grafico segnalano la costante diminuzione dei votanti, con un calo molto evidente fra il 1994 e il 1999 e un’altra significativa diminuzione fra 1999 e 2004, dovuta all’estensione del voto a paesi poco rispondenti alle sollecitazioni elettorali anche nazionali; fra 2009 e 2014 si profila la tendenza a una relativa stabilità, con una differenza in diminuzione pari soltanto allo 0,3 per cento.

La tabella successiva riporta i dati dell’affluenza per paese. Fra i paesi fondatori è possibile notare, in particolare, la bassa percentuale del Regno Unito, che rimane sempre abbondantemente al di sotto del 40% di votanti: la scarsa sensibilità elettorale europea del Regno Unito è sintomo di un’indifferenza che si è tradotta recentemente nella decisione di uscire dall’Unione in seguito alla Brexit. I dati, lineari se analizzati complessivamente, rivelano però controtendenze nei particolari: si veda il caso della Danimarca fra i paesi storici, della Svezia, di Estonia, Polonia, Bulgaria, Romania e Croazia che hanno incrementato le percentuali tra la prima e l’ultima tornata cui hanno partecipato. Si notano anche importanti divari di partecipazione: Belgio e Lussemburgo hanno sempre percentuali alte e stabili, dovute all’obbligatorietà del voto nella legislazione nazionale; escludendone i risultati, il picco di affluenza si registra nel 1979 in Italia, con l’86,65% e, in negativo, in Slovacchia con il 13,05% nel 2014.

Il confronto tra le due ultime tornate, in cui si registra in termini assoluti un sostanziale pareggio di partecipazione, evidenzia un saldo positivo in 11 paesi, tra cui Germania e Francia.

Fonte: http://www.europarl.europa.eu/elections2014-results/it/turnout.html

  1.  Elezioni europee o nazionali? Il sorpasso del Pci sulla Dc del 1984
  • La prima pagina del quotidiano “La Stampa” di martedì 19 giugno 1984: il documento propone la prima pagina del giornale “La Stampa” del 19 giugno 1984, quando in Italia si verificò alle elezioni europee lo storico sorpasso del Pci sulla Dc (33,3 contro il 33%, circa centomila voti di differenza). Sovrastati da una vignetta di Forattini che riprende i simboli del Pci, falce e martello, combinandoli a formare una “E” che ricorda, ovviamente involon­tariamente, il moderno simbolo dell’euro, nel taglio basso compaiono un grafico della suddi­visione dei seggi al Parlamento Cee, le immagini di leader politici europei usciti sconfitti dal voto e l’incipit di un articolo ripreso nelle pagine interne.
  • Il gioco ritorna a De Mita, di Gianfranco Piazzesi: un esempio di analisi politica del voto rivolta quasi esclusivamente alle questioni nazionali: nel testo non compare nome o aggettivo che possa riferirsi all’Europa. All’epoca del governo Craxi I, sostenuto da un’alleanza fra Dc, Pli, Psdi, Psi e Pri, i risultati delle urne sono interpretati in riferimento alle possibili ripercussioni sullo scenario politico post elettorale, a giudizio dell’autore favorevole al potenziamento della centralità del partito cattolico rispetto agli alleati laici.

Fonte: http://www.archiviolastampa.it/

  1. Il deficit di democrazia. La debolezza di europartiti ed eurogruppi

Il testo propone alcune considerazioni sulla debolezza degli europartiti e degli eurogruppi in confronto ai partiti nazionali, attribuendola a una serie di fattori che vanno dalla specificità della governance dell’Ue alla non pienezza di poteri del Pe, oltre che all’assenza di procedure elettorali univoche e all’eterogeneità delle storie politiche degli stati membri. Il crollo del sistema dei due blocchi, avvenuto con lo sgretolamento dell’Unione Sovietica, ha aperto la strada a istanze neonazionalistiche e regionalistiche che costituiscono un limite obiettivo alla costruzione di un sistema politico europeo. La posizione ancora marginale del Pe, nonostante l’incremento dei suoi poteri, contribuisce a rafforzare il peso dei partiti nazionali, poco propensi a investire intelligenze e risorse per la formazione di una classe politica sovranazionale.

Fonte: Alessandro Cavalli – Alberto Martinelli, La società europea, Bologna, Il Mulino, 2015, pp. 227-230 (passim).

  1. Le tabelle di finanziamento a partiti e fondazioni politiche dell’Ue

Nel 2017 i partiti che hanno goduto di sovvenzioni erogate dall’Ue sono stati 16. Tali sov­venzioni sono distribuite tra tutti i partiti per una quota comune pari al 15% del fondo complessivo; il restante 85% si suddi­vide tra i partiti che hanno rappresentanti nel Pe, in proporzione al loro numero. Le spese ammesse riguardano riunioni e conferenze, pubblicazioni, studi e pubblicità, spese amministrative, spese per il personale e spese di viaggio, spese per le campagne relative alle elezioni europee; sono tassativamente esclusi impieghi per finanziare partiti e campagne elet­torali nazionali e locali, debiti e costi del servizio di prestito.

Le tabelle riportano i dati relativi ai finanziamenti corrisposti a partiti e fondazioni politiche dal riconoscimento ufficiale in poi. Le sovvenzioni complessive a partiti e fondazioni dovrebbero tenere conto anche dei versamenti agli eurogruppi, ma, come si ricava dalle informazioni del testo, la loro composizione in qualche caso non è riconducibile al singolo europartito.

La tabella relativa ai partiti consente di verificare la denominazione del partito, la sede legale, il website, anno e importo del finanziamento. Si noterà che la maggioranza di partiti e fondazioni hanno sede in Belgio, ad eccezione di European Alliance for Freedom che ha sede a Malta, European Christian Political Movement che ha sede in Olanda, Alliance Europeénne de Mouvements Nationaux e Mouvement pour une Europe des Nations et des Libertés che hanno sede in Francia, Europeans United for Democracy che ha sede in Danimarca.

Tra le fondazioni hanno sede fuori dal Belgio la Christian Political Foundation of Europe, con sede in Olanda; Europa Terra Nostra, con sede in Germania; European Foundation for Freedom, con sede a Malta; la Fondation pour une Europe des Nations et des Libertés, con sede in Francia; la Green European Foundation con sede in Lussemburgo; l’Organisation for European Interstate Cooperation, con sede in Svezia; Transform Europe, con sede in Austria.

Fonte: http://www.europarl.europa.eu/pdf/grants/Grant_amounts_parties_01_2017.pdf e http://www.europarl.europa.eu/pdf/grants/Grant_amounts_foundations_01_2017.pdf

  1. L’Unione europea mantiene partiti euroscettici ed eurofobici. Profilo di un paradosso

Euroscetticismo? Il nuovo volto dell’estrema destra

Per conoscere l’Ukip, il partito euroscettico britannico che si è arrogato il successo politico della Brexit, si propone un articolo de “Il Manifesto”, redatto prima del referendum che ha sancito l’addio dell’Inghilterra all’Unione europea, e prima anche delle elezioni europee 2014, in forma di intervista al politologo Matthew Goodwin, professore di politica presso la Scuola di Politica e Relazioni internazionali presso l’Università di Kent. Si evidenzia l’origine politica dell’Ukip, nato da ambienti della destra conservatrice ma capace di raccogliere consensi in un bacino elettorale tradizionalmente orientato verso la sinistra laburista, e la sua metamorfosi da partito del “no” a Unione europea ed immigrazione a potenziale forza di governo.

Fonte: https://ilmanifesto.it/euroscetticismo-il-nuovo-volto-dellestrema-destra/

I finanziamenti del Parlamento europeo ai partiti dell’estrema destra

Il quotidiano francese “Le Monde” ha avviato un’indagine giornalistica incentrata sui finanziamenti pubblici erogati dal Parlamento europeo a partiti antieuropeisti di estrema destra, sostenendo la tesi che alcuni europartiti siano nati non per dare espressione a identità politiche ma che, partendo da posizioni ideologiche omologhe, si siano dati forme e strutture utili al riconoscimento ufficiale con lo scopo di rastrellare quante più possibili risorse destinate ai partiti europei, con abili metamorfosi negli statuti, nei programmi e nei nomi. L’articolo del quotidiano “La Repubblica” riprende le informazioni contenute in “Le Parlement européen, tiroircaisse de l’extrême droite”, di Olivier Faye e Jean-Baptiste Chastand, uscito in contemporanea.

Fonte: http://www.repubblica.it/esteri/2017/02/25/news/europa_aemn_ultradestra-159224624/

  1. Eurobarometro 87.1: due anni alle elezioni europee 2019: l’Italia è un paese euroscettico?

Il documento propone le elaborazioni statistiche di una serie di interviste personali (28.903) raccolte da Eurobarometro in Italia tra il 25 e il 27 marzo 2017. Suddiviso in sei aree tematiche (Appartenenza all’Unione europea, Aspettative per l’azione dell’Ue, La mia voce ha un peso nell’Unione europea, Interesse per la politica, Desiderio di maggiore informazione, Situazione economica e sociale), il sondaggio mette a confronto le risposte dei cittadini italiani rispetto alla media dei cittadini europei che fanno parte dei 28 stati membri.

L’analisi dei dati rivela che l’Italia, paese originariamente europeista, ha mutato profondamente il proprio sentimento di appartenenza all’Unione: oggi prevalgono gli agnostici (41%) rispetto a chi considera un bene fare parte dell’Ue (35%); la forbice tra questi e coloro che considerano negativa l’appartenenza è molto più ridotta rispetto al campione europeo.

I rilievi denunciano un’indiscutibile crisi di appartenenza, confermata dal diffuso disinteresse verso gli affari europei, che tuttavia si accompagna ad un livello di aspettative per l’azione dell’Ue costantemente superiore alla media europea, in particolare per le politiche economiche, agricole e industriali.

Fonte: http://www.europarl.europa.eu/pdf/eurobarometre/2017/2019ee/two_years_until_the_2019_european_elections_it_it.pdf

  1. Sulla riforma della legge elettorale dell’Unione europea

Il documento propone la motivazione della proposta di risoluzione sulla riforma della legge elettorale europea approvata dal Parlamento europeo nel mese di ottobre 2015 (procedura 2015/2035(INL)) che modifica e armonizza alcune norme dell’Atto elettorale del 1976. Le novità più rilevanti della proposta riguardano l’incompatibilità della carica di deputato europeo con quella di membro di un parlamento regionale o di un’assemblea regionale dotata di competenze legislative; il riconoscimento dell’elettorato attivo ai cittadini dell’Unione che vivono o lavorano in un paese terzo; la fissazione di un termine comune per la designazione dei capilista da parte dei partiti politici europei, corrispondente a 12 settimane prima delle elezioni europee, in modo da consentire la presentazione dei rispettivi programmi elettorali, l’organizzazione di dibattiti politici tra i candidati e il lancio di campagne elettorali a livello dell’Unione, con uguale visibilità di nomi e simboli tra partiti nazionali e partiti europei di affiliazione; la garanzia della parità di genere mediante liste chiuse o metodi equivalenti, l’introduzione di una soglia obbligatoria, compresa tra il 3% e il 5%, per l’attribuzione dei seggi negli stati membri a circoscrizione unica e nelle circoscrizioni in cui è utilizzato il sistema di lista e che comprendono più di 26 seggi. La risoluzione prevede la possibilità che gli stati membri possano introdurre il voto per corrispondenza, elettronico e via internet al fine di aumentare la partecipazione. È importante anche la raccomandazione di armonizzare l’età degli elettori a sedici anni, soglia anagrafica attualmente prevista solo in Austria.

Fonte: http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+REPORT+A8-2015-0286+0+DOC+XML+V0//IT#title1

  1. Stato dell’Unione 2017. Pacchetto democrazia: riforma dell’iniziativa dei cittadini europei e del finanziamento dei partiti politici

Il documento propone il comunicato stampa della Commissione europea presieduta da Juncker, il primo ad essere stato eletto nell’incarico attraverso il voto del Parlamento europeo. Nel suo discorso di insediamento Juncker ha elencato dieci priorità programmatiche del suo mandato, tra cui è compreso il cambiamento democratico dell’Ue, in risposta al “deficit di democrazia” che è universalmente riconosciuto all’architettura politica attuale. Emerge, alla voce relativa al finanziamento dei partiti europei, la consapevolezza dell’esistenza di abusi e aggiramenti della normativa in vigore. Il paradosso principale non è tanto nella concessione di finanziamenti a partiti euroscettici, quanto nella contraddizione esistente fra ciò che viene dichiarato negli statuti di alcuni partiti e fondazioni sovvenzionate dall’Ue e la loro prassi politica. Il riferimento è diretto soprattutto ai movimenti che si richiamano esplicitamente o implicitamente ai totalitarismo del ‘900, in contrasto con i valori dell’Ue previsti dall’art. 2 del Tue: “L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”.

Fonte: https://ec.europa.eu/italy/news/20170915_ue_pacchetto_democrazia_riforma_iniziativa_cittadini_it

B. I partiti politici europei (2017)

L’European People’s Party (sito: www.epp.eu) comprende 80 partiti e partners provenienti da 41 paesi, di cui 14 extracomunitari. Si configura come il più grande partito del centro-destra e ha la più ampia rappresentanza nel Parlamento europeo. Il presidente del partito è Joseph Daul, il ​segretario generale è Antonio López-Istúriz. I partiti italiani che vi aderiscono sono Forza Italia, Südtiroler Volkspartei-Svp, Popolari per l’Italia-Ppi, Alternativa Popolare-Ap, Unione di Centro-Udc, Patt-Partito autonomista trentino tirolese. La fondazione del Ppe è il Wilfried Martens Centre for European Studies, già Centre for European Studies-Ces, attiva dal 2014 (https://www.martenscentre.eu/). Il Ppe ha un proprio gruppo nel Parlamento europeo, denominato Gruppo del Partito popolare europeo – Democratici cristiani (Ppe) (http://www.eppgroup.eu/it) che, alla sessione di apertura della legislatura era composto da 221 deputati. L’attuale capogruppo è il tedesco Manfred Weber (Cdu); è parte del gruppo Ppe il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, eletto il 17 gennaio 2017. I deputati italiani sono 15.

Il Party of European Socialists (https://www.pes.eu/en/) riunisce partiti dalle tradizioni politiche socialiste, socialdemocratiche e laburiste. Vanta 33 partiti membri effettivi, tra cui, per l’Italia, il Partito democratico e il Partito socialista italiano; nel novero com­plessivo vanno aggiunti 13 partiti associati e 12 osservatori. Il presidente del partito è Sergei Stani­shev. La fondazione politica del Pse si chiama Foundation for European Progressive Studies (Feps) (http://www.feps-europe.eu/en/) presieduta oggi dalla portoghese Maria Joao Rodrigues, succeduta a Massimo D’Alema. Il gruppo parlamentare di riferimento è denominato Gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento Europeo (S&D) (http://www.socialistsanddemocrats.eu/it): è nato nel 2009 come gruppo destinato ai deputati eletti in partiti membri del Pse e a deputati di partiti non affiliati ma di ispirazione progressista; accolse infatti, prima dell’adesione ufficiale del Pd al Pse, i deputati europei del partito. È organizzazione associata all’Internazionale socialista. L’attuale presidente è l’italiano Gianni Pittella (Pd). I deputati del gruppo nella sessione di apertura erano 191. I deputati italiani sono 31.

L’Alliance of Conservatives and Reformists in Europe (http://www.acreurope.eu/) annovera tra i propri partners internazionali il Partito repubblicano degli Usa e tra i membri “Direzione Italia”, partito del centro-destra fondato da Raffaele Fitto, già presidente della Regione Puglia e ministro nel governo Berlusconi IV. Comprende 24 partiti membri e tre membri indipendenti provenienti da 20 paesi. È considerato un movimento moderatamente euroscettico, essendo contrario al federalismo e sostenitore dell’integrità della sovranità nazionale degli stati membri dell’Ue. Il suo presidente è il ceco Jan Zahradil, il segretario generale il britannico Daniel Hannan. La fondazione politica di riferimento è la New Direction – Foundation for European Reform (http://europeanreform.org/). Nel Pe opera il Gruppo dei Conservatori e Riformisti europei (Ecr) (http://ecrgroup.eu/it/), nato nel 2009 con obiettivi “eurorealisti”, cioè con una prospettiva critica verso l’europeismo del Ppe, nella sessione di apertura della legislatura contava su 70 membri. L’attuale presidente del gruppo è il musulmano Syed Kamall, conservatore inglese di origini indo-guiane. I deputati italiani sono 2.

L’Alliance of Liberals and Democrats for Europe Party (https://www.aldeparty.eu/) è un partito a forte vocazione europeista, ne fanno parte 60 partiti membri, tra cui i Radicali italiani, uno dei soggetti costituenti del Partito radicale che ebbe come leader Marco Pannella; 20 di essi appartengono a paesi che non fanno parte dell’Ue. Il presidente del partito è l’olandese Hans Van Baalen; la fondazione politica di riferimento si chiama European Liberal Forum (Elf) (http://www.liberalforum.eu/). Nel Pe opera il Gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa (https://alde.eu/en/)  fa riferimento all’Alde ma anche al Pde, con 67 membri nella prima sessione della legislatura, tra cui non compaiono deputati italiani. Il presidente del gruppo è il belga Guy Verhofstadt. In passato hanno fatto parte di questo gruppo anche deputati del Pd di formazione politica centrista, oltre che esponenti dell’Italia dei Valori e radicali. Recentemente il gruppo ha respinto la proposta di accogliere i deputati europei del Movimento 5 Stelle, nonostante gli accordi intervenuti tra il leader pentastellato Beppe Grillo e Verhofstadt e l’assenso derivato dalla consultazione in rette dell’elettorato del M5S.

L’European Green party (https://europeangreens.eu/) impernia il proprio programma politico su parole chiave come ambiente, ecologia e sostenibilità, con attenzione anche ai risvolti sociali. Ne fanno parte come titolari 40 partiti nazionali, tra cui in Italia la Federazione dei Verdi, 3 associati e 4 candidati all’affiliazione. Il partito ha due co-portavoci: l’italiana Monica Frassoni e il tedesco Reinhard Hans Bütikofer. La fondazione di riferimento è denominata Green European Foundation (Gef) (http://gef.eu/). A livello parlamentare opera il Gruppo Verde/Alleanza libera europea (Verdi/Ale) (https://www.greens-efa.eu/en/). Nella sessione di apertura della legislatura vantava 50 membri, tra cui un solo deputato italiano, Marco Affronte, fuoriuscito dal Movimento 5 Stelle dopo il mancato accordo per l’ingresso dei deputati italiani nel gruppo verde e la scelta di Grillo di accordarsi con l’Ukip di Farage. Il gruppo ha due co-presidenti: la tedesca Ska Keller e il belga Philippe Lamberts. Il gruppo ospita anche deputati di Efa, già denominato Alleanza libera europea (Ale).

Il Mouvement for a Europe of Nations and Freedom (http://www.menleuropa.eu/) è un’alleanza di partiti di destra. Ne fanno parte cinque partiti nazionali: il Front National in Francia, la Lega Nord in Italia, il Vlaams Belang in Belgio, il Freiheitliche Partei Österreichs in Austria, lo Svoboda a přímá demokracie nella Repubblica Ceca. Il presidente è il francese Louis Aliot. La fondazione di riferimento è la Fondation pour une Europe des Nations et des Libertés (Fenl) (http://www.fenl.eu/). In parlamento è rappresentato dal Gruppo Europa delle Nazioni e della Libertà (Enf) (http://www.enfgroup-ep.eu/). Si caratterizza per le posizioni intransigenti in materia di immigrazione e per la richiesta di porre fine all’esperienza dell’euro. All’epoca della prima sessione della legislatura il gruppo non era ancora costituito; ora ne fanno parte 39 deputati, di cui 6 italiani, precisamente 5 della Lega Nord e un deputato eletto con il M5S, Marco Zanni, uscito all’epoca del possibile approdo dei deputati pentastellati nel gruppo dell’Alde. I co-presidenti sono la francese Marine Le Pen e l’olandese Marcel De Graaff.

European Left (http://www.european-left.org/) è un’alleanza politica tra partiti di sinistra che vanta oggi 34 membri; l’Italia è rappresentata da Rifondazione comunista e L’Altra Europa con Tsipras. Il presidente è il tedesco Gregor Gysi. La fondazione di riferimento si chiama Transform Europe (https://www.transform-network.net/). Nel Pe agisce il Gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica (Gue/Ngl) (http://www.guengl.eu/): sin dalla prima sessione della legislatura è composto da 52 deputati, divisi equamente fra uomini e donne, unico caso di perfetto rispetto dell’uguaglianza di genere. I deputati eletti in Italia sono 3. Il gruppo raccoglie membri di El e della Nordic Green Left Alliance (Ngla), coalizione di partiti rosso-verdi cui non è riconosciuto lo status di partito europeo. Presidente del gruppo è la deputata tedesca Gabriele Zimmer.

L’Alliance for Direct Democracy in Europe (il sito web www.addeurope.org al momento non è attivo), comprende l’Ukip e altri 8 partiti. È presieduta dal britannico Roger Helmer. La fondazione politica di riferimento era Initiative for Direct Democracy in Europe (Idde), che ha cessato l’attività nel corso del 2017 (il sito web www.iddeurope.org non è più attivo). In parlamento è rappresentato dal Gruppo Europa della Libertà e della Democrazia Diretta (Efdd) (http://www.efddgroup.eu/), una delle espressioni di punta dell’euroscetticismo. Il gruppo si compone di 42 membri, tra cui 15 deputati del Movimento 5 Stelle ed è co-presieduto da Nigel Farage (Ukip) e David Borrelli (M5S). Nella precedente legislatura Farage si era alleato con la Lega Nord, il cui passaggio al gruppo di Marine Le Pen aveva messo in crisi la sopravvivenza della compagine, situazione aggravata da altre defezioni e dalla perdita dei numeri necessari per rispettare i requisiti per l’istituzione di un gruppo parlamentare. L’accordo con i vertici del M5S ha consentito il mantenimento del gruppo.

L’European Free Alliance (http://www.e-f-a.org/home/) annovera 45 partiti membri, tra cui L’Altro Sud-Unione democratica del Sud, il Partito sardo d’Azione, il movimento valdostano Alpe (Autonomie-Liberté-Participation-Écologie), Pro Lombardia Indipendenza, la Liga Veneta Repubblica, Slovenska Skupnost (Unione slovena), Süd-Tiroler Freiheit. Il presidente è il francese François Alfonsi, la fondazione di riferimento è il Centre Maurits Coppetiers (https://www.ideasforeurope.eu/). Deputati espressi dai partiti membri di Efa sono distribuiti tra diversi gruppi: Verdi/Ale, Gue/Ngl e Acre.

L’European Democratic Party (http://www.pde-edp.eu/) è nato su iniziativa di Francesco Rutelli, all’epoca esponente politico de La Margherita, partito erede della Dc, e di François Bayrou, Presidente dell’Unione per la Democrazia francese; ha avuto come presidente onorario dalla fondazione al 2008 Romano Prodi. Il partito si caratterizza per una vocazione fortemente europeista e una collocazione politica a sinistra del Ppe e a destra del Pse, ispirandosi al modello del Partito democratico degli Usa. Tra i partiti membri c’era Alleanza per l’Italia (Api), che ora ha chiuso l’attività. Il partito ha una fondazione, l’Institute of European Democrats (Ied) (https://www.iedonline.eu/), i suoi deputati fanno parte del gruppo Alde.

L’European Christian Political Movement (https://www.ecpm.info/) si colloca a destra del Ppe su posizioni più conservatrici e moderatamente euroscettiche. Vi aderiscono partiti di 15 paesi europei ed extraeuropei, nessuno dei quali fa parte del quadro politico italiano. Il presidente ad interim è Branislav Škripek. La fondazione politica è la Sallux (https://www.sallux.eu/), già Christian Political Foundation for Europe (dal maggio 2014 al dicembre 2016) e prima ancora European Christian Political Foundation (Ecpf). Gli euro­parla­mentari del partito fanno parte del gruppo Acre.

L’European Alliance for Freedom (http://www.eurallfree.org/), è un partito sovranista, euroscettico e contrario al principio di sussidiarietà. Ha sede a Malta e, a differenza degli altri partiti europei, raccoglie adesioni individuali e non di partiti; ne hanno fatto parte in passato Marine Le Pen e Matteo Salvini. Si definisce come partito paneuropeo che non si riconosce nel paradigma politico destra-sinistra. Ne è presidente l’austriaco Franz Obermayr, la fondazione politica del partito è European Foundation for Freedom (Eff) (http://www.eurfreedom.org/). Gli eurodeputati di Eaf concorrono al gruppo Enf.

L’Alliance Europeénne de Mouvements Nationaux (http://aemn.info/home-fr/) raccoglie partiti considerati di estrema destra, ultranazionalisti ed euroscettici. Tra loro il Movimento sociale-Fiamma tricolore, fondato da Pino Rauti nel 1995 in dissenso rispetto alla svolta di Fiuggi che diede vita ad Alleanza nazionale. Il presidente del partito è Béla Kovács; la fondazione politica si chiama European identity & Traditions (http://idte.info/?lang=en).

L’Alliance for Peace and Freedom (www.apfeurope.com) raggruppa partiti e movimenti europei di estrema destra, di ispirazione antisemita, come Forza nuova in Italia, Alba dorata in Grecia, il Partito nazional­democratico di Germania, il British Unity in Uk. Il presidente è l’italiano Roberto Fiore, il segretario è lo svedese Stefan Jacobsson. La fondazione politica del partito è ​ Europa Terra Nostra (https://europa-terra-nostra.com/).

L’European United for Democracy (http://europeandemocracy.eu/) si presenta come un partito paneuropeo che non si schiera né a destra né a sinistra, contrapponendosi alle grandi famiglie politiche europeiste e soprattutto alla prospettiva degli Stati Uniti d’Europa. In Italia aderiscono all’Eud formazioni minori come il Partito animalista italiano ora insieme agli Ambientalisti italiani. Ne è presidente l’irlandese Patricia McKenna. La fondazione politica, chiamata Organisation for European Interstate Cooperation (il sito web non è attivo) ha ricevuto sovvenzioni fino al 2016. Gli eurodeputati del partito aderiscono ai gruppi Gue/Ngl o Verdi/Ale.

Coalition for life and family (https://www.coalitionlifeandfamily.com/) pone al centro del proprio programma la difesa della famiglia tradizionale, la lotta contro l’aborto e l’omosessualità, secondo uno statuto molto simile a quello di Apf, di Epp e di Aenm, tanto che un’inchiesta di “Le Monde” ha avanzato l’ipotesi che questa gemmazione abbia unicamente lo scopo di intercettare finanziamenti del Parlamento europeo. La fondazione di riferimento si chiama Fondation Pegasus (non risulta avere sito web). Il presidente del partito è il militante di estrema destra belga Alain Escada, il segretario è l’italiano Stefano Pistilli, collaboratore di Forza nuova. Il finanziamento a questo partito è stato riconosciuto in base alle disposizioni del regolamento del 2004, che non tengono conto del requisito previsto dal regolamento successivo del 2014, cioè quello di avere almeno un deputato al parlamento europeo.

c. I testi legislativi

Trattato di Maastricht, Articolo 138 A

“I partiti politici a livello europeo sono un importante fattore per l’integrazione in seno all’Unione. Essi contribuiscono a formare una coscienza europea e ad esprimere la volontà politica dei cittadini dell’Unione”

Trattato sull’Unione europea (Tue), versione consolidata del 2012

TITOLO II

DISPOSIZIONI RELATIVE AI PRINCIPI DEMOCRATICI

Articolo 9

L’Unione rispetta, in tutte le sue attività, il principio dell’uguaglianza dei cittadini, che beneficiano di uguale attenzione da parte delle sue istituzioni, organi e organismi. È cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell’Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non la sostituisce

Articolo 10

  1. Il funzionamento dell’Unione si fonda sulla democrazia rappresentativa.
  2. I cittadini sono direttamente rappresentati, a livello dell’Unione, nel Parlamento europeo. Gli Stati membri sono rappresentati nel Consiglio europeo dai rispettivi capi di Stato o di governo e nel Consiglio dai rispettivi governi, a loro volta democraticamente responsabili dinanzi ai loro parlamenti nazionali o dinanzi ai loro cittadini.
  3. Ogni cittadino ha il diritto di partecipare alla vita democratica dell’Unione. Le decisioni sono prese nella maniera il più possibile aperta e vicina ai cittadini.
  4. I partiti politici a livello europeo contribuiscono a formare una coscienza politica europea e ad esprimere la volontà dei cittadini dell’Unione.

REGOLAMENTO (UE, EURATOM) N. 1141/2014 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 22 ottobre 2014 relativo allo statuto e al finanziamento dei partiti politici europei e delle fondazioni politiche europee

CAPO I

DISPOSIZIONI GENERALI

Articolo 2

Definizioni

Ai fini del presente regolamento, si intende per:

[omissis]

3) «partito politico europeo»: un’alleanza politica che persegue obiettivi politici ed è registrata presso l’Autorità per i partiti politici europei e le fondazioni politiche europee di cui all’articolo 6, alle condizioni e secondo le procedure di cui al presente regolamento;

4) «fondazione politica europea»: un’entità formalmente collegata a un partito politico europeo, che è stata registrata presso l’Autorità alle condizioni e secondo le procedure di cui al presente regolamento, e che, attraverso le proprie attività, nel rispetto degli obiettivi e dei valori fondamentali dell’Unione, sostiene e integra gli obiettivi del partito politico europeo, svolgendo uno o più dei seguenti compiti: a) attività di osservazione, analisi e arricchimento del dibattito sui temi di politica pubblica europea e sul processo di integrazione europea; L 317/6 Gazzetta ufficiale dell’Unione europea 4.11.2014 IT ( 1) GU C 253 del 3.9.2013, pag. 12. b) sviluppo di attività legate a questioni di politica pubblica europea, quali attività di organizzazione e sostegno relative a seminari, azioni di formazione, conferenze e studi su tali temi a cui partecipino i soggetti maggiormente implicati, tra cui organizzazioni giovanili e rappresentanti della società civile; c) sviluppo della cooperazione volta a promuovere la democrazia, anche nei paesi terzi; d) creazione di un contesto in cui promuovere la collaborazione, a livello europeo, tra fondazioni politiche nazionali, rappresentanti del mondo accademico e altri soggetti interessati.

[omissis]

CAPO II

STATUTO DEI PARTITI POLITICI EUROPEI E DELLE FONDAZIONI POLITICHE EUROPEE

Articolo 3

Condizioni di registrazione

  1. Un’alleanza politica ha diritto di chiedere la registrazione come partito politico europeo, nel rispetto delle seguenti condizioni:

a) deve avere la propria sede in uno Stato membro conformemente a quanto indicato nel suo statuto;

b) essa o i suoi membri devono essere, in almeno un quarto degli Stati membri, deputati al Parlamento europeo, ai parlamenti nazionali, ai parlamenti regionali o alle assemblee regionali, o devono essere rappresentati dagli stessi, oppure essa o i suoi partiti membri devono aver ricevuto, in almeno un quarto degli Stati membri, almeno il 3 % dei voti espressi in ognuno di tali Stati membri in occasione delle ultime elezioni del Parlamento europeo;

c) deve rispettare, in particolare nel suo programma e nelle sua attività, i valori sui quali è fondata l’Unione, enunciati nell’articolo 2 TUE, vale a dire il rispetto della dignità umana, la libertà, la democrazia, l’uguaglianza, lo stato di diritto e il rispetto dei diritti dell’uomo, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze;

d) essa o i suoi membri devono aver partecipato alle elezioni del Parlamento europeo o aver espresso pubblicamente l’intenzione di partecipare alle prossime elezioni del Parlamento europeo;

e) non deve perseguire scopi di lucro.

  1. Il richiedente ha diritto di chiedere la registrazione come fondazione politica europea, nel rispetto delle seguenti condizioni:

a) deve essere collegato a un partito politico europeo registrato alle condizioni e secondo le procedure di cui al presente regolamento;

b) deve aver sede in uno Stato membro conformemente a quanto indicato nel suo statuto;

c) deve rispettare, in particolare nel suo programma e nelle sua attività, i valori sui quali è fondata l’Unione, enunciati nell’articolo 2 TUE, vale a dire il rispetto della dignità umana, la libertà, la democrazia, l’uguaglianza, lo stato di diritto e il rispetto dei diritti dell’uomo, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze;

d) deve perseguire obiettivi che integrino gli obiettivi del partito politico al quale è formalmente collegata; e) deve avere un organo direttivo composto da membri provenienti da almeno un quarto degli Stati membri;

f) non deve perseguire scopi di lucro.

  1. Un partito politico europeo può essere collegato formalmente a una sola fondazione politica europea. Ciascun partito politico europeo e la fondazione politica europea a esso affiliata garantiscono una separazione tra le loro rispettive strutture direttive e di gestione corrente e la contabilità finanziaria.

Articolo 6

Autorità per i partiti politici europei e le fondazioni politiche europee

  1. È istituita un’Autorità per i partiti politici europei e le fondazioni politiche europee (l’«Autorità») ai fini della loro registrazione, del loro controllo e dell’irrogazione di sanzioni a essi applicabili a norma del presente regolamento.
  2. L’Autorità è dotata di personalità giuridica. Essa è indipendente ed esercita le sue funzioni nell’assoluto rispetto del presente regolamento. L’Autorità decide in merito alla registrazione dei partiti politici europei e delle fondazioni politiche europee nonché in merito alla loro cancellazione dal registro, secondo le procedure e conformemente alle condizioni stabilite nel presente regolamento. L’Autorità verifica altresì a intervalli regolari che i partiti politici europei registrati e le fondazioni politiche europee registrate continuino a soddisfare le condizioni per la registrazione di cui all’articolo 3

[omissis]

Nelle sue decisioni l’Autorità tiene pienamente conto del diritto fondamentale alla libertà di associazione e dell’esigenza di garantire il pluralismo dei partiti politici in Europa.

CAPO IV

DISPOSIZIONI RELATIVE AL FINANZIAMENTO

Articolo 17

Condizioni di finanziamento

  1. Un partito politico europeo registrato alle condizioni e secondo le procedure stabilite nel presente regolamento, rappresentato in seno al Parlamento europeo da almeno uno dei suoi membri e che non si trova in una delle situazioni di esclusione di cui all’articolo 106, paragrafo 1, del regolamento finanziario, può chiedere un finanziamento a carico del bilancio generale dell’Unione europea, conformemente alle modalità e alle condizioni pubblicate dall’ordinatore del Parlamento europeo in un invito a presentare domande di contributi.
  2. Una fondazione politica europea collegata a un partito politico europeo ammesso a presentare domanda di finanziamento ai sensi del paragrafo 1, registrata alle condizioni e secondo le procedure di cui al presente regolamento e che non si trova in una delle situazioni di esclusione di cui all’articolo 106, paragrafo 1, del regolamento finanziario, può chiedere un finanziamento a carico del bilancio generale dell’Unione europea, conformemente alle modalità e alle condizioni pubblicate dall’ordinatore del Parlamento europeo in un invito a presentare proposte.
  3. Al fine di determinare l’ammissibilità a beneficiare di un finanziamento a carico del bilancio generale dell’Unione europea […] un deputato al Parlamento europeo è considerato esponente di un solo partito politico europeo che deve, se del caso, essere quello a cui il suo partito politico nazionale o regionale è affiliato alla data di scadenza per la presentazione delle domande di finanziamento.
  4. I contributi finanziari o le sovvenzioni a carico del bilancio generale dell’Unione europea non superano l’85 % delle spese annue rimborsabili indicate nel bilancio di un partito politico europeo e l’85 % dei costi ammissibili sostenuti da una fondazione politica europea.

[omissis]

[…] le spese rimborsabili tramite un contributo finanziario comprendono le spese amministrative e le spese per assistenza tecnica, riunioni, ricerca, eventi transfrontalieri, studi, informazione e pubblicazioni, nonché le spese relative a campagne.

Articolo 19

Criteri di concessione e distribuzione dei finanziamenti

  1. Gli stanziamenti disponibili, rispettivamente, per i partiti politici europei e per le fondazioni politiche europee che hanno ricevuto contributi o sovvenzioni a norma dell’articolo 18, sono ripartiti ogni anno sulla base delle seguenti proporzioni: — il 15 % è ripartito in parti uguali tra i partiti politici europei beneficiari; — l’85 % è suddiviso tra i partiti politici europei beneficiari in ragione della rispettiva quota di deputati eletti al Parlamento europeo. Lo stesso criterio di ripartizione è usato per assegnare sovvenzioni alle fondazioni politiche europee, sulla base del loro collegamento con un partito politico europeo.
  2. La ripartizione di cui al paragrafo 1 è definita sulla base del numero di deputati eletti al Parlamento europeo che sono membri del partito politico europeo alla data di scadenza per la presentazione delle domande di finanziamento […]

Note:

[1] Daniele Pasquinucci, Uniti dal voto? Storia delle elezioni europee 1948-2009, Milano, Franco Angeli, 2013, p. 278.

[2] Gli elettori del Regno Unito attribuirono il 31,6% dei voti al Labour e il 48,4% ai Tories, cifre che in termini di parlamentari si tradussero però rispettivamente nel 21% e nel 75,3% dei parlamentari assegnati.

[3] In base a tale principio il numero dei deputati per ogni stato è proporzionato alla popolazione complessiva, ma con un meccanismo che favorisce la rappresentanza dei paesi più piccoli.

[4] La proposta regolamento recante modifica del regolamento (UE, Euratom) n. 1141/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2014, relativo allo statuto e al finanziamento dei partiti politici europei e delle fondazioni politiche europeedi è stata presentata dalla Commissione Europea, il 19 settembre 2017.

Dati articolo

Autore:
Titolo: Parlamento europeo, elezioni e partiti fra europeismo ed euroscetticismo
DOI: 10.12977/nov225
Parole chiave: , , ,
Numero della rivista: n.9, febbraio 2018
ISSN: ISSN 2283-6837

Come citarlo:
, Parlamento europeo, elezioni e partiti fra europeismo ed euroscetticismo, Novecento.org, n. 9, febbraio 2018. DOI: 10.12977/nov225

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