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Un libro per riflettere sui luoghi della memoria dei conflitti mondiali

Un libro per riflettere sui luoghi della memoria dei conflitti mondiali

Intervista a Gaetano Dato

Gaetano Dato è dottore di ricerca in storia, titolo che ha conseguito nel 2013 alla scuola dottorale in Scienze Umanistiche dell’Università di Trieste, indirizzo storico, con una tesi dal titolo “I luoghi della memoria dei conflitti mondiali nella Venezia Giulia 1946-65. Un’analisi comparativa nel contesto europeo”. Dal 2006 ad oggi ha lavorato in numerosi progetti educativi per le scuole superiori del Friuli Venezia Giulia e ha continuato a svolgere attività di ricerca. Fa parte del comitato scientifico dell’Istituto regionale per la storia del movimento di Liberazione nel Friuli Venezia Giulia e dell’Istituto Storico della resistenza e della società contemporanea nel novarese e nel VCO “Piero Fornara”. Proprio nella sede dell’Istituto Fornara, a Novara, si è svolta la conversazione con Elena Mastretta nella quale Gaetano Dato ha evidenziato i temi di riflessione presenti nel suo testo Redipuglia: il Sacrario e la memoria della Grande Guerra 1938-1993.

Novecento.org:
Il tuo testo analizza il Sacrario di Redipuglia in un ambito cronologico ben definito: quali sono i motivi di questa scelta?

Gaetano:
In questo volume, mi sono occupato soprattutto del rapporto fra il Sacrario, le commemorazioni e la memoria pubblica della Grande Guerra in Italia. Per questo motivo il titolo del libro sottolinea l’arco cronologico che va dall’inaugurazione del Sacrario nel 1938, all’ultima cerimonia avvenuta nella cosiddetta prima Repubblica, nel novembre del 1993. Tuttavia ho cercato di inserire la questione in un discorso più ampio riguardante le memorie pubbliche del primo conflitto mondiale in Europa e nella penisola, sin dalla fine della guerra.

Quali sono le caratteristiche di Redipuglia?

Il Sacrario di Redipuglia fu anche il risultato di un processo di memorializzazione dei campi di battaglia operato prima dall’Italia liberale, e con più forza poi dal fascismo. Nell’Italia repubblicana acquisì presto un ruolo di primo piano, diventando il più importante luogo in cui lo Stato italiano ha commemorato nel tempo la sua partecipazione a quel conflitto. Questo è dovuto anche alle imponenti dimensioni del sito, localizzato nella parte meridionale del fronte dell’Isonzo, quello che ha reclamato il maggior numero di vittime. Infatti il Sacrario di Redipuglia conserva le spoglie di oltre centomila caduti italiani, facendone di gran lunga il maggiore memoriale del primo conflitto mondiale in Italia e uno dei più vasti in tutto il Vecchio Continente.

Ho deciso poi di limitarmi alla fine della prima Repubblica perché dal 1994 si affaccia una stagione politica i cui protagonisti sono ormai troppo distanti sia anagraficamente che ideologicamente dall’esperienza della prima guerra mondiale, che praticamente non hanno più ricordato con particolare attenzione.

Per quale ragione il sacrario del Monte Sei Busi diventa luogo deputato al culto della memoria della Grande Guerra?

Ho già anticipato che il memoriale si trova in quello che fu il fronte dell’Isonzo. Il Monte Sei Busi fu teatro di battaglie sanguinose, e presiedeva alle principali vie d’accesso verso Trieste provenienti dall’Italia. Alcune trincee fanno parte ancora oggi della complesso di Redipuglia, mentre molte altre sono a tutt’oggi visibili nelle sue vicinanze.

Durante il conflitto, in tutta Europa, i corpi dei caduti vennero raccolti in centinaia di cimiteri di fortuna, che punteggiavano i vari fronti; nel nostro caso essi si trovavano nella valle dell’Isonzo, dall’area di Redipuglia fino a nord, ben oltre Caporetto. Tutti i paesi coinvolti dalla prima guerra mondiale cercarono poi di raccogliere, in fasi successive, le salme dei caduti, per collocarli in memoriali che vennero eretti in prossimità dei luoghi di combattimento. Secondo un principio sostenuto in primo luogo dalle varie forze nazionalistiche, tumulare i combattenti periti in battaglia là dove erano caduti, piuttosto che vicino alle proprie famiglie, sarebbe servito a rendere testimonianza del loro sacrificio per la patria, stimolando nei concittadini, e soprattutto nelle nuove generazioni, un’eguale dedizione verso gli ideali nazionali.

Puoi riassumere brevemente la storia del sito?

redipugliaarchiviofotograficoIRSML-FVGA Redipuglia fu inaugurato un primo memoriale nel 1923, per ospitare circa trentamila fanti riesumati nel fronte isontino. Fu però una struttura poco monumentale, che non veniva ritenuta adeguata dalle autorità fasciste, e che fu disprezzata dallo stesso Mussolini. Era concepita sull’idea di ricostituire teatralmente la struttura del purgatorio dantesco. Nel colle sant’Elia furono scavati con l’esplosivo dei gironi concentrici segnati dal filo spinato, alla cui sommità fu eretta una cripta per ospitare il Duca d’Aosta; tutto il colle era puntellato delle lapidi dei caduti, noti e ignoti, dai residuati bellici, e da centinaia di citazioni poetiche che onoravano la memoria non solo dei fanti, ma anche delle armi e degli strumenti che accompagnarono la vita nel fronte, come la bicicletta.

I regime ritenne il primo Sacrario troppo intimista e personale, incapace di esaltare l’esperienza di guerra, e al contempo strutturalmente incapace di reggere al tempo, per la fragilità dei materiali di cui era composto. Fu interamente demolito, per conservarne solo alcune parti, mentre fu costruito il Sacrario che conosciamo oggi sul colle esattamente di fronte al Sant’Elia, cioè il Monte Sei Busi. Alle trentamila salme asportate dal primo mausoleo, se ne aggiunsero altre sessantamila, provenienti da ulteriori riesumazioni.

Questo processo di concentrazione di corpi dei soldati morti in battaglia portato avanti dal fascismo fu sviluppato lungo tutto la linea del fronte italo-austriaco. Nacquero così i Sacrari del Grappa o di Caporetto, tutti però di dimensioni inferiori a quello di Redipuglia.

Dal tuo testo si evince che, nel tempo, sono diversi i significati memoriali di cui Redipuglia viene investita. Proviamo a ripercorrerli.

Il fascismo si fondava sul mito dell’esperienza di guerra, sul combattentismo. Per questo motivo l’Italia fascista fu l’unico dei belligeranti a celebrare anche l’entrata in guerra, il 24 maggio, perché il regime lo riteneva l’inizio dell’avvio della rivoluzione fascista, ovvero di un processo che alla fine avrebbe rinnovato gli italiani trasformandoli antropologicamente nei romani della modernità. In questo senso la rivoluzione fascista fu una rivoluzione mancata, perché portò sì all’instaurazione del regime, ma non trasformò gli italiani in superuomini radicati nella tradizione romana. Redipuglia sarebbe dovuto essere il luogo che più di tutti avrebbe dovuto testimoniare l’eroismo bellico degli italiani e il sacrificio per la costruzione di una nuova Italia; doveva servire a preparare gli italiani a nuovi eroismi, a nuove vittorie dopo quelle in Libia e nell’Africa Orientale Italiana. Durò pochissimo. L’alleanza con Berlino rese difficile celebrare pubblicamente un conflitto che vedeva nemici Italia e Germania, specie dopo l’Anschluss.

Che cosa accade in seguito?

Dopo la seconda guerra mondiale tuttavia, Redipuglia assunse ulteriori significati. Spazzati via gli ideali bellicisti del fascismo, riemerso le prospettive liberali e del vecchio interventismo democratico, che si fondevano a nuove esigenze politiche: nell’immediato dopoguerra, la ricostruzione e la ricerca di una soluzione della questione di Trieste,  e poi il ruolo della penisola nel contesto della guerra fredda.

I centomila caduti di Redipuglia, allora, testimoniavano prima di tutto il sacrificio degli italiani  nella loro prima grande impresa collettiva: quella che da nord a sud li portò a combattere nell’ultima guerra del Risorgimento, con la quale veniva sconfitta per sempre la casa d’Austria, lo storico nemico dell’unità nazionale, e venivano ampliati i confini della nazione oltre Trento e Trieste. Quest’ultima però, a causa dell’esito disastroso del secondo conflitto mondiale, era rivendicata dal 1945, insieme a tutta la Venezia Giulia, anche dalla Jugoslavia, che la seconda guerra mondiale invece l’aveva vinta. Fino a quando la questione di Trieste non fu risolta nel 1954 con la definitiva spartizione della Venezia Giulia e il ritorno delle autorità italiane nel capoluogo giuliano, le cerimonie di Redipuglia erano dei momenti di fortissima partecipazione, con oltre centomila manifestanti, soprattutto ex-combattenti con le loro famiglie, e membri delle istituzioni, ed erano anche rivestite di un ruolo nel conflitto diplomatico con Belgrado.

Nel contesto della guerra fredda, i soldati di Redipuglia più in generale presidiavano simbolicamente la parte meridionale di uno dei confini occidentali col mondo comunista, e questo fu un leitmotiv di gran parte degli interventi dei politici nelle cerimonie fino alla caduta del muro di Berlino.

Inoltre le generazioni di politici che si avvicendarono nei Governi dal 1945 in poi avevano memoria diretta del periodo del 1915-18, oppure erano stati essi stessi ex combattenti. Memorabili gli interventi di Marazza nel 1950 nel corso della riconsacrazione del Sacrario[1], il primo di un esponente delle istituzioni repubblicane – non a caso Marazza fu anche volontario della grande guerra – o del presidente Pertini nel 1978, che fu mitragliere e Cavaliere di Vittorio Veneto.

Che significato si attribuisce in questo momento storico alle celebrazioni di Redipuglia?

In genere il rito di Redipuglia era diventato un momento che la politica italiana usava per riflettere pubblicamente sullo stato dell’identità nazionale e sull’attualità del progetto unitario, il cui culmine era ritenuto proprio il 4 novembre del 1918. Si percepiva nel discorso pubblico la ricerca di una continuità con le tradizioni risorgimentali, che toccò il suo vertice ideologico con gli interventi di Spadolini fra 1981 e 1986.

Non va poi dimenticato che Redipuglia fu e resta ancora oggi un luogo del lutto privato: chi ebbe un parente morto nel fronte dell’Isonzo, è molto probabile che lo sappia sepolto a Redipuglia fra le tombe dei noti o degli ignoti, e questo ha permesso un afflusso costante di visitatori durante tutto l’anno e soprattutto intorno al 4 novembre. Fino a tutti gli anni Ottanta, in occasione delle commemorazioni della vittoria, si potevano ancora contare alcune decine di migliaia di partecipanti.

Che ruolo riveste, nelle celebrazioni ufficiali del calendario Civile il Sacrario oggi?

Il centenario del primo conflitto mondiale ha restituito una certa attenzione verso Redipuglia. Tuttavia a parte alcune sporadiche iniziative nel 2015, non si può dire che in Italia si sia vissuta né da parte delle istituzioni, né da parte della cittadinanza, qualcosa di simile a quanto avvenuto in Gran Bretagna, dove invece nel 2014 la ricorrenza è stata decisamente interpretata con maggiore trasporto. Le commemorazioni del 4 novembre continuano ad vedere la presenza silenziosa di un membro del governo o di una delle più importanti istituzioni nazionali, ma non occupano particolare rilevanza nel quadro del calendario civile come invece avveniva un tempo.

C’è un momento recente che si scosta da questa tendenza?

Uno dei momenti più significativi nell’ultimo periodo, tuttavia, è stata la presenza il 13 settembre del 2014 di Papa Francesco, che peraltro è nipote di un bersagliere piemontese che aveva combattuto sul Piave. Quella del Papa è stata l’unica figura di spicco ad aver pronunciato un discorso pubblico a Redipuglia negli ultimi vent’anni; la sua presenza ha riportato il Sacrario nelle cronache nazionali e internazionali. Il suo discorso è stato incentrato sulla condanna di quel conflitto, accompagnata da una veemente accusa agli “affaristi della guerra”. Non ha poi mancato di visitare il vicino cimitero austro-ungarico.

Qual è la partecipazione alle cerimonie, oggi?

Nonostante tutto, qualche centinaio di persone e qualche scolaresca ancora partecipa alle cerimonie del 4 novembre, insieme alle rappresentanze delle quattro armi e delle istituzioni. Nel corso dell’anno il Sacrario resta comunque un posto abbastanza frequentato sia dai turisti che dalle scuole, sia per la sua facile accessibilità che per la sua imponenza e unicità. Centomila caduti sono comunque una presenza che non può restare priva di significato. Testimoniano l’immenso sacrificio degli italiani, e in generale dei popoli europei, nella carneficina del primo conflitto mondiale, che poi è stato l’inizio di una serie di tragedie che hanno colpito il vecchio continente fino al 1945.

Il sacrario ha ancora oggi una funzione particolare, soprattutto per le giovani generazioni?

C’è la questione aperta del rapporto di Redipuglia con l’identità nazionale italiana. È chiaro che la pedagogia della patria tramite l’esempio degli eroismi di antiche imprese belliche non possa più avere alcun appiglio né coi giovani, né con gli adulti. Resta il fatto che visitare Redipuglia e le vicine trincee, che sono ottimamente conservate, rendersi conto di tutte quelle morti, di quelle ossa, possono essere un’esperienza che dà concretezza alla conoscenza storica di una guerra che potrebbe sembrare lontana, ma che invece così lontana non è, e che al contrario influenza ancora profondamente l’assetto non solo dell’Europa, ma di tutta l’area del Mediterraneo, specie del Medio Oriente.

trincee redipuglia

Che cosa si potrebbe fare per tornare ad una nuova valorizzazione pedagogica del luogo?

È importante che le istituzioni favoriscano la visita degli studenti e dei turisti al Sacrario, migliorando i collegamenti, magari riattivando la stazione di Redipuglia, e dotando il museo ai piedi del colle Sant’Elia di una esposizione adeguata ai tempi, di cui la struttura è del tutto priva.

Tornare a visitare i campi di battaglia e i Sacrari, magari con lo spirito disincantato e curioso che ben ha espresso Marco Mondini nel suo recente volume sull’argomento, sia un momento importante per la nostra costruzione di un identità di cittadini italiani ed europei in un momento di grande fragilità del Vecchio Continente.

Puoi fornirci una bibliografia di base per avvicinarci a questo tema?

Questi due testi sono tra i più importanti per inquadrare le questioni del confine orientale: Apih, Trieste, Laterza, Bari 1988 e Cattaruzza, L’Italia e il confine orientale 1866-2006, Il Mulino, Bologna 2008. Per quanto invece riguarda il rapporto fra l’Italia e la sua memoria pubblica, con particolare riferimento alla Grande Guerra, mi permetto di segnalare i seguenti volumi: Isnenghi, Le guerre degli italiani, 1848-1945, A. Mondadori editore, Milano 1989; Ridolfi, Le feste nazionali, Il Mulino, Bologna 2003; Schwarz, Tu mi devi seppellir. Riti funebri e culto nazionale alle origini della Repubblica, Utet, Torino 2010; Todero, Le metamorfosi della memoria. La Grande guerra tra modernità e tradizione, Del Bianco, Udine 2002.

Uno sguardo europeo sul tema della memoria pubblica del primo conflitto mondiale è possibile trovarlo nelle seguenti pubblicazioni: Fussel, La Grande guerra e la memoria moderna, Il Mulino, Bologna 2000; Mosse, Le guerre mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti, GLF editori Laterza, Roma-Bari 2002; Winter, Il lutto e la memoria. La Grande guerra nella storia culturale europea, Il Mulino, Bologna 1998.

Un testo fantastico per prepararsi con lo spirito giusto alla visita ai Sacrari e ai campi di battaglia è questo: Mondini, Andare per i luoghi della grande guerra, Il Mulino, Bologna 2015.


Note:

[1] L’archivio di Achille Marazza presso la Fondazione Marazza di Borgomanero (NO)  sua città natale, è stato oggetto di un recente riordino realizzato grazie all’assegnazione di una borsa di ricerca scientifica “Master dei talenti della Società Civile” da parte di Fondazione CRT e Fondazione Giovanni Goria e con il contributo del Settore Biblioteche, Archivi e Istituti Culturali della Regione Piemonte. Oggi il documento, la cui collocazione all’interno dell’Archivio Marazza è FMB 657, può essere consultato facendo riferimento alla scheda archivistica http://win.fondazionemarazza.it/web/lnx-archivio-marazza.asp?id=373.