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Il “Matteotti”: work in progress per un viaggio in Italia tra teatro, ricerca e didattica

Il “Matteotti”: work in progress per un viaggio in Italia tra teatro, ricerca e didattica
Il lavoro teatrale

La sede di un piccolo teatro. La sala è severa. Un divano in un angolo, dove siedo con l’attore. Un faro in alto. Le prime file di ragazzi, seduti per terra. Dietro, alcune file di sedie con tante persone – amici, genitori, colleghi, spettatori abituali. L’attore si alza: sulla scena vi è un leggio dove si dirige e comincia a leggere. Mentre alle sue spalle scorrono immagini dell’epoca, il racconto della vicenda Matteotti prende ritmi serrati: le ultime settimane seguite passo passo; la dinamica dell’aggressione mortale; la crisi istituzionale e l’ulcera di Mussolini; il ritrovamento del cadavere; le reti affaristiche e le faide intestine; verità processuali contrastanti; i destini personali dei protagonisti, gli esecutori e i mandanti, complici e vittime. Ogni tanto, l’attore si rivolge a me, archivista silenzioso, per farsi dare un foglio: un telegramma, una lettera, un articolo di giornale. Sono i documenti che sollevano un dubbio, avvalorano un sospetto, ci informano di un incontro. Per un’ora e mezza nulla ha disturbato il ritmo incalzante della vicenda. Quando è finita ci si alza, si parla sottovoce. Qualcuno va a complimentarsi con l’attore, un ragazzo mi si fa incontro per dirmi: “non lo sapevo!”, senza specificare cosa; parenti e amici salutano: molti invieranno mail per restituire impressioni e invitarci a proseguire. Il “Matteotti” al momento è tutto qui: «l’attore, la storia, la vicenda, i documenti. La ricerca storica e la comunicazione teatrale»[1]. E un pubblico attento, partecipe.

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La ricerca

Il lavoro preparatorio è stato l’aspetto forse più “intrigante”: per mesi, quattro persone – oltre a me, insegnante di storia, Aldo Pasquero e Giuseppe Morrone, registi, e Marco Andorno, attore, del Faber Teater[2] – si sono rotte la testa sulla più importante ricostruzione storiografica della vicenda[3]. Per mesi quelli del Faber mi hanno incalzato con i loro interrogativi su ogni ordine di questioni, in particolare con una richiesta di “dettagli” anche minimi (un numero di targa, un look, un orario, un oggetto) per me nuova. Alla fine, del libro di Mauro Canali, abbiamo sposato non tanto la tesi di fondo, pur persuasiva e documentata[4], quanto la mole impressionante di documenti e dettagli: vi abbiamo visto la cifra, oltre che della complessità dell’affaire, della terribile difficoltà del “fare storia”. Comunicare tale difficoltà è stata la nostra prima preoccupazione. A me, è toccato il compito di ridurre le 619 pagine del libro in un “Pretesto” di circa 100 cartelle. Marco Andorno ne ha ricavato il “Testo” da portare in scena davanti a un pubblico “amico”; si è scelto di ripartirlo in tre serate, simili a quella descritta: Cronaca di un delitto, Petrolio, Destini personali. Va precisato: per il Faber questo non è propriamente, o non è ancora, uno “spettacolo teatrale”, ma la ricerca di vie teatrali per riflettere sulla nostra storia.

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Le implicazioni didattiche

Allo stesso modo, il “Matteotti” non è ancora un progetto didattico: è la ricerca di vie alternative per la didattica storica. Nondimeno, come insegnante “mi porto a casa” almeno due consapevolezze.

Come insegnante di storia. Quello di Matteotti è un caso particolare (ma non è forse così anche per tanti altri eventi della grande storia?): qui contano non solo i giorni ma pure le ore e talora persino i minuti! Abbiamo avuto l’impressione di trovarci in un puzzle, di cui possedevamo le singole tessere ma non la figura d’insieme: abbiamo talora disperato di venirne a capo. Ci ha salvato alla fine l’aver potuto toccare con mano il metodo, le tecniche (analogia, congettura, inferenza), con cui lo storico lavora sui documenti per identificare il diverso valore di ciascuna tessera e per tentarne una sintesi plausibile. Forse è precisamente questo il compito della didattica: farci entrare nel laboratorio dello storico, senza di cui è molto difficile, se non impossibile, comprendere la storia.

Come insegnante della storia repubblicana. Alla fine, una cosa l’abbiamo sicuramente capita: il 10 giugno 1924 alle ore 16.30 nasce l’antifascismo e, per certi versi, la storia repubblicana. Nel trattare questo aspetto, abbiamo evitato di fare di Matteotti il primo martire di una religione civile ma siamo stati guidati da quella che tra noi abbiamo convenuto di chiamare “volontà di sapere”. Il che ci ha comportato taluni aspetti sgradevoli: passare molto più tempo con il nemico, i fascisti, che non con l’amico, Giacomo; o ci ha costretto a ingoiare le verità scomode: che egli era isolato nel suo stesso partito, ben poco amato dai suoi, a partire da Gobetti che pure contribuisce in modo decisivo al suo martirologio, all’indomani della morte[5]; che aveva fama di essere un uomo “di classe” (il “paròn”, il “socialmilionario”, per certi suoi detrattori), non senza scheletri nell’armadio; e, non da ultimo, la sconcertante inconsistenza dell’opposizione.

In cambio, abbiamo afferrato cose altrimenti difficili da capire: la violenza fascista, le sue radici e le sue forme; che Mussolini era un abile politico, ma un piccolo statista; che il fascismo è stato un regime corrotto, marcio nelle fondamenta; che tra Italia fascista e repubblicana non mancano gli aspetti di continuità[6]. Del resto, per raccontare l’Italia, a noi stessi ma soprattutto ai giovani, possiamo evitare di scendere in certi meandri? Nella nostra storia, ricorrono vicende (Mattei, Moro) che nel delitto Matteotti sembrano trovare un modello, una matrice comune.


Note:

[1]Cfr. la “recensione” di Antonio Brusa su www.historialudens.it, alla sezione “Diario di Bordo”.

[2]Il Faber Teater è una compagnia teatrale attiva nel torinese da una ventina di anni, www.faberteater.com.

[3]M. Canali, Il delitto Matteotti. Affarismo e politica nel primo governo Mussolini, Il Mulino, Bologna 1997.

[4]Per Canali, il movente non sarebbe politico (il discorso del 30 maggio 1924) ma affaristico: impedire al deputato dello PSU di rivelare le prove, raccolte in un misterioso viaggio in Inghilterra a poche settimane dalla scomparsa, di tangenti pagate al PNF da compagnie petrolifere americane per sottoscrivere accordi di favore con il governo, “la Convenzione Sinclair”. Cfr. anche M. Pizzigallo, Alle origini della politica petrolifera italiana (1920-1925), Giuffrè, Milano 1981.

[5]P. Gobetti, Matteotti (1924), Edizioni di Storia e di Letteratura, Roma 2014.

[6]C. Pavone. Alle origini della Repubblica. Fascismo, antifascismo e continuità dello Stato, Bollati Boringhieri, Torino 1995.