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Gli studi di caso. Insegnare storia in modo partecipato e facile

Gli studi di caso. Insegnare storia in modo partecipato e facile

Che cosa è uno studio di caso
Un docente durante la sua lezione usa dei documenti. Racconta una storia; ogni tanto si interrompe. Mostra un documento e fa vedere in che modo la storia che racconta viene confermata, illustrata, problematizzata dal quell’oggetto del passato. La sua attività comunicativa si basa su tre elementi:

  • La lezione (un testo orale)
  • Uno o più documenti
  • I raccordi fra questi documenti e la lezione

Ora, immaginate di dare ai vostri allievi solo due di questi elementi: la lezione (che potremmo considerare un “testo”) e dei documenti e di invitarli a cercare loro i raccordi. Se fate così, avrete costruito uno “studio di caso”. Se sarà efficace e o meno, dipenderà dalla qualità del testo e dei documenti, e dalla qualità del pezzo di storia che avrete scelto: non da questa tecnica didattica.

Gli studi di caso nello strumentario didattico
Questo strumento entra nel novero delle didattiche partecipate, un termine con il quale possiamo indicare il complesso di attività, con le quali non si comunica agli allievi una conoscenza storica compiuta (come succede attraverso la lezione, o la visione di un film, di un documentario o durante una visita guidata), ma si chiede loro di collaborare alla costruzione di questa conoscenza. Rientra nell’alveo delle didattiche costruttitiviste. In particolare, si colloca a metà fra il documento strutturato, così come viene di solito presentato nella manualistica italiana, e il laboratorio storico, così come è stato elaborato in Italia (historia ludens, Clio92, rete didattica dell’Insmli, ecc).

Cosa non è lo studio di caso
Lo studio di caso è più semplice di un laboratorio. Più facile da costruire e da svolgere in classe. Rapido, può durare anche una mezz’ora. In questa ipotesi di lavoro, cercheremo di contenerlo nei limiti di un’ora.
E’ meno inutile di un documento strutturato. Infatti, un documento con le domande guida per la sua comprensione, non è altro (dal punto di vista dell’apprendimento) che un testo normale, corredato da domande di comprensione. Perde, dunque, la sua specificità di documento e si allinea agli altri testi, contenuti nel manuale. Il docente incassa semplicemente il fatto che l’allievo (se tutto va bene) capisce che cosa dice quel documento. Ma dovrebbe mettere nel conto che, attraverso questa attività, non acquista nessuna abilità storica specifica (nonostante le liste di competenze, sbandierate spesso dai manuali).
Uno studio di caso, però, consente meno aspettative didattiche del laboratorio storico. Questo, infatti, di per sé punta sempre a un doppio obiettivo: il raggiungimento di una conoscenza, e l’acquisizione di alcune capacità di ragionare storicamente. Lo studio di caso punta fondamentalmente al trasferimento di una conoscenza. Un trasferimento attivo, però. Come se all’allievo si consegnassero gli elementi di una scatola di montaggio, con delle brevi istruzioni per l’uso.

Lo studio di caso e la realtà italiana
L’esperienza degli ultimi trent’anni ci ha mostrato che (almeno in Italia) gli insegnanti integrano con grande difficoltà la didattica diretta con quella partecipata. Possiamo pensare che una parte di questa difficoltà sia dovuta alla cura e al tempo che richiede lo svolgimento di un laboratorio o di un gioco didattico o altre strutture didattiche molto complesse. Lo studio di caso, perciò, può essere una buona mediazione fra tradizione e modernità. Gli studi di caso, perciò, potrebbero essere proposti come una struttura didattica da inserire anche nel corso di una programmazione tradizionale, composta prevalentemente da lezioni.
In una versione professionale più elaborata, una programmazione potrebbe essere composta da un certo numero di lezioni; uno o due laboratori; una o due esperienze “di rottura”, come escursioni studio (in luogo delle visite guidate) o giochi (finalmente previsti dai programmi di base) e, infine, un buon numero di studi di caso.

Non si tratta di strumenti alternativi
Una dei luoghi comuni da smontare è che si tratti di strumenti alternativi (a seconda dei punti di vista buoni o cattivi). Occorre entrare nell’ordine di idee che ogni strumento didattico consente più facilmente di raggiungere certi obiettivi. Una lezione comunica con rapidità alcuni quadri generali (più di qualsiasi laboratorio). Al contrario, comunicare delle nozioni metodologiche o epistemologiche attraverso una lezione è una fatica improba: cosa che riesce molto più facile attraverso un laboratorio.
Quali obiettivi, allora, ci potremmo aspettare da uno studio di caso? Direi che in prima approssimazione, quello tipico di ogni didattica partecipativa: il coinvolgimento. Non è un obiettivo da sottovalutare, soprattutto nel campo dell’apprendimento della storia, materia, com’è ormai noto da un buon numero di rilevazioni, che non sollecita in modo particolare l’interesse degli allievi. In una seconda approssimazione, suggerirei un approccio empirico:
Una volta costruito lo studio di caso, provate a risolverlo e ragionando sulle le vostre operazioni mentali stilate una lista (contenuta) di obiettivi. Poi, confrontate questa lista con i traguardi di competenza previsti dai programmi e scegliete quelle che più vi si confanno.

Attenti ai fondamentalismi
Se sfogliate un manuale francese (ma anche di altri paesi), scoprirete che i testi – intesi come brani nei quali si racconta un determinato periodo storico – sono spariti. I manuali sono diventati una raccolta di studi di caso. Non mi pare una buona soluzione. I racconti servono (e cercheremo di riprenderli nella versione di studi di caso che qui propongo), così come servono gli studi di caso. Si tratta di un fondamentalismo costruttivista già contestato da vari studiosi. Ci conviene tenerne conto.

Quanti tipi di studi di caso?
Potremmo classificarli in vari modi, a seconda della documentazione adoperata. Potremo distinguerli allora come studi con documentazione scritta, iconografica, mista, con dossier che contengono anche testi storici, o solo documentari ecc. Ma, visto che – come abbiamo visto – è la relazione fra testo e documenti, quella che definisce uno studio di caso, preferirei una classificazione che abbia al centro questo aspetto. Quindi possiamo avere studi di caso nei quali i documenti:

a. svolgono il ruolo di illustrazione del testo
b. aggiungono informazioni a quelle presenti nel testo
c. permettono di porre un problema storico o storiografico

Ovvio osservare che questi modelli si possono sovrapporre e che in un solo studio di caso è possibile immaginare i tre livelli di attività. Tuttavia, mi sembra utile descriverli singolarmente.

Attività didattica e obiettivi: i documenti illustrano i testi
L’attività didattica dipenderà, quindi, dal tipo di relazione che avremo ipotizzato. Nel primo caso si tratterà di stabilire i collegamenti tra le frasi del testo e le parti corrispondenti del documento. La relazione potrà essere immediata, facilmente leggibile. Oppure potrà richiedere attenzione, qualche ragionamento: in questo caso, l’esercizio sarà arricchito dall’invito a spiegare la relazione. Al termine, si chiederà di “raccontare a parole proprie quel fatto, integrando nel racconto i documenti”. Fermo restando che le “competenze” le stileremo al termine del progetto, possiamo ipotizzare che in questo modello di studio di caso, si sollecita la capacità di stabilire connessioni, di comprendere testi (più o meno complessi), di usare un certo numero di connettivi: “a questo proposito”, “ciò si osserva”, “come mostra questo documento”, “come si vede”, “come dice” ecc. Direi che in un pacchetto didattico completo, l’elenco di queste possibili connessioni può diventare un buon strumento per avviare un ulteriore obiettivo, questa volta molto più interessante: la scrittura di un testo referenziato (narrazione con riferimenti interni o esterni – con le note – alla documentazione). Ovvie le varianti orali di questa attività didattica.

Attività didattica e obiettivi: i documenti che aggiungono informazioni
Uno studio di caso del primo tipo potrà anche appartenere a questa classe. Per realizzarla, bisogna fare molta attenzione al testo che si scrive. Pensiamolo quindi molto legato alla documentazione, in modo che sia facile, per il lettore inesperto, capire che nel documento egli trova altre notizie, che potrà aggiungere a quelle riportate nel testo. Per realizzare questa operazione, l’allievo è costretto a leggere il testo con molta attenzione. A volte lo deve leggere fra le righe. Se il documento è iconografico, dovrà lavorare molto di più, per capire che cosa aggiunge al fatto che, per esempio, parlando di Hitler se ne vede la foto (semplice relazione del primo tipo). Se si tratta di un documento geografico o una tabella, dovrà certamente elaborare i dati che ne estrae, per ricavare informazioni aggiuntive.
Si tratta di un modello molto duttile. Possiamo immaginarne versioni facili, in cui “basta aggiungere” un’informazione che già il documento ci spiattella; o versioni di grado alto, che richiedono letture esperte della documentazione.
E’ probabile che in questo modello sia necessaria una cura didattica maggiore (domande guida, raccomandazioni metodologiche ecc). E, naturalmente, la competenza testuale richiesta potrà essere superiore. A volte per integrare nuove informazioni occorre riformulare la struttura del testo, cosa che nel modello precedente non è necessariamente richiesta.

Attività didattica e obiettivi: i documenti che aprono un problema
Tratto questo modello solo per mostrare la duttilità di questo strumento. Dal punto di vista del lavoro storico è sempre così. I documenti, se ben letti, aprono sempre un problema storico. Appunto: ma leggerli “bene” (cosa che lo storico non sempre tiene presente) significa avere una cultura storica professionale e una conoscenza approfondita di quel tipo di documentazione. Dunque, in prima approssimazione, consiglierei, se si vuole realizzare questo modello di studio di caso di lavorare in un campo che si conosce professionalmente, oppure, di rifarsi a un libro o un articolo che ne parla e dal quale si possono facilmente compiere due operazioni:

  • capire il problema
  • individuare un piccolo numero di documenti, necessari per affrontare quel problema

In fin dei conti, questo modello di studio di caso è quello che si avvicina di più a quello di un buon laboratorio storico. E come questo risulta il più desiderabile, ma anche il più complicato da realizzare. Soprattutto perché occorre rispettare la regola fondamentale di questo strumento: la brevità.
Dal punto di vista delle competenze, quest’ultimo modello è quello che punta a quelle di qualità.

Il testo di uno studio di caso
Da quanto abbiamo visto, per costruire uno studio occorre fare attenzione anche al modo di scrivere il testo iniziale.
E’ abbastanza agevole ricavare da queste considerazioni che i testi dei tre modelli potrebbero essere costruiti in modo diverso. I primi due sono decisamente narrativi. Il terzo, con ogni probabilità, potrà essere argomentativo (gli storici discutono su questo tema, non sanno risolvere questo problema, provaci tu con i documenti seguenti).

Il testo esperto
Mentre l’allievo si troverà fra le mani un piccolo pacchetto di materiali (come misura corrispondente a una doppia di un manuale), il docente avrà bisogno di un testo che gli racconti per bene il fatto storico, con qualche riferimento storiografico, o che gli spieghi il problema. Un testo che lo aiuti (soprattutto se lo studio ha come oggetto un caso particolare, come l’orientalismo o come un evento micro) a contestualizzare l’attività nell’ambito della programmazione.
Questo testo, dunque, deve servire al docente per capire la questione, la sua importanza, contestualizzarla e, eventualmente, cercare altre informazioni. All’allievo, infatti, viene offerto solo ciò che riguarda strettamente il tema scelto.

Riassumendo:
Per stilare uno studio di caso occorre scrivere o mettere a punto:

a. un testo esperto per i docenti. Scritto con linguaggio professionale. Lunghezza massima tre cartelle. Bene se corredato da bibliografie e sitografie. Evitiamo motivazioni didattico-pedagogiche (queste, magari, le metteremo in testa alla nostra raccolta)
b. un testo per gli allievi. Max 60 righe. Scrittura possibilmente facilitata (evitare eccessive ipotassi, spiegare all’interno del testo le parole difficili, frasi brevi, evitare i riferimenti a questo o a quello). Un testo possibilmente autosufficiente, rispetto al tema che vogliamo trattare.
c. Un dossier variamente composto: soli documenti, documenti più brani storiografici, tabelle, immagini, cartine. Un numero contenuto di pezzi. Ciascuno non deve essere eccessivamente lungo. Quindi li possiamo “scorciare”, rispetto alle nostre esigenze. Ogni documento va corredato delle sue corrette indicazioni identificative.
d. Una indicazione metodologica concisa: nei documenti ci sono delle informazioni aggiuntive rispetto al testo. Trovale e integrale. Ecc.

Nell’immagine in evidenza: Adrien van Ostade, Le Maître d’école, daté 1662