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Vivere e insegnare nelle società divise. Il caso di Cipro

Vivere e insegnare nelle società divise. Il caso di Cipro
Abstract

Tutti i sistemi scolastici si confrontano oggi con società più o meno divise, più o meno segregate, più o meno costrette a riflettere su tensioni e fratture inedite. In questa situazione l’insegnamento della storia può essere dannoso per la convivenza civile o può contribuire a rinforzare la coesione e la comprensione reciproca. In questo articolo presentiamo un e-book, pubblicato in inglese a cura del Consiglio d’Europa (CoE), in cui si cerca di mostrare quanto la didattica della storia possa contribuire ad un insegnamento capace di rafforzare la coesione e la comprensione reciproca. Il libro è il risultato dell’ultima fase di un progetto pluriennale in cui gli insegnanti ciprioti appartenenti a entrambe le comunità (turco-cipriota e greco-cipriota), sotto la guida e il coordinamento degli esperti del Coe, hanno riflettuto e prodotto diversi materiali didattici capaci, per le loro caratteristiche strutturali di rispondere ai bisogni educativi del nostro tempo, non solo a Cipro.

Insegnare la cultura della cooperazione: il caso Cipro

Presso la sede dell’Associazione per la ricerca e il dialogo storico di Nicosia a Cipro (AHRD), il 10 e 11 marzo 2017 il Consiglio d’Europa (CoE) ha presentato, l’e-book: Developing a culture of co-operation when teaching and learning history (Sviluppare una cultura della cooperazione mediante l’insegnamento e l’apprendimento della storia) (scaricabile qui: https://rm.coe.int/developping-a-culture-of-cooperation/168071506a). Si tratta di un’opera che arriva a coronare la terza fase di un lungo progetto bilaterale che i servizi educativi del CoE hanno condotto con l’AHRD fin dal 2004.

Nella prima fase, terminata nel 2010, sono stati prodotti diversi materiali di supporto alla didattica della storia. Nella seconda, terminata nel 2012, questi materiali sono stati diffusi e testati in scuole di tutta l’isola e di tutte le comunità cipriote. Nella quarta fase, terminata nel 2016, il programma ha permesso ai docenti ciprioti coinvolti nel progetto di confrontarsi con colleghi di altre nazioni. I colleghi dell’AHRD e gli esperti del CoE hanno infine redatto in inglese il volume presentato per l’occasione a un pubblico di docenti e di esperti ciprioti ed europei. Lo scopo della pubblicazione, testimoniato dalla presenza di docenti ed esperti di didattica della storia provenienti da almeno venti Paesi europei è quello di fornire materiale per l’autoformazione iniziale o in servizio dei docenti della materia anche di altri stati europei.

Cipro, per molti aspetti legati alla sua storia, soprattutto quella degli ultimi sessanta/settanta anni, rappresenta un laboratorio privilegiato per elaborare una didattica inclusiva e cooperativa; una didattica che, senza rimuovere le differenze, le comprenda e le renda pensabili da tutti gli studenti e le comunità. Che permetta, in altre parole, di trasmettere agli studenti quanto e come la propria identità sia il risultato di una stratificazione di apporti determinati sia dallo scontro sia dall’incontro con altre culture.

Nell’estate del 1974 l’esercito turco invase la parte settentrionale di Cipro per difendere i diritti della minoranza turco-cipriota minacciati dalle aspirazioni di annessione alla Grecia da parte dei nazionalisti greco-ciprioti (Enosis). Essi potevano contare sull’appoggio della Giunta dei colonnelli al potere ad Atene che, anche per il fallimento dell’Enosis, cadde nello stesso periodo. Nel 1960 dopo anni di disordini, Cipro aveva raggiunto l’indipendenza dall’Inghilterra con una costituzione che, in teoria, disegnava un sistema di governo in cui i diritti delle due comunità principali avrebbero dovuto essere rispettati secondo un sistema di pesi e contrappesi che arrivavano fino al diritto di veto contro le decisioni che avrebbero potuto danneggiare una delle due comunità. Tuttavia il compromesso del 1960 non resse alla prova dei fatti: scontri sanguinosi, attentati e rappresaglie resero sempre più difficile la convivenza fra turco-ciprioti e greco-ciprioti che, a differenza di oggi, vivevano spesso in aree miste e villaggi intercomunitari.

Il tentativo di putsch del 1974 fu solo l’ultimo episodio di una lunga serie di scontri intercomunitari iniziati al termine della Seconda Guerra Mondiale. Ne seguì la spartizione dell’isola fra una Repubblica di Cipro, riconosciuta dalla comunità internazionale, e l’autoproclamata Repubblica turca di Cipro, riconosciuta solo dalla Turchia.

A seguito di questi fatti la comunità internazionale promosse un processo di riconciliazione tra le parti che non si è ancora concluso. Nel 2004 un referendum, votato nella parte turca ma respinto in quella greca, bloccò un’intesa già approvata dai governi interessati e dalle Nazioni Unite. Da allora i colloqui di pace sono ripresi; una soluzione sembra di nuovo tecnicamente e diplomaticamente possibile. Tuttavia ancora oggi, come era accaduto nel 2004 quando il traguardo si profila all’orizzonte, interessi contrastanti e decisioni apparentemente irresponsabili ostacolano le trattative, tanto che allo stato attuale pochi scommetterebbero sulla firma in tempi brevi di un trattato federativo fra le due parti dell’isola.

Per una didattica di qualità: un e-book sulla comprensione vicendevole

Nel contesto sommariamente delineato l’e-book Developing a culture of co-operation when teaching and learning history (Sviluppare una cultura della cooperazione mediante l’insegnamento e l’apprendimento della storia), al momento disponibile solo in inglese, prevede una divisione in 7 unità e si propone come strumento per la formazione iniziale e in servizio degli insegnanti, con l’ambizione di poter essere fruito anche come uno strumento di auto-formazione. I contenuti e le metodologie didattiche proposte, pur ispirati dalla situazione locale, hanno un valore universale e possono essere di grande interesse anche per la formazione degli insegnanti italiani e per il loro lavoro quotidiano in classe.

Un momento della presentazione dell'ebook nella sede dell'AHDR

Un momento della presentazione dell’ebook nella sede dell’AHDR

Come si legge nel volantino di presentazione dell’opera, si tratta di un testo composto da un “documento orientativo, che espone i concetti di cultura e di cooperazione”, seguito da “sette distinte unità formative” che vertono sui seguenti temi:

  1. Differenziare deve produrre differenze?
  2. Sviluppare l’empatia come competenza storica.
  3. Genere e inclusione.
  4. Trattare gli stereotipi.
  5. Società che convivono pacificamente.
  6. Utilizzare la letteratura, l’arte e il cinematografo per aiutare a raggiungere una comprensione storica.
  7. L’insegnamento della storia nell’era digitale.

Il contenuto dell’e-book comprende testi di vario tipo: narrazioni, citazioni, trascrizioni di interviste, tabelle, diagrammi, fotografie e altri ausili visuali, riquadri con domande, unità didattiche e schemi di lavoro. Le schede di lavoro e gli altri materiali associati alle lezioni sono disponibili in pagine separate, di modo che gli insegnanti possano stamparli e utilizzarli in classe.

La storia, o meglio l’insegnamento della storia, il modo tradizionale di trasmetterla come una serie di dati di fatto incontrovertibili che tende a stabilire una divisione tra “noi” e “loro”, è stata spesso causa di conflitti generati dall’ignoranza dei fattori che, invece, la rendono ricca di sfumature e di prospettive. Come si può rimediare al potenziale distruttivo di un insegnamento vittimistico o aggressivo della storia?

La tentazione di non insegnare più la storia politica

Una risposta sembra consistere nel cedere alla tentazione di non insegnare più la storia politica, per privilegiare la lunga durata, i fenomeni della storia materiale, i fattori che unificano l’umanità, come il cibo, la produzione industriale e manifatturiera, il commercio, l’arte e gli scambi culturali. Tuttavia l’esclusione o la riduzione della storia politica è un’arma a doppio taglio. Da un lato si riduce l’impatto dei fattori storici di divisione; in effetti insegnare l’inevitabile antagonismo di qualunque vicenda politico-militare tende a proiettare sul passato le proprie preferenze del presente, credendo in questo modo di legittimarle “oggettivamente”, ciò che può essere dannoso per la convivenza civile di stati e comunità. D’altra parte, rinunciare irenicamente ad affrontare i conflitti può rendere gli studenti particolarmente sguarniti delle conoscenze concettuali e delle competenze argomentative necessarie a difendersi dalla manipolazione e dalla retorica, dalle ideologie semplificatorie e dalle risposte discriminatorie a basso costo intellettuale.

Uno dei valori principali del testo presentato dal Consiglio d’Europa e dall’AHDR consiste proprio nel richiamo a una didattica della storia politica aperta e bilanciata, coraggiosa e capace di affrontare questioni controverse e sensibili con un approccio critico e multi-prospettico, dialettico e plurale allo stesso tempo. L’insegnamento avveduto della storia politica può e deve essere fatto in vista di un superamento, o almeno di una visione critica, dello “scontro di civiltà” che, se c’è o c’è mai stato, è sempre anche un incontro di culture. Questo anche perché se la cultura è un elemento di coesione e di divisione[1], nessuna cultura è un insieme omogeneo “libero da divisioni interne”. Il messaggio di questo libro consiste nel mostrare come gli individui e le culture abbiano il diritto di esprimere «la loro identità», e «godere del loro patrimonio», ma non di «creare mondi separati, ermeticamente sigillati». A scopo la storia va insegnata in modo tale da escludere l’idea che siano esistite nel passato, in mezzo ai conflitti e alle lotte «identità e culture permanentemente antagonistiche e reciprocamente esclusive».[2]

Differenziare deve necessariamente produrre differenze?

Sulla scia delle teorie di Howard Gardner e Neil D. Fleming, autori d’importanti studi sulla pluralità delle intelligenze e degli stili di apprendimento[3], la prima unità dell’e-book invita i futuri docenti a non avere paura della differenziazione, a organizzare il lavoro in classe in modo articolato ma coerente rispetto allo scopo comune dell’acquisizione di competenze e conoscenze. È un approccio che può essere svolto su uno stesso tema su compiti diversi, con fonti diverse, in tempi diversi, con aiuti da parte del docente, valutando le performance, sfruttando le abilità o esperienze degli studenti o addirittura permettendo loro di scegliere come svolgere il compito o la ricerca.

Ciò non significa differenziare ogni lezione ed ogni tema, ma sfruttare tutti gli approcci possibili in termini di strategie didattiche e di stili di apprendimento. A scopo esemplificativo il testo propone due unità didattiche focalizzate sulla storia di Cipro durante il passaggio dal dominio veneziano a quello ottomano. I docenti in formazione sono invitati a differenziare i compiti dei loro studenti, nel primo caso offrendo numerose attività sullo stesso contesto, nel secondo con la proposta di vari approcci alle fonti (nel caso specifico quelle che riguardano da entrambe le parti l’assedio e la conquista ottomana di Nicosia nel 1571). La sfida consiste – cioè – nell’usare la diversità di approcci e prospettive in modo euristico.

Sviluppare l’empatia come competenza storica

Com’è noto, la conoscenza storica spiega gli avvenimenti e i processi del passato attraverso una complessa pratica di ricostruzione e interpretazione. La scuola della didattica storica anglosassone distingue e pone da una parte i concetti del primo ordine (Chiesa, Parlamento, Monarchia, Repubblica) comprensibili solo nel contesto e attraverso l’analisi delle fonti, e dall’altra i cosiddetti concetti del secondo ordine (continuità e cambiamento, similarità e differenza, concetti relativi alla motivazione e alla spiegazione causale, fattori come la religione o l’ideologia, l’interesse economico, lo sviluppo tecnologico o il clima) che contribuiscono a costruire quella particolare «forma di pensiero che indaga la natura stessa della storia».[4] Tra i concetti del secondo ordine quello che negli ultimi anni ha forse suscitato maggior interesse e discussione è l’empatia, intesa come «la comprensione delle posizioni altrui, la volontà di provare a comprendere gli altri e le loro scelte».[5]

Va precisato che indagare la storia nelle classi per mezzo dell’empatia non significa affatto «simpatizzare o sentirsi affini agli uomini del passato, ma, piuttosto, esser capaci di spiegare perché essi agirono come fecero e non altrimenti». Detto in altri termini significa essere capaci di motivare le scelte del passato «nel contesto del passato, ed essere al contempo capaci di fornire spiegazioni causali relative alle decisioni prese dagli uomini del passato».[6] Insomma «l’empatia storica, in questo senso non implica coinvolgimento emotivo, ma distacco… Richiede creatività per cogliere legami e connessioni e richiede una forte capacità di comprendere la natura umana al fine di capire la logica che può essere stata applicata da chi ha preso le decisioni nel passato; tuttavia non è un processo puramente immaginativo poiché deve essere fondato sulla riflessione storica e richiede imparzialità di giudizio».[7] Romanzi storici e opere cinematografiche, poesie e rappresentazioni artistiche di ogni tipo possono aiutare, ma l’essenziale consiste nel tentare di esplicitare, fin dove possibile, la catena di motivazioni che spinse gli uomini del passato ad agire come fecero.

Due unità didattiche guidano nella comprensione di questo particolare approccio: riguardano la Battaglia di Lepanto avvenuta il 7 ottobre 1571 e la politica dell’appeasement negli anni Trenta del Novecento. Nel primo caso si tratta di ricostruire, secondo la prospettiva di ciascun gruppo di protagonisti, le motivazioni dei marinai ottomani e di quelli della flotta della Lega Santa: perché agirono come agirono, perché fecero il loro dovere, come lo fecero o perché non lo fecero come avrebbero dovuto. La questione ha naturalmente un valore generale: è sempre difficile mettersi nei panni di un soldato o di un marinaio e chiedersi perché abbia ubbidito o preso un’iniziativa che avrebbe potuto anche non prendere. Nel secondo caso il libro cerca di analizzare il comportamento della Francia e dell’Impero Britannico nei giorni della Conferenza di Monaco (29 e 30 settembre 1938). Perché i leader occidentali si fecero intimidire da Hitler? Quali furono le motivazioni che li spinsero a piegarsi al ricatto e alla violenza dei Nazisti senza tentare di reagire, anzi accondiscendendo?

Genere e inclusione

Meno controverso, anche se non più diffuso nella scuola italiana di oggi, è il tema della storia di genere e, più in generale di una didattica della storia che non tratti solo di grandi uomini o di poche “grandi” donne, ma anche delle donne “comuni”, delle minoranze e delle classi subalterne. Esiste ormai un vasto consenso sui metodi storiografici, sul trattamento delle fonti, sulle caratteristiche di un’efficace interpretazione di questi argomenti. Sebbene la critica più recente abbia mostrato come anch’essi possano nascondere strumentalizzazioni e stereotipi immotivati, generalizzazioni improprie e prese di posizioni unilaterali, introdurre la storia di genere a scuola, spiegare il ruolo delle donne e delle minoranze nel passato, includere le classi meno abbienti nella narrazione storica può servire a integrare e smontare narrative deboli fondate su pregiudizi non esaminati criticamente.

La storia di genere studia in parallelo, attraverso un approccio comparativo, le esperienze delle donne e degli uomini del passato. Lo spazio riservato dalla storiografia tradizionale alla storia delle donne è stato molto limitato e pare giunto il momento di ridare voce alle donne del passato, arricchire la metodologia e l’indagine storiografica di sfumature per rispondere a domande più complesse di quelle poste dalla narrazione abituale. Studiare più approfonditamente la storia delle donne nelle scuole significherebbe studiare, per contrasto, la storia della mascolinità; comprendere meglio la storia delle minoranze, dei marginali e degli antagonismi, significherebbe comprendere meglio anche la storia del potere, delle classi dirigenti e dei meccanismi di coercizione.

Le due attività didattiche proposte sono legate alla specifica situazione cipriota, ma possono essere effettuate in ogni contesto e in ogni Paese. Le domande di partenza sono: i libri di testo ciprioti raccontano la storia tenendo conto del ruolo delle donne? Affrontano la narrazione tenendo conto della prospettiva di genere? La risposta purtroppo è negativa per entrambe la comunità dell’isola. Da questa consapevolezza parte l’attività didattica. I docenti devono interrogare i testi e gli studenti per vedere come rimediare, se possibile, o come integrare con altri materiali la storia, per lo più focalizzata sul maschile della classe dominante. La seconda attività consiste in un censimento delle statue di un certo territorio. Agli studenti, sotto la guida degli insegnanti, spetta tentare di ricostruire le figure ritratte nei monumenti, comprendere perché sono state rappresentate e poste in luoghi pubblici, capire perché le donne sono quasi sempre assenti o sottorappresentate. Va inoltre compreso quali tipi di donne hanno ricevuto l’onore di essere raffigurate in un monumento.

Stereotipi dell’inimicizia

L’insegnamento della storia si confronta quotidianamente con gli stereotipi. In un certo senso, variamente indagato anche dalla filosofia, gli stereotipi sono inevitabili in quanto non si può giudicare senza pre-giudicare[8] La complessa natura dello stereotipo da un lato svolge un ruolo di giustificazione, differenziazione e attribuzione di determinate caratteristiche ai gruppi sociali, d’altra parte rappresenta un modo di classificare e trasmettere le credenze essenziali alla riproduzione culturale di una comunità. Forma semplificata del consensum gentium, lo stereotipo è un pregiudizio molto diffuso e chiama il docente a un confronto serrato.

La didattica della storia può enfatizzarne la natura euristica, il suo contenuto minimo di verità, ma anche aiutare a superarne la natura semplificatoria, di «generalizzazione pigra» per combatterne il lato oscuro di «incitamento all’ostilità».[9] L’intervento della didattica serve, dunque, a mostrare in che modo si generano gli stereotipi. Si può provare a costruirli con gli studenti per dimostrare come, in certe situazioni, siano insuperabili ma sia comunque possibile elaborare narrative parallele in cui posizioni inconciliabili in linea di principio non riducano a stereotipi negativi ma al riconoscimento delle diverse inconciliabili prospettive (che spesso la storiografia non può sintetizzare).[10] Le due attività proposte, attraverso lo studio di fotografie e documenti, focalizzati sulla storia di Cipro, propongono un interessante esempio di come si possano smontare, utilizzare e criticare gli stereotipi che diverse comunità o gruppi umani nutrono l’uno verso l’altro.

Le condizioni della convivenza sociale

È possibile comprendere le diversità culturali attraverso la didattica della storia? È possibile comprenderle in società che convivono pacificamente? In altre parole, è possibile insegnare la storia in dimensione multiculturale? Quali sono le sfide poste agli insegnanti da queste domande? Quali i problemi che devono affrontare gli studenti nel confrontarsi con culture diverse dalla propria e con la prospettiva della mescolanza culturale dentro e fuori dalle classi?

Il capitolo esamina le possibili risposte attraverso due prospettive pedagogiche differenti e per certi aspetti contrapposte. La prima, basata sull’opera di James Banks[11], punta alla costruzione di una educazione multiculturale, la seconda, basata sull’opera di Helen Karahassan e Michalinos Zembylas[12], delinea una pedagogia della riconciliazione e della pace, dando per scontato che una sintesi stabile non sia possibile. I due approcci non sono reciprocamente esclusivi, anche se sembra di capire che, almeno nella situazione cipriota, il secondo sia di gran lunga da preferire.

cipro

La sede dell’Associazione per la Ricerca e il Dialogo Storico di Cipro. Si tratta di un edificio restaurato simbolicamente nella zona cuscinetto di Nicosia, dove attualmente non può abitare nessuno, un invito alla riconciliazione in una zona neutrale.

In certi contesti, si pensi alla Francia repubblicana, agli Stati Uniti d’America, ma anche al Canada plurinazionale, il multiculturalismo è stato o è ancora possibile, ma nelle società che in un passato recente hanno subito fratture violente non sembra la soluzione più adatta. La pedagogia della riconciliazione e della pace, per quanto più impegnativa e faticosa da perseguire può costituire un’alternativa praticabile, a patto che si seguano quattro linee fondamentali:

  • promuovere l’empatia relazionale, la produzione di significati comuni che riconoscano le differenze e non le cancellino, una sorta di rerum concordia discors della pedagogia storica;
  • sfidare le contraddizioni e le questioni sensibili o controverse attraverso una pedagogia dello straniamento (discomfort), che «inviti gli studenti a lasciarsi alle spalle abitudini e credenze acquisite»[13];
  • promuovere la multiprospettività nell’insegnamento della storia[14];
  • riconoscere l’esistenza di identità ibride concetto che descrive «il prodotto di due o più culture che, insieme, creano un’altra cultura distinte dalle prime. Due esempi storici fra molti altri sono lo sviluppo dell’identità culturale britannico-romana dopo l’occupazione romana della Britannia nel primo secolo a.C.; e la cultura anglo-indiana come conseguenza della colonizzazione britannica dell’India nel 18° secolo».[15] In ogni caso risulta evidente come tralasciare l’insegnamento delle questioni controverse o sensibili non rafforzi la convivenza intercomunitaria: la tattica dello struzzo non paga.

Il testo, al solito, sviluppa esempi di attività didattiche che riguardano la storia di Cipro, ma come per gli altri capitoli, anche il lettore italiano può trarre qualche utile insegnamento. Nel caso specifico si propone di lavorare sulle immagini di manufatti o di oggetti al fine di misurare la fusione o la sovrapposizione di segni simbolici appartenenti a diverse culture. Uno degli aspetti più interessanti della proposta è la possibilità di svelare agli studenti quanto lo studio della storia, pur basato sull’analisi delle fonti come prove, implichi la constatazione che lo status di prova o di fonte dipenda dalla domanda che si fa all’oggetto o al testo, e non vi sia contenuta “oggettivamente”.

La letteratura, l’arte e il cinema aiutano a comprendersi

La penultima unità esplora le potenzialità dell’utilizzo dell’arte, della letteratura e del cinema nell’insegnamento della storia. Dal punto di vista teorico i vantaggi possono essere cinque:

  • potenziare la motivazione attraverso il coinvolgimento emotivo;
  • sostenere l’insegnamento della prospettiva della gente comune, quella che non appare nei documenti, ma di cui ci si può immaginare la vita quotidiana attraverso la narrazione degli “invisibili” del passato storico;
  • sostenere e motivare l’insegnamento delle questioni sensibili e controverse;
  • consentire agli studenti di formarsi un’idea di cosa sia realisticamente umano, in un modo che nessuna altra forma di conoscenza può fornire;
  • incoraggiare la multiprospettività, una conoscenza più ampia del background storico e una maggiore capacità di comprendere le forme della sensibilità umana nel passato.

È stato, inoltre, suggerito che l’arte, in modo particolare il romanzo a sfondo storico, sarebbe in grado riempire i vuoti della narrazione storica determinati dalla carenza di fonti interpretabili. L’opera d’arte a sfondo storico, dunque, sarebbe in grado di riempire i deficit inevitabili in qualunque opera storiografica. D’altra parte l’uso della storia dell’arte per l’insegnamento della storia potrebbe anche indurre cinque tipi di fraintendimento:

  • confondere la distinzione fra fatti e finzione;
  • confondere la voce del narratore con la “voce” della storia;
  • collocare la storia narrata dall’opera d’arte fuori dal suo contesto;
  • provvedere in maniera imprecisa alla necessaria costruzione dell’apparato concettuale utile alla comprensione di qualunque fatto storico;
  • rendere equivalenti i fatti e le finzioni, in altre parole dare pari validità a tutte le interpretazioni.

E del resto le opere d’arte non debbono necessariamente essere storiche per essere utili all’insegnamento della storia. Si pensi, per quanto riguarda ad esempio il contesto inglese, alle opere di Jane Austen o di Charles Dickens che, pur non essendo romanzi storici, possono essere utilissimi per la didattica della storia. Le esemplificazioni del testo propongono numerose interessanti attività didattiche, e sono legati alla storia cipriota, ma valgono come spunto di riflessione, anche per lettori di altri territori. Non è difficile, infatti, trovare nella letteratura e nella storia dell’arte italiana opera che si prestano agli obiettivi citati, senza contare le opere d’arte pittorica o cinematografica.

Comprendere la storia nell’era digitale

Nell’ultima unità il libro esplora la relazione fra l’insegnamento della storia e le nuove tecnologie dell’informazione. Non si tratta solo dell’uso del computer ma di tutte quelle tecnologie che possono produrre esperienze digitali potenzialmente utilizzabili nella didattica. Secondo il ministero dell’educazione dello stato australiano del Queensland, ad esempio, l’uso delle tecnologie permetterebbe di:

  • identificare ed esplorare risorse;
  • discutere in ambienti protetti;
  • costruire linee del tempo e condividerle;
  • organizzare le informazioni;
  • rappresentare graficamente le idee attraverso i più diversi prodotti digitali;
  • scrivere testi con i programmi di trattamento testi.

(State of Queensland Government, 2012)

È fondamentale che i docenti che intendano usufruire delle nuove tecnologie per la didattica siano consapevoli degli ostacoli da superare per arrivare a farne un uso corretto avvertito. Le difficoltà sono numerose: ci possono essere limiti di accesso, o di uso, senza contare l’uso acritico delle fonti disponibili e la possibilità del condizionamento commerciale di alcuni strumenti digitali.

Gli studenti possono essere sottoposti a propaganda nazionalistica o aspettarsi dai nuovi media risultati non previsti nelle potenzialità. Senza contare che il trattamento delle informazioni da parte degli studenti può essere di più difficile valutazione delle tradizionali esperienze educative.

Pur non volendo addentrarsi in dettagli tecnici di cui il libro abbonda e che ogni docente con qualche familiarità con le nuove tecnologie immagina e deve prevedere, si può notare che l’ultima unità evidenzia un certo atteggiamento strumentale rispetto al digitale. Le nuove tecnologie sono viste come espansioni delle possibilità didattiche, come potenziamento virtualmente illimitato delle risorse disponibili e non come alternativa secca all’uso delle tecnologie tradizionali. Developing a culture of co-operation when teaching and learning history sembra sostenere che si possa praticare una didattica innovativa anche senza l’uso delle nuove tecnologie, così come si possa praticare una didattica tradizionale con l’uso delle nuove tecnologie. La capacità innovativa della didattica non starebbe, dunque, nel mezzo usato quanto nel modello pedagogico, nelle finalità e nelle attività proposte. Prima viene la progettazione didattica, la ricerca educativa, la riflessione epistemologica disciplinare, poi, una volta chiariti obiettivi e contenuti da trattare, le nuove tecnologie potranno rappresentare risorse inesauribili di ricerca e approfondimento.

Developing a culture of co-operation when teaching and learning history, insomma, è un e-book nel quale si trovano un repertorio di stimoli e proposte didattiche che varrebbe la pena avere disponibili anche in lingua italiana; ma, allo stato attuale, la mancanza di fondi che caratterizza anche il Consiglio d’Europa, rende l’opzione un’impresa molto improbabile.

La battaglia di Lepanto in un dipinto di un artista sconosciutoNational Maritime Museum (BHC0261), Pubblico dominio, Collegamento


Note:

[1] Come si legge nella Dichiarazione universale dell’Unesco sulla diversità culturale (Parigi, 2 novembre 2001: http://www.unesco.org/fileadmin/MULTIMEDIA/HQ/CLT/diversity/pdf/declaration_cultural_diversity_it.pdf): La cultura deve essere considerata come l’insieme dei tratti distintivi spirituali e materiali, intellettuali e affettivi che caratterizzano una società o un gruppo sociale e che essa include, oltre alle arti e alle lettere, modi di vita di convivenza, sistemi di valori, tradizioni e credenze.

[2] AA.VV. Sviluppare una cultura della cooperazione mediante l’insegnamento e l’apprendimento della storia, Council of Europe, 2017, p. 24. (http://www.coe.int/culture-of-cooperation). Le traduzioni dei passaggi citati nell’articolo sono ad opera di chi scrive).

[3] Howard Gardner, Formae Mentis. Saggio sulla pluralità delle intelligenze, Feltrinelli, 2013; Neil Fleming, Teaching and Learning Styles: Vark strategies, (pubblicato dall’autore e disponibile on line: http://vark-learn.com/wp-content/uploads/2014/08/VARK-Teaching-and-Learning-Styles.pdf).

[4] AA.VV. Sviluppare una cultura della cooperazione mediante l’insegnamento e l’apprendimento della storia, Council of Europe, 2017, p. 72.

[5] Ibidem, p. 73.

[6] Ibidem, p.74.

[7] Ibidem, p. 75.

[8] “Pregiudizio non significa quindi affatto un giudizio falso; il concetto implica che esso può essere valutato sia positivamente sia negativamente”, H.G. Gadamer, Verità e metodo, Milano, Bompiani, 2000, p. 561 (l’enfasi è di chi scrive).

[9] Ibidem, p.160.

[10] In questo senso è esemplare la pubblicazione del manuale parallelo di storia israeliana e palestinese promosso dal Peace Institute in the Middle East, di cui esiste anche una edizione italiana. PRIME Peace Research Institute in the Middle East, La storia dell’altro. Israeliani e palestinesi, Beith Jallah, Pna, Una Città società cooperativa, 2003. Se ne parla anche in «Mundus», IV, pp. 173-185. Ora in http://www.mundusonline.it/PDF/54.pdf

[11]J.A.Banks, Multiculturalism’s Five Dimensions, 1998 (http://www.learner.org/workshops/socialstudies/pdf/session3/3.Multiculturalism.pdf )

[12] H. Karahassan and M. Zembylas, The politics of memory and forgetting in history textbooks: toward a pedagogy of reconciliation and peace in divided Cyprus, in A. Ross (a cura di), Citizenship Education: Europe and the World, London, CiCe, pp. 701-712. Per quanto riguarda questa particolare prospettiva si veda anche l’opera di W. Kymlicka, focalizzata sull’esperienza canadese.

[13] AA.VV. Sviluppare una cultura della cooperazione mediante l’insegnamento e l’apprendimento della storia, Council of Europe, 2017, p.201.

[14] R.Stradling, Multiperspectivity in history teaching: a guide for teachers, Council of Europe, Strasbourg, 2003

[15] Ibidem, p. 201.