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Il metodo degli EAS: una proposta per affrontare la crisi dell’insegnamento della storia e il confronto con il presente

Il metodo degli EAS: una proposta per affrontare la crisi dell’insegnamento della storia e il confronto con il presente

Photo by Huzaifa Tariq on Unsplash

Abstract

In questo articolo si propongono alcuni spunti di riflessione sull’insegnamento/apprendimento della storia nel complesso presente che stiamo vivendo in ordine al rapporto con la contemporaneità, con i consumi culturali di studentesse e studenti e con l’epistemologia della disciplina.  Si presenta il metodo degli Episodi di Apprendimento Situato (EAS) nelle sue linee generali e in quelle specifiche relative alla disciplina storica, suggerendo un’idea di scuola che accolga l’innovazione entro la tradizione.

Introduzione

Con l’avvento della pandemia, il rapporto con Internet è cambiato di segno e il Web 2.0 si è affermato come luogo della società e non spazio esterno a essa, imprimendo un’accelerazione digitale che ha determinato “un prima e un dopo” individuale e collettivo. Durante il lockdown il web si è configurato come spazio omnicomprensivo, per informarsi, per mantenere relazioni ma anche per lavorare e per fare scuola

Sul piano della didattica in particolare, nonostante situazioni diverse a seconda delle realtà geografiche e sociali, l’eredità di questi ultimi due anni è ben rappresentata dalla metodologia Blended, secondo la quale il processo di insegnamento/apprendimento può essere svolto in parte in classe e in parte a casa e realizzato con il supporto delle risorse disponibili nel Web. Tale metodologia presuppone percorsi didattici che integrino l’approccio reticolare alla conoscenza con forme di collaborazione e di cooperazione nella scoperta del sapere, proprie del web. Il docente integra e sviluppa le attività didattiche in presenza con percorsi online da svolgere con modalità di lavoro autonomo ma guidato[1].  Nei primi mesi della guerra in corso in Ucraina, per esempio, collegarsi con i propri insegnanti e i propri compagni è servito a bambini e adolescenti rifugiati nei vari paesi europei per non perdere il legame con la loro classe  mentre erano impegnati nell’inserimento in Italia.

Quindi la presenza a scuola, in passato condizione univoca e non discutibile – dopo il periodo della pandemia – risulta almeno diversa perché anche la scuola è onlife, per dirla con la famosa definizione del filosofo Luciano Floridi, ormai entrata nel discorso pubblico, e abita una complessità caratterizzata dal continuum tra la dimensione reale e quella digitale.

Floridi precisa che, in ogni momento della vita, non è più possibile separare la dimensione online da quella offline: di fatto si mischiano continuamente, immettendoci in una dimensione onlife[2].

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Dal punto di vista pedagogico occorre quindi chiedersi quanto la dimensione onlife influenzi l’apprendimento delle studentesse e degli studenti, soprattutto in relazione all’insegnamento della storia, già in crisi nel mondo pre-pandemia, perché non sempre adeguato alla dimensione multiculturale e multimediale propria del nostro tempo. [3] E, di conseguenza, chiarire che tipo di didattica della storia si può fare oggi.

 

Questione di metodo: EAS (Episodi di Apprendimento Situato) 

La risposta sta in un cambiamento di metodo, nell’adozione di modelli di lezione che diano la possibilità agli studenti di attivarsi, di essere protagonisti del loro apprendimento, di vedere accolto e valorizzato il loro contributo per inserirlo in un quadro il cui il sapere storico possa consolidarsi.

Una possibilità concreta, basata su dieci anni di sperimentazioni nelle scuole italiane, la offre il metodo degli EAS (Episodi di Apprendimento Situato), messo a punto da Pier Cesare Rivoltella nel 2013 per dare una risposta efficace alla crisi dell’insegnamento/apprendimento, in tempi lontani dalla pandemia e dalla guerra.

La riflessione di Pier Cesare Rivoltella ha unito la tradizione pedagogica dell’attivismo, del costruttivismo e del costruzionismo alla ricerca di area anglosassone sul cambiamento di paradigma culturale innestato sulla rivoluzione digitale. La diffusione dello smartphone e, più in generale, dei dispositivi mobili ha modificato il modo di apprendere e di insegnare, mettendo in evidenza l’efficacia del microlearning, caratterizzato da porzioni di attività didattiche da realizzare in brevi unità di tempo.

Il metodo EAS ha dieci anni e una bibliografia significativa di volumi teorici – sono tre, di Pier Cesare Rivoltella – e molte monografie disciplinari o interdisciplinari rivolte a insegnanti di scuola di ogni ordine e grado a cura di ricercatori e collaboratori del CREMIT (Centro di Ricerca per l’Educazione ai Media, all’Innovazione e alla Tecnologia).

Nella figura sottostante sono riprodotti tre volumi dell’area umanistica per la scuola secondaria ma la collana è molto ricca anche per altri ordini di scuola. 

È nell’acronimo che sta il senso dell’EAS: Episodio di Apprendimento Situato.

Si tratta di un’attività didattica breve – un episodio – in cui l’insegnamento/apprendimento, basato sull’anticipazione cognitiva e sulla riflessione, ha al centro la situazione, cioè l’esperienza incarnata: circoscritte porzioni di sapere, brevi attività in tempi ridotti.

In estrema sintesi, l’EAS è un dispositivo didattico che risponde a una logica di microlearning, organizzato in tre parti.

Le fasi del metodo EAS

 

1. Fase preparatoriaCome varie metodologie didattiche ormai diffuse, soprattutto di Flipped Teaching[4], centrate sull’attività, l’EAS parte da un momento che anticipa il lavoro in classe. Il docente organizza un’attività da fare prima della lezione, di solito a casa, con l’esplicito obiettivo di far scoprire all’allievo il tema o il problema che si vuole affrontare. Tale attività è guidata dal docente attraverso schede apposite e corredata da job aid[5].

In classe il docente, dopo un breve momento di commento o di risposta a eventuali chiarimenti da parte degli allievi sul lavoro a casa, inizia la sua cornice, il suo Framework concettuale – un intervento frontale di circa 15 -20 minuti – in cui riprende il lavoro fatto in anticipo e aggiunge elementi significativi per costruire il quadro generale dell’EAS.

Al termine del Framework è previsto anche uno stimolo che avvia l’attività in classe: può trattarsi di un video, di una piccola esperienza, di un’immagine.

Dopo lo stimolo il docente dà la consegna dell’attività da realizzare in classe, individualmente o in gruppo.

La fase preparatoria dell’EAS – che consta di quattro momenti: il lavoro in anticipo, la cornice del docente, lo stimolo e la consegna –  invera uno dei fondamenti di questo metodo, cioè porre, fin dal primo momento, l’allieva/o in una situazione di apprendimento  problematica e attuale, che si presenti sfidante dal punto di vista cognitivo e richieda pensiero e azione. Una situazione-stimolo, appunto, per anticipare l’attività.

2. Fase operatoria

L’attività di produzione, in genere collaborativa, è al centro dell’EAS e, di fatto, è un’esperienza che coinvolge sia la componente emotiva sia quella cognitiva: consiste in piccole produzioni, che portano all’apprendimento profondo perché implicano rielaborazione e ri-costruzione di contenuti, poi condivise prima della parte finale.

3. Fase ristrutturativa

Alla fine di questa attività segue una fase di riflessione, a classe unita, che ristruttura l’intero percorso. Con il Debriefing il docente porta la classe a riflettere sul percorso fatto.

Quanto ai tempi, l’EAS, nella scuola secondaria e all’università, richiede non meno di un’unità di lezione di due ore. Nella scuola dell’infanzia e alla primaria i tempi sono meno rigidi. Tuttavia il principio è che si stia in un’unità di tempo circoscritta.

 

Anticipare, produrre, riflettere

Tre verbi – anticipare, produrre, riflettere – indicano le tre azioni didattiche che sorreggono questo modello e sottintendono tre logiche di apprendimento: per scoperta (problem posing), “facendo” (learning by doing) e “riflettendo” (reflective learning), rendendo questo metodo adeguato alla didattica per competenze autentica, quella che esiste in rapporto stretto con le conoscenze.

L’EAS ha dunque alle spalle un continuo cambio di ruoli del docente e degli studenti perché in ogni fase ognuno ha le sue “mansioni”: nel framework il docente spiega e nell’attività  fa il coach, accompagnando i gruppi nella realizzazione dell’artefatto, mentre gli studenti iniziano in autonomia, poi ascoltano il docente e poi lavorano. Questo porta con sé un alto livello di relazione e una forte valenza inclusiva.

Il docente esperto di EAS ha in mano un dispositivo potente adattabile anche nel momento attuale, che implica una progettazione esplicita e precisa e una valutazione diffusa e formatrice.[6]

Eas Gallery[7]

Prima di addentrarsi nell’analisi e nell’approfondimento del metodo in relazione alla storia e all’educazione civica si forniscono quattro esempi di EAS, con l’idea, in omaggio al metodo, di consentire un’esperienza di scoperta.  Ogni Eas presentato può essere adattato a vari livelli di classe, integrando o modificando.

Perché l’EAS funziona

L’EAS funziona perché ridimensiona il ruolo frontale del docente – ma non lo elimina – e non lascia troppo spazio all’aspetto laboratoriale che a volte ha il difetto di disperdere il lavoro. Si può dire che la direttività dell’insegnante rimane ma è contenuta.

L’EAS si pone come dispositivo professionale che organizza il tempo e lo spazio della lezione con l’alternarsi di azioni didattiche che rendono l’apprendimento significativo. Introdurre, infatti, diverse tipologie di attività, cambiare ruolo, spezzare il ritmo della lezione, ragionare su segmenti di sapere brevi ha due punti di forza: evitare il sovraccarico cognitivo, che impedisce la fissazione delle informazioni nella memoria a lungo termine quando esse siano troppe (come la ricerca neuroscientifica ha ormai dimostrato[8]); affrontare il problema dell’attenzione focalizzata, dal momento che la concentrazione nella società attuale fatta di stimoli e di overload di informazioni diventa sempre più difficile.

Per questa ragione la relazione incontrovertibile tra conoscenze e competenze nel caso dell’EAS è sempre presente: è un modello di lezione che aiuta la conoscenza, prova a mettere ordine nelle informazioni informali proprie degli allievi e li aiuta a fare sintesi attraverso l’attività e la riflessione. È la didattica come Design in un rapporto stretto tra quello che l’insegnante sa per formazione ma anche perché vive il suo tempo, con le culture informali degli studenti, per produrre nuova cultura.[9]

Se è vero che fare un EAS richiede come tempo in classe circa due ore, è anche vero che quanto un docente capitalizza in termini di “programma svolto” in due ore di lezione frontale è infinitamente di più. L’EAS obbliga il docente a ragionare e a selezionare, seguendo le indicazioni nazionali, e non secondo i vecchi programmi, e a guardare al curricolo breve.

Entrando nel merito del metodo EAS applicato alla storia, è opportuno precisare che l’EAS non è un’isola ma parte del curricolo disciplinare e di educazione civica.

 

EAS e complessità del presente 

Un modello come quello dell’EAS calza perfettamente su un’idea di didattica della storia che tenga insieme lo statuto della disciplina con una continua ridefinizione dettata dalla complessità del presente.

Il deficit di cultura storica diffuso soprattutto (ma non solo) tra gli adolescenti – quello che ogni insegnante tocca con mano ogni giorno – forse proviene dalla distanza tra quello che si propone dalla cattedra e i consumi culturali degli studenti ma anche da richieste di memorizzare e inglobare informazioni che non si trasformano in apprendimento profondo.

Tante sono le situazioni in cui si constata che gli studenti non hanno chiaro il calendario civile nazionale otto-novecentesco o quello europeo, che non padroneggiano le cornici della storia globale fondamentali per comprendere la realtà geopolitica attuale, che non si orientano nello spazio tempo del passato: sembra che la scuola non sia efficace nel creare cultura storica  e che quello che gli studenti apprendono  dai loro consumi di storia non “faccia sistema” con quello che si insegna a scuola, anzi aumenti la confusione.

Non è questa la sede per ragionare sulla necessità di abbandonare l’agenda dettata dai libri di testo – a favore di un approccio didattico per quadri di civiltà e casi di studio. Questo presuppone di costruire un curricolo breve che consenta approfondimenti su alcuni aspetti, uscendo dall’ossessione cronologica e soprattutto dall’idea che tutto debba essere spiegato dal docente.

Negli ultimi anni i dipartimenti di storia sono stati impegnati a scrivere il curricolo di storia ma, anche quando il documento è chiaro negli intenti e negli obiettivi, il problema di fare una lezione efficace, coinvolgente e significativa agli studenti di ogni indirizzo e con classi con allievi di provenienza diversa – e perciò inclusiva – permane.

La costruzione di un curricolo di storia dovrebbe aiutare a mettere a fuoco questioni essenziali e a uscire dall’andamento cronologico e integralmente nazionale.

A questo proposito qualche anno fa Piotr Cywińsky, il direttore della Fondazione Memoriale di Auschwitz, si domandava:

Dato che la scuola è palesemente e assurdamente inadeguata alle problematiche moderne, perché non riusciamo a darle un senso diverso? Perché la storia che insegniamo si limita allo studio in sicurezza del passato, nonostante le corrispondenze con le circostanze attuali, senza porre alcuna chiara correlazione con il mondo di oggi e un futuro sempre più incerto?[10]

Per tentare una risposta alla domanda di Cywińsky è necessario un approccio sempre duplice: fare lezione di storia significa conoscere gli eventi e i processi del passato in grandi quadri ma significa anche affrontare l’attualità cercando le radici, indagando le ragioni di quello che succede all’interno dell’ecosistema informativo in cui siamo immersi.

Questo è ancora più urgente nel momento in cui sta imperversando una guerra che interpella tutte e tutti e non può lasciare indietro la scuola, anzi la costringe a fare i conti con un presente drammatico fatto di quello che succede nelle città, nelle cancellerie e nella rete.

 

 EAS e storia

Il metodo EAS e storia

L’infografica riassume la relazione tra EAS e storia, includendo lo statuto della disciplina, il legame con il sapere storico diffuso e quindi con l’uso pubblico della storia e la centralità dell’attivazione dello studente, chiamato a lavorare sulle fonti delle informazioni del presente e del passato, a verificarne l’attendibilità, a farsi continue domande per acquisire un punto di vista storico.[11]

EAS e saperi storici

L’EAS, per la sua struttura e per la sua natura, promuove una forte relazione con la contemporaneità perché consente di intercettare il sapere storico diffuso che proviene dalle narrazioni fruite in rete  attraverso i videogiochi, i film e le serie tv in streaming, i video di youtube o in  siti dedicati. E ancora le canzoni, gli ambienti virtuali, i meme, i podcast, i film di animazione, sono tutti mondi narrativi dai quali gli studenti assorbono una conoscenza che può essere condivisa in classe[12].

Diventa fondamentale intercettarle perché raccontare e analizzare storie di consumo dando loro la dignità che meritano in quanto storie si trasforma in un’azione di cultura storica, oltreché di cittadinanza.[13]

Come far entrare questi consumi culturali di storia nell’EAS? Se ne dà per scontata la visione perché, quando un film o una serie TV è di tendenza, gli adolescenti la guardano per conto loro e spesso ne parlano.  Allora nel lavoro in anticipo si possono far leggere recensioni, nell’attività si può fare l’analisi o far costruire un piccolo montaggio di immagini, nello stimolo si può usare il trailer. Nel framework si può ragionare sulla struttura, l’analisi, il linguaggio. In questo modo si può imparare da famose serie tv come il Trono di spade, L’Uomo nell’alto castello o Peaky Blinders . Il docente guida lo studente a dare valore al suo ruolo di spettatore, a costruire nuovi significati che entrano a far parte della cultura personale percepita come stratificata, legata al tempo e ai cambiamenti e, contemporaneamente, metterle in relazione con i quadri concettuali propri dei docenti, esperti delle discipline.

Per questo tipo di interventi è necessario che il docente se possibile “condivida” queste visioni, o che almeno ne sia informato. È una sfida quindi anche per chi insegna: porsi di fronte a una fiction come Peaky Blinders e fare lo sforzo di individuare i temi sottesi, quelli che stanno sotto la vicenda narrata, è stimolante. Come ha ben spiegato Carlo Greppi, nel suo saggio su questa fiction straordinaria, il filo rosso, quello su cui confrontarsi è il trauma della trincea, non tanto la guerra tra gang[14].

I terzi spazi

I saperi culturali e anche storici si animano e si diffondono anche nei terzi spazi, i nuovi spazi svincolati dalle tradizionali agenzie di conoscenza come la famiglia e la scuola, caratterizzati, secondo Potter e McDougall[15],  da dinamiche di aggregazione libera sulla base degli interessi personali,  dove entrano  in relazione il formale e l’informale, aperti alle logiche di peering[16] e di orientamento esperienziale, al piacere di stare insieme, all’assenza di apprendimenti “insegnati” che lasciano spazio a quelli informali  e agli scambi e alle contaminazioni spontanee ma favorite dai luoghi e dalla facilità di istituire relazioni.

Incentivare la passione della narrazione di consumo – spesso legata a un’idea di passato generico e non facile da individuare – può essere funzionale a gettare un ponte sul passato perché la scuola tramanda la memoria della tradizione e un cittadino del mondo di oggi non può non avere un rapporto con la memoria.[17]

Rapporto tra passato e presente

L’EAS, poi, risponde a uno dei nuclei fondanti dell’epistemologia della storia: il rapporto tra passato e presente. Gli studenti sono sottoposti a una sorta di diluvio universale di informazioni, soprattutto attraverso i social media, con logiche ben precise governate dagli algoritmi. A seconda della propria bolla, nei social si è “spettatori” di una narrazione a senso unico, dove spesso si interviene senza avere chiaro il contesto: si può intervenire senza mediazione e si accede soltanto a quello che l’algoritmo propone[18]: diventa difficile fare distinzioni e trovare un riferimento attendibile a quel che si legge, si ascolta e si vede.  Quello che gira di storico nell’arena pubblica spesso è frutto di fraintendimenti, di banalizzazione, di usi ideologici, di inesattezze, di contronarrazioni e di narrazioni alternative. Le emergenze dell’attualità trasudano di usi distorti di lessico storico e di fake news: è la dimensione della postverità.

In questo presente, spesso percepito piatto, senza radici ma interessante, galleggia la conoscenza storica.

L’EAS, consentendo di accogliere i consumi culturali e di agire sul rapporto passato/presente, risponde anche alla questione del coinvolgimento degli studenti.  Generalizzando, si può affermare che la scuola di oggi soffra di mancanza di relazione con la vita: è un tema complesso perché la scuola ha a che fare con la cultura, con la formazione personale, con la crescita. Questo non è sempre recepito dagli studenti, che la vivono come obbligo, in alternativa alla vita e quindi ai loro interessi.

Allora affrontare le urgenze del presente può essere una via per “ingaggiare” gli adolescenti. Per questo per l’EAS bisogna scegliere un tema vivente.

Il tema vivente

Il tema vivente, come ha scritto Freinet[19] è quello c’entra con gli allievi, perché li coinvolge a livello personale, come categoria – perché sono bambini, perché sono adolescenti – oppure perché riguarda quello che succede attorno a loro (a noi). Scegliere un tema vivente non significa sacrificare i contenuti disciplinari perché duri e meno graditi agli studenti ma trasformare o meglio allargare un tema fino a renderlo così motivante da includere i saperi istituzionali, formali e quelli non formali[20].

Nel volume Fare storia con gli EAS. A lezione di Mediterraneo si parte da un articolo uscito su “Il sole 24 ore”, si analizza il sito di Aspen Institute e si produce un artefatto grafico per sviluppare un discorso sul commercio nell’età moderna, ma il tema vivente, che sottende tutto l’EAS, è costituito dall’attualità delle traversate dei migranti sulle rotte del Mediterrano[21]. Recentemente i Fridays for Future hanno dimostrato il forte coinvolgimento dei giovani sul tema della sostenibilità e della salute del pianeta, così come la guerra in corso non li ha lasciati indifferenti: questi sono temi viventi.  C’è una forte richiesta di apertura verso quello che succede nel mondo che può funzionare da volano per riavvicinarsi al passato.

Se si torna alla struttura dell’EAS, nella fase in anticipo si possono mettere a fuoco elementi di sapere storico diffuso, con cui far confrontare gli studenti, presi da portali di informazioni, siti di musei, podcast, profili social e luoghi in cui circolano quelle che lo studioso francese Charles Heimberg chiama le “questioni socialmente vive[22]: il docente indica agli studenti luoghi della rete che non frequentano.

È noto che il meccanismo dei social media porta a stare dentro bolle informative che si autoalimentano. Gli adolescenti hanno così la possibilità di ammettere nei loro profili social figure diverse da quelli che loro seguono abitualmente: vengono a contatto con voci diverse, diventano familiari nomi di giornaliste e giornalisti, di addetti all’informazione, di storiche e storici che fanno buona divulgazione, che è poi possibile seguire nella loro attività social. È un primo elemento di distinzione, apre al confronto e a opinioni diverse.

La trasposizione didattica 

La cornice – il framework – è il momento della trasposizione didattica, cioè la competenza, fondamentale per chi insegna, di mediare la conoscenza esperta per adeguarla a quella delle studentesse e degli studenti. Si tratta di un processo di trasformazione dei contenuti disciplinari in oggetti didattici significativi per allievi che vivono nell’infosfera. Conseguentemente, l’insegnante deve avere molto chiara la teoria della mediazione che Elio Damiano ha sviluppato a partire da Bruner e Piaget[23]. Questa si basa sul mediatore didattico, cioè su un’attività, un artefatto o uno strumento attraverso il quale l’insegnante sostituisce l’esperienza diretta della realtà rendendola insegnabile. Esistono vari tipi di mediatori, cui corrispondono vari tipi di didattica: mediatori attivi (le esperienze, la didattica esperienziale), iconici (le immagini gli schemi, i disegni, i cartoni animati e la didattica delle immagini), analogici (i giochi, i role-play e le simulazioni), i mediatori simbolici (i segni linguistici e la didattica per concetti).

Attraverso questi mediatori il docente può fare trasposizione dei nuclei fondanti della disciplina, imprescindibili a livello concettuale e procedurale, che travalicano l’hic et nunc della lezione, il tempo, l’ordinamento di fatti e dei fenomeni, la periodizzazione, l’analisi delle fonti, la ricostruzione storica e il racconto storico.

A questi si aggiungono i concetti fondanti, attorno ai quali si aggregano temi e contenuti transnazionali e interculturali: la globalizzazione, il rapporto fra locale e globale, i cambiamenti politici, antropologici, culturali, demografici e ambientali, rivoluzione digitale e l’innovazione. Tutti questi definiscono il momento storico che stiamo vivendo e che si differenzia dal Novecento classico: dalla rivoluzione di Internet – dagli anni ‘90 del Novecento – tutto è cambiato ed è con questo cambiamento che è necessario confrontarsi.

La struttura disciplinare con la sua epistemologia, in questo senso, diventa generativa e porta il docente a farsi le domande fondamentali sulle ragioni degli eventi che poi sostengono la lezione EAS.

EAS e laboratorio di storia

Nella fase operatoria dell’EAS, il docente deve poi trasformare i saperi storici proposti nella prima fase in azioni didattiche secondo una logica laboratoriale, preferibilmente in piccolo gruppo, finalizzate alla creazione di un piccolo artefatto: nel fare, i saperi diventano significativi perché sono integrati con le competenze.  Non è uno sforzo da poco progettare attività nella dimensione della situazione: si tratta di attività più simili a esperienze che a esercizi che attingono da quelle più tradizionali, proprie del laboratorio di storia come la costruzione di mappe concettuali, linee del tempo, analisi di fonti con schede guida, l’esplorazione e l’analisi di siti di storia a quelle più mediali, come l’analisi o la progettazione di trailer, le progettazioni di Digital storytelling o Data storytelling, le realizzazioni di infografiche o di tavole di Graphic novel, la stesura di documenti condivisi o la creazione di presentazioni.

Nella progettazione di queste attività è necessario avere consuetudine con gli applicativi disponibili in rete e fare molta attenzione alla consegna: non si può fare un podcast come attività di un’EAS, richiede troppo tempo, ma si può iniziare a progettarlo, a definirne la scaletta, a esplorare con quali applicativi realizzarlo.

Nella fase ristrutturativa dell’EAS il docente guida la riflessione sul percorso svolto, creando un ambiente di apprendimento in cui l’allievo non si senta forzato a riflettere ma sia guidato a farlo.

La riflessione, infatti, riordina la struttura cognitiva dell’allievo, consentendogli di conseguire un livello più alto di comprensione, di apprendimento e di prestazione. Si tratta di un processo mentale guidato che si applica a situazioni per le quali non c’è una soluzione ovvia. In questa situazione, l’apprendimento da implicito diventa esplicito. Nella fase del eflective learning, dopo aver rielaborato, ripensato, “essere rimasti su”, si raggiunge la conoscenza di secondo livello, non quella soltanto procedurale ma quella che diventa competenza, che pertiene cioè al saper agire.

Un’idea di scuola

Lavorare per EAS, infine, significa per l’insegnante non solo applicare un metodo ma assumere una postura di fronte alla scuola e all’insegnamento della storia che segna una  discontinuità rispetto alla modalità tradizionale ma che ne mantiene anche  il fine ultimo: assumere un punto di vista storico e promuovere senso critico per diventare cittadini democratici e solidali, che nel tempo del regime informativo detto “della postverità” provino a distinguere tra la verità storica  insegnata  a scuola e le false verità sui temi storici all’interno di una riflessione sulla cittadinanza digitale con la storia è al centro[24].

Solo un docente “incompiuto”-  come ha ben spiegato Pier Cesare Rivoltella nel saggio Un’idea di scuola [25] –  può affrontare questa complessità: chi è sempre in ricerca,  chi coniuga il rispetto dell’epistemologia della disciplina con il confronto con la contemporaneità, chi è aperto  ai consumi culturali delle studentesse e degli studenti, chi si propone di renderli sensibili e aperti ai valori di solidarietà, tolleranza, empatia, interesse verso l’altro, desiderio di appartenere a una comunità, anche piccola, come la propria classe, a sviluppare interesse per quello che succede nel vicino e lontano da dove si vive.

Link utili 
Bibliografia 

Metodo EAS

  • P. C. Rivoltella,  Che cos’è un Eas?Le idee, il metodo, la pratica,  La Scuola, Brescia 2016.
  • P. C. Rivoltella, Didattica inclusiva con gli EAS, La Scuola, Brescia 2015.
  • P. C. Rivoltella, Fare didattica con gli EAS, La Scuola, Brescia 2013.
  • E. Bricchetto, Fare storia con gli EAS. A lezione di Mediterraneo, ElS – La Scuola, Brescia 2016.
  • G. Canni, Didattica interculturale con gli EAS. L’aula come spazio narrativo di inclusione, Scholé, Brescia 2018.
  • F. Fiore, G.Morrone, Esercizi di pensiero. Fare filosofia con gli EAS (2019), Scholé, Brescia 2019.
  • S. Messina, Progettazione e valutazione inclusiva con gli EAS. Metodologie, ricerche strumenti, prefazione di P.C. Rivoltella, Aracne, Roma 2022.
  • N. Scognamiglio, Narrazioni audiovisive. Ambienti per progettare Episodi di Apprendimento Situato, ELS La Scuola, Brescia 2017.

Didattica e Media and Information Literacy

  • E. Damiano, La mediazione didattica. Per una teoria dell’insegnamento, Franco Angeli, Roma 2013.
  • F. Fiore, Crisi della scuola e nuovi adolescenti, in Giovani “Nuova secondaria”, 9, 2016.
  • L. Floridi, La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo, Raffaello Cortina, Milano 2017.
  • J. Potter, J. McDougall, Digital Media, Culture & Education. Theorising Third Space Literacies, Palgrave Macmillan, London 2017.
  • P. C. Rivoltella, Neurodidattica. Insegnare al cervello che apprende, Raffaello Cortina, Roma 2012
  • P. C. Rivoltella, La previsione. Neuroscienze, apprendimento, didattica, La Scuola, Brescia 2014
  • P. C. Rivoltella, Un’idea di scuola, Morcelliana Scholè, Brescia 2018
  • P. C. Rivoltella, Nuovi alfabeti. Educazione e culture nella società post-mediale, Morcelliana Scholé, Brescia 2020
  • P. C. Rivoltella, Drammaturgia didattica. Corpo, pedagogia, teatro, Morcelliana Scholé, Brescia 2021.
  • P. C.Rivoltella, E. Bricchetto, F. Fiore (a cura di ) Media, storia, cittadinanza, La Scuola, Brescia  2012, pp. 41-54.
  • S. Pasta, Razzismi 2.0. Analisi socio-educativa dell’odio online, Scholè, Brescia 2018.
  • S. Pasta, Postverità e datificazione. Nuove conoscenze e nuove consapevolezze dall’educazione civica digitale, “Scholé. Rivista di educazione e studi culturali”, 2-2021.

Epistemologia e didattica della storia  

 


Note:

[1] Cfr. E. Bricchetto, L’EAS, la lezione Blended, in Didattica Digitale, Integrata, “EaS. Essere a scuola”, numero speciale, Open Access, aprile 2021  http://www.morcelliana.net/essere-a-scuola/4160-essere-a-scuola-fascicolo-speciale-la-scuola-a-casa-un-anno-dopo.html

[2]  Cfr. L. Floridi, The Onlife Manifesto Being Human in a Hyperconnected Era, 2015, Open Access, https://link.springer.com/book/10.1007/978-3-319-04093-6 La monografia di Luciano Floridi di riferimento su questi temi è La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo, Milano, Raffaello Cortina, 2017; si veda anche Iperstoria e storia onlife, intervista a L.Floridi, Summer School 2020 (7^ edizione), Istituto Nazionale Parri, a cura di Agnese Portincasa https://www.youtube.com/watch?v=-2UOJOkdYt8&list=PL13Gqk113aymvpMm6jEKxavmLcn5L-FxT&index=5

[3] A. Granata, S. Pasta, Quando la Storia risuona in classe. Strategie didattiche e relazionali per facilitare il dialogo e costruire una coscienza collettiva, “Annali online della Didattica e della Formazione Docente”, Vol. 14, n. 23/2022, p.3.

[4] N. Strizzolo, Che cos’è la “Flipped Classroom” pro e contro, “Agenda digitale”, 8 febbraio 2018 https://www.agendadigitale.eu/scuola-digitale/capire-la-flipped-classroom-pro-e-contro/;  M. Maglione, F. Biscaro, La classe capovolta. Innovare la didattica con il flipped classroom, Trento, Erickson, 2014; G. Cecchinato, R,. Papa, Flipped classroom. Un nuovo modo di insegnare e apprendere, Torino, Utet, 2016; C. Spalatro, G. Palladino,  Didattica capovolta: italiano, storia e geografia. Percorsi con la flipped classroom per la scuola secondaria di 1º grado. Con aggiornamento online, Trento, Erickson, 2019. Per un confronto tra le diverse metodologie

Micro-progettazione:pratiche a confronti. Propit, Eas, Flipped, (2016), a cura di  Rossi P.G. –  Giacone, C.   scaricabile gratuitamente all’indirizzo http://ojs.francoangeli.it/_omp/index.php/oa/catalog/book/149.

[5] Si tratta di materiali che il docente aggiunge  perché immagina che alcuni studenti possano avere più difficoltà a svolgere l’attività. Sono schede di supporto che comprendono glossari, spiegazioni supplementari o semplificazioni linguistiche. L’obiettivo è che a casa, in autonomia, tutti possano svolgere la consegna.

[6] S. Messina, Progettazione e valutazione inclusiva con gli EAS. Metodologie, ricerche strumenti, prefazione di P.C. Rivoltella, Roma, Aracne, 2022.

[7]L’EAS Bambini a Sarajevo  è stato realizzato in classe e più volte utilizzato in corsi di formazione specifici sul metodo; l’EAS abbiamo tutti la stessa storia è parte dei contenuti digitali messi a disposizione dal  sito di della collana Ri-creazioni  dell’editore Chiarelettere e fa parte del materiale che accompagna il libro di C. Greppi Si stava meglio quando si stava peggio (2020); l’EAS Giorgina Levi a scuola, fa parte del materiale didattico presente nel laboratorio didattico del canale Leggi razziali del sito di Istoreto (www.istoreto.it).

[8] P.C. Rivoltella, Neurodidattica. Insegnare al cervello che apprende, Roma, Raffaello Cortina, 2012; P.C.Rivoltella, La previsione. Neuroscienze, apprendimento, didattica, Brescia, La Scuola 2014

[9] D. Laurillard, Insegnamento come scienza della progettazione. Costruire modelli pedagogici per apprendere con le tecnologie, Milano, Franco Angeli, 2015.

[10] P. Cywińsky,  A lezione di Memoria studiando Star Wars”.  “La Repubblica”,  27 gennaio 2018. Cywińsky è anche autore del saggio Non c’è una fine. Trasmettere la memoria di Auschwitz , Torino, Bollati Boringhieri, 2017. Cfr. E. Bricchetto, Non c’è una fine. Camminare a Auschwitz con P.Cywińsky, “Historia ludens”, 25 gennaio 2017 http://www.historialudens.it/didattica-della-storia/284-non-c-e-una-fine-camminare-a-auschwitz-con-piotr-cyvi-ski.html.

[11] In E. Bricchetto, Fare storia con gli EAS. A lezione di Mediterraneo (Els La Scuola, Brescia, 2016) si presenta un EAS di storia sul tema del Mediterraneo,  con la trattazione di tutte le caratteristiche del metodo, con una riflessione e molti esempi su ogni fase e con la giustificazione di ogni passaggio. Viene esplicitata per intero la progettazione dell’EAS, con le sue finalità educative e le sue specificità, le tre fasi del metodo con azioni da compiere in classe, l’uso degli applicativi in concomitanza dell’allargamento del quadro delle competenze da costruire. E’ affrontato in modo esaustivo come l’EAS valorizzi il rapporto tra passato e presente.

[12] Per approfondire si veda A. Salassa, Fare la storia del secondo Novecento con le canzoni italiane, Novecento.org, n.14, agosto 2020. DOI: 10.12977/nov338 ; I. Pizzirusso, G.Sorrentino, I. Meloni, F. Mantovani e M. Di Legge, Questa è public history? I meme e la storia, Novecento.org, n. 12, agosto 2019 DOI: 10.12977/nov296.

[13] Cfr. J. Gottshall, L’istinto di narrare. Come le storie ci hanno resi umani, Torino, Bollati Boringhieri, 2014.

[14] Traumi seriali. Dalla Grande Guerra di Peaky Blinders alla spiaggia di Dunkirk in V. Colombi, C.Greppi, E. Manera, G. Olmoti, R. Roda,  I linguaggi della contemporaneità. Una didattica digitale per la storia, cit., pp. 139-151.

[15] J. Potter, J. McDougall, Digital Media, Culture & Education. Theorising Third Space Literacies, London, Palgrave Macmillan, 2017.

[16] Con il termine Peering si intendono le pratiche di apprendimento tra pari diffuse nelle culture giovanili cfr. P.C. Rivoltella, Nuovi alfabeti. Educazione e culture nella società post-mediale, Morcelliana, Scholé, 2020, p.78 e sgg.

[17] Cfr. F. Fiore, Memoria, in Media, storia, cittadinanza, a cura di PC.Rivoltella, E, Bricchetto, F. Fiore, Brescia, La Scuola, 2012, pp. 41-54

[18] Cfr. S.Pasta, Postverità e datificazione. Nuove conoscenze e nuove consapevolezze dall’educazione civica digitale, “Scholé. Rivista di educazione e studi culturali”, 2-2021.

[19] Per un’attualizzazione della classe di Freinet in contesto digitale si veda E. Bricchetto, Freinet e la Scuola Moderna, SIM “Scuola Italiana Moderna),,  n.1, 2015.Per approfondire la figura di Freinet Didattica operativa. Le tecniche Freinet in Italia, “Quaderni di cooperazione educativa”, Serie storica, Edizioni Junior, Parma, 2002 e l’esplorazione del sito http://www.icem-pedagogie-freinet.org/.

[20] A. Granata, S. Pasta, Quando la Storia risuona in classe. Strategie didattiche e relazionali per facilitare il dialogo e costruire una coscienza collettiva, “Annali online della Didattica e della Formazione Docente”, Vol. 14, n. 23/2022, pp. 96-112

[21] E. Bricchetto, Fare storia con gli EAS. A lezione di Mediterraneo, cit. p. 86-94

[22] Cfr. C. Heimberg, Perché insegnare la storia oggi?, “Bollettino di Clio”, cit., 105-116.

[23]  E.Damiano, La mediazione didattica. Per una teoria dell’insegnamento, Roma, Franco Angeli, 2013.

[24] A. Granata, S. Pasta, Quando la Storia risuona in classe. Strategie didattiche e relazionali per facilitare il dialogo e costruire una coscienza collettiva, cit., p.99.

[25] Brescia, Morcelliana Scholé, 2018.

Dati articolo

Autore:
Titolo: Il metodo degli EAS: una proposta per affrontare la crisi dell’insegnamento della storia e il confronto con il presente
DOI: 10.52056/9791254693162/13
Parole chiave: ,
Numero della rivista: n.18, dicembre 2022
ISSN: ISSN 2283-6837

Come citarlo:
, Il metodo degli EAS: una proposta per affrontare la crisi dell’insegnamento della storia e il confronto con il presente, Novecento.org, n.18, dicembre 2022. DOI: 10.52056/9791254693162/13

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