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La controstoria neoborbonica: il racconto di un altro Risorgimento

La controstoria neoborbonica: il racconto di un altro Risorgimento
Abstract

Negli ultimi anni sono fiorite molte letture alternative sulle vicende legate al Risorgimento italiano e sugli scaffali delle librerie sono sempre più numerosi saggi che offrono immagini polarizzate, dicotomiche e provocatorie del nostro Risorgimento, tanto da suscitare l’interrogativo se esista ancora una memoria comune largamente condivisa sugli avvenimenti relativi al periodo risorgimentale e quale sia il ruolo della storia del Risorgimento nel dibattito pubblico odierno.
Proprio per rispondere, almeno in parte, a questi quesiti l’articolo esamina il ruolo della controstoria neoborbonica nell’attuale dibattito pubblico e storiografico. Attraverso l’analisi dei saggi più popolari, il profilo degli autori, la descrizione del loro successo e le principali polemiche suscitate dalle loro argomentazioni si vuole ricostruire come questa lettura alternativa sia entrata nel dibattito pubblico e come sia riuscita ad ottenere visibilità e successo uscendo da una collocazione di nicchia.

La controstoria neoborbonica

Il Risorgimento, assieme ad altri momenti cruciali della nostra storia nazionale (fascismo e resistenza), è oggi, come lo è stato in alcune altre fasi del passato, oggetto di attenzione, polemica e dibattito tra diverse letture e interpretazioni. Si tratta, in gran parte, di un interesse che non ambisce a generare un serio e ponderato dibattito storiografico ma piuttosto un uso pubblico della storia finalizzato a rivisitazioni estreme o ad attualizzazioni ai fini del dibattito politico odierno. Le complesse dinamiche del processo di unificazione, i suoi indiscussi limiti e vizi d’origine sono dunque oggi terreno fertile per interpretazioni radicali e sensazionalistiche che pretendono di indicarci in maniera troppo elementare un buono e cattivo o un giusto e sbagliato. Lo scopo è quello di riproporre un’altra storia del Risorgimento che metta in discussione la bontà del processo unitario, ne esalti i momenti poco nobili – evidenziando crimini, furti, torti, eccidi, persecuzioni, tradimenti e imbrogli subiti dal Mezzogiorno d’Italia e perpetrati dai Savoia durante il processo di unificazione nazionale – e rifiuti una lettura condivisa di questo momento della Storia d’Italia.

Tre sono i principali leit motiv retorici sui quali gli autori neoborbonici hanno costruito le loro argomentazioni:

– la rilettura – spesso provocatoria – di documenti, testi, dichiarazioni ed eventi del passato (già dal titolo di alcuni saggi possiamo avvertire la vis polemica: Risorgimento disonorato, Terroni, I vinti del Risorgimento, I Lager dei Savoia);

– l’affermazione dell’esistenza, da centocinquant’anni a questa parte, di una monolitica storiografia ufficiale impegnata a proporre una visione agiografica e irenica del Risorgimento;

– la convinzione che le loro tesi siano vittime di un complotto ordito dalle lobby accademiche con i mass-media più popolari per rigettate le loro argomentazioni senza contradditorio e per nasconderle all’opinione pubblica.

Immagine tratta da eteduesicilie.blogspot.it

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La ricerca storica si sviluppa e si è sempre sviluppata a partire da revisioni e ritrovamenti di nuovi documenti che aiutassero a dettagliare, argomentare, reinterpretare fasi più o meno note del passato. La storiografia dei neoborbonici talvolta riscopre fatti e sviluppi ampiamente conosciuti dalla storiografia, pubblicizzandoli in modo scandalistico; talvolta valorizza elementi considerati marginali, considerando questa interpretazione di marginalità un complotto ai danni della loro argomentazioni; più marginalmente ha permesso di rimettere al centro dell’attenzione storiografica questioni ormai da tempo trascurate o comunque non sufficientemente studiate, ma spesso strumentalizza o altera la ricostruzione storica con l’obiettivo di screditare l’intero processo risorgimentale.

Ecco quindi in estrema sintesi le principali argomentazioni neoborboniche:

• il sud Italia nel 1860 era ben governato e la sua popolazione viveva felice sotto uno Stato, quello borbonico, che aveva raggiunto vari primati;

• il Regno di Sardegna era sull’orlo del default finanziario e quindi obbligato al reperimento di risorse finanziarie aggiuntive;

• il Regno delle Due Sicilie nel 1860 fu vittima di una aggressione straniera, senza una dichiarazione di guerra, da parte di truppe irregolari (i Mille) e di uno Stato estero (il Regno di Sardegna);

• il Regno borbonico fu al centro di un complotto internazionale, ordito dalle principali potenze straniere (in primis la Gran Bretagna) per il controllo del Mediterraneo;

• la spedizione dei Mille non fu un movimento di liberazione nazionale a cui parteciparono attivamente anche le popolazioni meridionali ma un atto di guerra sovvenzionato dalla massoneria inglese e in cui fu minima la partecipazione degli abitanti del meridione d’Italia;

• la spedizione garibaldina e la successiva spedizione militare sabauda ebbero la meglio grazie alla corruzione degli ufficiali dell’esercito borbonico;

• i militari dell’esercito borbonico furono, alla fine delle ostilità, deportati in massa in veri e propri campi di concentramento nell’Italia settentrionale dove in gran parte morirono;

• il brigantaggio fu una vera e propria guerra di liberazione nazionale effettuata da poveri contadini contro l’invasore straniero, che per sconfiggerlo perpetrò veri e propri eccidi contro le popolazioni meridionali (Casalduni e Pontelandolfo);

• il risultato dell’unificazione fu una “piemontizzazione” dell’Italia meridionale che fu depredata delle sue ricchezze e ridotta a fanalino di coda del nascente stato italiano in favore delle popolazioni del nord Italia.

A prescindere dal valore storico delle questioni poste, negli ultimi anni la strategia dei principali esponenti di questa matrice revisionistica è stata quella di ingaggiare dei duelli a colpi di articoli, saggi e libri contro qualsiasi esponente della storiografia accademica che cercasse di portare alla ricerca storiografica un contributo a loro non gradito.

Le cause di questa continua polemica sono state perfettamente descritte da Maria Pia Casalena nel suo saggio Controstorie del Risorgimento: dal locale al nazionale (2000-2011):

Le questioni agitate da questa produzione appartengono in buona parte ad un insieme di problemi che da tempo determinano l’atteggiamento degli storici italiani verso il rapporto tra unificazione nazionale e Mezzogiorno. Senza dimenticare che già Rosario Romeo aveva posto sul tappeto nodi cruciali, quali gli effetti della «piemontesizzazione», le contraddizioni e le slealtà dell’agire cavouriano, il brigantaggio come «guerra civile», per passare ad anni più recenti è perlomeno opportuno ricordare che diversi autori appartenenti in pieno alla comunità scientifica – si pensi a Spagnoletti e a Bevilacqua – hanno proposto bilanci dell’esperienza borbonica più positivi che negativi. […] Il discrimine col revisionismo non passa dunque tanto per la volontà di mettere in evidenza i chiaroscuri, quanto piuttosto per la verve polemica che, presso gli autori neoborbonici o comunque “controcorrente”, serve alla causa della completa delegittimazione del processo unitario. Come dire che i revisionisti portano avanti un discorso che si appoggia sulla storia per trovare dei puntelli di autorevolezza, mentre la storiografia scientifica appare intenzionata a spiegare con maggior equilibrio, con diversi strumenti analitici e con un’attitudine più problematica verso fonti che in molti casi sono le stesse, le cause profonde di una questione meridionale intesa come parte integrante della vicenda nazionale contemporanea [Casalena 2012].

Il Risorgimento: terreno di scontro nel dibattito pubblico odierno

Un affresco del Regno delle Due Sicilie, prima della spedizione garibaldina, molto simile a un paese idilliaco e una narrazione dei torti e soprusi subiti che per violenza e brutalità raccontata non ha nulla da invidiare ai tragici stermini novecenteschi sono gli argomenti basilari usati dagli autori neoborbonici per delegittimare il processo unitario, vera e unica causa, a loro dire, delle attuali condizioni di arretratezza economica delle regioni meridionali. Ecco allora che dirimere la questione delle condizioni sociali ed economiche del Mezzogiorno d’Italia pre-unitario diventa, per il revisionismo neoborbonico, un punto focale per provare il danno subito dalle popolazioni meridionali con l’avvento dell’Unità. Dimostrare che i livelli di sviluppo economico e sociale nella prima metà dell’Ottocento erano paragonabili a quelli degli altri Stati italiani se non addirittura più elevati documentando che nel 1860 le regioni meridionali erano sostanzialmente al passo con il resto d’Italia significa infatti provare che l’attuale annosa questione del divario nord-sud è un prodotto di politiche sbagliate post-unitarie.

Con queste parole, Pino Aprile nel suo best-seller Terroni individua i termini del dibattito dal punto di vista neoborbonico:

Quel che gli Italiani venuti dal Nord ci fecero fu così spaventoso, che ancora oggi lo si tace nei libri di storia e nelle verità ufficiali; si tengono al buio molti documenti che lo raccontano. Una parte dell’Italia, in pieno sviluppo, fu condannata a regredire e depredata dall’altra, che con il bottino finanziò la propria crescita e prese un vantaggio, poi difeso con ogni mezzo, incluse le leggi. La questione meridionale, il ritardo del Sud rispetto al Nord, non resiste “malgrado” la nascita dell’Italia unita, ma sorse da quella e dura tuttora, perché è il motore dell’economia del Nord. [Aprile 2010]

Immagine tratta da www.insorgenza.it

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L’argomento dell’attuale arretratezza delle regioni meridionali diventa così terreno di scontro nel dibattito pubblico odierno – in cui gli attuali abitanti del Sud Italia sono rappresentati anacronisticamente come le vittime dei soprusi del passato e quelli del Nord come i responsabili di queste politiche – per rivendicare il depauperamento subito, per giustificare le attuali differenze e, in ultima analisi, per suscitare indignazione e rancore nel lettore meridionale che si avvicina alle pagine dei testi del neoborbonismo. Siamo di fronte allora a un uso pubblico e politico della storia che impone un appiattimento sul presente delle vicende storiche analizzate, con l’inevitabile perdita di una visione storica che le contestualizzi nel periodo analizzato.

È opportuno segnalare però che le strategie comunicative neoborboniche hanno goduto negli ultimi anni di canali di diffusione e divulgazione impensabili fino a qualche decennio fa; è infatti innegabile un differente atteggiamento rispetto al passato di una parte dei media nel “raccontare” la storia – in particolare di quotidiani nazionali come il milanese «Corriere della Sera» e il giornale torinese «La Stampa» – che ha contribuito in maniera determinante a rilanciare e pubblicizzare letture controcorrente e sensazionalistiche dei grandi eventi storici.

Paolo Mieli, già direttore de «La Stampa» e del «Corriere della Sera», addirittura ritiene che contro questa storiografia «si usa l’arma del non citarla, del non analizzarla, dell’evocarla in una nota spregiativa per abbatterla in blocco, salvo poi qualche anno dopo recuperarne le tesi nella loro quintessenza e metabolizzarle nella cultura dominate».

Enrico Francia in Risorgimento conteso. Riflessioni su intransigenti, giornalisti (e storici) nota con attenzione e precisione che:

Solide ricerche e pamphlets sono stati spesso posti sullo stesso piano purché fossero funzionali alla destrutturazione di gerarchie del sapere che si ritenevano superate o poco funzionali al mutamento del quadro politico-istituzionale. Un tale intervento sul senso comune storiografico è avvenuto con gli strumenti tipici dei giornali: una questione storiografica esiste solo se esistono due contendenti, due posizioni inconciliabili tra loro, che rispecchino possibilmente una destra e una sinistra. Ha peso e significato solo il giudizio apodittico e definitivo, e ogni valutazione sul passato va al più presto ritrascritta in funzione dell’oggi. Fonti utilizzate, effettiva utilità di una tesi o di una ricostruzione, metodo, sono considerati spesso vaniloqui per eruditi e non costituiscono certo il terreno sul quale giudicare meriti e valori di un saggio. [Francia 2003]

All’accusa da parte degli storici di professione di manipolazione politica, semplificazione dei problemi, riduzione al sensazionalismo e ricerca dello scoop i giornalisti culturali replicano difendendo le peculiarità della stampa: le pagine di un giornale non sono un’aula universitaria, il linguaggio e lo stile di scrittura deve essere adatto ad un pubblico ampio, le interpretazione offerte devono essere scevre dei tecnicismi del linguaggio accademico.

L’obiettivo principale è quello di una spettacolarizzazione del prodotto offerto che ha privilegiato, come mai in precedenza, la recensione e promozione di una serie di nuovi lavori sul Risorgimento dal forte taglio interpretativo, provenienti da un variegato ambiente di istituzioni, fondazioni e associazioni, compresa la matrice dell’irredentismo neoborbonico. Le caratteristiche essenziali sono la ricerca della novità, l’attenzione al privato, l’esigenza di mostrare una contrapposizione netta tra due tesi, il giudizio categorico e apodittico.

Ci stiamo accorgendo che i conflitti culturali rendono un argomento molto meglio di una generica esposizione. Se noi riusciamo a creare il polo A e il polo B attraverso i quali scocca una scintilla, il lettore dovendo scegliere se ha ragione il polo A o il polo B capisce meglio ciò di cui si sta parlando. Il conflitto è una cosa che delimita i campi, che focalizza l’attenzione.

Queste parole sono sempre di Paolo Mieli; sostenitore e promotore dell’introduzione nelle pagine culturali dei quotidiani di questo nuovo approccio al discorso pubblico sulla storia. Il Risorgimento, così carico ancora di elementi di attualità e conflittualità, è dunque finito in pieno nel tritacarne di un uso spregiudicato della storia; mescolando le opinioni e le recensioni dei più svariati lavori, senza nessun tipo di distinzione, e cercando nuove letture di libri definiti coraggiosi, provocatori e controcorrente.

Il Movimento neoborbonico

Sembra quindi opportuno cominciare l’analisi dai protagonisti di questo dibattiti. Per l’analisi della matrice revisionistica neoborbonica il punto di partenza delle nostre ricerche è l’Associazione culturale Neoborbonica; un movimento culturale nato nel 1993, con una propria struttura sul territorio (non solo nel Mezzogiorno d’Italia) che da anni opera un’incessante attività di organizzazione di convegni, seminari e celebrazioni di anniversari nonché di promozione di libri e saggi di autori legati all’associazione. Questo il manifesto programmatico consultabile nel sito ufficiale dell’associazione (www.neoborbonici.it):

Il Movimento Neoborbonico è un movimento culturale che nasce per ricostruire la storia del Sud e con essa l’orgoglio di essere meridionali. […] Potevamo definirci neogreci, neoaragonesi, ma ci siamo definiti neoborbonici perché con i Borbone, per l’ultima volta, i Meridionali sono stati un popolo amato, rispettato e temuto in tutto il mondo. Attraverso ricerche in archivi e biblioteche, convegni, celebrazioni, pubblicazioni e seminari nelle scuole superiori e tra gli iscritti il Movimento Neoborbonico intende ristabilire la verità storica in particolare per il periodo relativo al risorgimento italiano.

Per troppo tempo sui libri delle scuole elementari come delle università è stata raccontata una storia falsa e mistificata cancellando i nomi di chi, da Francesco II di Borbone all’ultimo dei briganti, ha creduto negli ideali di un’altra storia, stando dalla difficile parte dei vinti e non da quella assai conveniente dei vincitori. In un momento storico, economico e politico come questo è più che mai necessario spiegare agli Italiani le vere cause dell’antica questione meridionale che inizia proprio all’indomani dell’unificazione nel 1860 risolvendo una meno conosciuta questione settentrionale.

Il lavoro del movimento e delle associazioni affini è in sintesi un’opera di sensibilizzazione adottata attraverso una duplice strategia: promozione, tramite convegni e seminari, delle tesi del movimento e degli autori che hanno avuto maggior successo negli ultimi anni; serrata e feroce critica contro qualsiasi storico accademico, giornalista, politico che metta in discussione le argomentazioni del movimento.

Immagine tratta da www.insorgenza.it

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Il dibattito alimentato dai media tra gli ambienti neoborbonici e il mondo accademico ha dunque perso qualsiasi caratteristica tipica del confronto storico (ricerca delle fonti, studio della documentazione, valutazione e confronto oggettivo sui risultati raggiunti) per ridursi a uno scontro fra interpretazioni contrapposte che hanno uguale valore per il solo fatto di essere espresse. Attorno a questo schema si è mosso anche il confronto-scontro su i due casi più eclatanti di polemica e dibattito sorti negli ultimi anni: la vicenda dei soldati borbonici trasportati al Nord in campi di concentramento e quella legata al cranio di un brigante meridionale conteso tra l’amministrazione comunale di un paesino calabrese e il museo di antropologia criminale “Cesare Lombroso” di Torino.

Negli ultimi vent’anni, in concomitanza con l’attività del Movimento Neoborbonico, la storiografia di matrice meridionalista ha ottenuto maggiore visibilità grazie al successo di alcuni autori come Pino Aprile, Fulvio Izzo, Lorenzo Del Boca, Gigi Di Fiore. Il movimento neoborbonico pubblicizza e si serve ampiamente del contributo di questi autori per la sua opera di divulgazione, com’è facilmente riscontrabile dai resoconti di alcuni di questi incontri disponibili nella ricca documentazione del sito internet del movimento; sensibilizzazione e divulgazione sono senz’altro ingredienti importanti in questi incontri ma il vero tratto distintivo del lavoro del movimento è lo stile usato; fortemente polemico, accusatorio e sensazionalistico nel fornire verità a loro dire esclusive e mai prima raccontate da nessuno.

L’incessante attività del movimento ha permesso di tessere attorno alle proprie idee una fitta rete di relazioni trasversali, grazie soprattutto al patrocinio di amministrazioni locali del Mezzogiorno d’Italia del più vario orientamento politico. A dimostrazione che l’appoggio offerto dalla politica è non solo trasversale alle attuali forze politiche in campo ma anche non ideologicamente orientato verso una determinata area politica; un appoggio che sembra allora più il frutto di un’esigenza di marcare, attraverso una rivisitazione storica, le proprie radici e di ottenere maggiore visibilità di fronte all’opinione pubblica. Strategia che certo produce buoni frutti nelle urne elettorali ma che necessariamente risponde più alla necessità di giustificare battaglie politiche attuali che a una vera esigenza di ricerca storica.

Lo stesso movimento neoborbonico comunque non sembra desiderare un’affiliazione politica particolare ma, come dichiara De Crescenzo, «l’obiettivo è quello di formare classi dirigenti meridionali realmente e concretamente consapevoli, fiere e radicate e in grado di rappresentare il Sud di domani. Siamo convinti che la sfida vera sia proprio questa: politici radicati e politici sradicati, altro che destre o sinistre che da 151 anni ci hanno dimostrato la loro totale incapacità di governare la nostra gente».

La lettura neoborbonica vuole dunque offrire all’interlocutore un messaggio culturale fortemente semplificato di protesta e denuncia delle attuali condizioni del Mezzogiorno d’Italia; strumentalizzare eventi legati al periodo risorgimentale, attraverso una rivendicazione del proprio passato e di alcuni simboli che possano meglio rappresentarlo, è allora la strategia scelta per rimodellare la memoria storica e costruire una nuova identità neoborbonica nella quale il cittadino del sud d’Italia possa finalmente identificarsi con orgoglio.

Dossier

1. Un dibattito aperto. Economia e società nel Regno delle Due Sicilie.

Nel tentativo di avvalorare la tesi che il divario nord-sud sia un prodotto di politiche sbagliate post-unitarie numerosi autori revisionistici (De Crescenzo, Aprile, Di Fiore) hanno fatto ricorso con grande enfasi a nuovi lavori di economia e storia economica che elaborano proiezioni statistiche sul livello di sviluppo delle varie regioni italiane, prima e dopo l’Unità. Spesso però questi studi, formulati da centri studi e ricerche che non perseguono obiettivi politici specifici, sono stati strumentalizzati dagli autori neoborbonici per arrivare a conclusioni che esulano dalla natura stessa del lavoro economico preso in considerazione.

Di seguito elenchiamo una serie di studi citati dagli autori neoborbonici (con le relative recensioni pubblicate sul sito del movimento) e altri che sono intervenuti nel serrato dibattito sulla questione delle cause del divario nord-sud.

Attraverso la lente d’ingrandimento: aspetti provinciali della crescita industriale nell’Italia postunitaria1, pubblicato dalla Banca d’Italia nei suoi Quaderni di Storia Economica (n.4, luglio 2010) e scritto da due studiosi, Stefano Fenoaltea, docente di Economia Applicata all’Università di Tor Vergata di Roma, e dal collega Carlo Ciccarelli, Dottore di Ricerca in Teoria economica e Istituzioni nella stessa Università. Si tratta di un saggio particolarmente tecnico e specialistico sulla crescita industriale a livello regionale nell’Italia post-industriale che, solo in minima parte, analizza l’aspetto relativo al divario economico tra le regioni italiane. Lo studio di Fenoaltea e Ciccarelli è stato strumentalizzato dagli esponenti neoborbonici, attraverso estrapolazioni di frasi e aggiunta di commenti faziosi che hanno completamente decontestualizzato il lavoro dei due studiosi romani. Ecco la recensione pubblicata sul sito del Movimento Neoborbonico:

La prima picconata dell’anno al centocinquantenario della conquista settentrionale del Regno delle Due Sicilie, chiamata ad arte, la sferriamo nel campo strettamente scientifico e quindi obiettivamente buono per tutti, volenti o nolenti. Già il best seller Terroni contiene i risultati dell’inchiesta di due ricercatori che smentiscono l’esistenza della famosa questione meridionale nel 1860 [il riferimento è al lavoro già citato di Daniele e Malanima]. Più recentemente altri due ricercatori sono riusciti a far pubblicare un loro studio sull’argomento addirittura dalla Banca d’Italia. Essi affermano così esplicitamente: “L’arretratezza industriale del Sud, evidente già all’inizio della prima guerra mondiale non è un’eredità dell’Italia pre-unitaria”. L’ultima, ipocrita e vana difesa del sistema ha consentito la pubblicazione solo in inglese (e in sordina) sperando di decimare i lettori. Il fatto però resta, consultabile anche se non agevolmente, e dimostra ancora una volta la nostra floridezza al tempo dei Borbone. Grazie Italia per averci ridotti come siamo oggi, meritevoli di incassare tutti gli improperi e le ingiustizie che da 150 anni ci piovono addosso!

La strumentalizzazione del lavoro dei due studiosi romani è fin troppo palese, con una polemica sulla pubblicazione avvenuta in sola lingua inglese che risulta pretestuosa dal momento che una versione in lingua italiana viene pubblicata in solo formato elettronico per tutti i numeri dei Quaderni di Storia Economica della Banca d’Italia.

A chiarire la loro posizione e a sedare molti dei facili entusiasmi neoborbonici hanno pensato i due professori di Tor Vergata nel saggio La cliometria e l’unificazione nazionale: bollettino dal fronte2 (Meridiana, 73/74, 2012). Gli autori dopo aver esplicitato brevemente ma in modo esaustivo i criteri usati per ricostruire le serie storiche nazionali della produzione industriale ammettono che «nel primo ventennio postunitario erano appunto meridionali le componenti più dinamiche dell’economia italiana». Ciò che stupisce, e che non sarà per niente gradita al mondo neoborbonico, è la spiegazione offerta da Fenoaltea e Ciccarelli di questo primato: «non sorprende in quest’ottica che il protezionismo feroce, e gli scarsi investimenti nelle infrastrutture, dei Borboni di Napoli abbiano pagato i pochi, vistosi successi industriali con un sottosviluppo diffuso; che la crescita più rapida dopo il 1861 si sia verificata nel Mezzogiorno, che solo allora ricevette il beneficio di un commercio estero relativamente libero, di un miglioramento delle infrastrutture; che all’interno del Mezzogiorno la crescita sia stata massima nelle aree favorite dalla produzione di beni esportabili, dalla presenza di porti che attiravano il nuovo commercio».

I due studiosi concludono quindi il loro saggio con una provocazione, nemmeno tanto velata, che suona come una vera e propria ricusazione dei maldestri tentativi neoborbonici di strumentalizzare le loro ricerche:

sarebbe forse provocatorio concludere che l’Unità nazionale giovò innanzitutto (e fino alla svolta protezionistica) al Mezzogiorno; sembra però acquisito che giovò molto al Mezzogiorno il mutamento delle politiche economiche (commerciali, infrastrutturali) che accompagnò l’Unità. Sarebbe stata ancora maggiore, forse, la crescita delle province meridionali più dinamiche con un Regno di Napoli rimasto indipendente, senza guerra civile o «brigantaggio» che fosse, ma con politiche cavouriane. Di più non possiamo concedere ai nostalgici neoborbonici, e già così con i «se» stiamo andando lontano. Per come governarono, con le politiche che di fatto attuarono, sembra proprio che i Borboni avessero ingabbiato l’economia del Mezzogiorno, che questa con i Savoia prese il volo. [Fenoaltea Ciccarelli 2012]

L’Italia unita? Debito sovrano e lo scetticismo degli investitori3 di Stephanie Collet, ricercatrice di storia economica e finanziaria presso l’Università Libre de Bruxelles.

Il lavoro della Collet interessa i neoborbonici perché evidenzia che lo spread, cioè la differenza di rendimento fra i titoli del debito pubblico degli Stati preunitari, era più favorevole ai titoli del Regno delle Due Sicilie rispetto a quelli del regno sabaudo. Lo studio della Collet non ha nessuna intenzione di avvalorare tesi neoborboniche, ma quello molto più ambizioso di «studiare l’unico precedente assimilabile agli Eurobond: l’unificazione del debito sovrano dei sette stati che 150 anni orsono costituirono il Regno d’Italia.[…] Come l’Italia di allora, l’Europa oggi è fatta da stati eterogenei, con economie di dimensioni e condizioni diverse, che parlano lingue diverse e hanno sistemi d’imposizione fiscale separati» ricorda la studiosa in una intervista al Sole 24 del giugno 2012.

È infatti ormai riconosciuto che i notevoli investimenti in lavori pubblici effettuati nel Regno di Sardegna dagli anni ’30 in poi dell’Ottocento indebitarono notevolmente le casse finanziarie dello stato piemontese mentre la politica fiscale mite ma senza grandi investimenti adottata da Ferdinando II a Napoli contribuì a mantenere le casse statali del Regno delle Due Sicilie floride e con una grossa disponibilità di fondi. Naturale dunque che il nascente mercato delle valute premiasse quella napoletana a discapito di quella di casa Savoia.

Il prodotto delle regioni e il divario Nord-Sud in Italia (1861-2004)4 di Vittorio Daniele, professore presso l’Università “Magna Grecia” di Catanzaro e Paolo Malanima, direttore dell’Istituto ISSM-CNR di Napoli; pubblicato dalla Rivista di Politica Economica (marzo-aprile, 2007), l’articolo è servito come base per ulteriori studi confluiti poi nella pubblicazione del libro Il divario Nord-Sud in Italia 1861-2011 (Rubbettino 2011)

L’articolo di Daniele e Malanima affronta lo studio del divario tra le regioni in rapporto con la crescita economica, ricostruendo le serie annuali del prodotto delle regioni italiane a partire dal 1891 fino al 2004 e elaborando una serie di proiezioni per stabilire il prodotto delle differenti regioni italiane dal 1861 al 1891. Dopo aver preso in considerazione aspetti importanti come l’urbanizzazione, i salari e la densità abitativa i due studiosi affrontano il tema del prodotto regionale dal 1861 al 1891 con questi risultati:

Il prodotto agricolo pro capite era, nel 1891, superiore nel Sud del 10 per cento rispetto a quello del Nord. È ragionevole pensare che anche nel 1861 fosse superiore, almeno altrettanto (se non di più). Quanto all’industria, le recenti stime regionali elaborate da Fenoaltea (2001; 2003), hanno ridimensionato la distanza fra Nord e Mezzogiorno. La stima per il 1871 mostra una superiorità del Nord di circa il 15 per cento in termini pro capite. Per i servizi non disponiamo di stime fino al 1891, quando il loro valore in termini pro capite era superiore nel Nord (che include Roma) rispetto al Sud di un 10 per cento. Supponendo che nel 1861 il vantaggio del Nord nei servizi fosse solo del 5 per cento, che in agricoltura fosse lo stesso che nel 1891 e che nell’industria fosse più modesto che nel 1871, e ponderando i dati con la popolazione, troviamo infine che non esisteva, all’Unità d’Italia, una reale differenza Nord-Sud in termini di prodotto pro capite. È possibile che, facendo riferimento ad altri indicatori, una differenza esistesse. Il divario economico fra le due grandi aree del paese in termini di prodotto sembra invece essere un fenomeno successivo. Pare di poter dire che esso cominciò a manifestarsi dalla fine degli anni ’70 e negli anni ’80. [Daniele-Malanima 2007]

Il divario economico conseguenza delle politiche post-unitarie, questa sembra essere, in estrema sintesi, la tesi di Daniele e Malanima. Per la verità gli stessi autori nel loro libro Il divario Nord-Sud in Italia 1861-2011 (Rubbettino 2011), successivo di quattro anni all’articolo citato, hanno parzialmente modificato il loro giudizio e con toni meno perentori affermano che sul divario intorno all’Unità «non vi è alcuna certezza». L’articolo apparso sulla rivista di politica economica di Confindustria non è certo sfuggito agli autori neoborbonici che hanno immediatamente pubblicizzato con grande risalto e con grandi polemiche lo studio di Daniele e Malanima, senza naturalmente tener conto delle successive precisazioni.

Perché il sud è rimasto indietro di Emanuele Felice (Il Mulino 2013), le conclusioni di Daniele-Malanima hanno aperto un serio dibattito tra esperti di storia e storia economica; in particolare, alle loro argomentazioni ha cercato di rispondere con nuovi dati e diverse conclusioni Emanuele Felice con questo libro.

Per Felice le proiezioni prodotte da Daniele e Malanima non sono il frutto di una stima esatta basata sui dati reali del tempo e per questo motivo propone una nuova stima che utilizzi nuovi dati più aggiornati e sia più corretta rispetto alle storture evidenziate. Per lo storico economico, infatti:

se Daniele e Malanima indicavano una sostanziale parità fra il Sud e il Nord anche per il 1871, nel nostro caso il risultato è ben diverso. Fatta 100 l’Italia, il Mezzogiorno presentava un Pil per abitante di 90, il Centro-Nord di 106. Questo vuol dire che tra i meridionali e gli altri italiani c’era una differenza di reddito di circa il 19%: forse meno di quanto ci si aspetterebbe, ma non era neanche poco, dati i livelli medi all’epoca molto bassi». Dall’estrapolazione dei dati del 1871 Felice infine prova a fare una proiezione al 1861 ritenendo di poter «assegnare a questa stima un ragionevole margine di incertezza del 5% e concludere che all’Unità d’Italia il Pil del Mezzogiorno era circa l’80-90% della media italiana; ovvero (restringendo la forchetta per arrotondare) fra il 75 e l’80% di quello del Centro-Nord. […] Quanto detto a noi è servito soprattutto ad evidenziare la totale inconsistenza dell’idea, che pure è andata diffondendosi, secondo cui all’Unità il reddito per abitante dei meridionali sarebbe stato pari a quello del resto del paese, se non addirittura superiore. Come abbiamo visto, tale affermazioni non hanno alcun fondamento storico. [Felice 2013]

La querelle è poi continuata a colpi di articoli in Perché il Sud è rimasto indietro? Il Mezzogiorno fra storia e pubblicistica5 di Daniele e Malanima, pubblicato sempre dalla Rivista di Storia Economica (n.1, 2014), dove i due studiosi confermano le loro conclusioni e contestano i risultati raggiunti da Felice, e con la controreplica di Felice dal titolo Il Mezzogiorno fra storia e pubblicistica. Una replica a Daniele e Malanima6 apparsa sempre sulla Rivista di Politica Economica (n. 2, 2014).

In questa ultima replica evidenziamo come Felice stigmatizzi una singolare commistione tra i saggi scientifici dei due professori dell’Università di Catanzaro e del CNR di Napoli e le tesi filoborboniche figlie di una pubblicistica poco scientifica; scrive infatti Felice:

dalla lettura del commento di Daniele e Malanima, come pure da quella del loro volume del 2011, rimane la sensazione di una certa sottovalutazione del lavoro di ricerca storica. Diversi sono gli studi importanti e approfonditi che non vengono da loro mai menzionati. […] Si consideri ad esempio il modo in cui Daniele e Malanima trattano, nel libro del 2011, le vicende del brigantaggio. I due autori ignorano i documentati lavori degli storici che quelle vicende hanno ricostruito in maniera faticosa e dettagliata, come il testo fondamentale di Franco Molfese, Storia del brigantaggio dopo l’Unità, pubblicato ormai mezzo secolo fa (e discusso nel mio libro). Danno invece ampio spazio alla recente pubblicistica di taglio neo-borbonico, da Pino Aprile a Giordano Bruno Guerri, che con accenti scandalistici e volutamente esagerati (spesso strumentali a tesi politiche) ha avuto grande successo mediatico». [Felice 2014]

Felice muove quindi a Daniele e Malanima una doppia e severa critica: preferire “una recente pubblicistica storicamente inattendibile sul Mezzogiorno” e sottovalutare gli ultimi sviluppi della ricerca storica. Non sta certo a questo articolo giudicare la preparazione storica di due storici economici di grande livello come Daniele e Malanima ma non possiamo non evidenziare quantomeno la scarsa dimestichezza con la storiografia storica che porta ad una miscela davvero singolare tra le loro attente e scrupolose ricerche e le provocazioni della pubblicistica neoborbonica.

2. I neoborbonici. Autori ed opere

Numerosi sono stati negli ultimi anni i successi in libreria di autori legati alla matrice revisionista neoborbonica; il merito di questo exploit ha senz’altro molteplici cause ma in gran parte è dovuto al mutato atteggiamento con cui la vulgata antirisorgimentale è oggi letta e ricercata dai lettori.

Questo cambiamento è dovuto in parte alla promozione e pubblicità operata da alcuni settori della carta stampata e in parte al lavoro di sensibilizzazione e divulgazione fatto dalla galassia dei movimenti ed associazioni neoborboniche; non vanno però sottovalutate né la capacità degli autori di saper rendere accattivante una materia di solito riservata agli specialisti né la pubblicazione di questi lavori da parte delle grandi casi editrici nazionali: Piemme, Rizzoli e Utet.

Il taglio usato, in gran parte di questi lavori, è quello dell’inchiesta giornalistica piuttosto che quello di una documentata ricerca storiografica; non potrebbe infatti essere altrimenti vista la biografia degli autori più importanti.

Lorenzo Del Boca, giornalista, negli ultimi anni si è impegnato più di altri nella stesura di controstorie e i suoi lavori sono un esempio della reale missione e dello stile usato dagli autori revisionisti. Piemontese d’origine, inizia la sua carriera giornalistica negli anni ‘80 a «La Stampa» di Torino, nel 1996 è stato eletto presidente della Federazione Nazionale Stampa Italiana (FNSI) e successivamente, dal 2001 al 2010, è stato eletto presidente dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni di matrice revisionistica sul periodo risorgimentale: Maledetti Savoia (Piemme 1998); Indietro Savoia! (Piemme 2003); Maledetti Savoia Savoia Benedetti, scritto a quattro mani con il principe Emanuele Filiberto di Savoia (Piemme 2010); Risorgimento disonorato (Utet 2011).
Già dai titoli è palese il tono polemico e provocatorio che l’autore ha voluto dare ai suoi lavori che, come descritto in precedenza, hanno l’aspirazione di raccontarci un’altra storia del nostro Risorgimento. È una figura amatissima dal Movimento Neoborbonico che, ovviamente, si adopera per pubblicizzare i suoi lavori e spesso lo invita alle manifestazioni promosse dall’associazione. Con queste calorose parole De Crescenzo descrive la sua amicizia con Del Boca:

Fin dalle prime telefonate, più o meno 20 anni fa, con il suo inconfondibile accento piemontese, mi aveva fatto capire la sua passione sincera di fronte alle tante bugie del cosiddetto “Risorgimento”. Di lì a poco sarebbero stati pubblicati i primi due best-seller di un filone sempre più vivo e sempre più seguito: “Maledetti Savoia” e “Indietro Savoia” (già nei titoli tutto un programma chiaro e inequivocabile). Da lì ad oggi ci siamo ritrovati spesso a “combattere” dalla stessa trincea e contro gli stessi “nemici”: quelli che Pierluigi Battista definisce (nella prefazione dell’ultimo libro di Lorenzo) i “censori dell’ortodossia, i sacerdoti della verità ufficiale” con tanto di “timbri di Stato”.

Del Boca ha firmato inoltre la prefazione dell’ultimo libro di De Crescenzo Il Sud, dalla Borbonia felix al carcere di Fenestrelle (Magenes 2014) a testimonianza di un rapporto diretto di collaborazione e stima. Il giornalista piemontese gode inoltre dell’appoggio di una parte della stampa nazionale attenta a recensire lavori controcorrente; Pierluigi Battista, ad esempio, ha curato la prefazione dell’ultimo suo lavoro L’Italia Bugiarda (Piemme 2013) con queste parole: «Del Boca, e le pagine di questo libro lo dimostrano ancora una volta, non è un nostalgico del passato. Non è un secessionista a rovescio. Non è un sabotatore della Patria. È un giornalista curioso e irriverente che quando annusa la bugia di Stato mette mano alla penna (o al computer) e decide di smontarla, di dissezionarla, di farla a pezzi».
Dalla lettura dei suoi scritti emerge con forza il tentativo di delegittimazione del processo unitario e dei suoi leaders, attraverso l’ostinato impegno a evidenziare sempre il volto oscuro e disonorato del nostro Risorgimento. Del Boca sembra assecondare allora una particolare richiesta di storia, desiderata in maniera sempre più assidua negli ultimi anni dal pubblico delle librerie, che prevede una spettacolarizzazione degli eventi raccontati e un revisionismo sensazionalistico che racconti verità taciute per lungo tempo. Il risultato è un misto tra lo stile di un libro denuncia e quello di un romanzo storico che pretende di raccontare la controstoria dei grandi eventi del passato attingendo ad una bibliografia revisionistica già nota e non producendo nessuna ricerca originale di carattere storiografico.

Gigi Di Fiore, scrittore che negli anni si è dedicato sempre più alla ricerca storica, prima della criminalità organizzata e poi del Risorgimento e del Mezzogiorno più in generale.
Ha al suo attivo numerose pubblicazioni di carattere revisionistico: 1861, Pontelandolfo e Casalduni un massacro dimenticato (Grimaldi & C. editori 1998); I vinti del Risorgimento (Utet 2004); Gli ultimi fuochi di Gaeta (Grimaldi & C. editori 2004); Controstoria dell’unità d’Italia – Fatti e misfatti del Risorgimento (Rizzoli 2007); Gli ultimi giorni di Gaeta – L’assedio che condannò l’Italia all’unità (Rizzoli 2010); La nazione napoletana (Utet 2015).
L’argomento dei suoi lavori revisionistici ci offre il profilo di un autore che come Del Boca ha deciso di specializzarsi nel racconto della controstoria con particolare attenzione però al Mezzogiorno d’Italia e ai torti e ingiustizie subite nel corso dei secoli.
Il suo maggior successo editoriale è I vinti del Risorgimento; si tratta di un’attenta e documentata cronistoria degli avvenimenti che iniziano con la partenza di Francesco II da Napoli (6 settembre 1860, giorno prima dell’entrata a Napoli di Garibaldi) e terminano con la capitolazione della fortezza di Gaeta (14 febbraio 1861, qualche giorno prima della proclamazione del nuovo Regno d’Italia). Parliamo di solo sei mesi (settembre ’60 – marzo ’61) che l’autore indica come “cruciali” per la storia del Mezzogiorno e che ritiene siano stati sottovalutati dalla cosiddetta storiografia ufficiale che, con l’ingresso di Garibaldi a Napoli, ha considerato come conclusa la campagna meridionale per l’annessione.

Fonte: Wikipedia (https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/5/5f/Analisi_stemma_Regno_delle_Due_Sicilie.jpg)

Fonte: Wikipedia (https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/5/5f/Analisi_stemma_Regno_delle_Due_Sicilie.jpg)

Fin dalla sua prima pubblicazione nel 2004 il libro ha ottenuto importanti attestati di riconoscimento che testimoniano il suo successo editoriale; il lavoro si basa su una bibliografia revisionistica già conosciuta, ma a differenza dei lavori di Del Boca troviamo importanti ricerche storiografiche condotte per un paio d’anni presso l’Archivio di Stato di Napoli (sezione centrale e sezione militare), l’Archivio di Stato di Torino, l’Archivio Centrale dell’ufficio storico dell’Esercito di Roma e l’archivio privato del Dott. Giuseppe Catenacci (uno degli archivi privati più forniti sulle vicende del Regno delle Due Sicilie). Da questo lavoro di ricerca Di Fiore vuole dunque approfondire quale fu il Risorgimento per i “vinti”, in che modo il tanto bistrattato “esercito di Franceschiello” difese la patria napoletana e chi furono gli ufficiali che decisero di rimanere fedeli al loro re e chi invece decise di salire sul carro del vincitore.
Dopo una prima parte in cui troviamo una minuziosa descrizione delle operazioni militari avvenute sul Volturno (1 e 2 ottobre 1860), dove ancora nulla sembrava deciso, Di Fiore decide di concentrarsi sulla lunga agonia nella fortezza di Gaeta del Re, della sua corte e delle numerose truppe che decisero fino all’ultimo di difendere il giglio borbonico. L’autore racconta con dovizia di particolari quei momenti; evidenziando soprattutto gli eccessi e soprusi operati dai piemontesi e descrivendo, forse con un eccesso di toni, la resistenza borbonica. In questa seconda parte esce infatti in maniera molto più evidente il tentativo di screditare l’opera di unificazione attraverso una duplice strategia: sottolineare gli errori, le colpe e i misfatti compiuti dai piemontesi dopo l’invasione del Regno delle Due Sicilie e celebrare con toni elegiaci il disperato tentativo di resistenza di Francesco II, dell’esercito e di parte della popolazione delle regioni meridionali.

Pino Aprile, il successo come autore e saggista coincide con la pubblicazione del primo libro sul revisionismo neoborbonico: Terroni (Piemme 2010); un vero e proprio best seller con 250 mila copie vendute e una vastissima popolarità raggiunta. “Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del sud diventassero meridionali” è il sottotitolo dell’opera e l’inizio di un lunghissimo elenco di torti, soprusi e ingiustizie subite dalle popolazioni meridionali dall’unità a oggi.
Dopo il successo di Terroni sono seguiti altri libri sempre sulla questione meridionale: Giù al Sud. Perché i terroni salveranno l’Italia (Piemme 2011); Mai più terroni. La fine della questione meridionale (Piemme 2012); Il Sud puzza. Storia di vergogna e d’orgoglio (Piemme 2013).
Il boom editoriale di Terroni non è naturalmente passato inosservato alla stampa più attenta al revisionismo risorgimentale; leggiamo così dalla copertina del libro che «Il Corriere della Sera» ha presentato il saggio di Aprile con un ardito paragone: «come Pansa ha rotto il silenzio sul “sangue dei vinti” dopo la Resistenza, così Pino Aprile riscatta i “vinti del Sud” cancellati dalla memoria nazionale».
Pierluigi Battista, il 26 luglio 2010, ha recensito il libro, sempre sulle pagine del giornale di via Solferino, con il titolo shock Il grido dei «terroni» paradosso all’italiana, si celebra il 150º dell’Unità e il Risorgimento diventa genocidio in un best seller. Nell’articolo Battista evidenzia che il libro è in vetta alle classifiche da molte settimane perché:

è un libro bandiera, un vessillo della nuova fierezza meridionale, un inno di guerra culturale e di nostalgia intonato nel nome di un Sud dipinto come vittima sacrificale del settentrionalismo rapace e predatorio. Da Roma in giù, a Napoli, in Puglia, in Sicilia, si passano il libro di mano in mano. Pino Aprile viene osannato come l’aedo del Mezzogiorno calpestato. I «terroni» più acculturati affollano le presentazioni pubbliche del volume, riconoscono nel suo autore un vendicatore della memoria negata. Hanno eletto in Terroni il loro libro culto di riscatto […].

Aprile, come Del Boca, nel suo lavoro fa ampio e quasi esclusivo uso della storiografica revisionistica (sono infatti largamente citati de’ Sivo, Zitara, Alianello, Di Fiore) condita però da una personale “retorica” che colpisce emotivamente il lettore.
La chiave del successo di Aprile infatti non sta in quello che racconta ma in come lo racconta; meglio di altri lo scrittore di Gioia del Colle ha saputo prima stupire, trasformando avvenimenti e notizie conosciute in scoop sensazionalistici, e poi indignare il lettore, in particolare meridionale. L’efficacia della narrazione è data anche dalla complicità emotiva che Aprile riesce a istaurare con il lettore; in realtà tutto il libro si sviluppa come una confessione dell’autore al lettore. Aprile riesce a dosare sapientemente la descrizione delle atrocità e angherie scoperte (sconosciute anche a lui fino a quel momento) con lo sdegno e l’animosità dei suoi commenti che inevitabilmente suscitano nel lettore un sentimento di rancore e di disprezzo verso coloro che hanno perpetrato vessazioni e ingiustizie crudeli contro le popolazioni meridionali. Lo sforzo di una provocazione costante è difficile da coniugare però con un rigore storiografico che cerchi di analizzare con cura e attenzione avvenimenti così complessi, pertanto Terroni non fornisce nessuna ricerca storiografica originale e racconta episodi e avvenimenti già noti, attraverso uno stile a metà tra il libro-denuncia e l’inchiesta giornalistica.

Carlo Alianiello, nato nel 1901 da una famiglia di origini lucane e morto nel 1981 a Roma, è ricordato soprattutto per la sua produzione letteraria che ottenne numerosi riconoscimenti importanti come il premio Bagutta, Marzotto e Campiello (finalista); le sue opere più importanti furono il trittico di romanzi L’Alfiere (1942), Soldati del Re (1952), L’eredità della Priora (1963) e il saggio La Conquista del Sud (1972). Nei suoi romanzi Alianello traduce in forma letteraria e romanzata il revisionismo neoborbonico caricando le vicende narrate dei temi cari alla causa neoborbonica (l’invasione piemontese, la fedeltà delle truppe ai Borboni, l’incapacità e il tradimento degli ufficiali), assemblati però con i classici “sistemi allegorici” risorgimentali della patria perduta, dell’amore conteso e dell’onore da difendere ad ogni costo.

Immagine tratta da za href="http://www.insorgenza.it/accadde-il-16-luglio-nascita-di-nicola-zitara/" target="_blank">www.insorgenza.it

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Nicola Zitara è l’altra figura “nobile” della causa neoborbonica; è stato insegnante, giornalista e bibliotecario nella biblioteca comunale di Siderno. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni, articoli ed è stato fondatore della rivista online Fora; un periodico che soprattutto negli ultimi anni gli ha permesso di mettersi in contatto e dialogare con centinaia di meridionali sparsi per l’Italia e all’estero.
Uno dei suoi scritti più famosi è senz’altro L’invenzione del Mezzogiorno. Una storia finanziaria (JacaBook 2011) pubblicato postumo e al quale Zitara ha lavorato, rivedendone le bozze, fino a pochi giorni prima della sua morte. Si tratta di un libro di quasi 500 pagine nel quale lo studioso rielabora tutte le sue ricerche fatte in molti anni di attività come bibliotecario a Siderno, per dimostrare come l’unificazione altro non fu che una vera e propria aggressione delle terre, dei capitali e delle popolazioni meridionali per ridurle a terre di colonia e per garantire così il benessere delle popolazioni settentrionali.

Fulvio Izzo, ex dirigente dello stato e autore del libro che per primo parla dei presunti campi di concentramento per meridionali nel nord Italia: I lager dei Savoia (Controcorrente 1999).

3. Il movimento neoborbonico. Attività e siti

Animatore del movimento neoborbonico è il professore Gennaro De Crescenzo; napoletano, docente di italiano e storia alle scuole superiori e specializzato in archivistica. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni sui temi legati al Risorgimento e alla valorizzazione della storia e della cultura del Sud in chiave neoborbonica, questi i titoli dei suoi principali lavori:

L’altro 1799: i fatti, Edizioni Tempo Lungo, 1999
La difesa del Regno, Il Giglio, 2001
Le industrie del Regno di Napoli, Grimaldi & C., 2002
Contro Garibaldi, Il Giglio, 2008
Malaunità. 150 anni portati male, Il Giglio, 2011
Il Sud dalla «Borbonia felix» al carcere di Fenestrelle, Magenes, 2014

De Crescenzo è inoltre il promotore instancabile di incontri, convegni e celebrazioni per divulgare nel territorio le tesi neoborboniche; quella che segue è solo una piccola selezione delle recensioni raccolte nel sito web del movimento sugli incontri promossi negli ultimi anni:

-Marzo 2014, incontro tenuto a Pozzuoli per la presentazione del libro di Gigi Di Fiore Pontelandolfo e Casalduni: un massacro dimenticato (edizione Focus). [http://www.neoborbonici.it/portal/index.php?option=com_content&task=view&id=4538&Itemid=99]

-Zafferana Etnea (CT) convegno dal titolo Aggiustare l’Italia – Le verità taciute ieri ed oggi sul Sud in programma sabato 29 e domenica 30 marzo 2014 con lo scrittore Pino Aprile nel ruolo di illustre coordinatore e moderatore. Relatori d’eccezione animeranno la due giorni zafferanese, aperta alle ore 18,30 di sabato prossimo dal Prof. Gennaro De Crescenzo […]. Assai intensa anche la giornata conclusiva dell’evento. Domenica 30 marzo, infatti, sono previste le relazioni del prof. Giuseppe Fioravanti (“Alfabetizzazione ed educazione femminile sotto i Borbone”), della scrittrice Dora Liguori (“Quell’amara Unità d’Italia”) e dei giornalisti Lorenzo Del Boca (“150 anni di bugie, a partire dal Risorgimento”) e Lino Patruno (“Ricomincio da Sud: dalla verità all’azione”). L’evento è stato fortemente voluto dal sindaco di Zafferana Etnea, Alfio Russo che non nasconde la propria soddisfazione. “Ospitiamo un convegno di grande prestigio –ha sottolineato il primo cittadino- con illustri relatori che ci aiuteranno meglio a comprendere la storia ed il ruolo del Mezzogiorno nel contesto globale del nostro paese”. [http://www.neoborbonici.it/portal/index.php?option=com_content&task=view&id=4547&Itemid=99]

-Domenica 6 luglio 2014 in onore dei Popoli delle Due Sicilie il movimento neoborbonico ha partecipato all’evento organizzato da Duccio Mallamaci e dai Comitati delle Due Sicilie a Fenestrelle, lager dei Savoia e luogo-simbolo (al contrario di quanto qualcuno ha cercato vanamente di dimostrare) delle sofferenze subite dai soldati delle Due Sicilie durante l’unificazione italiana. [http://www.neoborbonici.it/portal/index.php?option=com_content&task=view&id=4610&Itemid=99]

-Un successo davvero eccezionale per la manifestazione di Marcellinara (CZ) incontro organizzato il 2 agosto 2014 dal titolo “Io non sapevo”: «Io non sapevo che, nel 1861, che i piemontesi fecero al sud quello che i nazisti fecero a Marzabotto. Io ignoravo che, nel 1861, i piemontesi in nome dell’Unità d’Italia, ebbero pure diritto di saccheggio nelle città meridionali e libertà di stupro sulle donne meridionali». [http://www.neoborbonici.it/portal/index.php?option=com_content&task=view&id=4624&Itemid=99]

-Sapri (SA) Agosto 2014 “Processo a Ferdinando II di Borbone, una vittoria storica: assolto (a Sapri!) Ferdinando II di Borbone”. Che il vento sia cambiato lo diciamo da tempo e di certo non può essere confermato da una manifestazione, ma l’altra sera a Sapri abbiamo avuto una dimostrazione significativa di questa verità. Nel “processo” a Ferdinando II organizzato nella città ancora molto legata alla storia “anti-borbonica”, Ferdinando II è stato assolto con un giudizio netto dalla “giuria popolare” in una piazza gremita (oltre 900 presenti), un parterre con personalità di spicco del mondo soprattutto del diritto della zona (giudici, senatori e molti avvocati) e alcuni affettuosi e partecipi esponenti del mondo neoborbonico-borbonico-duosiciliano. […] E’ chiaro che si trattava di un gioco ma la seriosità dell’Accusa, i lunghissimi capi d’accusa rimodulati e inviati più volte alla Difesa (a meno di 48 ore dall’evento), un contesto storicamente “ostile”, una giuria veramente “popolare”(hanno votato tutti i tanti e qualificati presenti) rendono simbolicamente giustizia alla storia e ad un grande personaggio della storia del Sud e trasformano quel gioco in un segnale positivo sulla strada della sempre più necessaria ricostruzione di verità storica e identità. Insomma: una vittoria storica (nel duplice senso dell’aggettivo) e, forse, pure in trasferta! [http://www.neoborbonici.it/portal/index.php?option=com_content&task=view&id=4652&Itemid=99]

-Si è svolto a Cosenza, Università della Calabria, sabato 5 settembre 2015 il secondo incontro degli studiosi attivi nella costruzione di una lettura alternativa della storia nazionale. Presenti docenti universitari (Cosenza, Catanzaro, Padova), archivisti, giornalisti come Pino Aprile e diversi ricercatori neoborbonici (De Crescenzo, Pisco, Coda, Lanza, Boccia, tra gli altri). [http://www.neoborbonici.it/portal/index.php?option=com_content&task=view&id=4870&Itemid=1]

-Eboli: Seconda Giornata della Memoria e della Questione Meridionale, Giovedì 8 Ottobre 2015 [http://www.neoborbonici.it/portal/index.php?option=com_content&task=view&id=4887&Itemid=1]

Accanto al Movimento Neoborbonico, in un lavoro di sinergia e collaborazione per la promozione della causa neoborbonica, troviamo una lunga serie di associazioni e movimenti che hanno come obiettivo comune una migliore diffusione e conoscenza della verità storica neoborbonica sul Mezzogiorno d’Italia negli ultimi 150 anni.

4. Contributi del mondo accademico sulle questioni più dibattute

Molti sono gli argomenti che negli ultimi anni sono stati oggetto di dibattito e polemica tra gli autori neoborbonici e i vari esponenti del mondo accademico. In questa scheda indicheremo in maniera sintetica i principali lavori pubblicati negli ultimi anni da parte del mondo accademico sulle questioni più controverse:

Sullo stato del Regno delle Due Sicilie alla vigilia della spedizione garibaldina

Interessanti lavori riconoscono all’esperienza borbonica notevoli meriti come lo sviluppo economico delle aree urbane e costiere, la nascita di importanti realtà manifatturiere, un notevole dinamismo nel mondo culturale e accademico accanto ad altrettante condizioni di arretratezza come il sistema del credito, le condizioni sociali delle aree rurali, il sistema di conduzione delle terre, le infrastrutture e i livelli di istruzione.

Pertanto l’economia borbonica può essere definita come «un’economia a macchia di leopardo»7 con notevoli dinamismi accanto a evidenti difficoltà di sistema imputabili ad una politica fiscale senza grandi investimenti statali adottata da Ferdinando II in poi.

-Bevilacqua Piero, Breve storia dell’Italia meridionale. Dall’Ottocento a oggi, Roma, Donzelli, 2001

-Spagnoletti Angelantonio, Storia del Regno delle Due Sicilie, Bologna, Il Mulino, 2008

-De Lorenzo Renata, Borbonia Felix, Roma, Salerno editrice, 2013

Sul biennio ’59-’60 e sul fenomeno del brigantaggio

La storiografia accademica ha ormai da tempo messo in discussione, con argomenti e interpretazioni diverse, modalità e caratteristiche del processo d’unificazione; riconoscendone limiti, debolezze e iniquità. Il discrimine con la lettura neoborbonica è allora nella ricerca di un’interpretazione più obiettiva del periodo storico che eviti contenuti polemici, provocatori e sensazionalistici. Non è più un tabù parlare di “guerra civile” come fa Salvatore Lupo nel suo ultimo libro mentre il fenomeno del brigantaggio e la sua repressione devono ancora essere oggetto di ulteriori approfondimenti e ricerche per individuarne le specificità nelle diverse realtà locali come nel lavoro effettuato nel Cilento da Carmine Pinto.

-Lupo Salvatore, L’Unificazione italiana. Mezzogiorno, rivoluzione, guerra civile, Roma, Donzelli, 2011

-Macry Paolo, Unità a Mezzogiorno. Come l’Italia ha messo assieme i pezzi, Bologna, Il Mulino, 2012

-Pinto Carmine, Una storia del Cilento borbonico. Michele e i fratelli Magnoni nella rivoluzione meridionale (1848.1860), in Oltre la torre d’avorio, a cura di Roberto Parrella, Salerno, Plectica, 2008

Sulla deportazione in campi di concentramento degli ex soldati borbonici

La vicenda legata alla presunta “deportazione” di ex soldati borbonici in “campi di concentramento” nel nord del Paese all’indomani della proclamazione del Regno d’Italia è diventata uno dei principali motivi di scontro tra i neoborbonici e alcuni esponenti del mondo accademico. Parliamo dei prigionieri napoletani (ex soldati del regno delle Due Sicilie) che fra il 1860 e 1861 vennero trasportati nell’Italia settentrionale per essere arruolati nell’esercito italiano e, secondo le ricostruzioni neoborboniche, torturati e uccisi a migliaia. Il libro di Barbero I prigionieri dei Savoia sconfessa invece la presenza di campi di concentramento e di molte presunte verità nascoste raccontate dagli autori neoborbonici.

-Barbero Alessandro, I prigionieri dei Savoia, Roma-Bari, Laterza, 2012

Sulla questione del cranio conteso del “presunto” brigante Giuseppe Villella

L’apertura del Museo “Cesare Lombroso” a Torino nel 2009 diventa l’ennesima occasione di scontro da parte degli autori neoborbonici con il mondo accademico perché considerata offensiva della memoria delle popolazioni meridionali. Gli autori neoborbonici ritengono Lombroso colpevole di teorie razziste contro i meridionali e considerano l’esposizione di alcuni crani studiati dallo scienziato veronese come una vera e propria profanazione. Il libro e gli articoli citati di seguito cercano di far luce sull’intera vicenda raccontando le tante strumentalizzazioni neoborboniche.

-Milicia Maria Teresa, Lombroso e il brigante, Roma, Salerno editrice, 2014

-Montaldo Silvano, Il cranio, il sindaco, l’ingegnere, il giudice e il comico. Un feuilleton museale italiano, «Museologia Scientifica», 6, 2012, pp. 137-146

-Montaldo Silvano, La “fossa comune” del Museo Lombroso e i “lager” di Fenestrelle: il centocinquantenario dei neoborbonici, «Passato e presente», a. XXX (2012), n. 87, pp. 105-118

-Montaldo Silvano, Sudismo: guerre di crani e trappole identitarie, «Passato e presente», a. XXXII (2014), n. 93, pp. 5-18


Note:

1https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/quaderni-storia/2010-0004/Quaderno_storia_economica_4.pdf

2http://www.viella.it/rivista/9788883349812/2945

3http://promotori.bancaipibi.it/Atos-Cavazza/wp-content/uploads/2013/09/LItalia-unita-Debito-sovrano-e-lo-scetticismo-degli-investitori.pdf

4http://www.rivistapoliticaeconomica.it/2007/mar-apr/Daniele_melanima.pdf

5http://www.paolomalanima.it/default_file/Papers/Daniele_Malanima_ReplicaFelice.pdf

6https://mpra.ub.uni-muenchen.de/55830/1/MPRA_paper_55830.pdf

7De Lorenzo Renata, Borbonia Felix, Roma, Salerno editrice, 2013, p. 17