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Shoah a scuola. Percorsi con le fonti audiovisive

Shoah a scuola. Percorsi con le fonti audiovisive
Abstract

Questo articolo rielabora e amplia l’intervento al convegno Te la racconto io la storia! Tra progetti ed esperienze la storia raccontata con l’occhio audio-visivo, organizzato dall’Istituto Luce (Roma, 10 dicembre 2014). Si apre con una panoramica sulle fonti audiovisive relative alla Shoah e sulle attività della rete degli istituti della Resistenza dopo l’istituzione del Giorno della memoria (2000). Vengono poi presentate tre opere video (un film di montaggio, un’opera multimediale, una videointervista), su diversi aspetti dello sterminio nazista.
Ciascuna di esse, utilizzata a scuola per una singola visione o all’interno di un percorso didattico, può conseguire specifici obiettivi che portino gli studenti ad una conoscenza più approfondita del fenomeno storico della Shoah.

Introduzione

Il cinema, dalla fine della seconda guerra mondiale, è divenuto uno dei principali mezzi di conoscenza della Shoah. “Tutti i generi cinematografici (cinegiornale, documentario, fiction) sono stati subito chiamati in causa per costruire, attraverso gli anni, una grande catena storica e memoriale” (Delage 2005-2006, 239). Dalla fine degli anni Settanta fiction, videointerviste, documentari sono diventati sempre più numerosi. Anche a scuola gli audiovisivi rappresentano ormai uno strumento fondamentale per la didattica della Shoah, ed è dunque importante che il docente abbia delle conoscenze di base per un utilizzo attivo di queste risorse. Sapersi orientare nel mare magnum delle immagini, dei volti, delle storie legate allo sterminio consente di individuare ciò che è più adatto al livello di età degli studenti, al loro potenziale di apprendimento e agli obiettivi didattici ed educativi da perseguire.

Una precisazione terminologica per quanto riguarda la distinzione fra cinema documentario e cinema di finzione. Nel campo dei documentari si trovano ormai prodotti eterogenei, ed è perciò invalso l’uso, qui di seguito adottato, di distinguerli dalla finzione per negazione, utilizzando il termine “non-fiction” (Medici 2014, 228).

Immagini della Shoah

Memoria e storia della Shoah sono legate alle immagini: questa constatazione rappresenta in realtà un paradosso: non sono giunte sino a noi, infatti, immagini filmate dai nazisti della realtà dei campi. Abbiamo unicamente frammenti d’immagini girate durante la distruzione di ghetti o al momento di esecuzioni all’aperto nell’Europa dell’Est. Un caso particolare è legato al ghetto di Terezin: il filmato Il Fürher regala una città agli ebrei (1944) fu realizzato dai nazisti per una visita della Croce Rossa, in modo da fornire prove visive del “buon funzionamento” del ghetto. I filmati degli Alleati (1944-45) a est e ovest immediatamente dopo la liberazione dei campi (Maidanek, Bergen-Belsen, Dachau, Buchenwald, fino ad Auschwitz a gennaio 1945) sono stati prodotti anche in vista del loro utilizzo come prova giudiziaria.

Ad Auschwitz, in seguito alle distruzioni e all’abbandono del campo da parte dei nazisti, l’elettricità era disattivata, e dunque i primi sguardi che i prigionieri e i soldati sovietici si scambiarono nelle baracche furono caratterizzati dall’oscurità. Per questo motivo la maggior parte delle immagini è stata girata all’esterno, seguendo il movimento di uscita dei detenuti in condizione migliore. Le immagini girate da sovietici e americani si caratterizzano per i campi lunghissimi; scopo degli sguardi d’insieme era non solo l’utilizzazione come prova giudiziaria (alcuni brani furono proiettati al processo di Norimberga), ma anche pedagogico: il mondo avrebbe dovuto prendere coscienza degli esiti della politica nazista di concentramento e sterminio e dell’entità dei crimini commessi. Da questa premessa alcuni elementi visivi (fili spinati, cadaveri, corpi scheletrici dei superstiti) hanno acquisito una preminenza assoluta e acquistato una dimensione simbolica. Brani di questi documentari sono inseriti in uno dei primissimi film sulla Shoah, Notte e nebbia di Alain Resnais (1956).

Oggi sappiamo che la grandissima maggioranza delle vittime della Shoah è morta con modalità e procedure diverse da quelle messe in atto, successivamente, nei campi di concentramento recintati e lontani dai centri abitati dell’Europa occidentale e centrale. Nelle regioni occidentali dell’Urss invase nel giugno 1941 muoiono circa 2 milioni e mezzo di persone, a cui vanno aggiunti i morti di stenti e di malattie nei ghetti. Le uccisioni di centinaia di migliaia di esseri umani – tramite fucilazioni di massa – avvengono sotto gli occhi della gente fra cui erano vissuti. Non esistono immaginari visivi di questi avvenimenti altrettanto potenti di quelli legati ai campi di concentramento, e in particolare di Auschwitz che, come sappiamo, è assurto a simbolo della cesura rappresentata dal genocidio nazista nella storia del Novecento.

I “pilastri” audiovisivi della Shoah

La non-fiction

Le nostre scuole hanno visto negli ultimi quindici anni la presenza sempre più numerosa di superstiti della Shoah: centinaia di voci e di volti ci hanno aiutato, ripercorrendo nelle aule scolastiche la loro vita di bambini e giovani travolta dalla persecuzione, dalla deportazione, dallo sterminio. Non è sempre stato così: nel processo di Norimberga, e per almeno una ventina d’anni dalla fine della guerra, il testimone non era considerato portatore né di verità né di insegnamenti morali: la memoria era qualcosa di esclusivamente individuale. A mutare questa percezione fu il processo Eichmann (1961), un momento cardine nella storia della memoria del genocidio, non solo in Israele ma anche in Francia e negli Stati Uniti. Nel corso del processo vennero per la prima volta ascoltati 111 testimoni la società riconobbe il ruolo di narratori legittimi, di sopravvissuti: è l’inizio dell’ ”era del testimone” (Wieviorka, 1999).

Alla fine degli anni Settanta ha avuto inizio la sistematica raccolta di testimonianze audiovisive. Nel 1985 il film Shoah di Claude Lanzmann, della durata di nove ore, rappresenta un altro punto cardine: per il regista la verità storica deve scaturire non dai documenti d’archivio, ma in via prioritaria dai sopravvissuti, dagli spettatori (contadini e ferrovieri polacchi) e dai carnefici (membri delle SS), spesso filmati sui luoghi stessi dove avvenne lo sterminio. Nel 1994 Il regista Steven Spielberg, con la Shoah Foundation, inizia la raccolta di testimonianze su larga scala, con l’idea di intervistare persone comuni che si sono dovute confrontare con le atrocità della sterminio, che sono sopravvissute e tornate ad una vita, nei limiti del possibile, normale.

La fiction

Il cinema ha avuto un ruolo fondamentale nella costruzione della memoria collettiva e del sentire comune. A partire da Schindler’s List di S. Spielberg (1993) e La vita è bella di R. Benigni (1997) (16 milioni di spettatori il 22 gennaio 2001 su RAI1, record di tutti i tempi), la Shoah è divenuta un genere cinematografico e ha raccolto un pubblico con conoscenze storiche su questo evento scarse o nulle. Il fenomeno è particolarmente accentuato negli Stati Uniti, tanto che si è parlato di “americanizzazione” della Shoah (Wieviorka, pp.129-132). I film sulla Shoah tendono ad inserirla dentro parametri convenzionali, per renderla comprensibile e “accettabile” attraverso la fantasia. I campi, l’ebreo vittima, il non ebreo buono, il finale rassicurante, le storie di sopravvivenza sono altrettanti cardini di queste rappresentazioni: lo sterminio è utilizzato quasi come uno sfondo, per impartire una lezione morale di carattere universale. La fiction si è in gran parte soffermata sulla realtà dei campi di concentramento e fra questi principalmente di Auschwitz. Dobbiamo tuttavia ricordare almeno due film che si differenziano da questo filone: Ogni cosa è illuminata (2005), regia di Liev Schreiber, sui massacri delle Einsatzgruppe in Ucraina dopo il 22 giugno 1941 e l’accurata ricostruzione storica della vita nel Ghetto di Varsavia de Il pianista (2002), regia di Roman Polansky.

La Shoah a scuola

Dopo l’istituzione del Giorno della memoria (legge n.211 del 2000) le iniziative educative si sono moltiplicate, al fine di ricordare, come stabilisce l’art. 1, “la Shoah, le leggi razziali la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte… nonché coloro che si sono opposti al progetto di sterminio”.

A quindici anni dalla legge, è sicuramente tempo per un bilancio. Per quanto riguarda gli audiovisivi, sarebbe importante sapere, sulla base di ricerche e rilevamenti, che cosa si è visto di più a proposito della Shoah nelle scuole, in termini di fiction, interviste ai testimoni, documentari, e anche che genere di prodotti hanno presentato gli studenti (ad esempio gli innumerevoli video girati in occasione dei “viaggi della memoria”).

Per quanto riguarda gli interventi degli istituti della Resistenza, due sono state le direzioni. In primo luogo si è puntato ad ampliare la conoscenza delle altre vittime del genocidio nazista: i disabili fisici e mentali, i Rom e Sinti, gli omosessuali, i Testimoni di Geova, i militari. In secondo luogo l’attenzione è stata rivolta non solo al 27 gennaio ma a date che ci riguardano e chiamano in causa le responsabilità italiane nella Shoah: le leggi antiebraiche fasciste (settembre-dicembre 1938), il 16 ottobre 1943, rastrellamento degli ebrei romani e prima grande deportazione dall’Italia occupata dai nazifascisti.

I pericoli da evitare

Il Giorno della memoria corre costantemente il rischio “di banalizzarsi e di svuotarsi del significato originariamente proposto dagli estensori della legge” (Braga, Fontanesi 2010, 129). La Shoah viene ricordata perché così prescrive la legge. Questo approccio genera negli studenti nel migliore dei casi stanchezza e noia, nel peggiore alimenta l’antisemitismo e il negazionismo. Inoltre diversi storici – fra i quali Giovanni De Luna – hanno notato come ci sia il rischio di incorrere in una sovraesposizione di memoria a scapito della ricostruzione storica. La narrazione di un testimone (in presenza o in video) va innanzitutto inserita in un percorso che porti alla comprensione dell’evento storico (Marcellini 2014, a cui rimando anche per i riferimenti bibliografici). Pur partendo dal necessario coinvolgimento emotivo degli studenti è dunque necessario arrivare ad una conoscenza il più possibile razionale. Favorire questo processo è il compito che spetta al docente, attraverso un’attenzione particolare a elementi quali la terminologia, la cronologia, la contestualizzazione.

Per quanto riguarda gli audiovisivi e la Shoah, sulla base delle considerazioni precedenti, si propone qui di seguito l’analisi di tre opere video, sulla base del seguente schema:

Storia: il film presenta la storia di uno o più personaggi, in momenti e luoghi particolari della loro vita.

Macrostoria: individuare gli avvenimenti fondamentali (politica della Germania nazista, seconda guerra mondiale, occupazione nazifascista dell’Europa…) e i concetti storici rilevanti (regimi totalitari, ideologia razzista, guerra totale, genocidio) che fanno da sfondo alla storia.

Scelte registiche: sottolineare la scelta di: soggetti inquadrature ambientazioni.    Analizzare il tipo di commento e la colonna sonora. Riconoscere le immagini di repertorio utilizzate.

Punti nodali: quali sono i contenuti e i concetti da sottolineare maggiormente in vista   del conseguimento degli obiettivi.

Obiettivi didattici e educativi: relativi alle discipline Storia e Educazione alla Costituzione e alla cittadinanza.

 Tre percorsi audiovisivi

Uno specialista. Ritratto di un criminale moderno. 1999, Regia Eyal Sivan, Sceneggiatura R. Brauman- Durata 2 h., Documentario, B/N

Destinatari: Scuola superiore di secondo grado    

Storia Adolf Eichmann aderisce al Partito nazista e alle SS nel 1932. A partire dal 1938 si occupa dell’emigrazione forzata degli ebrei, prima a Vienna, poi a Praga e Berlino. A partire dal 1941 lavora presso la Sezione IV B-4 dell’RSHA e diventa l’esperto delle “questioni ebraiche”. Nel gennaio 1942 partecipa alla Conferenza di Wansee, di cui redige i verbali. Il compito di Eichmann è coordinare gli apparati burocratici per concentrare gli ebrei nei ghetti, espropriarli dei beni, e deportarli verso i campi di sterminio. Dopo la caduta del nazismo, Eichmann fugge in Argentina con la famiglia, dove vive sotto falso nome. Nel 1960 viene rapito dai servizi segreti israeliani. A partire dall’11 aprile 1961, viene processato a Gerusalemme con quindici capi di accusa, che comprendono crimini contro gli ebrei, crimini di guerra e contro l’umanità. Per la prima volta vengono ascoltati in pubblico 110 testimoni sopravvissuti alla Shoah. Il processo si conclude il 15 dicembre 1961. Eichmann viene giudicato colpevole e condannato a morte per impiccagione, eseguita il 1° giugno 1962. Le udienze hanno un’enorme risonanza. La giovane giornalista ebrea Hanna Arendt segue il processo Eichmann come corrispondente del settimanale americano The New Yorker. Il resoconto del processo viene pubblicato in forma più ampia nel libro: La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme. Per la Arendt Eichmann – con il suo tedesco da burocrate ed il suo aspetto fisico insignificante – non incarna il male radicale, demoniaco, ma è un individuo superficiale, mediocre, motivato dal desiderio di fare carriera nella gerarchia nazista, e soprattutto un essere umano “privo di pensiero”, che ha rinunciato cioè ad esercitare la propria facoltà di giudizio.

Macrostoria La “soluzione finale” è un progetto complesso, che richiede la collaborazione dell’esercito, dei funzionari della pubblica amministrazione, dei capi dell’industria tedesca. Per attuarlo sono necessari non solo assassini e criminali ma anche “uomini comuni” inseriti nella catena di comando dello Stato nazista (funzionari civili, membri del partito, poliziotti, militari, ferrovieri, imprenditori…). E’ questa una differenza sostanziale con i pogrom e i massacri del passato: uno sterminio “moderno” si avvale della collaborazione della burocrazia, dell’ideologia razzista, dell’uso massiccio della tecnologia (gas, trasporti ferroviari). Senza queste tre componenti sarebbe stato difficile realizzare il genocidio.

Scelte registiche Il film è basato sulla scelta e il montaggio delle 500 ore di registrazione delle udienze del processo (con telecamere nascoste). Non si tratta di un montaggio cronologico (mancano ad esempio due momenti centrali quali l’arringa della pubblica accusa e la lettura della sentenza). Il film indugia sui “tempi morti” del processo: l’alternarsi di sentinelle, le interruzioni del dibattimento, la babele delle lingue e delle traduzioni: i giudici interrogano in ebraico, i testimoni parlano in inglese, Eichmann risponde in un tedesco tecnico-burocratico, appunto da “specialista”. Le inquadrature fisse si alternano con improvvise accelerazioni, tagli e dissolvenze. Il sonoro raccoglie i rumori dell’aula a cui si uniscono stralunati ritmi balcanici.

Punti nodali Il carnefice a cui ci hanno abituato le immagini audiovisive della Shoah – cioè le SS nei campi – è qualcosa di “altro”, una personificazione della crudeltà assoluta, da cui è relativamente facile prendere le distanze per identificarsi con le vittime. Seguire le vicende di un “carnefice da scrivania” (l’espressione è dello storico Hillberg) come Eichmann è certamente disturbante. Egli, infatti, sostiene di non essere personalmente antisemita, di non aver mai ammazzato un ebreo, ma di essersi limitato a ubbidire alle leggi dello Stato nazista. Questa giustificazione ci porta a riflettere sulle conseguenze della mancanza di senso di responsabilità per i propri atti, sulla predominanza degli ordini ricevuti rispetto a qualunque imperativo morale.

Obiettivi didattici ed educativi

ripercorrere le tappe dell’assassinio sistematico degli ebrei d’Europa da parte della Germania nazista

comprendere l’unione fra Shoah e modernità. La “potenza” dello Stato moderno, unita alla forza della ideologia razzista, porta all’assassinio di massa

conoscere il ruolo dei carnefici, cioè di tutti coloro che, a vari livelli, organizzarono le tappe dello sterminio e la loro difesa

riflettere sulle conseguenza della mancanza di un senso di responsabilità individuale e di libertà di giudizio

A noi fu dato in sorte questo tempo- 1938-1947, a cura di Alessandra Chiappano, realizzazione e progettazione N!03 studio ennezerotre, progetto grafico Vanda Maestro, produzione Istituto nazionale per la storia del movimento di Liberazione in Italia. www.tempoinsorte.it

Destinatari: Scuola superiore di secondo grado

La storia Il video A noi fu dato in sorte questo tempo è nato a seguito della mostra interattiva e multimediale omonima ed è incentrato sulla storia di giovani “normali” che hanno vissuto un tempo straordinario, confrontandosi con scelte drammatiche (Febbraro 2013). Le vicende del gruppo di giovani – fra i quali Primo Levi, Vanda Maestro, Luciana Nissim – hanno come sfondo Torino dopo l’approvazione delle leggi antiebraiche, la deportazione ad Auschwitz, l’impegno nella Resistenza, la fine della guerra. Vi è un legame continuo fra le storie personali (la passione per la montagna, gli innamoramenti, le amicizie) e i grandi avvenimenti storici.

Macrostoria Il 1938 è l’anno delle leggi antiebraiche (un vasto impianto normativo varato dal regime fascista senza alcuna pressione dell’alleato tedesco) rivolte verso una minoranza di cittadini italiani di religione ebrea emancipati e integrati. Molti ebrei italiani – come ci ricorda Primo Levi – prendono coscienza della loro ebraicità proprio in seguito alla svolta antisemita del regime. Dopo l’8 settembre 1943, secondo la definizione di Michele Sarfatti, per gli ebrei italiani c’è il drammatico passaggio “dalla persecuzione dei diritti alla persecuzione delle vite”. La complicità fra la Repubblica di Salò e gli invasori nazisti consente la cattura e la deportazione degli ebrei. Molti di coloro che riescono a fuggire si impegnano nella guerra di Liberazione.

Scelte registiche Il video si basa sulle ricerche storiche di Alessandra Chiappano e sull’archivio privato di Luciana Nissim: fotografie, lettere, documenti, caricature. Vi sono inoltre interviste a cura della Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano, filmati Luce e dell’Archivio nazionale cinematografico di Torino. Del commento sonoro fanno anche parte brani letterari sia di Primo Levi (Se questo è un uomo, 1946 e Il sistema periodico, 2005) che di Luciana Nissim Ricordi della Casa dei morti, 1947).

Punti nodali Amicizie, amori, passioni dei giovani protagonisti rivivono dal passato, attraverso le loro parole e li fanno somigliare per tanti versi ai giovani di ogni tempo.   Ma la loro reazione personale al “tempo in sorte” ci fa anche incontrare esempi di coerenza e d’impegno civile, dall’impegno nella Resistenza al “dovere di ricordare” dopo la guerra di Primo Levi e Luciana Nissim, anche in nome dei propri compagni non tornati da Auschwitz.

Obiettivi didattici ed educativi

– comprendere la piena integrazione degli ebrei nella società e nello Stato italiano e la loro partecipazione, dal Risorgimento in poi, alle grandi vicende nazionali,

– avere chiaro che il legame fra cinque anni di legislazione antiebraica e la persecuzione dal settembre 1943,

– capire che anche in contesti di negazione di diritti e di violenza organizzata è possibile conservare la capacità individuale di pensiero critico, di responsabilità e di libera scelta.

“Una storia romana”. Film-intervista a Enrica Sermoneta Moscati. Una testimone racconta la razzia del Ghetto, a cura di Pupa Garribba, Produzione Europanews 2008, promosso da Aned, Istituto romano per la storia d’Italia dal fascismo alla Resistenza, Provincia di Roma, 2008, durata 45°, colori

Destinatari: Scuola superiore di primo e secondo grado

La storia Enrica Sermoneta – una dei sette figli di una famiglia ebraica romana – parla per la prima volta in questo film-intervista, realizzato nel luglio 2008 presso la sua abitazione. Cacciata da scuola in seguito alle leggi del 1938, Enrica si salva fortunosamente dalla deportazione del 16 ottobre 1943. Nel corso dei difficili mesi seguenti padre, madre e quattro dei suoi fratelli, in seguito all’arresto da parte dei fascisti, vengono condotti al campo di raccolta di Fossoli e da qui ad Auschwitz, dove vengono selezionati e uccisi.

Macrostoria L’unicità della Shoah sta anche nelle sue conseguenze: la distruzione coinvolge tutta l’Europa; prima gli ebrei tedeschi, poi quelli dell’Europa orientale e infine gli ebrei dei paesi occidentali. Il “setaccio” nazista passando da est a ovest coinvolge in un tragico destino comune comunità e individui diversi, con diverse tradizioni, culture, identità.

Punti nodali Enrica racconta la sua storia in modo intenso e immediato. Da essa emergono almeno due punti centrali. In primo luogo la presenza di differenti atteggiamenti fra gli italiani dopo l’8 settembre 1943. Da un altro le complicità italiane (fascisti e spie) negli arresti, ma anche la presenza di atti di coraggio: Enrica si salva dalla deportazione del 16 ottobre grazie all’aiuto di una negoziante non ebrea che la nasconde dietro una pila di vestiti. Inoltre Enrica si sofferma sul difficile ritorno alla normalità del dopoguerra, caratterizzato dalla voglia di dimenticare. Come dice Portelli “le case, i salotti, le poltrone alludono se non a un superamento e a un ritorno alla normalità, almeno a una ipotetica capacità di continuare a vivere e superare il trauma” (Portelli 2005-6, 115).

Scelte registiche L’intervista è stata montata in modo da rispettare l’ordine cronologico nel racconto di Enrica, che si apre con il 1938 e si conclude con l’oggi. Sfondo dell’intervista è la casa di Enrica; in questo modo Enrica presenta all’intervistatrice delle “tracce” personali il suo mondo personale, gli oggetti e in particolare una cartolina della madre (il suo ultimo scritto) da Fossoli.

Il sonoro presenta musiche scritte appositamente per questo lavoro, mentre le immagini di Enrica che parla sono intervallate con disegni di Aldo Gay (Pezzetti, Gentiloni 2007). In conclusione è il canto ebraico Anì mamin, mentre scorrono le date e i luoghi del decesso dei componenti della famiglia di Enrica.

Obiettivi educativi e didattici

– comprendere la diversità culturale e sociale che caratterizza gli italiani di religione ebraica e conoscere in particolare la vita della comunità del “Ghetto” di Roma, caratterizzata da povertà e dopo l’8 settembre 1943 da una grande precarietà,

– sapere che durante l’occupazione nazifascista molti italiani hanno fatto scelte differenti: una parte ha concretamente aiutato gli ebrei, mentre un’altra ha collaborato con i nazisti per la loro cattura.

 

Bibliografia

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Braga Antonella, Fontanesi Alessandra, Conoscenza storica e calendario civile. Usi e abusi della memoria, in Insmli-A. Delmonaco (a cura di), Fare storia crescere cittadini. Cittadinanza, Costituzione, insegnamento della storia: percorsi e prospettive, Zona, Arezzo, 2010

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Meghnagi Saul (a cura di), Memoria della Shoah. Dopo i “testimoni”, Roma, Donzelli, 2007 (in part. le parti terza e quarta con percorsi nel web, nel cinema, nella letteratura)

Minuz Andrea, Vitiello Guido, La Shoah nel cinema italiano, numero monografico di “Cinema-storia, Rivista di studi interdisciplinari”, 2013

Pezzetti Marcello, Gentiloni Silveri Umberto, 16 ottobre 1943. Gli occhi di Aldo Gay, catalogo della mostra, Compresso del Vittoriano ottobre 2007, Roma, Gangemi, 2007

Portelli, Alessandro, Fonti orali e Olocausto: alcune riflessioni di metodo, in Storia della Shoah, vol. IV Eredità, rappresentazioni, identità, cit. [pp.104-132]

Sarfatti Michele, Gli ebrei nell’Italia fascista. Vicende, identità, persecuzione, Torino, Einaudi, 2007

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