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Le canzoni del “lungo dopoguerra” (1946-1958)

Abstract

Fino alla fine degli anni ’50, i potenti fattori di modernizzazione economica e sociale, in atto nella società italiana, erano poco visibili a causa di un clima politico-culturale all’insegna del conservatorismo e della restaurazione dei valori tradizionali: ovvero, la società italiana “correva avanti ma guardava indietro”. Il migliore osservatorio di questo processo è la canzone popolare, che in Italia si è soliti chiamare musica leggera, ossia le “canzonette”, l’espressione più significativa della cultura di massa, ma proprio per questo sotto il controllo più stretto da parte del potere. Il lavoro è previsto per 2 ore.

musica leggera dopoguerra

Di Palleschi – Radiocorriere, Pubblico dominio, Collegamento

Premessa

Questo studio di caso si colloca nella storia italiana, dal dopoguerra fino al 1958 (“il lungo dopoguerra”). Serve a comprenderne alcune dinamiche culturali e a capire e la mentalità collettiva del tempo. Si basa sull’uso delle canzoni come fonte storica. Si utilizzeranno, perciò dei brevi video, tutti tratti da Youtube. Una fonte che suscita notevole interesse e curiosità in classe. Prerequisito per gli studenti è lo studio del periodo nei suoi aspetti generali, da effettuarsi sul libro di testo.

Testo per i docenti

[NB: le canzoni proposte come fonti in video sono sottolineate]

Canzoni e società italiana tra 1946 e 1958

Grande storia e piccole canzoni

In un’ampia prospettiva, la storia degli ultimi 70 anni appare divisa in due epoche storiche, con gli anni settanta come svolta periodizzante. La prima di queste epoche è stata autorevolmente definita, per l’Occidente, “l’età dell’oro”, perché segnata dalla “più rapida e fondamentale trasformazione economica, sociale e culturale che la storia ricordi” (E.J. Hobsbawm, Il secolo breve, 1994). Più recentemente, Alberto De Bernardi l’ha definita “l’età del capitalismo statalmente organizzato”, contrapposta alla successiva epoca della “globalizzazione neoliberista” (A. De Bernardi, Un paese in bilico, 2014). L’unitarietà di quell’epoca storica vale per l’Occidente e dunque anche per l’Italia, che dal dopoguerra agli anni ’70 (alla loro fine, nel caso italiano), compì la sua “grande trasformazione”: una società ancora in gran parte agraria divenne industriale-urbana, con tutti i processi a questo connessi, riassumibili nella categoria della modernizzazione.

All’interno di un’epoca fondamentalmente unitaria, però, va posta una sotto-periodizzazione tra un “lungo dopoguerra”, durato fin verso la fine degli anni ’50, e il successivo ventennio.

La svolta del 1958

Per l’Italia è ovvio assumere come svolta il 1958: il primo anno del “miracolo economico”; l’anno in cui il numero dei lavoratori dell’industria sorpassò quello degli addetti all’agricoltura; in cui iniziò la costruzione dell’autostrada del Sole e prese avvio il mercato europeo, dopo il trattato di Roma firmato l’anno prima. Fu una svolta non solo per l’economia. Silvio Lanaro, il primo a proporre questa periodizzazione (nel suo Storia dell’Italia repubblicana, 1992), tratteggiò con grande efficacia l’atmosfera sociale, politica e soprattutto culturale del “lungo dopoguerra”, e così hanno fatto poi le ricerche di Guido Crainz (fino all’ultimo Storia della repubblica, 2016). L’epoca che essi richiamano fu quella della “democrazia protetta” (espressione di De Gasperi che di fatto significò della “Costituzione congelata” e, per molti cittadini, dei “diritti negati”); di uno Stato che nelle norme come negli apparati mostrava vistosi tratti di continuità con quello fascista; di una società che liberava sì energie nuove, ma anche umori antichi e profondi, efficacemente definiti con la categoria dell’apotismo (cioè la convinzione tutta italiana di pensare di “essere i furbi che non la bevono”); di una Chiesa cattolica che dispiegava tutto il suo potere e la sua forza organizzativa in un disegno di egemonia integralista, insofferente sia del pluralismo democratico sia dei valori della modernità (un solo esempio, tra innumerevoli possibili: nel 1958 il vescovo di Prati fece leggere nelle chiese della città una lettera in cui bollava come pubblici peccatori e concubini due coniugi che si erano sposati con rito civile, in Crainz, cit., p.69). In questa prospettiva, il 1958 diventa data periodizzante anche – e soprattutto – per la fine del pontificato di Pio XII, l’ultimo “principe della Chiesa”, vessillifero della crociata contro il “comunismo ateo”, non in nome della “civiltà occidentale” quanto dei valori tradizionali della “civiltà contadina”.

Differenze tra anni ’50 e ‘60

La differenza tra il clima politico-culturale degli anni ’50 e quello degli anni ’60 non è una “anomalia” italiana. Se collochiamo la storia italiana nel contesto di quella delle società occidentali, emerge che l’asprezza dei primi anni della guerra fredda e il clima interno di crociata anticomunista erano comuni a tutto l’Occidente: si vedano il maccartismo negli Usa e il prevalere ovunque di governi conservatori. Lo stesso si può osservare per il tradizionalismo nei valori e nei comportamenti, in particolare nei rapporti di genere: gli anni ’50 videro l’esaltazione della donna casalinga, sia pur non più “angelo del focolare” bensì moderna manager di una casa affollata di nuovi elettrodomestici, e come tale principale destinataria dei nuovi sistemi di promozione dei consumi di massa.

Sottolineare questi tratti comuni agli altri paesi occidentali non impedisce di vedere alcune specificità del caso italiano, ove furono più nette le differenza tra il clima del “lungo dopoguerra” e quello dei decenni successivi. Nel nostro paese il poderoso processo di trasformazione e di modernizzazione economica e sociale, in atto già dagli anni della “ricostruzione”, rimase sotterraneo, pressoché invisibile fin quasi alla fine degli anni ’50. Perché?

Le cause individuate dalla storiografia sono diverse, ma con effetti convergenti:

a) le condizioni iniziali molto più arretrate che nel resto dell’Occidente, in particolare nel Sud, e ciò non solo nelle condizioni di vita ma anche nel tessuto sociale, civile e culturale;

b) lo strapotere padronale sui luoghi di lavoro, che faceva crescere i profitti e gli investimenti ma non i salari, per cui rimanevano deboli i consumi della famiglie;

c) i fattori prima richiamati, cioè la pesante eredità del ventennio fascista, i tratti illiberali presenti sia nello Stato sia nella mentalità diffusa in vasti strati della società, e l’influenza molto più forte e più diretta di una Chiesa in quegli anni realmente oscurantista.

Le canzonette riflettono i cambiamenti sociali

Per sintetizzare questo periodo, potremmo dire che in quel “lungo dopoguerra” la società italiana “correva avanti ma guardava indietro”; ovvero stava realizzando un’enorme trasformazione, sul piano strutturale, ma quasi senza rendersene conto, per il permanere di una mentalità collettiva (valori, credenze, aspettative, fantasie) rivolta al passato.

Questo processo si osserva magnificamente nella canzone popolare, che in Italia si è soliti chiamare “musica leggera”. Proprio perché destinata a un pubblico di massa, questa era la forma di cultura più “sorvegliata” dal potere, più soggetta ai controlli e alle censure dei governi democristiani del tempo e della Chiesa, al cui “magistero” la Dc degli anni ’50 si rimetteva completamente, lasciandole il più ampio spazio d’influenza.

Per questo motivo la canzone, assieme alla radio e alla neonata televisione (soggette ad analoghi controlli), sono le forme di cultura di massa più rivelatrici del mutamento del clima culturale che si ebbe dagli anni ’50 ai ’60. Certo è che, come si vedrà nel secondo studio di caso proposto, anche in musica la svolta epocale fu nel 1958, con “Mister Volare” (Domenico Modugno) e con l’irruzione dall’America delle mode musicali giovanili, a partire dal rock’n roll.

Un passo indietro: le origini della “canzone all’italiana”

La fama dell’Italia come “Paese del bel canto” nacque nell’Ottocento da due tradizioni canore che sarebbero state poi all’origine della canzone italiana: la romanza lirica del melodramma (l’opera lirica era allora molto più popolare che ai nostri giorni) e le tradizioni dialettali locali, in primo luogo la canzone napoletana. Con questa doppia derivazione, la canzone italiana nacque nel primo Novecento ma divenne “adulta” solo negli anni ‘20 e ’30. Si affermarono allora i tratti tipici della “canzone all’italiana”, sulle orme di quella napoletana: melodica, sentimentale, con temi spesso patetici e strappalacrime come amori infelici (quasi sempre per colpa di donne “tentatrici” e “peccaminose”), o la nostalgia del “bel tempo che fu”. C’era anche il filone delle canzoni molto allegre e orecchiabili, a volte filastrocche comiche o surreali, giocate sul nonsense o su doppi sensi. Fondamentale: erano tutte canzoni da ascoltare, cantare, ballare.

Negli anni ’30 iniziò l’influenza di musiche americane come il jazz e soprattutto lo swing, più ritmiche (anche se fortemente ostacolate dal regime, che le bollava come “barbara anti-musica negra”) e con esse la contrapposizione tra innovazione, derivante dall’America, e tradizione, rappresentata dalla canzone melodica “all’italiana”. Negli anni ’30 vi furono altre grandi novità:

a) la radio, nata nel 1925, cominciò a diventare il principale canale di diffusione delle canzoni, più del costoso grammofono;

b) il cinema divenne sonoro, nel 1930, con un film musicale (La canzone dell’amore) al quale molti altri seguirono: fu il cinema musicale a dare un volto noto al pubblico ai cantanti-attori; fino ad allora i cantanti erano solo voci che uscivano dai dischi e dalla radio.

c) Nacquero le grandi orchestre, che si esibivano sia nelle più prestigiose sale da ballo sia negli studi di registrazione della radio; Cinico Angelini e Pippo Barzizza erano i due direttori – e arrangiatori – più prestigiosi, e sarebbero poi rimasti protagonisti fino agli anni ’60: il primo, alfiere della tradizione, il secondo della musica swing. Essi arricchirono la canzone italiana degli anni ‘30, che già disponeva di grandi compositori e parolieri.

Dalle origini fino ai primi anni ’60, la canzone italiana si caratterizzò per testi scritti in una lingua “alta”, aulica, molto lontana dal parlato. Su questo pesarono certo la derivazione dalla lingua colta del melodramma, e più in generale le origini letterarie della nostra lingua nazionale. L’influenza della lirica era molto forte anche sull’impostazione e sulla qualità della voce dei cantanti: voci da tenori o da baritoni, gli uomini, e da soprani le donne.

La restaurazione musicale del dopoguerra, fino al 1958

Nell’immediato dopoguerra, la canzone italiana sembrò travolta dall’invasione della musica e dei balli americani, portati dalle truppe d’occupazione: lo swing, il jazz e il nuovissimo boogie woogie.

Ma durò poco, e per oltre un decennio la rinascita della canzone italiana avvenne lungo due direttrici.

1) Dapprima ripresero smalto le tradizioni locali, prima tra tutte quella napoletana, ma anche quelle romana e romagnola. A Napoli, già tra il ’44 e il ’45 uscirono le famosissime Tammuriata nera, Simmo ‘e Napule paisà, Dove sta Zazà e Munasterio ‘e Santa Chiara, ed emersero le voci di Roberto Murolo, Fausto Cigliano e Sergio Bruni. Nella capitale, l’astro nascente della canzone melodica, il trasteverino Claudio Villa, lanciò nel ’48 Vecchia Roma, e nel 1955 Renato Rascel compose l’ancora più celebre Arrivederci Roma. In Romagna Raimondo Casadei, già dagli anni ’30 autore di centinaia di balli lisci per la sua orchestra, produsse nel 1954 la canzone-simbolo del genere: Romagna mia.

2) La direttrice dominante divenne però la restaurazione della tradizionale canzone melodica, sia nella sua intonazione nostalgico-sentimentale sia in quella dell’allegria. Vennero rilanciate molte canzoni d’anteguerra, ma anche quelle nuove richiamavano in tutto l’atmosfera degli anni trenta, anzi ne esasperavano i toni retorici e i temi patetici. Ricordiamo che il contesto politico-ideologico era quello della guerra fredda, coi governi del “centrismo” guidati dalla Democrazia Cristiana (Dc) dopo la rottura coi partiti di sinistra (Pci e Psi). In musica, il decennio 1948-58 fu l’epoca della restaurazione dei valori tradizionali, all’insegna della canzone melodica, quasi sempre strappalacrime, in gran parte ispirata a valori non dissimili dalla triade Dio-patria-famiglia esaltata nel ventennio fascista. Va sottolineato che tra i molti tratti di continuità con il regime fascista ci fu il rapporto fra potere politico, comunicazione e cultura di massa, nel nostro caso la musica. In tutto il “lungo dopoguerra”, infatti, la canzone era “di Stato”: la governavano la radiofonia pubblica (l’Eiar, diventata Rai), e la sua controllata discografica, la Cetra, esattamente come avveniva durante il fascismo. Il controllo governativo – cioè, di fatto, della Dc secondo le direttive morali della Chiesa – dal 1954 si estese dalla radio alla televisione, nata in quell’anno.

Nasce il “tempio” della “canzone all’italiana”, il festival di Sanremo

Il luogo principale di quella nuova-vecchia “canzone all’italiana” divenne il festival di Sanremo. Nacque nel 1951, all’inizio sottotono, per rilanciare l’immagine turistica della “città dei fiori”: era una gara canora, con soli tre concorrenti a proporre le venti canzoni in competizione, affidate all’orchestra del maestro Angelini. La bolognese Nilla Pizzi trionfò con Grazie dei fiori; l’anno dopo con Vola colomba, e in entrambe le edizioni si aggiudicò anche il secondo (Papaveri e papere) e il terzo posto: non sorprende l’appellativo di “regina della canzone” che l’accompagnò per anni.

I protagonisti di Sanremo, e della canzone italiana di quegli anni in generale, furono pochi anche perché non esisteva ancora il legame cantante-canzone (che iniziò negli anni ’60): lo stesso interprete ne eseguiva diverse, anche nella stessa competizione. Oltre alla Pizzi, quei protagonisti erano Luciano Tajoli (Campanaro, 1953) Gino Latilla (Vecchio scarpone, 1953), Claudio Villa (Buongiorno tristezza, 1955), Achille Togliani (Amor di pastorello), il Duo Fasano, Carla Boni (Casetta in Canada 1957), Giorgio Consolini (Tutte le mamme, 1954), Teddy Reno (Piccolissima serenata, 1957).

A proposito del controllo di Stato sulla musica, erano tutti artisti Rai e Cetra, ad eccezione degli ultimi due. Teddy Reno, in particolare, che aveva fondato nel 1948 una sua casa discografica indipendente, divenne un importante scopritore di nuovi talenti. Egli fu anche uno dei pochi a seguire il crooning, la svolta “confidenziale” che era iniziata nella musica americana dagli anni ’40, con l’invenzione del microfono: quella svolta consisteva in un modo più sommesso, “intimo” di cantare, e i crooners che la avviarono furono due giganti della canzone come Bing Crosby e Frank Sinatra. A parte Teddy Reno, gli altri sopra citati rimasero quasi sempre legati all’uso lirico (a piena voce), a una gestualità molto enfatica e a temi grondanti retorica. Ecco come la giornalista Camilla Cederna recensì per il settimanale «l’Europeo» il Festival del 1953: «Mentre le coppie di innamorati passeggiavano sotto gli alberi gonfi di mimose… per tre sere di seguito si pianse nella sala degli spettacoli del Casinò municipale. Si pianse sull’amante che non torna, sull’uomo che finge d’amare ma in realtà pensa a un’altra, sulla mamma del cieco che a furia di lacrime si consuma gli occhi, sul tamburino del reggimento che muore sul campo, sulle logore scarpe degli alpini… Nelle venti canzoni presentate al giudizio del pubblico, le parole più ripetute furono “lacrime”, pianto”, “disperato”, “tristezza”, “Angoscia”, e poi “chiesetta”, “Redentore”, “altare”». La critica (non solo la Cederna) storceva il naso, ma il grande pubblico apprezzava molto quelle canzoni e quei cantanti. Nei primi anni ’60 però uscirono tutti di scena, ad eccezione di Claudio Villa, travolti dalle novità musicali intervenute [vedi 2^studio di caso].

Le innovazioni: poche, isolate, con effetti non immediati

Dalla fine dei ’40 alla seconda metà dei ’50 gli amanti di novità dovettero rivolgersi all’estero: i più raffinati, alla canzone francese di Edith Piaf (col suo successo mondiale di La vie en rose nel 1947), Ives Montand, Juliette Greco, e più tardi di George Brassens; il pubblico più largo, ai ritmi latino-americani come la rumba, il samba, il bajon, il mambo. Altre grandi novità emersero negli Stati Uniti a metà dei ’50, ma la loro influenza in Italia si avvertì alcuni anni dopo: il soul di Ray Charles e, soprattutto, il rock’n roll di Chuck Berry, Bill Haley, Elvis Presley.

Enormi novità tecnologiche si verificarono alla metà del decennio, ma anch’esse produssero effetti solo a ridosso di quello successivo, per cui ci limitiamo a citarle:

a) il mercato discografico vide un’espansione continua, a cui contribuì anche l’arrivo nel 1953 di un colosso multinazionale, l’americana RCA, che spezzò il quasi-monopolio della Fonit-Cetra;

b) proprio l’RCA lanciò il disco 45 giri in vinile, che assieme al 33 giri soppiantò, a metà dei ’50, il vecchio disco 78 giri d’anteguerra;

c) nel 1954 nacque la televisione, che mise presto tra i suoi spettacoli di punta gare di cantanti;

d) nel 1955 sbarcò in Italia il juke-box, che già spopolava da alcuni anni in America.

Fino al 1958, però, le voci innovative furono poche, e appartennero in gran parte a un settore limitato, la “canzone da night”. In quella forma, Renato Carosone allestì un sestetto che nel 1955 inaugurò La Bussola in Versilia (per molti anni il locale notturno più alla moda). Con uno stile originalissimo, Carosone innestava le novità musicali americane sulla tradizione napoletana partenopea, spettacolarizzava le performances e impregnava di ironia le canzoni, alcune delle quali divennero celebri nel mondo: Tu vuo’ fa’ l’americano (1957), Torero, ‘O sarracino.

Interpreti della canzone da night, ma in versione “confidenziale” (crooning), furono anche Fred Buscaglione (con il suo look da “duro” alla Clark Gable e con canzoni da “bulli e pupe” come Che bambola, Eri piccola così) e Nicola Arigliano (Amorevole, Carina, I sing ammore). Si è scritto che le canzoni da night “contribuirono a traghettare l’Italia canora degli anni ’50 dal mondo delle vallate alpine e dei campanari a quello del jazz e dello spettacolo moderno”.

Ancora più originale fu l’esperienza di Domenico Mudugno, che alla metà dei ’50 può essere considerato il primo cantautore italiano moderno. Creava le sue canzoni sia in dialetto siciliano (nonostante egli fosse pugliese) come La donna riccia, sia in lingua, come Musetto e Vecchio frack (nel 1955), e le arricchiva con le sue straordinarie doti interpretative. Tre anni dopo, proprio Modugno divenne Mister Volare e fece voltare pagina alla canzone italiana, ma questo lo vedremo nello studio di caso sul periodo successivo.

Bibliografia e sitografia
  1. Gianni Borgna, Storia della canzone italiana, Roma-Bari, Laterza 1985
  2. Silvio Lanaro, Storia dell’Italia repubblicana, Venezia, Marsilio 1992
  3. Guido Crainz, Storia del miracolo italiano, Roma, Donzelli 2003
  4. Leonardo Colombati (a cura di), La canzone italiana 1861-2011, Milano, Mondadori 2011
  5. Alberto De Bernardi, Un paese in bilico, Roma-Bari, Laterza 2014
  6. Guido Crainz, Storia della repubblica, Roma, Donzelli 2016
  7. Cesare Grazioli, L’Italia in musica, sul sito dell’Università di Lione, all’indirizzo: http://cle.ens-lyon.fr/italien/l-italia-in-musica-indice-162864.kjsp?RH=CDL_ITA110500

Dossier dei documenti: le canzoni
  1. Gigi Beccaria con orchestra Mojetta, Eulalia Torricelli (1947) https://www.youtube.com/watch?v=K1m-4LGzuPw
  2. Nilla Pizzi e orchestra Angelini, Vola colomba (1^Sanremo 1952) https://www.youtube.com/watch?v=0vj26bTTl-Y
  3. Nilla Pizzi, Papaveri e papere (2^ a Sanremo 1952) https://www.youtube.com/watch?v=I_Ecnp678nk
  4. Luciano Tajoli, Campanaro (1953) https://www.youtube.com/watch?v=6ttOFbCj83A
  5. Gino Latilla, Vecchio scarpone (3^ a Sanremo 1953) https://www.youtube.com/watch?v=VvWH-jiwp2k
  6. Giorgio Consolini, Tutte le mamme (1^a Sanremo 1954) https://www.youtube.com/watch?v=qAQfRG_wgiA
  7. Claudio Villa, Buongiorno tristezza (1^ a Sanremo 1955) https://www.youtube.com/watch?v=A2fQ27eoJ9U
  8. Achille Togliani, Amor di pastorello (del primo Novecento) https://www.youtube.com/watch?v=aqgYdgy6RP0
  9. Carla Boni, Casetta in Canada (Sanremo 1957) https://www.youtube.com/watch?v=f8cXfFJr28g
  10. Teddy Reno, Piccolissima serenata (1957) https://www.youtube.com/watch?v=rrY9J2ABa9E
  11. Domenico Modugno, Vecchio frac (1955) https://www.youtube.com/watch?v=8yZLwUI6EEc
  12. Renato Carosone, Tu vuo’ fa’ l’americano (1957) https://www.youtube.com/watch?v=BqlJwMFtMCs

Alcune spiegazioni sui documenti

Delle dodici canzoni proposte per le attività didattiche indicate, le prime nove appartengono alla tradizione della “canzone all’italiana”: sei al filone sentimentale-patetico-nostalgico (i numeri 2, 4, 6, 7, 8), tre a quello allegro-surreale (1, 3, 9); le ultime due (11 di Modugno, 12 di Carosone) sono innovative. La n.10 si può considerare intermedia: è una canzone da night, cantata da Teddy Reno con il nuovo approccio “confidenziale” del crooning, ma molto tradizionale nel tema.

Eulalia Torricelli, la prima, è un tipico esempio di canzone disimpegnata, surreale, molto orecchiabile, ballabile come valzer allegro: ottenne un grande successo, dopo il quale il cantante Gigi Beccaria abbandonò la professione.

Le successive otto sono invece qui cantate dagli interpreti di maggior successo dei ’50. Non per caso ne vengono proposte due di Nilla Pizzi, la “regina” di quegli anni, trionfatrice incontrastata delle prime edizioni di Sanremo. Va detto che al suo successo contribuirono vari fattori: nei primi anni ’40 si era affermata sia in concorsi di bellezza sia in selezioni canore, e la sua voce suonava allora molto moderna: lo era davvero, se paragonata con le voci di impianto lirico, o usate in falsetto, in voga negli anni ’30 e ’40 (si vedano come esempi le voci di Rosetta Ferlito e delle sorelle del Trio Lescano, qui sotto riportate).

Da segnalare i significati ideologici delle due canzoni della Pizzi (segnalazione che è del tutto superflua per altre canzoni successive):

1) Vola colomba riguardava la coeva crisi di Trieste e del confine orientale, apertasi proprio allora, che nella canzone provoca la forzata separazione dei due amanti: lei rievoca la loro unione, cementata dalla fede (già l’incipit: “Dio del ciel, s’io fossi una colomba”) e rinsaldata dalla laboriosità (“noi lasciavamo il cantiere, lieti del nostro lavoro”); di una colomba non servirebbe ricordare che è bianca, se quello non fosse anche il colore della Dc al potere, contro il rosso delle sinistre, in quei primi anni ’50 che erano i più duri della guerra fredda (con la guerra di Corea in corso, che faceva temere il peggio).

2) Il titolo di Papaveri e papere era fortemente evocativo, perché l’espressione “alti papaveri” era comunemente riferita agli uomini di potere. La canzone, dietro il ritmo allegro e le parole surreali, invitava ad accettare l’invalicabilità delle distanze tra “alti papaveri” e piccole “paperine”, in una doppia subordinazione, sociale e di genere: “Sei nata paperina, che cosa ci vuoi far?!”. Un messaggio ideologico analogo era anche nell’altra canzone comico-surreale, Casetta in Canada, che esaltava la sopportazione dei soprusi ricevuti e l’abnegazione nel ricominciare daccapo il duro lavoro del “ricostruire la casetta in Canadà” ogni volta distrutta dal malvagio Pinco Panco.

Tutte le altre canzoni non hanno bisogno di spiegazioni, ad eccezione di Amor di pastorello, qui interpretata dal “bello” della canzone degli anni ’50 Achille Togliani. La canzone risaliva al primo Novecento, ma tutti i maggiori cantanti degli anni ’50 la reinterpretarono: questo è molto significativo su quanto fosse sentita pienamente attuale una canzone di ambientazione pastorale che grondava retorica in ogni suo verso. E’ da segnalare che anche Carosone si cimentò in un rifacimento di Amor di pastorello, ma di segno opposto, cioè all’insegna di un corrosivo e demolitorio sarcasmo (si può ascoltarlo in: https://www.youtube.com/watch?v=lpKmpgAn8jg). E’ lo stesso Carosone che qui, in Tu vuo’ far l’americano, con il suo sestetto è inarrivabile nel fondere ritmi swing e gestualità partenopea e nell’irridere con la sua esilarante ironia chi scimiotta l’american way of life ma “i soldi pe’ Camèl [le sigarette] chi te li dà? La borsetta di mammà!”, negli stessi anni dei film Vacanze romane e Un americano a Roma.

E’ da notare che negli anni ’50 i cantanti erano mediamente trentenni o poco più anziani: lo erano quasi tutti i big sopra citati, a partire dalla Pizzi (nata nel 1919), trentaduenne al primo festival di Sanremo. Anche Modugno, più giovane, aveva trent’anni quando trionfò la prima volta, nel 1958.

Per non appesantire la galleria di canzoni del “lungo dopoguerra”, non ho inserito esempi dell’altro filone, quello di ripresa delle tradizioni regionali. A chi volesse integrarli, segnalo in particolare le seguenti tre canzoni:

Per analoghi motivi, pur avendo toccato, anche nel testo per gli studenti, gli anni ’30, nei quali si consolidò la tradizione della “canzone all’italiana”, non ne ho riportato esempi significativi, anche se la “restaurazione musicale” degli anni ’50 ebbe quelli come modelli.

Per chi volesse mostrarne agli studenti esempi significativi, segnalo ancora sei canzoni.

Le prime quattro sono esempi molto celebri della tradizione melodica della “canzone all’italiana”: la prima, Tic-ti tic-ta, è seguita dal rifacimento di Caterina Valente della fine degli anni ’50, perché il confronto mostra quanto il carattere più o meno tradizionale di una canzone dipenda soprattutto dall’esecuzione e dall’arrangiamento, ben più che dallo spartito musicale. Le altre tre sono eccezionali sia per gli autori (tutti di scuola napoletana, autori di un altissimo numero di pezzi celebri: Cherubini e Bixio, e Mario, la cui versatilità spaziò da La canzone del Piave nel 1918 a Tammuriata nera nel 1944), sia per gli interpreti (Beniamino Gigli, il tenore lirico erede di Caruso, e Carlo Buti, forse l’unico “divo” canoro degli anni trenta).

Le ultime due sono invece esempi di swing, la corrente che tra la fine degli anni ’30 e i primi anni ’40 ebbe come massimi esponenti il Trio Lescano (composto da tre sorelle olandesi, ed ebree, e perciò emarginate dal regime dal 1943) e Natalino Otto (del quale propongo una carrellata di successi sulle immagini di ballerini americani di swing), oltre ad Alberto Rabagliati.

Testo per gli studenti Le canzoni del “lungo dopoguerra” (1946-1958)

La “canzone all’italiana” aveva raggiunto la sua maturità nel periodo tra le due guerre. Derivava da due grandi tradizioni, quelle della canzone napoletana e del melodramma teatrale, che le avevano trasmesso le sue caratteristiche tipiche: una canzone melodica, cioè incentrata sul “bel canto”, con voci di cantanti impostate come nella lirica; scritta in una lingua molto “alta”, lontana dal parlato; con testi molto sentimentali, spesso patetici, “strappalacrime”. Nel tono e nei temi vi era però anche il filone opposto delle canzoni comiche, a volte filastrocche burlesche e piene di doppi sensi, create per muovere al riso e all’allegria. Che mirasse a fare piangere o ridere, la “canzone all’italiana” era comunque costruita per essere non solo ascoltata (alla radio o nei pesanti dischi a 78 giri allora in uso), ma anche cantata e ballata, con i balli allora in voga: valzer, tango e anche polka e mazurca, nel “ballo liscio” che già imperversava, soprattutto in Romagna.

Negli anni ’30 iniziò l’influenza di musiche americane come il jazz e lo swing, più ritmiche, e con esse prese avvio una contrapposizione tra innovazione, derivante dall’America, e tradizione, rappresentata dalla canzone melodica “all’italiana”.

E’ utile avere presente questo quadro musicale italiano degli anni ’30, perché dal dopoguerra fin quasi alla fine dei ’50 esso fu riproposto quasi invariato.

Novità ci furono, ed enormi, nei luoghi e nei mezzi di trasmissione della musica. La radio (il mezzo principale) si diffuse in tutte le case; dal 1954 iniziò a trasmettere anche la TV, sempre sotto il monopolio pubblico (Rai). Si moltiplicarono le vendite di dischi, anche perché i pesanti 78 giri furono soppiantati dalla novità arrivata allora dall’America, i dischi in vinile: i 45 giri (singoli) e i 33 giri (long playing). Nel 1955 giunsero dagli Usa anche i primi juke-box, ma le conseguenze si videro alcuni anni dopo. Nonostante queste novità, le canzoni degli anni ’50 guardavano al passato.

Nel 1951, era iniziato il festival di Sanremo, che divenne quasi subito il “tempio” della canzone italiana e della sua “restaurazione melodica”. Aveva un numero limitato di cantanti (addirittura solo tre, nella prima edizione), che portavano in gara molte canzoni ciascuno. Di fatto i dominatori del palcoscenico di Saremo, e della canzone italiana di quegli anni, furono circa una decina: su tutti la bolognese Nilla Pizzi, poi Tajoli, Tagliani, Villa, Latilla, Consolini, Reno, la Boni e il Duo Fasano.

Erano tutti cantanti emersi nel dopoguerra, ma il loro repertorio era quasi lo stesso d’anteguerra, per stile, toni e temi, che anzi accentuavano l’enfasi retorica, nel filone “strappalacrime”. Rimase in auge anche il filone comico-surreale, con canzoncine che spesso, dietro l’apparente ingenuità, trasmettevano anch’esse precisi messaggi ideologici, di conservazione dell’ordine sociale.

Alternative? Poche, tardive (emersero solo nella seconda metà dei ’50), e provenienti quasi solo da un settore, quello della “musica da night” (cioè suonata, cantata e ballata nei locali notturni). Essa fu l’unica, allora, che si confrontò con i ritmi musicali e con le novità provenienti dall’America: ad esempio adottò il crooning, lo stile “confidenziale” introdotto dai “mostri sacri” Bing Crosby e Frank Sinatra, adatto all’ambiente dei night e dei piano-bar. Ma fu anche molto originale nel mettere in scena, con tono ironico e scanzonato, l’irruzione dell’american way of life nella società italiana, come seppe fare il napoletano Renato Carosone con il suo sestetto. La rivoluzione musicale del rock’n roll, già esplosa in America, impiegò alcuni anni per arrivare in Italia. Un’altra rivoluzione, più interna alla tradizione canora italiana, l’avrebbe portata il cantautore pugliese Domenico Modugno, sul palcoscenico di Sanremo nel 1958: ne riparleremo nel 2^studio di caso.

I documenti: le canzoni
  1. Gigi Beccaria (con orchestra Mojetta), Eulalia Torricelli (1947)
  2. Nilla Pizzi e orchestra Angelini, Vola colomba (1^ a Sanremo 1952)
  3. Nilla Pizzi, Papaveri e papere (2^ Sanremo 1952)
  4. Luciano Tajoli, Campanaro (1953)
  5. Gino Latilla, Vecchio scarpone (3^ a Sanremo 1953)
  6. Giorgio Consolini, Tutte le mamme (1^a Sanremo 1954)
  7. Claudio Villa, Buongiorno tristezza (1^ a Sanremo 1955)
  8. Achille Togliani, Amor di pastorello (del primo Novecento)
  9. Carla Boni, Casetta in Canada (Sanremo 1957)
  10. Teddy Reno, Piccolissima serenata (1957)
  11. Domenico Modugno, Vecchio frac (1955)
  12. Renato Carosone, Tu vuo’ fa’ l’americano (1957)

Didattica

1) Analisi delle fonti

Gioco di simulazione:

Dopo avere letto rapidamente il testo, ora vedrete e ascolterete 12 canzoni, molto rappresentative della musica italiana degli anni ’50. Immaginate di vivere in quel periodo. Formerete 5 gruppi, ciascuno dei quali dovrà indicare la prima e la seconda canzone vincitrice, e motivando le scelte, per iscritto (da 5 a 10 righe per ciascuna delle due canzoni scelte). Leggete e commentate le motivazioni.

Però, ATTENZIONE! Ogni gruppo valuterà secondo criteri specifici, che dipendono da gusti, valori, interessi suoi propri, cioè i seguenti:

Primo gruppo: siete esperti di un settimanale femminile di alta tiratura, che deve premiare le canzoni più romantiche e sentimentali, adatte al proprio tipo di pubblico.

Secondo gruppo: siete inviati del periodico dell’Azione cattolica (organizzazione della Chiesa, che all’epoca contava milioni di aderenti), che deve selezionare le canzoni adatte alla sensibilità religiosa e alla moralità dei propri iscritti.

Terzo gruppo: siete inviati delle forze armate, che devono indicare i titoli di dischi da acquistare, adatti allo spirito nazionale e al rispetto delle tradizioni, necessari nei circoli ufficiali delle caserme.

Quarto gruppo: siete esperti ai quali alcune grandi aziende hanno affidato il compito di selezionare le canzoni più allegre e ballabili, adatte ai circoli del dopolavoro per i dipendenti.

Quindi gruppo: siete inviati del “Mondo”, una rivista di orientamento laico e progressista che cerca segnali di innovazione nel campo musicale.

2) Rapporto tra le fonti e il contesto storico generale

Alla fine, produrrete un saggio breve, scegliendo fra queste due tracce (per realizzarlo, tenete presente le discussioni, l’ascolto dei brani e il testo iniziale):

  1. Come si spiega il forte tradizionalismo che emerge da gran parte delle canzoni del periodo, sulla base delle caratteristiche della società italiana di quegli anni?

  2. Gli aspetti di “modernità” che avete individuato in alcune canzoni, a quali aspetti di trasformazione della società italiana di quegli anni si possono collegare?

3 Comments

  1. Pier Paolo

    salve, io sto cercando il titolo di una canzone, più o meno fino anni 40 inizio anni 50, che all’interno del testo conteneva la seguente frase: “rondine campagnola che voli sopra ai tetti”… ne ricordo a tratti la melodia, ma di parole solo queste e ricordo che faceva parte anche della colonna sonora di un film di quel periodo, del quale però non ricordo nè il titolo nè gli attori

  2. Redazione

    Onestamente brancoliamo nel buio anche noi, ma magari qualche altro lettore può fornirci la risposta!

  3. domenico alunni

    A me piacerebbe conoscere il testo di una canzone degli anni ???? che faceva cosi …

    Quando torni a Rio non ti devi dimenticar di salire in sordina a visitar la collina dove imparano a ballar ,arrivato lassù una fata ti attenderà e le donne più belle ti porteranno alle stelle dove imparano a ballar ..

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Dati articolo

Autore:
Titolo: Le canzoni del “lungo dopoguerra” (1946-1958)
DOI: 10.12977/nov195
Parole chiave: , , , , , ,
Numero della rivista: n.8, agosto 2017
ISSN: ISSN 2283-6837

Come citarlo:
, Le canzoni del “lungo dopoguerra” (1946-1958), Novecento.org, n. 8, agosto 2017. DOI: 10.12977/nov195

Dossier n. 8, agosto 2017

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