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“Prima di Piazza Fontana. La prova generale”

“Prima di Piazza Fontana. La prova generale”

Il Banco dell’agricoltura in piazza Fontana dopo la deflagrazione della bomba
Pubblico dominio, Collegamento

Paolo Morando
Prima di Piazza Fontana. La prova generale
Bari-Roma, Laterza, 2019

Il 12 dicembre 1969, alle ore sedici e trentasette, un ordigno esplose nell’ingresso della Banca Nazionale dell’Agricoltura, situata in Piazza Fontana a Milano. La deflagrazione costò la vita a 17 persone e ne ferì 88. L’evento è considerato l’atto iniziale di una scia di stragi che insanguineranno l’Italia per più di un decennio: fu la “strategia della tensione”, come la definì Leslie Finer, giornalista inglese che seguiva le vicende italiane dell’epoca. L’attentato di Piazza Fontana è stato per lungo tempo oggetto di indagini approfondite e di speculazioni da parte di studiosi e giornalisti, tuttavia ci vollero anni prima che emergesse la verità storica e giudiziaria e che si potesse con certezza indicare la matrice ideologica di provenienza dei mandanti e degli esecutori, anche se alcuni di loro furono assolti in sede giudiziaria.

Nel volume Prima di Piazza Fontana. La prova generale, Paolo Morando, giornalista e vicecaporedattore del «Trentino», affronta per la prima volta, in maniera sistematica e puntuale, la serie di attentati che precedettero quello alla Banca Nazionale dell’Agricoltura. La bomba che distrusse i locali della banca fu, infatti, l’ultima di una serie di esplosioni che segnarono il 1969, l’anno dell’autunno caldo e dell’inasprirsi delle rivolte operaie e studentesche. In questo contesto si inserì l’ordigno di Piazza Fontana con il conseguente senso di instabilità politica e insicurezza che l’Italia si portò dietro per tutti gli anni Settanta.

La ricostruzione di Morando, scrupolosa e accurata, si basa in buona parte su fonti processuali (12.000 documenti depositati presso l’Archivio di Stato di Milano) ed è riuscita a riportare alla luce una pagina misconosciuta della strategia della tensione, quella riguardante i due ordigni che esplosero a Milano il 25 aprile 1969: uno alla Fiera campionaria e l’altro all’Ufficio cambi della Banca Nazionale delle Comunicazioni della Stazione centrale e che provocarono una ventina di feriti.

Questi attentati verranno attribuiti dal commissario dell’Ufficio politico della Questura di Milano, Luigi Calabresi, e dal giudice istruttore, Antonio Amati, a un gruppo di anarchici che erano in contatto, peraltro, con l’editore Giangiacomo Feltrinelli che, pure, verrà rinviato a giudizio insieme alla moglie. Secondo Morando proprio la presenza di Feltrinelli nell’ambito dell’inchiesta è tutt’altro che secondaria, poiché le carte processuali lasciano trasparire come il vero bersaglio dell’Ufficio politico di Milano fosse proprio l’editore milanese – accusato di falsa testimonianza – cui si tentò, senza successo, di attribuire la responsabilità per l’ideazione degli attentati.

Feltrinelli lascerà l’Italia alla vigilia del 12 dicembre 1969, durante la fase istruttoria del processo che lo vedeva imputato, e di lui si avranno notizie solo il 14 marzo 1972, quando il suo cadavere verrà ritrovato nei pressi di un traliccio dell’alta tensione a Segrate. Le cause delle morte furono immediatamente attribuite al suo tentativo di far saltare in aria il traliccio, ma le circostanze di quel decesso risultano ancora oggi poco chiare.

A distinguersi nelle indagini per gli attentati del 25 aprile furono il commissario Luigi Calabresi, si è già detto, e i brigadieri Vito Panessa e Pietro Mucilli; gli stessi tre che, nel dicembre successivo, si troveranno a interrogare Giuseppe Pinelli, fermato perché ritenuto responsabile (insieme a Pietro Valpreda) della strage di Piazza Fontana. Nella notte fra il 15 e il 16 dicembre, Pinelli morirà precipitando da una delle finestre della Questura di Milano: altro episodio di quella stagione di misteri su cui rimangono ancora molti dubbi. Le bombe del 25 aprile, insomma, sarebbero inestricabilmente connesse con quella di Piazza Fontana, per via di numerose “circostanze” che è difficile credere possano solo essere frutto del caso. La mattina e il primo pomeriggio del 12 dicembre 1969, ad esempio, Morando racconta come Pinelli fosse in compagnia di Antonio Sottosanti, un anarchico molto probabilmente infiltrato della polizia, il quale era stato chiamato a Milano dalla Sicilia per testimoniare a favore di un anarchico sotto processo per gli ordigni del 25 aprile. Pietro Valpreda, da mesi residente a Roma, fu arrestato il 15 dicembre a Milano dove si trovava per le deposizioni del processo riguardante i fatti del 25 aprile.

Le pagine del libro di Morando, insomma, lasciano l’impressione che i colpevoli fossero stati decisi prima ancora di avviare le inchieste, sia nel caso del 25 aprile, sia in quello del 12 dicembre. È per questi motivi che l’autore ritiene le bombe di aprile una specie di “prova generale” – come nel sottotitolo dell’opera – della strage che si sarebbe consumata pochi mesi dopo.

Solo dopo alcuni anni, grazie anche all’onestà intellettuale del Pubblico ministero Antonio Scopelliti, si arriverà all’assoluzione degli anarchici indagati per le bombe del 25 aprile, mentre stavano iniziando a emergere, tanto in questo caso come in quello del 12 dicembre, le responsabilità dell’estrema destra, in particolare del gruppo padovano di Ordine Nuovo.

Quegli atti stragistici, dunque, furono materialmente posti in essere da gruppi neofascisti e neonazisti. Anche se i magistrati non sempre riuscirono a ottenere le prove per inchiodare i responsabili, dal punto di vista storico la responsabilità di quegli ambienti è certa. Com’è certo che i responsabili furono in contatto con alcune compagini delle forze dell’ordine, dei servizi segreti, del mondo imprenditoriale, delle forze politiche e della massoneria, in uno scenario, quello della strategia della tensione appunto, fatto di depistaggi, falsificazioni e omissioni.

Strategia della tensione, ci spiega Paolo Morando nel suo corposo saggio, di cui l’opinione pubblica si accorse solo dopo Piazza Fontana ma che era, in realtà, iniziata ben prima.

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