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23 maggio, giornata della legalità. Una battaglia intellettuale a scuola

23 maggio, giornata della legalità. Una battaglia intellettuale a scuola

In Storia della mafia. Dalle origini ai giorni nostri (Roma, Donzelli, 1993), lo storico Salvatore Lupo definisce l’intera carriera di Giovanni Falcone (Palermo, 1939 – Capaci, 1992) «una battaglia intellettuale». Si potrebbe partire da questa suggestione per riflettere su come portare l’argomento in classe: a 25 anni da Capaci è divenuto possibile prendere distanza dal piano emozionale che la sola vista delle fotografie di quel sabato pomeriggio inducono ancora nella maggior parte di coloro che l’hanno vissuto, e provare a ragionare sulle vicende che hanno portato i corleonesi di Totò Riina a imbottire di tritolo un tratto di autostrada da Punta Raisi a Palermo, pur di togliere di mezzo un magistrato.

Eppure, anche sgombrando il campo dall’emozione, le cose non diventano, come d’incanto, semplici. Nella sua recensione all’opera di Lupo: La mafia raccontata dagli archivi (apparsa in Italia Contemporanea, fascicolo 194, anno 1994) lo storico inglese Christopher Duggan (1957-2015), allievo di Denis Mach Smith ed esperto di storia d’Italia, sostiene come il lodevole intento di studiare il tema attraverso le fonti d’archivio non sia del tutto convincente. Il suo intervento termina avanzando l’ipotesi che la mafia sia un «soggetto scomodo e forse addirittura impossibile da affrontare per uno storico».

Come si risolve la contraddizione? Per intraprendere un percorso di conoscenza con gli studenti è necessario scegliere. Da una parte Lupo propone una pista di approfondimento, affinata negli anni con sempre nuove ricerche, analizzando selezioni di fonti per ricostruire la storia dell’oggetto posto al centro dell’analisi; dall’altra Duggan rileva come tale scelta sia un atto di ottima volontà, ma non per questo utile a comprendere appieno la realtà di un fenomeno come la mafia. Le regioni dello storico inglese, peraltro, non sono di poco conto e contemplano essenzialmente una questione di metodo. Come si può studiare un fenomeno opaco – per decenni molti hanno sostenuto la mafia nemmeno esistesse o, tuttalpiù, descrivesse la particolare passionalità nell’indole del popolo siciliano – che si struttura nel momento stesso in cui gli inquirenti vedono e nominano per la prima volta un reato? Quanto può essere scomodo e difficile avanzare una corretta critica della fonte sapendo che la stessa non rileva una realtà riconosciuta, ma sta contribuendo a crearla? Come si possono mettere le mani attorno a un oggetto con tale carica di ambiguità?

Da insegnanti si può scegliere la strada – di prassi didattica e non di moralità spicciola – di nominare l’indicibile mafioso. Di affrontare l’ambiguità e procedere come Lupo racconta abbia fatto Giovanni Falcone che estrasse «Cosa nostra dal reticolo delle sue relazioni esterne, politico-affaristiche, per poterla esaminare in se stessa: problema di strategia giudiziaria e repressiva che coincide in una certa misura con il nostro di studiosi, in quanto ciò che non si distingue non può essere nemmeno combattuto».[1] E lo fece, insieme al pool di cui era parte, contro molti. Basti pensare che persino Leonardo Sciascia, in un intervento sul «Corriere della Sera» nel 1987, avanzò alcuni dubbi sul maxiprocesso di Palermo, scrivendo che rischiava di calpestare le libertà civili.

In 25 anni di cose ne sono accadute, anche sul piano della ricerca. Sempre restando a un livello di saggi complessivi, nel 2005 Laterza ha pubblicato Cosa Nostra. Storia della mafia siciliana, dell’inglese John Dickie: che si voglia partire dalla storiografia italiana o da quella anglosassone, dunque, i riferimenti non mancano. Molto utile, per usi scolastici, può essere il documentario Maxi +25. Anatomia di un processo (http://www.raistoria.rai.it/articoli/il-maxi-processo-di-palermo/19192/default.aspx) realizzato da Rai Storia e attraverso il quale è possibile comprendere la centralità dell’azione giudiziaria costata la vita a numerosi uomini del pool che vi avevano lavorato e agli agenti della scorta che li proteggeva. Nell’ambito di aspetti più specifici, fra le pagine digitali della nostra rivista lo storico Saro Mangiameli ha recentemente chiarito la propria posizione riguardo la polemica scatenatosi attorno al film di Pif, In guerra per amore, 2016. (disponibile qui).

Tornando a quel 23 maggio di 25 anni fa, non vi è dubbio che qualcosa di potente accadde nella biografia stessa del Paese, e del resto molto stava avvenendo contemporaneamente in Italia e in Europa. Così non può definirsi casuale che l’opera di Lupo arrivi un anno dopo, come a evidenziare l’importanza di quell’evento periodizzante: per gravità, importanza, significato.

Solo sollevando dal tutto indistinto del passato un oggetto e facendosi una serie di domande si possono costruire rilevanze e approntare cronologie. I documenti, volendo portare fino in fondo il parallelismo dal quale si è partiti, possono essere omertosi: parlano se e quando interrogati da chi sa come renderli eloquenti. Si racconta che Tommaso Buscetta, il pentito sulle cui testimonianze si basò l’intera struttura del maxi-processo di Palermo, volesse parlare esclusivamente con il giudice Falcone. Insomma, pare che tutta questa storia si costruisca sulla categoria della «distinzione».

A noi insegnanti di storia la responsabilità di restituire tale complessità ed evidenziare i nessi che permettano agli studenti di inquadrare queste vicende in un preciso contesto di eventi, scelte, responsabilità.


Note:

[1] Salvatore Lupo, Storia della mafia. Dalle origini ai giorni nostri, Roma, Donzelli, 1993, p. 266.