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Letteratura, cinema e musica per studiare la crisi del 1929

Letteratura, cinema e musica per studiare la crisi del 1929

Fonti per un percorso didattico

Abstract

Insegnare la storia della più grave crisi del ‘900 attraverso la lettura di romanzi, la visione di film e l’ascolto di canzoni può aiutare i nostri studenti a comprendere più in profondità le conseguenze sociali che si abbatterono per oltre un decennio negli Stati Uniti e nei paesi più fortemente dipendenti dall’economia statunitense, in primis la Germania. Scrittori di paesi diversi come il tedesco Fallada e lo statunitense Steinbeck risultano testimoni preziosi di un’epoca e di una intera generazione, che dovrà fare i conti con il nazismo e la Grande depressione. Diversi decenni più tardi, il famoso cantautore Bruce Springsteen denuncerà con la sua voce e i suoi testi le nuove povertà, rievocando il fantasma di Tom Joad, come se la crisi economica non fosse mai finita.

Introduzione

"Crowd outside nyse". Con licenza Public domain tramite Wikimedia Commons.

Folla fuori dalla borsa di New York, dopo il crollo finanziario. “Crowd outside nyse“. Con licenza Public domain tramite Wikimedia Commons.

Il percorso didattico che qui presento nasce dalle discussioni scaturite all’interno dei gruppi di lavoro, nel corso della Summer School 2013, dedicata alle grandi crisi economiche. Insieme ai colleghi degli altri Istituti storici è stata avviata una riflessione sul fenomeno “crisi economica” e sulla sua attualizzazione. Si era convenuto che lo scopo di un lavoro didattico-laboratoriale, per essere efficace, sarebbe dovuto partire dal presente storico e dalla percezione diffusa della crisi economica e lavorativa di questi ultimi anni, che genera interrogativi, paure, reazioni contraddittorie. In tal modo si può pensare di coinvolgere maggiormente gli studenti e permettere loro di studiare e affrontare il “tempo passato” sentendolo più prossimo.
La scelta di analizzare e proporre stralci di opere letterarie scritte nel corso degli anni ‘30, che nel tempo hanno subito trasposizioni cinematografiche o adattamenti musicali in canzoni di successo, dovrebbe permettere agli studenti di capire più in profondità le conseguenze umane e sociali che una crisi economica come quella del 1929 – ma lo stesso sta accadendo per quella in corso – ha determinato allora per almeno un decennio. Insomma, dai freddi numeri, indici, grafici e tabelle di un sia pur necessario studio di tipo economicistico, l’insegnante può decidere di accompagnare i ragazzi attraverso un viaggio letterario, filmico e musicale in grado di suscitare curiosità, interrogativi, analogie col presente e una maggiore consapevolezza nei confronti di un periodo storico passato alla storia come Grande Depressione. Come si è detto, l’intento del lavoro è quello di creare un filo sottile (ma non invisibile) che leghi passato e presente, storia e cronaca quotidiana, per cercare di rendere più consapevoli i nostri studenti dei meccanismi perversi della finanza mondiale e per dire loro che un’altra strada è possibile. In tal senso ho ritenuto significativo consigliare la visione e l’uso guidato di un film estremamente crudo ed estremo come The Wolf of Wall Street (tratto anch’esso da un prezioso libro autobiografico), che ci riguarda tutti; ma anche concludere con le parole di Don Ciotti, sulla necessità per i ragazzi (e per ciascuno di noi) di reagire fin da piccoli di fronte ad un uso distorto del denaro e difendere il bene più prezioso: la dignità della persona.

Fonti narrative e filmiche

Hans Fallada, E adesso pover’uomo?, Sellerio, Palermo, 2008.
E adesso pover’uomo?, Frank Borzage, 1934.

Belfort Jordan, Il lupo di Wall Street, Rizzoli, Milano, 2008.
The Wolf of Wall Street, Martin Scorsese, 2013.

Horace McCoy, Non si uccidono così anche i cavalli?, Terre di Mezzo, Milano, 2007.
They Shoot Horses, Don’t They? (Non si uccidono così anche i cavalli?), Sydney Pollack, 1969.

John Steinbeck, Furore, Bompiani, Milano, 2013.
The grapes of wrath (Furore), John Ford, 1940.

Il caso della Germania: la crisi economica colpisce il ceto medio e spinge milioni di tedeschi nelle braccia di Hitler
La grande Depressione, come ha affermato tra gli altri lo storico inglese Sidney Pollard, fu la peggiore crisi mai attraversata dall’economia mondiale. E’ noto come la grave crisi economica del 1929, iniziata con il crollo della Borsa di Wall Street e seguita in breve tempo dal fallimento di numerose banche, aziende e conseguenti perdite di milioni di posti di lavoro, prima negli Stati Uniti e poi in molti altri paesi dipendenti dall’economia americana, sia risultata nel medio periodo una delle cause della crescita esponenziale di consensi al partito nazional-socialista in Germania, paese dove si toccarono i 6 milioni di disoccupati e in cui nel gennaio del 1933 Hitler fu nominato cancelliere del Reich.
Vi sono romanzi, pellicole, canzoni che possono suffragare questa tesi e, soprattutto, aiutare gli studenti a comprendere in modo efficace le conseguenze sociali della grave crisi economica che sconvolse, durante gli anni Trenta, la vita di milioni di famiglie sia negli Stati Uniti, dove tutto ebbe inizio, sia in quei paesi come la Germania, fortemente dipendenti dall’economia americana.
In Germania, tra le conseguenze peggiori della crisi vi fu la disgregazione del ceto medio, la proletarizzazione dei colletti bianchi e del ceto impiegatizio, l’aumento della forbice tra ricchi e poveri: da una parte il ceto politico, i possidenti e i grandi industriali, dall’altra la massa di salariati, affamati dall’alta inflazione e dalla perdita di potere d’acquisto. Una deriva che spinse milioni di lavoratori tedeschi piccolo-borghesi a dare il loro appoggio incondizionato all’uomo forte e al partito ideologicamente più compatto e, diremmo oggi, anti-sistema, il partito nazional-socialista.
Il romanzo E adesso pover’uomo?, scritto tra il 1931 e il 1932 dallo scrittore tedesco Rudolf Ditzen (1893-1947), con lo pseudonimo di Hans Fallada, ripubblicato dalla Sellerio in edizione integrale per la prima volta in Italia nel 2008 (curiosamente proprio nell’anno di inizio dell’ultima grave crisi economica mondiale), rappresenta in modo efficace quel senso ineluttabile di perdita di sé dell’impiegato, del commesso, del colletto bianco dell’epoca, incarnato dal personaggio centrale del romanzo, Johannes Pinneberg. Fallada racconta la parabola discendente del protagonista e di sua moglie, e del loro tentativo di sopravvivere nell’ultimo periodo della agonizzante Repubblica di Weimar, stretta nella morsa di una schiacciante crisi economica. Hans perde a poco a poco tutte le certezze di un agio piccolo borghese, e da impiegato in una ditta si ritrova, alla fine di una serie di fallimenti, disoccupato e con in più la nascita di un figlio. La ineluttabile catàbasi del “povero uomo” e di sua moglie, che egli chiama col vezzeggiativo di Lämmchen (agnellino), simile per certi versi a milioni di altri tedeschi appartenenti alla piccola e media borghesia, è narrata da Fallada come una guerra per la sopravvivenza, nella quale, alla fine, ci saranno solo vinti.
I riferimenti alle scelte politiche e all’adesione ai partiti estremi, comunista e nazionalsocialista, dei personaggi del romanzo sono molteplici: nella famiglia operaia di Lämmchen, ad esempio, il padre della ragazza è tacciato dal figlio, aderente al KPD (Kommunistische Partei Deutschlands), di essere un “socialfascista”, mentre il padre, aderente alla SPD e orgoglioso di far parte della classe operaia, insulta il futuro genero, Johannes Pinneberg, di far parte di un ceto impiegatizio sempre dalla parte dei crumiri e incapace di scioperare e di farsi pagare gli straordinari. D’altra parte, uno dei colleghi di Pinneberg, tale Lauterbach, era un nazista convinto, perché “dai nazi non ci si annoiava” e, inoltre “il suo desiderio di vita era appagato: poteva fare a botte pressoché ogni domenica e certe volte, di sera, anche nei giorni feriali”1 Hans Fallada, E adesso, pover’uomo?, Sellerio editore Palermo, 2008, p.115..
Per avere un’idea della umiliante perdita dello status sociale, che getterà il povero Pinneberg nel più terribile disprezzo di sé, al cospetto di un mondo che non gli appartiene più e che lo schiaccia nella marginalità degli invisibili, si legga il seguente passo, quando ormai stanco, depresso, umiliato, il protagonista viene addirittura inseguito e picchiato da un poliziotto per essersi avvicinato troppo alla vetrina di un negozio:

Pinneberg vorrebbe dire qualcosa, Pinneberg guarda il poliziotto, gli tremano le labbra, Pinneberg guarda la gente. C’è gente fin sotto la vetrina, gente ben vestita, gente perbene, che guadagna. Ma nel riflesso della vetrina c’è un’altra persona ancora, una pallida larva, senza colletto, con un ulster consunto e i pantaloni sporchi di catrame. E ad un tratto Pinneberg capisce tutto, al cospetto di questo poliziotto, di questa gente perbene, di questa vetrina luccicante lui capisce che è tagliato fuori, che non appartiene più a quel tipo di mondo, che lo si caccia via a ragione: è scivolato giù, è finito a fondo, è spacciato2 Hans Fallada, E adesso, pover’uomo?, Sellerio editore Palermo, 2008, pp. 544-545..

Ciò che colpisce del “piccolo uomo” (kleiner Mann, nell’originale) di fronte alla trasformazione di una società sempre più disgregata e priva di collante umano e affettivo, è il senso di assoluta precarietà dell’esistenza, in un periodo in cui inflazione e bassi salari avevano portato milioni di lavoratori tedeschi alla rovina e alla perdita di dignità. Il suo è uno sguardo che non ammette repliche:

Ci sono masse di persone, vestite di grigio, pallide in volto, disoccupati che aspettano, non sanno più nemmeno loro cosa, chi è infatti che s’aspetta un lavoro…? Se ne stanno lì attorno, senza un proposito, anche a casa si trovano male, perché non starsene lì attorno? Non ha alcun senso andarsene a casa, in quella casa in cui si torna comunque, e fin troppo in anticipo”3 Hans Fallada, E adesso, pover’uomo?, Sellerio editore Palermo, 2008, p.220..

Anche quando trova un nuovo impiego ai Grandi Magazzini Mandel, Pinneberg percepisce che la sua condizione non si discosta molto da quei poveri infelici:

Ma Pinneberg sente in qualche modo che in seguito a questo tipo di transizione, e benché lui sia ridiventato uno che guadagna, è molto più prossimo a questi non salariati che a quelli che hanno lauti introiti. E’ uno di loro, può succedere da un giorno all’altro che si ritrovi qui come loro, non può farci niente. Non c’è niente che lo protegga da una simile eventualità4 Hans Fallada, E adesso, pover’uomo?, Sellerio editore Palermo, 2008, p.221..

Di fronte a tale consapevolezza di inferiorità sociale e di ineluttabile destino che sta colpendo masse inermi di lavoratori, Pinneberg non può che rivolgere un giudizio negativo, senza appello verso la classe politica e i banchieri:

Oh, sì, lui è uno fra milioni di altri, i ministri gli rivolgono i loro discorsi, lo esortano a sopportare le privazioni, a fare dei sacrifici, a sentirsi un tedesco, a portare i suoi soldi alla cassa di risparmio e a votare per il partito che è al governo. Lui lo fa o non lo fa, a seconda dei casi, ma non crede a quel che dicono. Neanche a una parola. Ne è profondamente convinto, loro vogliono tutti quanti qualcosa da me, per me però non vogliono far nulla. Se crepo o meno, per loro è la stessa cosa, del fatto che possa andare al cinema o meno, se ne infischiano altamente, e se Lämmchen adesso può nutrirsi come si deve oppure se si agita troppo, se al bambino tocca di essere felice o disgraziato – a chi gliene importa?5 Hans Fallada, E adesso, pover’uomo?, Sellerio editore Palermo, 2008, p.221-222.

Pinneberg sarà costretto ad andare a vivere con la sua famiglia in una baracca, in un complesso periferico di tremila orti familiari concessi ai più poveri ed è consapevole che quelli che sono rimasti a vivere in quel posto sono solo i più poveri tra i poveri, i più duri e ardimentosi che scelgono di schierarsi con quelle forze politiche, opposte tra loro, antisistema: “si sentono in un certo senso accomunati, ma disgraziatamente, appunto, in comune hanno poco o nulla: sono o comunisti o nazisti, e da qui le continue liti e scazzottate”6 Hans Fallada, E adesso, pover’uomo?, Sellerio editore Palermo, 2008, p.515.. Egli, invece, continua a non scegliere, non si decide né per gli uni né per gli altri. Di fronte all’ostilità e alla violenza di un mondo che lui non riconosce più, in una società in cui il povero e il disoccupato divengono vittima e capro espiatorio della paura collettiva, di un senso di precarietà esistenziale. Dopo essere sfuggito al poliziotto, colpito e malmenato solo perché povero, si rifugia in preda alla disperazione e alla vergogna nella baracca, dove lo attendono la moglie e il figlioletto e lì Fallada, scrivendo le ultime righe del romanzo, consegna al lettore di allora un messaggio forse di speranza per la famiglia Pinneberg, sicuramente non per la società tedesca, inesorabilmente avviata verso una scelta senza ritorno, ossia verso quell’ordine dinamico, come lo definisce Dahrendorf, nell’ambito del quale tutte le questioni vengono risolte “Ein Volk, ein Reich, ein Führer”:

“«Ah, Lämmchen, cosa mi hanno fatto…La polizia…, mi hanno buttato giù dal marciapiede…, mi hanno cacciato via…, come posso guardare ancora in faccia qualcuno…?» E all’improvviso il freddo è scomparso, un’onda verde, infinitamente dolce, la solleva insieme a lui. Scivolano verso l’alto, le stelle brillano vicinissime; lei sussurra: «Ma a me puoi guardarmi in faccia! Sempre! Sempre! Perché tu sei con me, perché noi due siamo insieme…”7 Hans Fallada, E adesso, pover’uomo?, Sellerio editore Palermo, 2008, p.561..

Insomma, il finale rassicurante è solo una possibilità, mentre la scelta dei tanti tedeschi impauriti e irretiti dall’ideologia nazista, come è noto, sarà un’altra. Pieno di risentimento tanto nei confronti del capitale che del movimento operaio, spiega Ralf Dahrendorf in un articolo del 1996 dal titolo “Il punto di vista del piccolo uomo”, inserito da Sellerio a introduzione della nuova traduzione del 2008, “il ceto impiegatizio abbraccia un’ideologia che sostiene di opporsi ad entrambi, consentendogli di vedersi al centro delle cose anziché marginalizzato”. Insomma, Pinneberg sceglie alla fine di rifugiarsi nel privato, mentre milioni di altri tedeschi come lui indosseranno l’uniforme e prenderanno la tessera del Partito nazionalsocialista, cercando un riscatto economico e sociale, pronti a seguire il leader carismatico in una sorta di ipnosi e identificazione collettiva, foriera di tragedie future.

Il caso degli USA: il marchio d’infamia della povertà in due grandi romanzi dell’epoca

La marcia dei disoccupati a Toronto. "UnemployedMarch" di Ignoto - This image is available from Library and Archives Canada under the reproduction reference number C-029397This tag does not indicate the copyright status of the attached work. A normal copyright tag is still required. See Commons:Licensing for more information.Library and Archives Canada does not allow free use of its copyrighted works. See Category:Images from Library and Archives Canada.[1]. Con licenza Public domain tramite Wikimedia Commons.

La marcia dei disoccupati a Toronto. “UnemployedMarch” di Ignoto. Con licenza Public domain tramite Wikimedia Commons.

Se dalla Germania ci spostiamo negli Stati Uniti, possiamo rileggere il romanzo di Horace McCoy, Non si uccidono così anche i cavalli? del 1935, ambientato nella California dei primi anni ’30, in piena depressione, che ben rappresenta e denuncia il grado di abiezione cui erano arrivati i disoccupati americani, costretti a ballare in maratone estenuanti che duravano più giorni, col miraggio di vincere il premio e la certezza di consumare un intero pasto. Il romanzo, che è stato ristampato in Italia dalla casa editrice Terre di Mezzo nel 2007, avrà nel tempo numerosi adattamenti teatrali e diverrà un film8, con lo stesso titolo, solo diversi decenni più tardi, nel 1969, per la regia di Sydney Pollack, dopo che gli Studios avevano rifiutato nel 1937 una sceneggiatura dello stesso McCoy. Ma, come spesso avviene nelle trasposizioni dal romanzo al film, le scelte degli sceneggiatori James Poe e Robert Thompson modificano sensibilmente il punto di vista della narrazione, ponendo al centro la “maledetta maratona”, mentre nel romanzo questa era raccontata attraverso flashback. Nel film seguiamo con crescente angoscia la coppia protagonista Robert e Gloria, conosciutisi all’inizio della competizione, che durante quaranta giorni riusciranno a ballare per milleduecento ore. Il dramma nel dramma si compie quando, dopo aver assistito alla morte per infarto di un marinaio, che aveva provvisoriamente sostituito Robert come suo compagno di ballo, la povera Gloria capisce che il premio è una vera e propria truffa. Non più in grado di reagire all’ennesima sconfitta e umiliazione della vita, ella chiede a Robert un ultimo atto di coraggio, ossia di premere il grilletto al suo posto. Mentre Robert viene portato in prigione, la maratona continua, nell’indifferenza, con ancora quattro coppie sulla pista da ballo. Robert e Gloria sono due anime disperate piazzate davanti ai celeberrimi Paramount Studios a mendicare un ruolo come comparsa, per avere l’occhio di bue puntato addosso per un solo istante, per alzare il dito e dire “Ci sono anche io”. L’occasione per essere scoperti ed ingaggiati da qualche personaggio famoso è una maratona di ballo – una tra le tante in voga in quel periodo – “stremante e spietata, che li vedrà coinvolti per centinaia di ore, attaccati come fossero un corpo solo a volteggiare senza sosta di fronte ad un pubblico che li incita ed allo stesso tempo vuole vederli schiattare al suolo come mosche schiacciate dalla calura”9Così ha scritto Carlotta Vissani in una recensione al volume di McCoy, pubblicato da terre di Mezzo nel 2007, si veda: http://www.mangialibri.com/node/2300.. Difficile non pensare a ciò che accade oggi, quando per i provini di X Factor o del Grande Fratello si presentano migliaia di aspiranti attori e star televisive, chiamati dalle sirene di una illusoria celebrità mediatica. In tempo di crisi economica, naturalmente, tali fenomeni si moltiplicano e si esasperano. “Come salutiamo la crisi?” grida al microfono il presentatore alla folla di poveri cristi convenuta sulla pista. “Ballando!” risponde. Che lo show abbia inizio…

L’insegnante potrebbe soffermarsi sul complesso rapporto tra romanzo e film, mettendo in evidenza come il cinema abbia spesso reinventato le forme del racconto. Si può discutere di fedeltà o meno al romanzo, ma non si può, come in questo caso, non sottolineare la distanza temporale che divide due epoche diverse, quella degli anni ’30 e quella della fine degli anni ’60. Cambiano i linguaggi, gli stili, le ideologie, un romanzo come quello di Horace McCoy offre a Sydney Pollack, un regista engagée, come direbbero i francesi, la possibilità di denunciare una società americana, al tempo sconvolta dall’intervento armato in Vietnam e lacerata dalla contestazione giovanile, ancora spietata, come negli anni ’30, contro i più poveri, deboli, marginali. Del resto fin dal suo inizio, il cinema è andato a cercare le sue storie attingendo all’immenso patrimonio letterario, anche se, come ha scritto Edgar Reitz, il regista famoso per l’acclamata serie di Heimat, il rapporto fra cinema e letteratura è una strada a due corsie. Dalla letteratura al cinema. Dal cinema alla letteratura»10AA.VV:, La biblioteca del cinema, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, 2017, p.15.

Famiglia poverissima in Oklahoma. "Poor mother and children, Oklahoma, 1936 by Dorothea Lange". Con licenza Public domain tramite Wikimedia Commons.

Famiglia poverissima in Oklahoma. “Poor mother and children, Oklahoma, 1936 by Dorothea Lange” di Dorothea Lange – Library of Congress LC-USF34- 009694-E. Con licenza Public domain tramite Wikimedia Commons.

Un altro caso di trasposizione cinematografica di un vero e proprio capolavoro letterario è Furore di John Ford, uscito nelle sale americane nel 1940, appena un anno dopo l’uscita del romanzo di John Steinbeck. Ma in questo caso, ritengo che una attenta rilettura del romanzo sia fondamentale all’interno del nostro discorso e della costruzione di una unità didattica sulle fonti letterarie della crisi e delle conseguenze sociali della Grande depressione.
Il romanzo, fin nel suo titolo originale, The Grapes of Wrath, ben riassume le conseguenze sociali di una crisi economica devastante, che obbligò masse imponenti di contadini e proletari rimasti senza nulla e incattiviti dalla miseria – dopo che le banche si erano presi ciò che rimaneva loro, la casa e i campi – a migrare verso la California, terra di illusorio benessere, almeno per la famiglia del protagonista, Tom Joad. Dal romanzo, come si è detto, fu tratto l’anno seguente il film per la regia di John Ford11, che l’American Film Institute ha inserito al ventunesimo posto tra i cento migliori film americani di tutti i tempi. In questo caso, dunque, il film è coevo al romanzo e riflette maggiormente la mentalità di una società americana fortemente connotata dalla crisi economica e dai venti di guerra che spiravano oltreoceano. Particolarmente significativa, risulta una frase del romanzo: «Vi ripeto che la banca è qualcosa di più di un essere umano. È il mostro. L’hanno fatta degli uomini, questo sì, ma gli uomini non la possono tenere sotto controllo»12Citazione tratta da John Steinbeck, Furore, traduzione di Carlo Coardi, Bompiani, Milano, 1940..

"Migrant Mother 1936 2" by Dorothea Lange. Licensed under Public domain via Wikimedia Commons.

Migrant Mother 1936 2” by Dorothea Lange. Licensed under Public domain via Wikimedia Commons.

Nel capolavoro di Steinbeck traspare una forte critica ai costi umani della modernizzazione, oltre che della finanza, dal momento che l’uso dei più recenti trattori era causa dell’espulsione dalle grandi proprietà di migliaia di braccianti e piccoli coltivatori costretti a vendere ai latifondisti. Già piegati dal cosiddetto Dust Bowl e dalle tempeste di sabbia che colpirono gli Stati Uniti e il Canada tra il 1931 e il 1939, i poveri braccianti e mezzadri rimasti senza casa e terreno guardavano i mastodontici trattori e le loro scintillanti lame come concorrenti sleali, giudicando i trattoristi come vili traditori passati al nemico. I bambini, che famelici e ammutoliti guardano il guidatore mangiare sandwich con sottaceti, formaggio e carne in scatola, rappresentano un’immagine emblematica. Inutilmente il mezzadro rimprovera al guidatore del trattore di guadagnare la sua paga affamando «quindici o venti famiglie che non hanno più niente da mangiare. Quasi cento persone devono piantare tutto e finire sulla strada per i tuoi tre dollari al giorno. Ti pare giusto?». La giustizia è però di un altro mondo, a meno che non si faccia come il predicatore Casy, figura topica del romanzo, che ribellatosi alle leggi dell’uomo come a quelle di Dio, perseguirà la sua giustizia pagando un caro prezzo. Infatti, le catene per i poveri mezzadri sono troppe e spesso invisibili, gli ordini arrivano dall’alto, dal padrone del fondo, dal consiglio di amministrazione delle banche e più su fino ai politici e a un sistema giudiziario implacabile con i deboli. Anche nel film, John Ford evidenzia la rabbia dei capifamiglia e dei mezzadri che non possono accettare di perdere la terra dei loro avi, come Mulay, una figura tragica e significativa del romanzo13. Si sa che per i contadini, come scriveva Carlo Levi nel 1945 in quel classico della nostra letteratura del ‘900 che è Cristo si è fermato ad Eboli:

lo Stato è più lontano del cielo, e più maligno, perché sta sempre dall’altra parte. Non importa quali siano le sue formule politiche, la sua struttura, i suoi programmi. I contadini non li capiscono, perché è un altro linguaggio dal loro, non c’è davvero nessuna ragione perché li vogliano capire….

Per Steinbeck, che aveva subìto la precarietà economica durante l’infanzia e la gioventù, il vero dramma è la perdita del controllo sulla terra a causa di una speculazione cieca e immorale, oltre che dannatamente ingiusta. Il tipo di coltivazioni, la raccolta della frutta, tutto viene deciso da accordi di cartello di grossisti e banchieri, secondo logiche che sfuggono al senso comune:

E i bambini affetti da pellagra devono morire perché da un’arancia non si riesce a cavare profitto, gli affamati arrivano con le reticelle per ripescare le patate buttate nel fiume, ma le guardie li ricacciano indietro; arrivano con i catorci sferraglianti per raccattare le arance al macero, ma le trovano zuppe di kerosene. Allora restano immobili a guardare le montagne di arance che si sciolgono in una poltiglia putrida; e nei loro occhi cresce il furore

Tutto insomma precipita, le famiglie perdono il legame secolare, atavico con la loro terra, perché ormai i raccolti sono meccanizzati:

E quando quel raccolto cresceva e veniva mietuto, nessun uomo aveva sbriciolato nel palmo una sola zolla, né lasciato stillare tra le dita la terra tiepida. Nessun uomo aveva toccato i semi, o agognato la crescita. Gli uomini mangiavano ciò che non avevano coltivato, non avevano legami con il loro pane. La terra partoriva sotto il ferro, e sotto il ferro a poco a poco moriva, perché non era stata amata né odiata, non aveva attratto preghiere né maledizioni.

Le considerazioni di Steinbeck possono apparire forse conservatrici, ma è indubbio che i temi della produzione del cibo in ogni parte del mondo, nella sua doppia accezione di valorizzazione delle tradizioni culturali e del lavoro dell’uomo e della ricerca di nuove applicazioni tecnologiche, risulti ancora oggi fondamentale; non a caso, il tema forte della prossima Esposizione Universale di Milano è “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”. Sapere ciò che mangiamo sta diventando sempre più una necessità, in tempi di globalizzazione selvaggia, di sofisticazioni che adulterano i cibi e i prodotti tradizionali italiani, come l’olio, il vino, la pasta. E sempre più nella scuola primaria e secondaria si affermano progetti e laboratori che mirano ad una educazione e consapevolezza alimentare negli studenti.

Il severo giudizio storico di Steinbeck ricade sul concetto stesso di grande proprietà, di latifondo, quando mette in bocca al mezzadro espropriato le seguenti riflessioni:

E’ strano come vanno le cose. Se un uomo ha una piccola proprietà, quella proprietà è lui, è parte di lui, è fatta come lui. Se la sua proprietà è grande quanto basta per camminarci sopra, e coltivarla, e rattristarsi se non rende e rallegrarsi quando arriva la pioggia, quella proprietà è lui, e in fondo lui diventa più grande perché quella proprietà è sua. Anche se non si arricchisce, è grande perché ha quella proprietà…Ma se un uomo ha una proprietà senza vederla, o senza avere il tempo di infilarci le dita, o senza poterci stare per camminarci… be’, allora la proprietà è l’uomo. Lui non può fare quello che vuole, non può pensare quello che vuole. La proprietà è l’uomo, e è più forte di lui. E lui non è grande, è piccolo. E’ il suo patrimonio a essere grande, e lui è il servitore della sua proprietà…

E’ noto che il romanzo, quando uscì nelle librerie americane, riscosse sì un successo incredibile di pubblico, ma Steinbeck dovette difendersi dalle accuse di essere un comunista sovversivo, al punto che vi furono roghi dei volumi in pubbliche piazze. Fu addirittura accusato di lavorare per gli ebrei e far parte di un complotto sionista.

Di recente, Furore è stato pubblicato da Bompiani, che detiene i diritti, con una nuova traduzione di Sergio Claudio Perroni, tanto attesa, se si pensa che l’unica versione era ancora quella di Carlo Coardi del 1940, pesantemente inficiata da censure e rimaneggiamenti di stampo fascista e, soprattutto, piena di numerosi tagli (886.000 battute, spazi inclusi, nella versione italiana, contro le 947.000 della versione originale). In particolare, il traduttore ignorò allora l’ultimo meraviglioso discorso di Tom alla madre, donna dall’incredibile forza morale, parole memorabili riprese da Woody Guthrie, in The Ballad of Tom Joad14, del 1940 e da Bruce Springsteen, in The Ghost ofTom Joad15, del 1995. Quel discorso oggi possiamo dunque leggerlo nella nuova traduzione italiana:

E così non importa. Perché io ci sarò sempre, nascosto e dappertutto. Sarò in tutt’i posti… dappertutto dove ti giri a guardare. Dove c’è qualcuno che lotta per dare da mangiare a chi ha fame, io sarò lì. Se Casy aveva ragione, be’, allora sarò negli urli di quelli che si ribellano…e sarò nelle risate dei bambini quando hanno fame e sanno che la minestra è pronta, E quando la nostra gente mangerà le cose che ha coltivato e vivrà nelle case che ha costruito…be’, io sarò lì. Capisci? Perdio, sto parlando come Casy. E’ vero che lo penso tutto il tempo. Certe volte è come se lo vedo ( Then it don’ matter. Then I’ll be all arounf in the dark. I’ll be ever’where- wherever you look. Wherever they’s a fight so hungry people can eat, I’ll be there. Wherever they’s a cop beatin’ up a guy, I’ll be there. If Casy knowed, why, I’ll be in the way guys yell when they’re mad an’- I’ll be in the way kids laugh when they’re hungry an’ they know supper’s ready. An’ when our folks eat the stuff they raise an’ live in the houses they build- why, I’ll be there. See? God, I’m talkin’ like Casy. Comes of thinkin’ about him so much. Seems like I can see him sometimes).

Utilizzando le due canzoni di Woody Guthrie e di Bruce Springsteen, ispirate al romanzo e scritte in periodi storici differenti, si può ampliare il discorso intorno agli effetti di crisi economiche lunghe e devastanti per milioni di persone, ieri come oggi. Il testo di Guthrie, coevo al romanzo di Steinbeck, ripercorre le tappe dell’odissea di Tom Joad e della sua famiglia; quello di Springsteen, composto diversi decenni più tardi, ci ricorda che nel fondo di ogni società ci sono sempre gli “ultimi” che patiscono e subiscono le crisi e le speculazioni finanziarie di un «nuovo ordine mondiale», con un «biglietto di sola andata verso la terra promessa». Tom Joad rappresenta un fantasma sempre presente nelle nostre società, nelle quali molte famiglie continuano a dormire nelle macchine, lungo quelle strade popolate di esseri umani alla ricerca di una casa e di un lavoro, anche se nessuno, ieri come oggi, si illude su dove la strada vada a finire, come cantava Springsteen: «…Well the highway is alive tonight. But nobody’s kiddin’ nobody about where it goes…»16Naturalmente per leggere i testi di Bruce Springsteen si possono visitare decine di siti, ad esempio http://www.metrolyrics.com/the-ghost-of-tom-joad-lyrics-bruce-springsteen.html

Crisi economiche a confronto tra passato e presente: quale insegnamento trasmettere ai nostri studenti?
Come utilizzare didatticamente, dunque, romanzi, film, canzoni che raccontano le crisi di un passato che i nostri studenti percepiscono molto lontano nel tempo? Partendo dal presente, o per meglio dire, facendo scoprire loro somiglianze, analogie e/o differenze tra quello che è accaduto e ciò che stiamo vivendo. L’Unione europea sta cercando da anni di dotarsi di strumenti in grado di arginare le azioni speculative, gli effetti dei derivati, i giochi di borsa sui titoli sovrani dei paesi più fragili. Oggi siamo ancora dentro una crisi scoppiata formalmente il 15 settembre 2008, sempre negli Stati Uniti, allorché la banca d’investimento Lehman Brothers, la quarta per volume d’affari negli Usa, ha dichiarato il fallimento, facendo ricorso al chapter 11, ossia alla norma statunitense per la bancarotta con liquidazione controllata, causa un indebitamento di 613 miliardi di dollari. In poco tempo la cosiddetta crisi dei subprime ha contagiato l’Europa e parte dei principali paesi del mondo. Una crisi che in Italia pare particolarmente virulenta, anche a causa di una austerity e di tagli al welfare sociale imposti dall’alto che hanno aggravato la situazione delle famiglie: nel solo periodo 2012-2013 la Federconsumatori ha stimato una contrazione record dei consumi di -7,8 %, equivalente ad una riduzione della spesa delle famiglie di circa 56 miliardi. E i sacrifici non hanno impedito al debito pubblico di schizzare a oltre il 133% del Pil, ossia quasi 2.100 miliardi di euro.

Anche nell’ultimo drammatico periodo di crisi finanziaria ed economica, dunque, non potevano mancare film in grado di raccontare le cause e gli effetti delle azioni e speculazioni umane, di quei traders che continuano a decidere le sorti proprie e altrui, di milioni di piccoli e ignari investitori e risparmiatori. Tra questi, The Wolf of Wall Street, film di Martin Scorsese del 2013, è una pellicola che può utilmente essere proposta ai nostri studenti, grazie alla quale il cineasta italo-americano ha fatto conoscere al mondo intero una figura limite di spericolato broker, Jordan Belfort, trasponendo sul grande schermo la sua autobiografia dal titolo omonimo, in cui il truffaldino finanziere rivela al mondo intero una incredibile storia di truffe e raggiri a danno di medi e grandi investitori, che lo portano in pochi mesi, nei primi anni ’90, a divenire straordinariamente ricco. Il film di Scorsese, che si affida alla maestria di Leonardo Di Caprio, candidato all’Oscar per l’interpretazione, non risparmia quasi nulla allo spettatore, in un vortice di dissipazione, perversioni sessuali, uso smodato di cocaina e quaalude (un potente farmaco con azione sedativa-ipnotica, usato già negli anni ’60 e ’70)17. Ne escono male banche e istituzioni finanziarie conniventi, la Svizzera e il suo sistema di conti cifrati. Pedinato e intercettato dall’FBI, in particolare da uno zelante ed incorruttibile agente federale (anche in questo caso, una sorta di deuteragonista dalle caratteristiche morali antitetiche al protagonista), viene finalmente incastrato, condannato a tre anni di carcere, a rimborsare le sue oltre 1500 vittime e a pagare complessivamente oltre 100 milioni di dollari. Oggi Belfort tiene seminari in cui insegna tecniche di vendita inventate da lui medesimo, si spera ammonendo i partecipanti a non perseguire i fini criminali che lo hanno visto protagonista. Ma la sua storia, come quella di molti altri che lo hanno preceduto e seguito, ci conferma ancora una volta che la finanza dissociata dall’economia reale rimane una minaccia per tutti i risparmiatori. Possiamo solo sperare che, grazie ad una attenta e consapevole formazione nelle aule scolastiche sui grandi temi delle crisi economiche e dei fenomeni criminali ad esse associati, le nuove generazioni si avviino verso un uso più etico e consapevole del denaro, proprio e soprattutto altrui. Non a caso, sono già diversi anni che associazioni come Libera, associazioni, nomi e numeri contro le mafie, propongono e realizzano nelle scuole proposte didattiche miranti a favorire nei nostri ragazzi una maggiore consapevolezza dei rischi di un uso distorto del denaro:

Don Luigi Ciotti, affrontando le tematiche connesse all’educazione alla legalità, ha più volte lanciato un vero e proprio grido d’allarme sulle prospettive che si delineano, analizzando il panorama culturale in cui siamo immersi. L’uomo del nostro ambiente sociale, esposto fin da piccolo (forse anche prima della nascita) al richiamo seducente del costume consumistico, elabora mete valoriali distorte e definisce modi di vita protesi al raggiungimento di tali miraggi (perché di questo spesso si tratta)…costi quel che costi. In generale, infatti, si tratta di mete proiettate molto al di là dei traguardi normali, e che, per essere raggiunte, inducono a canali di accesso illegali (traffici illeciti, lavoro nero, criminalità organizzata, usura,ecc). In questa ottica, educare alla legalità significa andare “oltre”, “essere inadeguati”, per farsi carico di un orizzonte più ampio: fornire ad ognuno gli strumenti necessari per vivere una cittadinanza attiva, partecipe del “bene comune” inteso non solo e non tanto come “somma di beni individuali”, ma come condizione indispensabile perché a ciascuno vengano riconosciuti e garantiti i diritti e i beni fondamentali che consegnano dignità umana al vivere. (La citazione è tratta da un progetto per le scuole della rete Toscana di Libera del 2002, visitabile su web.rete.toscana.it/redle/materiale_download.do?id=859, ma si possono trovare decine di progetti simili nel corso dell’ultimo decennio).

Gli argomenti storici del crollo della Borsa del ’29, della Grande depressione e di tutto ciò che ad essa è collegato, possono quindi essere efficacemente spiegati partendo dalla grave crisi economica del presente, ma anche provando a proporre agli studenti, alla fine del percorso, esperienze economiche concrete, alternative e opposte alle speculazioni estreme, alle truffe finanziarie, all’uso dissennato di strumenti finanziari leciti e illeciti che, come è dimostrato dalla storia, conducono inevitabilmente all’arricchimento di pochi e all’impoverimento di milioni di persone.