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Guerre di memoria. Il massacro degli italiani a Treuenbrietzen

Una strage di Internati Militari Italiani riemerge dalla sabbia, in un webdoc

1. Introduzione

Il progetto di webdoc storico “Im Märkischen Sand – Nella sabbia del Brandeburgo”, di Katalin Ambrus, Nina Mair e Matthias Neumann (2016) è stato presentato in questi mesi in diverse città europee, tra cui Milano e Reggio Emilia in Italia, ricevendo anche premi e riconoscimenti sia in Italia che in Germania.

Il film racconta due massacri, avvenuti nel mese di aprile del 1945 a Treuenbrietzen, una piccola città del Brandeburgo, settanta chilometri a sudovest di Berlino. Nel primo massacro, le vittime furono 127 soldati IMI, Internati Militari Italiani nel campo 782/C, sfruttati come lavoratori presso la Metalwaren Fabrik Kopp und Co – che produceva proiettili – e fucilati e sepolti sotto una cava di sabbia dai soldati tedeschi in fuga dal fronte russo; nella seconda strage, operata dalle divisioni dell’Armata Rossa che occuparono il paese durante la loro avanzata, persero la vita alcune decine di civili tedeschi, rastrellati tra gli abitanti maschi adulti della città.

Gli autori, con precisione e coraggio, disseppelliscono le memorie dei due massacri di Treuenbrietzen, nel tentativo riuscito di parlarci, attraverso l’archeologia di una microstoria, di questioni cogenti più generali che riguardano l’intreccio spinoso tra le Storie, le memorie e le identità nazionali in Italia e in Germania, a settanta anni di distanza dalla fine del dominio nazifascista sul continente europeo ancora fragile.

In Germania, dopo l’unificazione del 1990 e con la riapertura degli archivi negli Stati socialisti, si è ravvivata – semmai si fosse sopita – la Vergangenheitsbewältigung, parola che esprime il problema del ricordo dei crimini passati, e una imponente mole di ricerche e di attività mantiene viva l’attenzione del vasto pubblico.

In Italia, risuonano sullo sfondo le mitologie costruite nel dopoguerra, sia quelle fondative dell’identità repubblicana, come la Resistenza o gli stereotipi del “bravo italiano” e del “cattivo tedesco”, sia quelle connesse alla memoria sommersa del paese, come il “tradimento della Patria”, recentemente messe a fuoco dai lavori di Filippo Focardi e Massimo Castoldi.

Nel formato scelto dagli autori, sono saggiamente mescolati: la ricostruzione degli eventi, la memoria soggettiva dei testimoni, il lavoro degli storici, l’azione dei cittadini e delle istituzioni, le prove documentali raccolte.

Inoltre, gli autori propongono ai docenti di storia alcune strade (una di analisi e interpretazione delle fonti, l’altra più simile al cosiddetto “compito di realtà”) per implementare l’argomento in una programmazione didattica.

2. L’intervista agli autori

Dopo aver visto il loro progetto, ci siamo messi a studiare le ferite aperte che esso propone alla nostra coscienza di attori impegnati culturalmente nella ricerca storico-didattica e alla nostra identità di italiani ed europei.

Per approfondire, abbiamo poi deciso di rivolgerci a loro con una intervista, nei primi giorni di dicembre dell’anno appena passato. Nina e Matthias, nonostante fossero impegnati in un calendario folto di presentazioni e proiezioni in giro per l’Europa, hanno raccolto con piacere il nostro invito.

D. Com’è nata l’idea di fare un film su un episodio quasi sconosciuto che riguarda un tema storico, quello degli IMI, di per sé poco dibattuto sia dalla ricerca storiografica che dalla “storia pubblica” in Italia e in Germania?

Matthias: Io come lavoro faccio il cameraman, nel 2006 mi ha chiamato lo storico berlinese Cord Pagenstecher, e mi ha chiesto di andare a Treuenbrietzen per fare un’intervista con il signor Antonio Ceseri di Firenze. Era la prima volta che sentivo la storia degli IMI. Antonio ci ha raccontato – proprio lì alla cava di sabbia – la prima volta la sua storia, che mi ha scioccato. Ripeto, era la prima volta che sentivo parlare degli IMI, perché in Germania è una storia quasi sconosciuta. Il fatto che 600 mila lavoratori italiani sono stati deportati non è parte della memoria culturale in Germania. Nella memoria tedesca, gli italiani arrivano qui come operai negli anni ’60, per lavorare nelle fabbriche, ma del fatto che gli italiani vi erano già stati non ne sapevo nulla.

Così ho iniziato a interessarmi a questo tema, e con Pagenstecher ci siamo detti che avremmo voluto fare un film, ma la situazione lì – come spiega il web doc – era un po’ difficile, perché questo conflitto, negli ultimi anni, nel paese era molto più forte. Sarebbe stato impossibile fare un film, perché gli interconflitti erano così forti… io non pensavo che quelli del paese volessero andare in fondo alla cava, e in fondo alla storia. Ma così è nata l’idea. Dopo la prima intervista con Ceseri sono passati un paio di anni, poi nel 2014 ho cercato due autori per fare il progetto, ho trovato Nina e Katalin e abbiamo iniziato a lavorare.

D. Quali sono stati i referenti istituzionali o professionali (gli storici) che vi hanno aiutato nella ricerca delle fonti e dei testimoni?

Matthias: Cord Pagenstecher è abbastanza conosciuto in Germania per la storia del lavoro forzato in epoca nazista. Lui, insieme con la sua associazione “Berliner Geschichtswerkstatt” [Laboratorio di storia di Berlino] per anni ha svolto ricerche molto importanti su questo argomento. Hanno trovato a Berlin-Schöneweide le rovine di un campo di lavoro forzato nazista, e lì oggi c’è un centro di documentazione, con un Museo e anche una mostra sul caso degli IMI. Al momento, egli sta lavorando per la Freie Universität, dove portano avanti tanti progetti sul lavoro forzato, tra cui una collezione digitalizzata delle interviste a lavoratori forzati.

Nina: Poi ci sono stati degli storici locali che ci hanno aiutato nella ricerca dei nostri protagonisti. Gli storici berlinesi che hanno scoperto la lista delle vittime, Gianfranco Ceccanei e Bodo Förster, sono stati i nostri interlocutori principali.

Per quanto riguarda i referenti istituzionali, direi che non ne abbiamo avuti, ci siamo mossi da soli. Lo storico Maximilian von Schoeler ci ha aiutato nella ricerca dei documenti, i contenuti extra del web doc.

D. In Italia, invece, avete avuto contatti con l’Anpi, con l’Anei o con la rete degli Istituti Storici?

Per quanto riguarda le ricerche sulla strage di Treuenbrietzen, abbiamo trovato una rete che era già costituita. Siamo partiti da Antonio Ceseri, l’ultimo sopravvissuto vivente, conosciuto da un certo numero di parenti delle vittime che facevano capo a lui. Lui era molto amico di Gianfranco Ceccanei e di Bodo Förster.

In seguito ho parlato con Patrizia Donà, che aveva scritto due libri sulla strage, perché anche suo nonno era stato coinvolto e anche lei ci ha fornito i contatti con la figlia di uno dei sopravvissuti e con altre persone che avevano voluto rimpatriare i resti dei loro parenti. Diciamo che non abbiamo avuto molti contatti con le istituzioni italiane. Ci abbiamo provato all’inizio, ma non ci siamo trovati… e avendo già abbastanza materiale utile, non abbiamo insistito.

D. Cosa scrivereste sulla quarta di copertina di una eventuale pubblicazione materiale del documentario (per esempio un dvd), fruibile ora in versione web?

Nina: Direi che la frase che apre il nostro documentario sulla pagina web sia adatta a presentare il video, visto che le quarte di copertina si scrivono anche per incuriosire le persone ed è in effetti quello che abbiamo cercato di fare noi con questa frase: “Il 23 aprile 1945, 127 lavoratori coatti italiani furono fucilati in una cava di sabbia. Il massacro viene dimenticato. Ma dopo decenni il ricordo riemerge. Un viaggio in questa storia che parte da Treuenbrietzen, nel Brandeburgo”. Perché siamo convinti di aver fatto una specie di scavo.

D. Nel documentario è evidente che le memorie dei testimoni interpellati (come anche il lavoro degli storici locali) siano fortemente influenzate dalla storia post-bellica della Germania (e anche dell’Italia), segnata dalle due grandi epoche della guerra fredda e della riunificazione tedesca. E forse anche dalla situazione politica della Germania di oggi. Perché, secondo voi, il film è attuale?

Matthias: Per noi era una scelta del format. Abbiamo provato a legare la Storia con le diverse storie presenti a Treuenbrietzen, perchè secondo noi questa storia non è finita dopo il ‘45, ma è andata avanti.

Certamente il discorso sui paradigmi della storia fa parte del nostro film. Volevamo mostrare come la versione dei fatti è cambiata: fino all’89 la prospettiva sul fascismo era diversa da quella che sarà dopo, e il discorso sul secondo massacro si è aperto solo dopo l’89.

Ad un altro livello, l’attualità del film riguarda i protagonisti. Ci siamo molto interessati alle seconde generazioni, chiedendoci: come va avanti questa storia nelle famiglie? In che modo il trauma nato in quei giorni viene trasmesso? Qual è l’eredità ricevuta da chi è nato negli ultimi anni?

Nina: Il video contiene anche due altri aspetti; da una parte, se rimaniamo nel contesto di questa storia, della seconda guerra mondiale e dei suoi testimoni, c’era anche un’urgenza anagrafica, se volevamo parlare con un sopravvissuto dovevamo farlo presto. E poi sono d’accordo con Matthias, il trauma rimane nelle seconde generazioni. La stessa cosa sta succedendo per la guerra nei Balcani, il tema del trauma rimane attuale.

Matthias: Nel quinto capitolo, che riguarda l’inchiesta sul risarcimento alle autorità tedesche, c’è un altro livello ancora attuale, perché le indagini vanno ancora avanti e la domanda di risarcimento non si è ancora chiusa dal punto di vista giudiziale.

D. Le commemorazioni pubbliche, anche in Italia, sebbene nascano con l’intento di riappacificare gli animi, finiscono per essere “divisive” della società, perché corrono sempre il rischio di appiattire un evento sull’altro, di “livellare” le tragedie, eliminandone proprio gli aspetti più spinosi e controversi; oppure di essere strumentalizzate ideologicamente dalle forze politiche promotrici di memoria per scopi di propaganda. Qual è stata l’accoglienza del pubblico e della critica in Italia e in Germania? E’ stata diversa?

Nina: L’accoglienza è stata positiva in modo stupefacente, non ci saremmo aspettati con un tema del genere di avere questo successo… penso ai premi ricevuti. Per quanto riguarda l’accoglienza del pubblico, delle persone a cui l’abbiamo presentato, in Italia il film è stato accolto molto bene e le persone sono sempre molto contente quando vengono a vederlo, perché spesso i parenti sono stati IMI o sono IMI essi stessi. Quello che mi ha disturbato un po’, degli italiani, è che hanno tentato di impossessarsi subito di questa storia, cioè di volersi vedere solamente come vittime. Per loro, tutto si innesta sul discorso degli IMI quasi come partigiani, come protagonisti della Resistenza. Invece in Germania, nonostante l’accoglienza sia stata positiva, c’è stata una certa distanza, perché c’è un diverso modo di vedere la Storia.

Matthias: È interessante raccontare come è stata l’accoglienza a Treuenbrietzen, perché secondo me è significativo. A Treuenbrietzen stanno tentando di fare ordine, di pacificare questo conflitto. Nel giorno della memoria vanno ai tre cimiteri della città, ma “sotto la sabbia” il conflitto è ancora lì. Abbiamo fatto una proiezione a Treuenbrietzen, il giorno successivo alla prima proiezione a Berlino, ed è stato molto interessante, perchè la gente si è riunita per la prima volta insieme per discutere di queste cose. Il nostro lavoro è servito anche a riaprire questa discussione a livello locale. E il conflitto è andato avanti. Lo storico locale, il signor Wolfgang Ucksche, con delle tendenze revisioniste, ha continuato a dire che i soldati della Wehrmacht non erano traditori, perchè hanno solo eseguito gli ordini dell’Armata. In seguito, lui è stato licenziato dal suo lavoro per una frase del genere rilasciata in un’intervista. Ci sono alcuni a Treuenbrietzen ancora molto arrabbiati per il nostro progetto.

D. Jürgen Stroop, braccio destro di Himmler e SS-und Polizeiführer liquidatore del Ghetto di Varsavia, incalzato nel 1949 dal compagno di cella Kazimierz Moczarski, sussurra all’orecchio del camerata Gustav Schielke: “Vorsichtig!” [prudenza]. C’è qualcuno, tra le persone che avete intervistato o incontrato, che vi ha parlato “fuori onda”? In altri termini, ci sono ancora considerazioni o ricordi di una “memoria indicibile”?

Nina: Ci sono delle piccole cose. E’ stato un po’ difficile trovare a Treuenbrietzen delle persone con cui parlare, ci sono cose che non abbiamo neanche potuto verificare. C’è “chi dice che”, c’è “qualcuno che ti dice che qualcuno dice”, ma non si può verificare chi sia questo qualcuno, non sai come contattarlo, oppure le persone non hanno più voglia di parlare. Ci sono voci sulla persona che Matthias chiama “il nostro revisionista”, che affermano che lui sia in possesso nel suo archivio di documenti che non vuole rivelare. E se glieli chiedi dice che non ha nulla.

Il discorso più difficile è stato con le figlie del direttore della fabbrica, che fuori onda ci hanno raccontato di più di quello che abbiamo raccolto come materiale video e sicuramente non ci hanno raccontato tutto quello che sanno.

D. …eppure sembravano le persone più “di sinistra”, del tutto consapevoli…

Nina: Penso che anche loro si considerino tali.

D. In tutta Europa, la memoria della Germania dopo la seconda guerra mondiale è una “eredità maledetta” – secondo l’espressione di Tony Judt – perché condanna i “tedeschi cattivi” ed esalta il mito di tutti gli altri, i resistenti contro l’oppressore tedesco. Cosa ne pensate?

Matthias: Io non sono d’accordo. Da un lato forse è vero, la storia della Shoah è ancora molto discussa in Polonia, in Ucraina, e sappiamo che la popolazione civile ha collaborato con i tedeschi. Sono fatti storici accertati. Ma sono i tedeschi che hanno inventato Auschwitz. Il nazismo, in relazione al fascismo italiano, è completamente un’altra cosa, perché nel fascismo italiano manca quell’elemento violento, quella determinazione a eliminare altri popoli. Certo, c’è la discriminazione razziale anche in Italia, ma quella in Germania è un’altra cosa. Non voglio dire che quella di Tony Judt sia una posizione sbagliata, ma bisogna stare attenti a non fare una Entschuldung [discolpa] dei tedeschi.

Nina: Io sono italiana e ho studiato storia in Italia. Spesso nei dibattiti che abbiamo avuto dopo le presentazioni in Italia ho colto il tentativo di rappresentarsi come una nazione con il mito della Resistenza, dimenticando tutto quello che è successo nei Balcani, o in Africa. Eventi che vengono sminuiti, dimenticati in nome di una apologia della Resistenza che secondo me non ha aiutato molto la storia d’Italia dal dopoguerra in poi, perchè lavandosi la coscienza, presentandosi o come vittime o come partigiani, non c’è stato un ampio dibattito pubblico sulle colpe, sui fatti accaduti in guerra, sulle responsabilità dell’esercito italiano in altri paesi.

Matthias: Nina, ma quanti lavoratori forzati hanno deportato in Italia?

Nina: Sì, Matthias, ma se rimaniamo solo sui numeri rischiamo di rinforzare il luogo comune degli “italiani brava gente”, che non aiuta la costruzione di una coscienza nazionale che non si compiaccia di “pizza e mandolino”.

D. Certo, la Germania nazista ha rappresentato un unicum, ma in qualche modo è vero anche il contrario. Quella nazista non è l’unica “colpa”, non è l’unica guerra che bisogna raccontare, bisogna mantenere uno sguardo critico anche sugli altri attori della guerra.

Matthias: Certamente anche il fascismo aveva le sue strutture, ma il fenomeno del lavoro forzato non ha eguali, è “il” fenomeno di massa del nazismo. Venti milioni di persone sono state deportate in Germania per lavorare. Dov’è finito tutto quel profitto? Il nazifascismo si può leggere come sistema economico di cleptomania. Chi ne ha approfittato sono state le imprese tedesche, non quelle italiane. In Italia cosa resta del fascismo se non qualche edificio? In Germania hanno demolito tutti i simboli e gli edifici, ma i soldi delle imprese, quelli sono rimasti.

D. Secondo gli storici, il trattamento riservato agli IMI dei KZ e degli Arbeitskommando in Germania e Polonia è stato particolarmente efferato, crudele, superando l’ideologia razziale che vedeva negli ebrei e negli slavi i principali nemici biologici del Reich. E certo l’idea che Hitler stesso, a tavola, aveva dell’alleato dell’Asse e della casa Reale italiana non era molto benevola. Nella vicenda di Treuenbrietzen, secondo voi ha pesato di più l’odio razziale o quello contro gli italiani “traditori”?

Nina: Ci limitiamo a riportare quello che ci hanno raccontato. Sembra più una questione di Italiani traditori, pensiamo solo al modo in cui venivano insultati: “Badoglio-Schweine” [maiali di Badoglio], “Verräter” [traditori], ecc. Dell’odio razziale non ce ne ha parlato nessuno, per me sarebbe anche difficile distinguere tra le due cose…

Matthias: Ci sono forse due aspetti. Nella fabbrica erano tutti uguali, erano operai, ma è vero che gli italiani venivano trattati molto male, come i russi sovietici, e questo vuol dire qualcosa.

Nina: Dipende, nel campo vicino a venir trattati peggio erano i russi…

Matthias: Per il nostro progetto, la domanda “perché è accaduto questo massacro?” era molto importante, è una domanda sempre centrale anche per le indagini, che vanno avanti. Non ci spieghiamo invece il motivo per cui a fare da scudo umano per proteggere i civili tedeschi furono gli italiani, perché i nazisti scelsero proprio gli italiani. Quello che è certo è che c’era una gerarchia all’interno delle fabbriche, non era una casualità.

D. E’ molto interessante il conflitto di memorie a Treuenbrietzen tra crimini nazisti e dell’Armata Rossa; sono percorsi di memoria che viaggiano paralleli, senza che nessuno provi a riconnetterli in una storia complessiva (e più complessa) della città. Il documentario, riportando alla luce i due massacri, è il tentativo di riconnettere queste memorie (più o meno sommerse e più o meno “rancorose”) in una storia; solo la disciplina storica può realizzare questa visione allargata e problematica, solo una attenta interpretazione della documentazione e delle testimonianze può superare l’impasse e il vicolo cieco che riduce al silenzio e alle “sabbie mobili” della conoscenza gli abitanti di oggi. Il vostro documentario può ritenersi un tentativo di riconnettere queste due memorie?

Nina: Come si fa a pareggiare? Si calcola il numero di persone morte? Pareggiare non è possibile. Ma se parliamo di memoria delle persone a Treuenbrietzen, non possiamo omettere nessuno dei due massacri. Entrambi hanno avuto luogo lì, entrambi nello stesso giorno. Quel paese non sarebbe così se non fosssero successe quelle cose. Per cui non si può parlare dell’uno se non si è parlato dell’altro. Parlere di IMI è un’altra cosa, non c’è una connessione diretta tra i due eventi.

Matthias: Nel nostro documentario non prendiamo una posizione netta, l’abbiamo fatto apposta. Non è un pacifismo neutrale secondo cui tutti sono vittime di una guerra violenta. No, c’è una relazione tra i due massacri, ma non c’è una spiegazione storica contingente. La relazione è ad un livello più astratto, perché l’Armata Rossa arriva nel paese per liberarlo dai nazifascisti.

D. E’ opportuno secondo noi un richiamo al lavoro della storiografia italiana sulle fonti orali, soprattutto i contributi di Cesare Bermani e Alessandro Portelli, riassumibili nella considerazione che i testimoni – la cui memoria è irrimediabilmente deformata – non ci informano su verità storiche ma, con le loro omissioni, oblii, “invenzioni”, silenzi, ecc., ci danno conto sulla storia che intercorre tra gli eventi e la testimonianza stessa, sul peso che hanno avuto le ideologie e le culture affermatesi in questo intervallo di tempo. Portelli cita a tal proposito Agatha Christie:

  • Già, e ricordando l’episodio a distanza di molti anni, ognuno arriva a conclusioni diverse. Non è confortante, vero?
  • E invece le notizie ci possono essere utili ugualmente… E’ importante conoscere certi fatti che sono rimasti appiccicati alla memoria della gente, anche se questa gente non ricorda con esattezza come sono andate le cose. In compenso forse verremo a sapere dei particolari che non sospettiamo nemmeno.

Nina: Questo è uno dei motivi per cui abbiamo deciso di fare un documentario per il web. Poter raccogliere più testimonianze possibili in modo da metterle insieme, per formare un mosaico. Non come un puzzle, in cui i pezzi s’incastrano l’uno nell’altro alla perfezione, ma come tessere poste l’una accanto all’altra e, come in un mosaico, riesci a vedere il disegno che c’è dietro…

D. Si, le singole memorie sono proprio come tessere, a cui è necessario un collante…

Nina: ..e la cui visione d’insieme è possibile solo allontanandosi. Non si possono prendere le testimonianze, soprattutto dopo settanta anni, per oro colato. Son successe delle cose nel frattempo, la memoria non migliora. Bisogna distanziarsi dalle fonti e cercare di guardare il quadro complessivo.

Matthias: Mi piace molto la frase di Agatha Christie. E’ possibile guardare alla vicenda come fosse un caso criminale, in cui noi filmmaker siamo come investigatori e cerchiamo la verità, la risposta alla domanda “perchè è successo questo fatto lì a Treuenbrietzen?”. La metodologia è molto simile: come gli investigatori abbiamo interrogato, fatto sopralluoghi, cercato tracce nella “sabbia” del Brandeburgo e soprattutto abbiamo scoperto contraddizioni nelle testimonianze raccolte. Per gli storici, come per i filmmaker, questo è un problema, perché si incontrano più versioni della storia raccontata che non vanno bene insieme.

Due giorni fa è morto Antonio Ceseri, l’ultimo sopravvissuto… C’è una “autorità della testimonianza” che è molto importante. Non conta la mia domanda, il testimone racconta la sua versione della verità. E questa verità è Unanfechtbar [insindacabile]. Io non metto in dubbio questa versione, perché è la sua verità personale, legata all’esperienza personale.

D. Per quanto riguarda le attività didattiche, troviamo molto interessante il gioco di ruolo finale, perché parte proprio dal presupposto che ogni “stakeholder della memoria” desidererebbe (come è in realtà) forme e contenuti diversi attraverso cui raccontare questi eventi del passato. L’avete mai sperimentato con delle classi di studenti o con altre persone, in Germania o in Italia?

Nina: Per la verità, no. Abbiamo presentato il film nelle scuole di Reggio Emilia con una lezione di due ore, come introduzione al Viaggio della Memoria di Istoreco del 2016. Ma non abbiamo usato il materiale didattico, né abbiamo avuto finora un feedback dagli insegnanti che abbiamo incontrato.

Concludiamo l’intervista sottolineando come il disegnatore del progetto, Cosimo Miorelli, abbia svolto un lavoro originale che – a nostro avviso – svolge ottimamente la funzione narrativa che gli viene attribuita, accanto al racconto fatto di parole. Le scene che si sovrappongono senza soluzione di continuità esprimono efficacemente il susseguirsi tumultuoso e confuso degli eventi di quel tragico 23 aprile. In successione continua, dietro i personaggi che agiscono in primo piano incombono le ombre di altri personaggi e di altri aventi, ad essi in qualche modo collegati.

3. La storia dell’internamento militare nella storia d’Italia

L’incessante lavoro bilaterale degli storici italiani e tedeschi, negli ultimi anni, ha prodotto molte iniziative pubbliche lodevoli. L’ANRP ha organizzato nel 2018 un convegno a Berlino “per una politica comune della memoria” e i documentaristi tedeschi di Im Märkischen Sand hanno presentato il loro progetto in un circolo culturale di Milano.

Secondo un giornalismo pigro o autocommiserante, sulla vicenda degli Internati Militari Italiani dopo l’8 settembre 1943 si è scritto poco e male. La realtà dimostra che, negli ultimi decenni, gli storici hanno scritto tanto e bene, e lo hanno fatto soprattutto coloro che sono impegnati a livello locale o nazionale negli Istituti Storici della Resistenza.

Nei giorni concitati della guerra, la data dell’armistizio inaugurava per alcuni l’inizio di un “secondo Risorgimento” e per altri, all’opposto, la “morte della Patria”. Nell’atmosfera di ricostruzione del primo dopoguerra – secondo Filippo Focardi e Luigi Ganapini – la matrice culturale resistenziale alimentò l’immagine di un’Italia autoindulgente e puntò sul vittimismo del “bravo italiano”, che condivideva con la cultura anti anti-fascista della “dittatura bonaria” un’idea di innocenza nazionale.

Ma questa autorappresentazione collettiva, ancora in auge, che ha assolto dalle responsabilità e dalle colpe, non ha giovato alla ricerca storica scientifica e nemmeno alla ricerca di senso nelle memorie personali e familiari dei protagonisti, come ben dimostra il web doc. Si arrivò in alcuni casi a censurare la memoria per non aprire, secondo l’espressione di Mimmo Franzinelli, “i labbri di una ferita mai rimarginatasi”, vale a dire un dibattito pubblico su questo complesso periodo del passato del paese.

Diverse forme di rappresentazione dell’internamento, tra storia pubblica e memoria familiare. Marco Ficarra disegna un fumetto per onorare la memoria di suo zio IMI [1]; dopo la notizia della pubblicazione del Libro dei deportati 1943-1945, più di trecento persone chiedono notizie dei propri cari su un blog [2]; parenti e amici di Vittorio Vialli si recano in viaggio da Bologna a Sandbostel [3]; una stolpersteine ricorda l’assassinio di Alberto Pepe, ufficiale martire a Unterlüss [4]; Luigi Tribolo, all’epoca finanziere, racconta sullo “Specchio di Sesto” [San Giovanni] la sua esperienza in occasione del ricevimento della Medaglia d’Onore nel 2015 [5]; nel cimitero militare italiano di Amburgo-Öjendorf, dove riposano più di cinquemila internati civili e militari, si svolge la festa delle Forze Armate del 2014, al cospetto di autorità civili e militari italiane e tedesche [6].

Come dicevamo, i tempi sono cambiati. Non si è trattato solo di distanza cronologica dai fatti, o del mutato clima culturale, ma anche della tenacia e dell’impegno di tanti storici. Qui presentiamo solo una breve bibliografia tematica dei testi citati e delle ricerche più recenti:

  • Elena Aga Rossi, 8 settembre! Una nazione allo sbando. L’armistizio italiano del settembre 1943, Il Mulino 1993.
  • Elena Aga Rossi, Cefalonia. La resistenza, l’eccidio, il mito, Il Mulino 2016.
  • Cesare Bermani, Al lavoro nella Germania di Hitler, Bollati Boringhieri 1998.
  • Giuseppe Caforio, Marina Nuciari, “NO!” I soldati italiani internati in Germania. Analisi di un rifiuto, Franco Angeli 1994.
  • Luigi Cajani, Lutz Klinkhammer et al., Schiavi allo sbaraglio. Gli internati militari italiani nei lager tedeschi di detenzione, punizione e sterminio, Atti del Convegno di Napoli 1988, L’Arciere 1990.
  • Anna Maria Casavola, Nicoletta Sauve, Maria Trionfi (a c. di), Sopravvivere liberi. Il no dei militari italiani internati nei Lager Nazisti, ANEI 2005.
  • Anna Maria Casavola, Nicoletta Sauve, Maria Trionfi (a c. di), Le ragioni del no dei militari italiani nei lager nazisti, ANEI 2009.
  • Massimo Castoldi (a c. di), 1943-1945: I «bravi» e i «cattivi». Italiani e tedeschi tra memoria, responsabilità e stereotipi, Donzelli 2016 (con saggi di Thomas Altmeyer, Filippo Focardi, Luigi Ganapini, Paolo Jedlowski e Raoul Pupo).
  • Davide Conti, Criminali di guerra italiani. Accuse, processi e impunità nel secondo dopoguerra, Odradek 2011.
  • Nicola Della Santa (a c. di), I militari italiani internati dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943. Atti del Convegno di Firenze 1985, Le Lettere 1986.
  • Ugo Dragoni, La scelta degli I.M.I. Militari italiani prigionieri in Germania, Le Lettere 1996.
  • Monica Fioravanzo e Carlo Fumian (a c. di), 1943. Strategie militari, collaborazionismi, Resistenze, INSMLI/Viella 2015.
  • Filippo Focardi, La guerra della memoria. La Resistenza nel dibattito politico italiano dal 1945 a oggi, Laterza 2005.
  • Filippo Focardi, Il cattivo tedesco e il bravo italiano. La rimozione delle colpe della seconda guerra mondiale, Laterza 2013.
  • Mimmo Franzinelli, L’8 settembre, in Mario Isnenghi (a c. di), I luoghi della memoria. Personaggi e date nella storia dell’Italia unita, Laterza 1997.
  • Sabrina Frontera, I militari italiani internati negli Oflag e negli Stalag del Terzo Reich. il ritorno e la memoria. Strategie di integrazione e processi di rimozione, in Anna Maria Isastia, Federico Niglia (a cura di), Da una memoria divisa ad una memoria condivisa. Italia e Germania nella seconda guerra mondiale, Atti del convegno di Roma 2010, Mediascape 2011.
  • Sabrina Frontera, Il ritorno dei militari italiani internati in Germania. Dalla “damnatio memoriae” al paradigma della resistenza senz’armi, Aracne 2015.
  • Carlo Gentile, I crimini di guerra tedeschi in Italia, Einaudi 2015.
  • Gabriele Hammermann, Gli internati militari italiani in Germania 1943-1945, Il Mulino 2004 (ed. or. 2002).
  • Mario Isnenghi, La tragedia necessaria. Da Caporetto all’otto settembre, Il Mulino 2013.
  • Istituto Storico di Resistenza in Piemonte (a c. di), Una storia di tutti, Atti del Convegno di Torino 1987, Franco Angeli 1989.
  • Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia 1943-1945, Bollati Boringhieri 1993.
  • Nicola Labanca (a c. di), Fare il soldato. Storia del reclutamento militare in Italia, Unicopli 2007.
  • Nicola Labanca, Internamento militare italiano, in Enzo Collotti, Renato Sandri, Frediano Sessi (a c. di), Dizionario della Resistenza. Storia e geografia della Liberazione, Einaudi 2000.
  • Nicola Labanca (a c. di), Fra sterminio e sfruttamento. Militari interneti e prigionieri di guerra nella Germania nazista (1943-1945), Le Lettere 1992.
  • Richard Lamb, La guerra in Italia (1943-1945), Corbaccio 1996 (ed or. 1995).
  • Bruno Maida (a c. di), Seicentomila NO. La resistenza degli Internati militari italiani, ANCR/ANEI Torino/Kaplan 2014.
  • Giuseppe Mayda, Storia della deportazione dall’Italia 1943-1945. Militari, ebrei e politici nei lager del Terzo Reich, Bollati Boringhieri 2002.
  • Claudio Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Bollati Boringhieri 1991.
  • Lazzero Ricciotti, Gli schiavi di Hitler, Mondadori 1997.
  • Giorgio Rochat, Marcello Venturi, La divisione Acqui a Cefalonia, settembre 1943, Mursia 1993.
  • Gerhard Schreiber, I militari italiani internati nei campi di concentramento del Terzo Reich. Traditi, disprezzati, dimenticati, Stato Maggiore dell’Esercito 1997 (ed. or. 1990).
  • Gerhard Schreiber, La vendetta tedesca, Mondadori 2000 (ed. or. 1996).
  • Claudio Sommaruga (a c. di), Dopo il lager. La memoria della prigionia e dell’internamento nei reduci e negli “altri”, GUISCO 1995.

Scene di vita e di morte quotidiana nel Kriegsgefangenenlager Stalag X B di Sandbostel, tra Brema e Amburgo, tratte dal video Rai del 1987. Dopo aver accolto centinaia di migliaia di prigionieri di tutta Europa, nel 2008 Sandbostel è diventato un luogo di memoria. La prima a sinistra è una foto di Vittorio Vialli del 1944: il cosiddetto “carro M”, trasportato da russi e italiani, raccoglie il materiale fognario delle Stube ma è anche usato dai russi per trasferire piccoli oggetti e cibo per il mercato clandestino. A sinistra in basso, Giovannino Guareschi fotografato da Vialli; nell’ultima immagine, Guareschi nel dopoguerra scrive per il settimanale Oggi una “Storia della famosa Caterina”, la radio clandestina di Sandbostel.

4. La dolorosa memoria degli IMI deportati

Vittorio Vialli parte volontario nel ’41 verso la Grecia, ma diventa IMI non “optante” nel ’43 [1][4]. Progioniero in diversi campi, tra cui Sandbostel, finisce infine a Fallingbostel, vicino Brema, fino alla liberazione nel 1945. Con i suoi scatti clandestini, racconta centinaia di microstorie di prigionia. Qui una donna ucraina offre sponaneamente in dono una ciotola di zuppa ad un ufficiale italiano [2]. Aprile ’45, mentre i tedeschi scappano, sullo sfondo, dalla colonna si stacca un tedesco che si avvicina al reticolato e parla con la sentinella tenendo in mano un pacchetto di sigarette. Vuole combinare un piccolo affare con i prigionieri. Le sigarette ammansiscono la sentinella, un ufficiale italiano mostra al tizio un orologio; quello lo prende e se ne va senza dargli le sigarette [3]. Tante storie come questa si possono vedere e leggere sul sito “8 settembre 1943”. Vialli, nel suo libro, così parla della scelta: “Gli I.M.I. non parlano volentieri della loro prigionia. Tra le varie malattie che molti vi contrassero, manca per fortuna quella del reducismo. Non aspirano a che li si giudichino eroi, e nemmeno vogliono rivendicare percentuali del ruolo di salvatori della patria. Essi desiderano soltanto che non si dica che sono stati dei “fessi” perchè in quei tempi calamitosi di grandi confusioni di idee, in cui era umano che ognuno pensasse a se stesso, non firmarono la famosa adesione. Gli I.M.I. vorrebbero, in breve, che la gente, e soprattutto i giovani, capissero che essi hanno semplicemente fatto il proprio dovere di soldati e cittadini. Con dignità. In condizioni dure. Per libera e meditata decisione personale”.

Fin dal primo dopoguerra, sono stati pubblicati diari e testimonianze di soldati italiani internati in Germania e Polonia, ma la gran parte ha avuto un ambito di diffusione ristretto o solo locale. Claudio Sommaruga ha calcolato che la tiratura complessiva delle memorie e saggi (escluso Guareschi) è inferiore al numero dei reduci. Tra gli oltre 800.000 ex-IMI “resistenti” e “optanti”, il numero dei testimoni, anche con articoli e interviste, non supera il migliaio.

Il tono comune a tante memorie personali e pubbliche, rispetto all’8 settembre e alle vicende che ne seguirono in Italia e nel resto d’Europa, è quello dell’inganno, del tradimento, anche se sulle responsabilità non tutti sono concordi. Si tratta del tradimento del Duce, delle alte gerarchie del regime fascista o dell’alleato tedesco? Oppure del governo Badoglio, dei comandi dell’Esercito o del Re d’Italia? In tutti i casi, questo sentimento individuale di solitudine e di spaesamento, di disfatta morale del paese, è controbilanciato da valori positivi mediante i quali si è sopravvissuti al disastro: la Resistenza (con o senza armi), i gesti di solidarietà umana spesso esaltati, il cameratismo e il legame paterno tra gli ufficiali e la truppa. Scrive Luigi Ganapini, a proposito della memorialistica degli IMI, che “nessuno – è quasi ovvio – si sente responsabile come singolo e ciascuno quindi si proclama innocente, in un crescendo di irresponsabilità collettiva”. Sono pertanto isolate e minoritarie quelle voci che raccontano la propria condizione dolorosa come “colpa” o come “espiazione”, che non si rassegnano all’oblio di una trama più complessa, e in sostanza alla rimozione stessa del fascismo dalla storia nazionale.

La prefazione e alcune tavole della guida illustrata satirica disegnata dall’internato Franco Quattrocchi, prigioniero nel campo per ufficiali di Hammerstein, in Pomerania. Realizzata a partire dal settembre 1944 e diffusa tra i compagni di prigionia per “trarne qualche sorriso”, pubblicata per la prima volta nel 1946, è stata recentemente riedita dalla Casa della Memoria di Brescia.

Più o meno consapevoli di alimentare così una memoria divisa e inconciliabile che attraversa la storia repubblicana fino ad oggi, i “sopravvissuti” hanno cominciato a scrivere tardi, i loro familiari hanno ritrovato lettere e diari nelle soffitte, e le associazioni promuovono le raccolte e le pubblicazioni, grazie ai pochi fondi disponibili. Inoltre, esistono anche alcuni “romanzi storici” – anche illustrati – su questi eventi, e sulla strage di Treuenbrietzen in particolare, ma non sappiamo quale sia la loro fortuna editoriale. Qui di seguito riportiamo alcune tra le pubblicazioni più note o più recenti:

  • Pensiero Acutis, Stalag XA, Storia di una recluta, Rubbettino 2005.
  • Leonetto Amadei, Resistenza senz’armi. Un capitolo di storia italiana: 1943-1945. Dalle testimonianze di militari toscani internati nei lager nazisti, Le Monnier 1984.
  • Mario Avagliano, Marco Palmieri, Gli internati militari italiani. Diari e lettere dai lager nazisti (1943-1945), Einaudi 2009 (con introduzione di Giorgio Rochat).
  • Anna Bravo, Daniele Jalla (a c. di), Una misura onesta. Gli scritti di memoria della deportazione dall’Italia, ANED/Franco Angeli 1995.
  • Aldo Valerio Cacco, Un clarinetto nel lager. Diario di prigionia 1943-1945, Messaggero 2009.
  • Luigi Collo, La resistenza disarmata: la storia dei soldati italiani prigionieri nei lager tedeschi, Marsilio 1995.
  • Mario Cristiani, In silenzio. Da Firenze alla strage di Treuenbrietzen. Una storia vera, Giunti 2016.
  • Duilio Del Vescovo, Consegnare le armi. Diario di un prigioniero italiano tra l’8 settembre e la Repubblica di Salò, Edup 2002.
  • Paolo Desana, Il “NO!” al lavoro li ha resi liberi. Il caso dei 360 Internati Militari Italiani a Colonia, ANRP-Mediascape 2016 (a c. di Luciano Zani).
  • Patrizia Donà, Treuenbrietzen. Storia di una Strage, Editing Edizioni 2010.
  • Patrizia Donà, Treuenbrietzen 23 aprile 1945. Memoria di una Strage. La tragedia degli internati militari italiani in Germania, Editrice Storica 2012.
  • Marco Ficarra, Stalag XB, Becco Giallo 2009 (tavole illustrate).
  • Luca Frigerio, Noi nei lager. Testimonianze di militari italiani internati nei campi nazisti 1943-1945, Ed. Paoline 2008.
  • Emilio Gardini (a c. di), Deportati e Internati. Racconti biografici di abruzzesi, molisani, lombardi e veneti nei campi nazisti, ANRP/Mediascape 2010.
  • Giovannino Guareschi, Diario clandestino 1943-1945, Rizzoli 1949.
  • Giovannino Guareschi, Il grande diario. Giovannino cronista del lager 1943-1945, Rizzoli 2008.
  • Amerigo Jacobucci, Neve rossa a Selkow, Sei 1960.
  • Nicola Labanca (a c. di), La memoria del ritorno, Giuntina 2000.
  • Laurana Lajolo, La guerra non finisce mai. Diario di prigionia di un giovane contadino, Gruppo Abele 1993.
  • Franco Marcoaldi, Benjaminovo: padre e figlio, Bompiani 2004.
  • Adolfo Mignemi (a c. di), Storia fotografica della prigionia dei militari italiani in Germania, Bollati Boringhieri 2005.
  • Lino Monchieri, A futura memoria. Testimonianze dell’internamento nei lager nazisti 1943-1945, ANEI 2000.
  • Alessandro Natta, L’altra resistenza. I militari italiani internati in Germania, Einaudi 1996.
  • Andrea Parodi, Gli eroi di Unterlüss. La storia dei 44 ufficiali IMI che sfidarono i nazisti, Mursia 2016.
  • Giovanna Procacci, Lorenzo Bertucelli (a c. di), Deportazione e internamento militare in Gemania: la provincia di Modena, Unicopli 2001.
  • Franco Quattrocchi, Guida ad Hammerstein, Casa della Memoria di Brescia 2011 (tavole illustrate).
  • Mario Rigoni Stern, Racconti di guerra, Einaudi 2006.
  • Rossella Ropa, Prigionieri del Terzo Reich. Storia e memoria dei militari bolognesi internati nella Germania nazista, Clueb 2008.
  • Christoph Ulrich Schminck-Gustavus (a c. di), L’attesa. Cronaca di una prigionia al tempo dei lager, Editori Riuniti 1989.
  • Claudio Sommaruga, NO! Anatomia di una resistenza nei lager militari (1943-1945), ANRP 2001.
  • Maria Trionfi (a c. di), Il diario dell’attesa. Storia di una famiglia 1943-1945, Bibliotheka 2013.
  • Maria Trionfi, Il generale Alberto Trionfi. Scritti e memorie dalla Grecia al Lager. Un delitto delle SS, ANEI 2004.
  • Vittorio Vialli, Ho scelto la prigionia. La resistenza dei soldati italiani nei lager nazisti 1943-1945, Forni 1975.
  • Luciano Zani, Resistenza a oltranza. Storia e diario di Federico Ferrari internato militare in Germania, Mondadori 2009.

Christoph U. Schminck-Gustavus, qui a Sandbostel in un video Rai del 1987 [1], si è occupato del lavoro coatto come storico del diritto tedesco. Ha anche scritto l’affascinante microstoria [2] del giovane lavoratore “volontario” polacco Walerjan Wrobel, arrestato dalla Gestapo, deportato al lavoro coatto nel KL di Neuengamme e infine giustiziato dal Tribunale di Brema nel ’42 con l’accusa di essere un “parassita del popolo tedesco”. L’Associazione Historia Ludens ne ha ricavato un laboratorio didattico, pubblicato in diversi manuali di storia di Antonio Brusa. La ricostruzione della vita di Walerjan in una presentazione realizzata da studenti della Scuola Secondaria di Primo Grado Leonardo da Vinci di Reggio Emilia nel 2017 [3], [4], [5], [6]. A conclusione del laboratorio, gli stessi studenti sono stati invitati a scrivere due articoli di giornale, il primo nel 1942 e il secondo nel 1987, quando il Tribunale annullò la sentenza di condanna [7], [8], [9], [10].

5. Come studiare la memoria dei testimoni

Nel video L’ultimo testimone, Antonio Ceseri racconta sulla carta come gli IMI di Treuenbrietzen vengano portati dal campo di lavoro alla cava di sabbia di Nichel il 23 aprile del 1945. Sopravvissuto miracolosamente alla strage, diventerà un instancabile trasmettitore di memoria, recandosi ogni anno dalla sua Toscana in Brandeburgo e poi al cimitero militare italiano di Zehlendorf a Berlino. Ha incontrato migliaia di studenti italiani e tedeschi in conferenze e sui luoghi di memoria, fino al giorno della sua morte, nel dicembre 2017.

Una parte di questi testi memorialistici è sottoposta al lavoro critico degli storici, che ne restituiscono una interpretazione più oggettiva in sede di pubblicazione. In altri casi, sono proprio le domande degli storici, in forma scritta (mediante questionari) o orale (interviste) a suscitare il racconto dei protagonisti. Dopo molti decenni – sottolinea Reinhart Koselleck – il passato saturo d’esperienza dei superstiti si trasforma in “passato puro”, sottratto al vissuto. I criteri di ricerca si fanno più imparziali, ma forse anche meno coloriti. Sulla metodologia e la pratica della storia orale, si può leggere:

  • Marta Baiardi, Alberto Cavaglion (a c. di), Dopo i testimoni. Memorie, storiografie e narrazioni della deportazione razziale, Viella 2014.
  • Cesare Bermani (a c. di), Introduzione alla storia orale. Esperienze di ricerca, Odradek 2001.
  • David Bidussa, Dopo l’ultimo testimone, Einaudi 2009.
  • Alessandro Portelli, Sulla diversità della storia orale, in Cesare Bermani (a c. di), Introduzione alla storia orale. Storia, conservazione delle fonti e problemi di metodo, Odradek 1999.
  • Alessandro Portelli, L’ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria, Donzelli 1999.

6. La Germania nazista e le politiche di sterminio

Nella sua tesi di dottorato, lo storico statunitense William S. Allen ricostruisce la “resistibile ascesa” del nazismo nella piccola città di Nordheim, nell’antico regno dell’Hannover. Le manifestazioni pubbliche e le marce per strada, regolarmente accompagnate da bande musicali, ebbero un ruolo importante nello scontro politico tra NSDAP (nazisti), SPD (socialdemocratici) e KPD (comunisti). Nei primi due fotogrammi, marce naziste a Treuenbrietzen negli anni ’30; nell’ultimo, una manifestazione comunista negli anni ’50 lungo le stesse strade divenute parte della DDR. Molti storici, come Thomas Altmeyer e Habbo Knoch, segnalano il rischio recente nelle commemorazioni ufficiali di concepire “le due dittature” come esperienze storiche interscambiabili, confondendole ed equivocandone così la specifica natura.

John Heartfield è il dadaista berlinese che ha inventato il fotomontaggio come strumento politico. Qui alcune sue opere dalla rivista comunista AIZ, Arbeiter Illustrierte Zeitung (Giornale illustrato dei lavoratori) sulla natura capitalistica del nazismo: 1932: Strumento nelle mani di Dio? Giocattolo nelle mani di Thyssen [1]. 1933: Il significato del saluto di Hitler: milioni dietro di me. L’omino chiede grandi regali. [2]. 1933: La nazione è chiusa [“unita” nell’espressione originale di Hitler, n.d.r.] dietro di me. Campo di concentramento Germania [3].

Ogni anno sono pubblicate nel mondo diverse migliaia di libri e saggi sulla Germania nazista e sulla Seconda guerra mondiale. Esiste un campo di studi che si occupa di questa sterminata produzione storiografica ed editoriale. Negli ultimi anni si è finalmente superata l’errata alternativa tra “funzionalisti” e “intenzionalisti” in merito alle mostruose politiche di sterminio operate dal nazionalsocialismo. Gli oggetti di ricerca si sono moltiplicati, così come le chiavi interpretative adoperate. L’economia, l’antropologia, la sociologia, la psicanalisi, la critica letteraria, l’architettura, la storia di genere, la semiotica, la filologia, ecc. concorrono allo studio di questo breve periodo della storia tedesca ed europea.

Duecento prigionieri ebrei ungheresi furono sterminati nel 1945 dai partecipanti ad una festa di nazisti che si teneva presso il castello di Rechnitz (oggi in Austria), di proprietà dei nobili Batthyany. Nel suo recente libro, Sacha Batthyany – giornalista svizzero e nipote della contessa – si chiede: “Cosa ha a che fare con me?”. In Germania, dunque, questa è ancora una questione aperta al dibattito pubblico. Come mai le edizioni italiane e spagnole sembrano eludere questa domanda cruciale, che scompare dal titolo?

Dopo l’annessione al Terzo Reich, quindicimila adolescenti alsaziane partono per il Reichsarbeitsdienst (Servizio di Lavoro del Reich), il Kriegshilfsdienst (Servizio Militare Ausiliario) o sono arruolate nella Wehrmacht. Al termine del conflitto, l’inchiesta di Nina Barbier, figlia di una lavoratrice forzata, svela l’esistenza dell’altra metà del cielo dei più noti Malgré nous. Secondo gli accordi bilaterali, però, in quanto donne non risultano né prigioniere né arruolate, dunque non possono beneficiare di risarcimenti riparatori. Dimenticate dalla storia e dalla giustizia, iniziano una battaglia legale e di memoria allo stesso tempo, che si conclude vittoriosamente solo nel 2008.

Sul piano della commemorazione e della storia pubblica, lo sterminio nazista è un evento che soffre sempre più di quella che alcuni studiosi definiscono “inflazione memoriale” – di cui ci parla Antonio Brusa – , una ridondanza fatta di “giornate della memoria”, iniziative editoriali, film, fumetti, mostre, concorsi, siti e ogni altra forma mediatica, a volte poco accurate sul piano documentale e attente al consenso generalistico e alla commercializzazione piuttosto che alla didattica o al senso di responsabilità individuale e collettiva nel nostro presente.

Questa celebre foto, scattata a Ivangorod in Ucraina nel 1942, fu spedita da un soldato tedesco degli Einsatzgruppen ma non arrivò mai a casa, perché fu intercettata dalla resistenza polacca. Secondo Daniel J. Goldhagen, in polemica con Christopher R. Browning, è l’ennesima prova della diffusa cultura “antisemita eliminazionista” tedesca. Recentemente, è diventata un cavallo di battaglia di blog negazionisti polacchi, che attribuibiscono ai sovietici la fucilazione di questi ebrei, ritengono che i soldati non stiano mirando alle persone, e affermano che si tratti di un fotomontaggio. E’ tipico della logica negazionista – analizzata dalla semiologa Valentina Pisanty – affastellare critiche in alternativa contraddittoria.

Questo breve elenco bibliografico non rappresenta una sintesi – compito oggi assai specialistico – ma si limita a riportare esclusivamente i testi in lingua italiana (con una sola eccezione) che abbiamo utilizzato per la scrittura di questo articolo o che, a nostro avviso, possono essere utili per ulteriori approfondimenti dei temi trattati, in particolare sulla memoria dello sterminio e il problema della “gente comune”:

  • William Sheridan Allen, Come si diventa nazisti. Storia di una piccola città 1930-1935, Einaudi 1968 (ed. or. 1965).
  • Nina Barbier, Malgré Elles. Les alsacienne et mosellanes incorporées de force dans la machine de guerre nazie, La Nuée Bleue 2000.
  • Sacha Batthyany, Le bestie di Rechnitz. Una festa di SS. Una notte maledetta. Il tragico segreto della mia famiglia, Rizzoli 2016 (ed. or. 2016).
  • Charlotte Beradt, Il terzo reich dei sogni, Einaudi 1991 (ed or. 1966), (prefazione di Reinhart Koselleck).
  • Christopher Robert Browning, Uomini comuni. Polizia tedesca e “soluzione finale” in Polonia, Einaudi 1995 (ed. or. 1992).
  • Antonio Brusa, La terra di nessuno fra storia, memoria e insegnamento della storia. Didattica e non-didattica della Shoah, in Francesca Recchia Luciani, Claudio Vercelli (a c. di), Pop Shoah? Immaginari del genocidio ebraico, Il melangolo 2016.
  • Liza Candidi, Spazi di memoria nella Berlino post-socialista, Mimesis 2013.
  • Johann Chapoutot, La legge del sangue. Pensare e agire da nazisti, Einaudi 2016 (ed. or. 2014).
  • Piotr Mateusz Andrej Cywinski, Non c’è una fine. Trasmettere la memoria di Auschwitz, Bollati Boringhieri 2017.
  • Aldo Enzi, Il lessico della violenza nella Germania nazista, Pgreco 2012.
  • Robert Gellately, Il popolo di Hitler. Il nazismo e il consenso dei tedeschi, Tea 2004 (ed. or. 2002).
  • Daniel Jonah Goldhagen, I volonterosi carnefici di Hitler. I tedeschi comuni e l’Olocausto, Mondadori 1997 (ed. or. 1996).
  • Eric A. Johnson, Karl-Heinz Reuband, La Germania sapeva. Terrore, genocidio, vita quotidiana. Una storia orale, Mondadori 2008 (ed. or. 2005).
  • Tony Judt, L’età dell’oblio. Sulle rimozioni del ‘900, Laterza 2011 (ed or. 2008).
  • Ian Kershaw, Che cos’è il nazismo. Problemi interpretativi e prospettive di ricerca, Bollati Boringhieri 2003 (ed. or. 1985).
  • Victor Klemperer, LTI: la lingua del Terzo Reich. Taccuino di un filologo, Giuntina 1999 (ed. or. 1947).
  • Walter Lacqueur, Il terribile segreto. La congiura del silenzio sulla “soluzione finale”, Giuntina 1983 (ed. or. 1980).
  • Wendy Lower, Le furie di Hitler. Complici, carnefici, storie dell’altra metà del Reich, Rizzoli 2013 (ed. or. 2013).
  • Kazimierz Moczarski, Conversazioni con il boia, Bollati Boringhieri 2008 (ed or. 1992).
  • Henry Picker, Conversazioni di Hitler a tavola, Res Gestae 2015 (ed. or. 1951).
  • Valentina Pisanty, L’irritante questione delle camere a gas. Logica del negazionismo, Bompiani 2014.
  • Marzia Ponso, Processi, riparazioni, memorie. L’”elaborazione del passato” nella Germania postnazista e postcomunista, Mimesis 2015.
  • Gian Enrico Rusconi (a c. di), Germania: un passato che non passa. I crimini nazisti e l’identità tedesca, Einaudi 1987 (con saggi di Jürgen Habermas, Joachim Fest, Martin Broszat, Andreas Hillgruber, Jürgen Kocka e altri).
  • Gitta Sereny, In quelle tenebre, Adelphi 1975 (ed. or. 1974).
  • Gitta Sereny, Germania: il trauma di una nazione. Riflessioni 1938-2001, Rizzoli 2002 (ed. or. 2002).
  • Christoph Ulrich Schminck-Gustavus, Mal di casa. Un ragazzo davanti ai giudici 1941-1942, Bollati Boringhieri 1994 (ed. or. 1986).
  • Christoph Ulrich Schminck-Gustavus, Il processo a Dietrich Bonhoeffer e l’assoluzione dei suoi assassini, Castelvecchi 2015 (ed. or. 1995).
  • Nikolaus Wachsmann, KL. Storia dei campi di concentramento nazisti, Mondadori 2017.
  • Alfred Wahl, La seconda vita del nazismo nella Germania del dopoguerra, Lindau 2007 (ed. or. 2006).

Due editori utilizzano la stessa immagine – scattata in Wilhelm Platz a Berlino nel 1938 – per la copertina di libri che presentano tesi sostanzialmente diverse. Secondo alcuni, la foto dimostra l’affetto delle donne tedesche verso il Führer; altri ci inducono a riflettere sulla sua sovraesposizione operata dalla propaganda nazista. E’ indubbio il ruolo avuto dalle donne tedesche (anche sul piano elettorale) nell’ascesa di Hitler, e Charlotte Beradt, che analizza i sogni di centinaia di tedeschi comuni, ci ricorda il nesso tra potere ed erotismo: “Dev’essere scapolo, così abbiamo dalla nostra le donne” era un fatto stabilito ancor prima che prendesse il potere.

7. Dove studiare la storia degli IMI sul web: una sitografia

Fotogrammi dal video di Pier Milanese e Corrado Borsa, dal titolo “600.000 no”, prodotto nel 2008 dall’Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza. Tra i testimoni c’è l’IMI Claudio Sommaruga, che ha raccontato la sua storia in un volume a cura dell’ANRP e ha animato fino all’ultimo il sito “Schiavi di Hitler”, specializzandosi nella ricerca sul lavoro coatto in Germania.

Sulla rete internet, dominio incontrollato di una “storia pubblica” a volte con finalità politiche strumentali e toni polemici più accesi, sono pubblicati diversi materiali sugli IMI: testimonianze, ricostruzioni storiche, documenti, rassegne stampa, interviste, bibliografie, ecc. Dunque si rende necessaria, da parte nostra, una sitografia ragionata essenziale, che comprende esclusivamente pagine web in lingua italiana nell’originale:

8 settembre 1943

In questo sito si trovano biografie, approfondimenti e bibliografie sul tema degli IMI. Contiene una vasta e interessante galleria fotografica dell’IMI Vittorio Vialli, prigioniero a Sandbostel. I suoi figli, assieme ad altri appassionati di storia, hanno curato anche il racconto online “Una storia in viaggio. Nei luoghi dell’altra Resistenza”, con il supporto dell’Istituto Storico Ferruccio Parri dell’Emilia Romagna.

Albo IMI caduti

Si tratta della banca dati on-line, a cura dell’A.N.R.P., in cui sono inseriti elementi anagrafici e biografici degli internati militari italiani che hanno perso la vita nei lager del Terzo Reich tra il 1943 e il 1945, integrata con la registrazione dei militari deceduti subito dopo la cattura o la liberazione.

A.N.C.R.

L’Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza, con sede a Torino, raccoglie decine di migliaia di documenti video. Nato negli anni ’60, ha digitalizzato cinquemila ore di filmati e interviste, consultabili oggi attraverso il suo database. Dall’anno scolastico 2003/2004 lancia il concorso “Filmare la storia” che “considera un proprio compito fondamentale la formazione delle giovani generazioni alla conoscenza delle fonti storiche audiovisive, alla loro corretta interpretazione, al loro uso e riuso”.

A.N.E.D.

E’ il sito ufficiale della Associazione Nazionale Ex Deportati nei campi nazisti, che gestisce la Casa della Memoria in via Confalonieri a Milano e pubblica la rivista “Triangolo Rosso”, disponibile online. Il sito contiene una ampia biblioteca di testi online sul tema (tra cui il Quaderno della Memoria di Massimo Orlandi, dal titolo “Sandbostel 1943. Anch’io ho detto NO, a cura dell’Anpi di Bolzano) e un ampio dizionario della deportazione.

A.N.E.I.

Il sito della Associazione Nazionale Ex Internati nei Lager Nazisti – Volontari della Libertà è molto ricco di materiali, sia per storici che per insegnanti. Ha curato la digitalizzazione dei Quaderni pubblicati tra il 1964 e il 1995 dal Centro Studi sulla Deportazione e l’Internamento, opera diretta dallo storico ex-internato Vittorio Emanuele Giuntella. Inoltre, pubblica il bollettino “Noi del Lager”.

A.N.R.P.

Sito ufficiale della Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia, dall’Internamento, dalla Guerra di Liberazione e loro familiari, presieduta da Enzo Orlanducci. Nella sua sede a Roma, in via Labicana, ha anche una Biblioteca e un Museo – uno dei più importanti poli specializzati a livello nazionale e internazionale sul mondo concentrazionario – che condivide il suo prezioso patrimonio con insegnanti, studenti, ricercatori e familiari di reduci.

Archivio Diaristico Nazionale

L’Archivio, creato da Saverio Tutino nel 1984, ha sede a Pieve Santo Stefano (Arezzo), la “città del diario”. Oltre alla gestione del Piccolo Museo del Diario nel Palazzo Pretorio e alla pubblicazione di libri, ha lanciato il progetto “Impronte digitali” di digitalizzazione completa del materiale documentale (diari, lettere, memorie autobiografiche di gente comune) in suo possesso, per la consultazione online.

A.T.I.S.

L’Associazione Ticinese degli Insegnanti di Storia ha pubblicato nel 2009 la testimonianza video di Mauro Pedretti, soldato originario della Val Camonica arrestato dai tedeschi e deportato in un campo di lavoro in Cecoslovacchia dopo l’8 settembre 1943.

Avvenire

Una intervista del settembre 2016, di Riccardo Michelucci ad Antonio Ceseri, IMI fiorentino classe 1924, dal titolo “Io a Treuenbrietzen. Rompo il silenzio sulla strage nazista”, ultimo testimone italiano della strage, a pochi mesi dalla sua scomparsa.

Biblioteca Comunale di Bagno a Ripoli (Fi)

In occasione del Giorno della Memoria 2005, la Biblioteca locale ha redatto una bibliografia di libri e di articoli – posseduti dalla biblioteca o reperibili tramite il catalogo Sdiaf – dedicata ai militari italiani internati.

Diacronie

Creata nel 2008 da studenti di storia contemporanea dell’Università di Bologna, questa rivista “si configura come una risorsa digitale a libero accesso attraverso cui si intende raccogliere e promuovere studi e ricerche scientifiche di carattere storico e storiografico”. Sul numero 2 si può leggere l’articolo del 2010 di Deborah Paci dal titolo «Internati Militari Italiani dopo l’8 settembre 1943: testimonianze di siciliani nei campi nazisti».

Dimenticatidistato

Un blog a cura di Roberto Zamboni che raccoglie gli elenchi – e supporta la ricerca da parte dei familiari – dei caduti in prigionia (civili e/o militari) per mano tedesca dopo l’8 settembre 1943, sepolti nei cimiteri di Austria, Germania e Polonia.

I.N.S.M.L.I.

E’ il portale della rete degli Istituti per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, gestito dall’Istituto Nazionale Ferruccio Parri a Milano. Sul numero 272 del 2013 della rivista “Italia Contemporanea” si può leggere un ampio resoconto della questione giudiziale dei risarcimenti agli IMI, “Riflessioni sui lavori della Commissione storica italo-tedesca (2008-2013)”, con interventi di Wolfgang Schieder, Mariano Gabriele e Nicola Labanca.

Love is a virus

Nel blog a cura di Romano Borrelli è pubblicato un dossier dedicato a Pensiero Acutis, recluta IMI di Torino.

Museo Nazionale dell’Internamento

E’ il sito virtuale di un luogo di memoria reale, il Museo nazionale di Padova, a cura della sezione locale dell’A.N.E.I.. Adiacente al Tempio Nazionale dell’Internato Ignoto, è stato inaugurato nel 1965 e contiene oggetti, documenti, disegni, fotografie, indumenti. “Il materiale esposto non è molto, ma altamente significativo. Non vi è nulla di superfluo, nulla che non dica qualcosa dei soprusi subiti”.

Museo Storico Italiano della Guerra

Il Museo, ospitato nel Castello di Rovereto, ha pubblicato nel 2007 un “Censimento delle fonti edite e inedite sugli Internati Militari Italiani 1943-1945 della provincia di Trento”, a cura di Lorenzo Baratter e Fabrizio Rasera.

Pavonerisorse

Il sito dell’Associazione Gessetti Colorati, costituita da insegnanti di Ivrea e Pavone Canavese (Torino) contiene una unità didattica di storia contemporanea “locale”, dal titolo “Una ricerca sull’internamento militare nel Canavese”, basata sull’analisi quantitativa-qualitativa di un data-base e costruita con il contributo dell’A.N.E.I..

Radio Caterina

Il sito raccoglie informazioni sul fenomeno dei ricevitori radio artigianali clandestini costruiti dai prigionieri italiani nel mondo concentrazionario nazista durante la Seconda Guerra Mondiale. Le radio clandestine come “Caterina” ebbero un ruolo fondamentale per diffondere tra i prigionieri le notizie provenienti dall’esterno. Il sito contiene una ampia documentazione tecnica e fotografica.

Radioparole

E’ un progetto italo-tedesco per la produzione indipendente di documentari sonori. Tra gli altri, contiene il radiodocumentario “I soldati di Badoglio. Gli internati militari italiani in Germania”, del 2007.

Schiavi di Hitler

Sito dell’omonimo Centro Studi, sezione dell’Istituto di storia contemporanea “Pier Amato Perretta” di Como. Si avvale del lavoro di ricerca di Claudio Sommaruga, spentosi nel 2012, e contiene una mole notevole di testimonianze e informazioni, con elenchi dettagliati delle migliaia di fabbriche tedesche che sfruttarono il lavoro coatto.

S.I.S.C.A.L.T.

La Società Italiana per la Storia Contemporanea dell’Area di Lingua Tedesca, costituita nel 2011 nell’Istituto Storico Italo-Germanico/FBK a Trento, fornisce una ampia bibliografia aggiornata di tutti gli articoli e i saggi di storia contemporanea sui rapporti bilaterali, pubblicati in Italia, Austria e Germania.

Stalag XB

Pagina web delle Edizioni Becco Giallo dedicata al fumetto omonimo di Marco Ficarra, che ricostruisce le vicende di suo zio, Gioacchino Virga, soldato italiano palermitano catturato in Grecia e internato militare in Germania.

StoriaXXIsecolo

Nella sezione “Resistenzaitaliana.it”, a cura dell’A.N.P.I., è presente una pagina con informazioni, approfondimenti e una breve bibliografia dedicata agli IMI.

Storia e Futuro

Nel numero 44 del giugno 2017 della rivista emiliana di storia contemporanea è contenuto un interessante articolo di Niccolò Caramel, dal titolo “Braccia italiane al servizio del Reich. L’emigrazione dei fremdarbeiter italiani nella Germania nazista (1937-1943)”, basato sulle ricerche di Brunello Mantelli e Cesare Bermani.

Storie dall’internamento

Questo sito, a cura dell’A.N.R.P., è diviso in due sezioni: una contiene i materiali cartacei, audio e video di un volume dedicato ai deportati siciliani, a cura di Barbara Becchelloni (con un saggio dello storico berlinese Cord Pagenstecher); l’altra ospita una ricerca di Emilio Gardini, con una cinquantina di video-racconti biografici di abruzzesi, molisani, lombardi e veneti deportati nei campi nazisti.

Televignole

Questa emittente locale trentina ha pubblicato, a cura di Cornelio Galas, diversi video e materiale documentale (testimonianze e foto) relative agli IMI del Trentino.

Treuenbrietzen. Storia di una strage

Un blog a cura di Patrizia Donà, nipote di Aurelio Donola, un soldato italiano fucilato il 23 aprile 1945 alla cava di Nichel nei pressi di Treuenbrietzen. Impegnata personalmente nella memoria di quegli eventi, ha scritto alcuni libri e ha organizzato eventi pubblici in collaborazione con storici e reduci di guerra.

Waldganger-Ganzfeld-Losfeld

Un blog a cura di Giovanni Pititto, che raccoglie una ampia rassegna stampa sugli IMI e, in particolare, sulla questione della richiesta di risarcimenti giudiziali per il lavoro coatto.

Wikipedia

Sono presenti pagine dedicate agli IMI, ai luoghi di memoria più noti (Cefalonia, Unterlüss, Sandbostel, Oberlangen, Wietzendorf, Luckenwalde) e una nutrita lista dei campi IMI in Germania. E’ da segnalare – e appare sconfortante – che l’enciclopedia libera più famosa al mondo ha una pagina dedicata alle due stragi di Treuenbrietzen, ma solo nelle versioni in lingua tedesca e giapponese.

La strage degli IMI a Treuenbrietzen è raccontata in due libri da Patrizia Donà, nipote di un soldato che vi perse la vita, impegnata attivamente nella conservazione della memoria. Sul suo blog è pubblicata questa foto dell’ingresso del Reservelazarett Stammlager IV-B a Zeithain, in Sassonia, che ospitò prigionieri militari sovietici e poi italiani, di cui 850 persero la vita a causa di malattie, malnutrizione, lavoro coatto.

8. Gli internati e la memoria per immagini: i video-documentari

Quattro fotogrammi da “Cavalli 8 Uomini 40”, a cura di Istoreco. Il titolo è la nota dicitura riportata sui vagoni ferroviari con cui gli abitanti dell’Appennino reggiano – testimoni nel video – furono deportati nel campo di Kahla, uno dei tanti in Turingia (Germania). Mentre scorre l’elenco dei caduti, il sopravvissuto Aneto Caluzzi ricorda le dure condizioni di vita e di lavoro presso un’industria chimica: “invidiavamo i morti”.

La produzione di video documentari sulla vicenda degli IMI e su deportazione e lavoro coatto in Germania consiste quasi esclusivamente in due tipologie di fonti visuali. Da un lato, sono riprodotte le poche immagini di fotografie, filmati, disegni originali dell’epoca; dall’altro, la testimonianza orale di reduci e sopravvissuti o il racconto degli storici, forniti nella forma dell’intervista, per lo più a camera fissa. Spesso il montaggio si occupa di alternare queste due fonti. Più raramente, come nel caso di Im Märkischen Sand, le immagini raccontano la ricostruzione e l’attualizzazione della memoria degli eventi passati.

Il monumentale film di Claude Lanzmann, girato nei KL polacchi, ha richiesto più di dieci anni di lavoro e rappresenta una pietra miliare del lavoro documentaristico storico. Sabotatori è una recente produzione a cura di Istoreco di Reggio Emilia, che riporta l’esperienza dei Sentieri Partigiani vissuta da alcuni cittadini tedeschi. Entrambi hanno in comune con Im Märkischen Sand l’attenzione al rapporto tra la storia passata e l’attualità del tempo presente.

Di seguito elenchiamo in ordine cronologico i film citati o più rilevanti, pubblicati negli ultimi anni in lingua italiana (i link rimandano alla versione integrale disponibile sulla rete web):

  • Claude Lanzmann, Shoah, Les Aleph/Historia Film/Ministere de la Culture (4 dvd), 550min, 1985.
  • André Heller, Othmar Schmiederer, L’angolo buio. La segretaria di Hitler, Dor Film 2002.
  • Cleonice Pignedoli, Giovanna Caroli, Cavalli 8 Uomini 40, Rastrellamenti e deportazioni di manodopera dall’Appennino reggiano nell’estate del ’44, Comunità montana dell’Appennino reggiano/Istoreco, 33min, 2006.
  • Massimiliano Zerbini, Angelo Ulaneo, L’ultimo testimone, Ulaneo/Zerbini/ZDF, 2006.
  • Germano Maccioni, Loris Lepri, Lo stato di eccezione. Processo per Monte Sole 62 anni dopo, Cineteca Bologna, 83min, 2007.
  • Pier Milanese, Corrado Borsa, 600.000 no, Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza/Consiglio Regionale del Piemonte, 87min, 2008.
  • Gianfranco Boiani, Schiavi del Terzo Reich. Storie di Internati militari Italiani nei lager nazisti, Eidos/Biblioteca-Archivio Bobbato/Iscop, 53min, 2011.
  • Tommaso Cavallini, Nicola Vanni, INTERNATO 307-101. La sconosciuta storia degli Internati Militari Italiani, ANEI/ANRP, 50min, 2012.
  • Thomas Radigk, Emilio Gardini, 24 e 1. Non è mai troppo tardi per raccontare una storia, Mediascape/ANRP, 2013.
  • Luigi Zannetti, Luciana Rocchi, Fu la loro scelta, ISGREC, 2014.
  • Matthias Durchfeld, Nico Guidetti, Sabotatori, PopCult/Istoreco, 75min, 2015.
  • Annalisa Bertasi, La scelta. Il progetto IMI. La memoria degli internati ferraresi, Tryeco/ANMIG sezione di Ferrara, 46min, 2015.
  • Cornelio Galas, IMI TRENTINI – INTERNATI, MALMENATI, INGANNATI (quattro puntate), Televignole, 100min, 2016.
  • Mary Mirka Milo, Inferno Mittelbau Dora, Istituto Luce/Light History, 56min, 2016. (trailer)
  • Dario Dalla Mura, Elena Peloso, Ritorno a casa. Pescantina 1945, dalla deportazione all’accoglienza, ANCR, 44min, 2016.
  • Katalin Ambrus, Nina Mair, Matthias Neumann, Im Märkischen Sand – Nella sabbia del Brandeburgo, Out of Focus 2016.

Traudl Junge è stata una delle segretarie di Hitler fino al suo suicidio nel bunker di Berlino. Al termine del video “L’angolo buio” afferma: “Ero rimasta scioccata dagli orrori emersi a Norimberga, tuttavia inizialmente non vi scorsi un legame diretto con il mio passato, anzi mi sentivo sollevata per non aver preso parte a quegli orrori […]. Un giorno però, passeggiando per la Franz Josef Straße, vidi il monumento dedicato a Sophie Scholl, lessi che eravamo coetanee e che l’avevano fucilata il giorno stesso in cui io ero stata assunta dal Führer. In quel momento pensai che non potevo più nascondermi dietro la scusa che ero giovane”. Il giorno successivo alla prima proiezione di questo documentario, Traudl Junge è morta in un ospedale di Monaco, sua città natale. Poco prima di morire, durante una conversazione telefonica con i registi, disse: «Credo che ora comincerò a perdonarmi». Anche Franz Stangl, comandante SS a Treblinka e Sobibor, confessa a Gitta Sereny le proprie responsabilità nello sterminio, nell’ultimo incontro a meno di ventiquattr’ore dalla sua morte.

La Rai ha dedicato lavori pregevoli al tema dell’internamento dei militari italiani e del lavoro coatto. Indichiamo qui di seguito i principali (in alcuni casi, indichiamo tra gli autori anche gli storici che ne hanno curato l’edizione):

Nel documentario Rai del 1987 sui prigionieri di guerra italiani, la seconda puntata, dal titolo significativo “la scelta”, è dedicata agli IMI. Nei fotogrammi, due cittadini comuni di Sandbostel che scelgono di partecipare in modi diametralmente opposti. Il primo, anonimo, cerca con violenza di impedire allo storico italiano Giorgio Rochat di fare il suo lavoro. Il signor Daub, invece, ricorda con un profondo senso di rimorso quando, appena tredicenne, con i suoi compagni seguiva le colonne di italiani che arrivavano alla stazione di Bremenvörde. Sfiniti dalla marcia nella neve, i soldati abbandonavano il pesante equipaggiamento, che i ragazzi tedeschi appostati lungo il cammino erano pronti a raccogliere per portare a casa.

Sulla rete, sono stati caricati numerosi altri stralci di interviste a IMI e deportati, e anche video prodotti da classi di scuole superiori italiane. Si citano, a titolo di esempio:

Fotogramma dal video “La voce di Caterina, una voce di libertà per gli IMI nel lager di Sandbostel”, a cura della classe 2^ HL dell’Istituto superiore “Keynes” di Castel Maggiore (Bologna), del 2009.

Il recente libro di Johann Chapoutot è una illuminante ricerca antropologica sul rapporto tra discorso e prassi nazionalsocialista: il nazismo, di cui si analizza soprattutto il linguaggio diffuso da biologi, medici, teologi, militari, storici, massmediologi che vi aderirono, è una cultura dotata di coerenza.

A proposito di didattica, che è poi il nostro lavoro, partendo dal materiale cartaceo e dalle tracce proposte, si possono anche creare nuove attività. Dunque lanciamo infine un appello ai docenti italiani che vogliano portare il webdoc su Treuenbrietzen nelle loro classi, affinché si raccolgano le sperimentazioni e se ne discuta insieme agli autori nei prossimi mesi.

A nostro parere, l’avanzata in Italia e in Germania di organizzazioni che si richiamano al nazifascismo non può essere semplicisticamente addebitata alla carenza di conoscenze storiche, come se i fascisti e i nazisti fossero privi di una propria cultura di prevaricazione e di morte. Non crediamo, come alcuni si sono affrettati a concludere, che la “colpa” sia – ancora una volta – della scuola, perché non riusciamo a credere che chi espone una bandiera del Terzo Reich o fa il saluto romano mentre gioca a calcio, per citare due episodi recenti in Italia, non sappia cosa significhi. Crediamo, invece, che sia necessario condurre una battaglia culturale contro chi crede che le ideologie razziste del fascismo e del nazismo, nel passato e nel presente, abbiano potuto o possano condurre l’umanità verso una condizione migliore.