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Che Storia è questa?! Storia, tecnologie e fact checking

Che Storia è questa?! Storia, tecnologie e fact checking

Abstract

L’articolo espone e commenta un’esperienza didattica realizzata per sviluppare capacità di ragionamento storico e competenze digitali in modo integrato. Le attività si sono svolte durante il modulo PNRR Che Storia è questa?!, rivolto a studenti del triennio del Liceo “C. Sylos” di Bitonto (Ba), e hanno incluso laboratori sulle fonti e di comunicazione storica attraverso multimedia digitali, come meme e oggetti 3D. L’autrice delinea quattro fasi del progetto, che possono essere adattate per lo svolgimento disteso nel corso dell’anno, applicando ciascuna fase a singole unità didattiche.

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The paper analyses and discusses a module of history education with the aim of developing both historical thinking and digital skills. The activites were part of the PNRR project Che Storia è questa?!, which was held at Liceo “C. Sylos” in Bitonto (Ba). A group of pupils in grades 11th-13th participated in workshops focused on historical sources and designing multimedia objects, such as memes and 3D objects. The author outlines four phases of the module that can be adapted for use throughout the year when teaching different history units.

INTRODUZIONE

La presenza pervasiva delle nuove tecnologie nella nostra vita e, di riflesso, all’interno delle scuole, comporta per ciascun docente la necessità di ragionare su come trasformarle in una risorsa per la didattica e, al contempo, evitare che ingenti somme siano investite nell’acquisto di strumentazione percepita da chi insegna come un corpo estraneo che non risponde a esigenze rilevanti per l’apprendimento delle discipline.

Quest’anno, presso il Liceo “Carmine Sylos” di Bitonto (BA), si è svolto un modulo PNRR[1] organizzato attorno a due problemi chiave: fino a che punto lo studio della storia può aiutarci a usare meglio le nuove tecnologie? In che modo le nuove tecnologie possono aiutarci a studiare meglio la storia a scuola?

Questo progetto, dal titolo Che Storia è questa?!, ha affrontato il ruolo delle nuove tecnologie nell’apprendimento della storia con un approccio molto chiaro: innanzitutto, le ha inquadrate all’interno di una teoria dell’apprendimento delle capacità di pensare storicamente. La storia, dunque, è stata vista come una forma specifica di conoscenza, attraverso la quale gli studenti e le studentesse allenano alcune capacità di ragionamento che derivano dallo statuto epistemologico della materia: in particolare, quelle necessarie per analizzare e interpretare criticamente le fonti e per costruire un racconto sul passato fondato su questa interpretazione. Così come la carta e la penna, anch’esse tecnologie, per quanto ormai un po’ datate, le nuove tecnologie sono state usate perché considerate funzionali agli obiettivi della didattica disciplinare così impostata.  Solo in questo caso, infatti, l’integrazione tra storia e tecnologia può migliorare la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento. L’acquisizione delle competenze digitali[2] è stata vista, dunque, come il risultato indiretto di un processo di insegnamento-apprendimento che integri in modo consapevole la tecnologia nella didattica disciplinare, piuttosto che giustapporla o sovrapporla ad essa.

Benché Che Storia è questa?! sia stato svolto attorno ad alcuni nuclei tematici specifici, i principi di fondo e i passaggi del lavoro possono essere adattati e riproposti anche cambiando i contenuti e, dunque, adeguando l’attività a gruppi o classi diversi.

I PRINCIPI DI BASE: METODO STORICO E FACT CHECKING

Il riferimento essenziale per costruire la prima parte del percorso è stato il lavoro condotto dal Digital Inquiry Group, il gruppo di ricerca non-profit nato nel 2024 dallo Stanford History Education Group (SHEG). Lo Stanford History Education Group è stato fondato nel 2002 dall’esperto di didattica della storia Sam Wineburg e per oltre vent’anni ha prodotto studi e proposte operative su come sviluppare le operazioni cognitive caratteristiche del lavoro degli storici.[3] Tra i percorsi realizzati, sperimentati e resi disponibili on-line si segnalavano il curriculum Reading Like a Historian e quello Civic On-line Reasoning (COR). Entrambi sono stati alla base di numerosi corsi di formazione per insegnanti realizzati nell’ultimo decennio, ai quali è possibile partecipare anche a distanza.  Civic On-line Reasoning, dedicato allo sviluppo delle competenze digitali e finanziato da Google, è stato supportato da ricerche sul campo che hanno coinvolto migliaia di studenti americani, constatando una diffusa incapacità di valutare l’attendibilità delle notizie in rete.

L’aspetto interessante dal quale ha tratto spunto il lavoro è stato osservare le diverse procedure messe in campo dagli storici professionisti e dai fact checkers di fronte a notizie che circolano on-line. Gli studiosi di Stanford hanno evidenziato, infatti, come gli storici, pur essendo più equipaggiati degli studenti nella valutazione delle informazioni, non operino in modo altrettanto efficace dei fact checkers professionisti. Hanno, perciò, elaborato alcune procedure definite “lettura laterale” (lateral reading) e “click furbo” (click restraint) che, ampiamente testate su diversi gruppi di studenti, si sono dimostrate efficaci per migliorarne le competenze di cittadinanza digitale.

Questi principi hanno dato impulso al lavoro proposto nel Liceo “Sylos”, finalizzato a mettere a confronto le procedure per la comprensione storica di un documento e a riflettere criticamente sul modo in cui queste procedure possono essere adattate all’ambiente digitale. Da un lato, dunque, si è tenuto conto in fase di progettazione del dato di fatto, rilevato dalle ricerche di Stanford, della performance inferiore degli storici rispetto ai fact checkers. Dall’altro, si è partiti da qui per riflettere criticamente con gli studenti e le studentesse sull’epistemologia della storia e comprendere in che misura, calandola nel mondo digitale, può fornire strumenti adatti a comprenderlo. Questi sono problemi che, come si vedrà nella descrizione metodologica, erano sul tavolo per me, che conducevo l’attività, ma ai quali i partecipanti sono arrivati attraverso il laboratorio: non c’è stato, quindi, un approccio frontale-trasmissivo. Al contrario, le domande sono emerse attraverso il laboratorio storico: a partire da quello abbiamo approfondito ed esercitato le procedure inventate dallo SHEG.

I PRINCIPI DI BASE: LA DIDATTICA DELL’OGGETTO

Il secondo asse sul quale è stato impostato il lavoro è stato l’importanza delle fonti materiali per la comprensione del passato. Il punto suona a prima vista paradossale: abbiamo lavorato con materiali digitali, è vero. Ciononostante, il tentativo è stato quello di capire se e in che misura gli oggetti virtuali, oggi disponibili in numero crescente anche attraverso le riproduzioni prodotte dai musei,[4] possono supplire alla mancanza nelle scuole di collezioni di oggetti a uso didattico. Della didattica degli oggetti, nata in ambito museale, sono state valorizzate alcune intuizioni essenziali: in particolare, quelle legate alla necessità di interagire con gli oggetti per connettersi, grazie a essi, al mondo degli uomini e delle donne che li hanno prodotti e usati.[5] Anche l’oggetto virtuale può essere usato in questo modo: pur diventando intangibile, l’oggetto può essere esplorato, osservato anche in grande dettaglio e, infine, modificato, riprodotto, reso portatore di una conoscenza che ha contribuito a costruire e che trova diversi canali di espressione, dal testo alla voce, fino alla programmazione grafica.

METODOLOGIA

Durante il primo incontro, sono state raccolte le aspettative iniziali degli studenti e delle studentesse attraverso un questionario. Valutarle è stato importante, oltre che, come in tutti i progetti, per poter condividere un piano di lavoro e poter definire insieme obiettivi che fossero chiari per tutti, anche perché, nel caso specifico, il gruppo dei partecipanti era eterogeneo. Infatti, si trattava di 23 studenti e studentesse del triennio di diversi indirizzi dell’istituto (liceo classico, liceo delle scienze umane, liceo economico-sociale), divisi tra classi terze, quarte e quinte. Non c’era, dunque, una base di preconoscenze condivise dai partecipanti, che, a parte due, non appartenevano alle classi nelle quali insegno.

In modo abbastanza prevedibile, trattandosi di un modulo extracurricolare scelto liberamente, gli studenti e le studentesse iscritti al progetto si aspettavano di imparare a usare tecnologie che non conoscevano e al contempo di apprendere nuovi contenuti di storia. Capire le aspettative dei partecipanti riguardo ai temi da affrontare ha permesso anche di allinearli meglio, considerando le diverse condizioni di partenza, e preparare un’attività centrata sulla storia contemporanea, verso la quale c’era stata una chiara preferenza. Per questa ragione, sono stati scelti tre temi della seconda metà del Novecento, rilevanti dal punto di vista storiografico e normalmente presenti nelle programmazioni dell’ultimo anno del triennio: la guerra del Vietnam, la guerra fredda e la Resistenza italiana durante la Seconda guerra mondiale. Ciascun incontro, della durata di tre ore, ha fornito le conoscenze essenziali per comprendere uno dei temi, dal momento che gli studenti avevano solo preconoscenze risalenti alla scuola secondaria di primo grado. Il percorso seguito non è stato cronologico ma concettuale: ciascun tema è stato trattato come un caso di studio attraverso il quale comprendere meglio diverse forme di rapporto tra storia e tecnologia. Si è, dunque, partiti da un’immagine iconica di guerra per sollecitare domande e osservazioni sul metodo storico, a partire dalle quali abbiamo sperimentato come quest’ultimo possa aiutarci a usare meglio le nuove tecnologie. Dopo aver lavorato su diversi contenuti di storia presenti sul web, abbiamo ribaltato la prospettiva e provato ad affrontare lo studio scolastico della storia usando meme e oggetti virtuali come strumenti per costruire e comunicare la conoscenza. I due poli tra i quali si è mosso il progetto sono stati, dunque, come la storia ci aiuta a usare le tecnologie e come le tecnologie possono supportare lo studio scolastico della storia     .

Fase 1: pensiero storico e fact checking

La prima fase è durata 6 ore.

L’attività iniziale, dopo l’accoglienza, è stata un adattamento del laboratorio The Saigon Execution: “La foto che fece perdere la guerra” di Antonio Brusa.[6] Seguendo il lavoro proposto da Brusa sulla foto iconica, studenti e studentesse hanno messo a fuoco alcune questioni critiche: l’apparente “trasparenza” dell’immagine, che invece cela una notevole complessità; la necessità, per lo storico, di raccogliere informazioni di contesto che lo fanno “uscire dalla fonte” per poter comprendere questa complessità e la tentazione, per chi non è esperto, di lasciarsi prendere dalle prime impressioni; infine, il ruolo della fotografia come strumento della guerra e non come testimonianza neutrale.

Saigon Execution. By Eddie Adams, Associated Press – https://www.nytimes.com/2018/02/01/world/asia/vietnam-execution-photo.html, Public Domain, Link

Questi problemi sono emersi direttamente dall’interno del laboratorio storico, che si è avvalso di tecnologie solo in misura limitata, con l’uso della LIM e di una presentazione interattiva per far sì che studenti e studentesse potessero intervenire scrivendo sulla fotografia e condividendo le loro opinioni. Tuttavia, è parso subito evidente che spostandoci a valutare fonti digitali le stesse questioni diventavano via via più pregnanti: la comunicazione sulle piattaforme social, infatti, avviene spesso proprio attraverso le immagini e il principio della “lettura laterale”, che costituisce il nucleo fondante delle procedure di valutazione dei siti web e dei materiali social elaborate dallo SHEG, può essere considerato come una versione contemporanea della ricerca delle informazioni indispensabili per interpretare un documento.

Gli studenti e le studentesse si sono allenati a chiedersi sempre chi è l’autore di un post, quali sono gli scopi di un reel, a chi si rivolge, da dove ha preso le informazioni ecc. prima di prestare attenzione i suoi contenuti: si sono mossi aprendo un’altra scheda, che li conducesse fuori dalla piattaforma in uso – per esempio, Facebook o TikTok, ma anche un sito web – per esplorare tutto ciò che circondava il messaggio veicolato. Ecco perché si parla di “lettura laterale”: perché per valutare il contenuto si esce dal contenitore e si fanno delle ricerche sull’account che lo diffonde e sulle risorse usate per produrlo, a partire da quelle che derivano dall’esperienza specifica dell’autore. I due livelli, cioè la verifica dell’autorevolezza dell’autore e della veridicità del contenuto, che può essere saggiata anche con l’uso di appositi siti di fact checking, sono variamente intrecciati: si può, così, scoprire che è attendibile il post di un account anonimo, perché rilanciato sulla base di evidenze scientifiche, oppure soppesare più attentamente le espressioni a prima vista convincenti usate da un autore, quando si scopre che non ha nessuna competenza nella materia che tratta o è in conflitto di interessi palese.

Questo percorso sulla valutazione delle fonti on line è iniziato da quelle social per passare poi ai siti web, alle immagini e ai video, cogliendo anche le richieste di studenti e studentesse. Il principio guida è stato sempre quello di interrogarsi sul contesto e non fermarsi al messaggio immediato: ricercare informazioni sull’autore al di fuori del documento, per comprenderne l’intenzionalità e la formazione, per distinguere l’essere legittimamente portatori di un punto di vista dalla costruzione faziosa di una comunicazione.

In una sorta di palestra cognitiva, sono stati sottoposti alla valutazione individuale o di gruppo materiali in italiano, organizzati seguendo i passaggi del modello del Civic On-line Reasoning. Inoltre, dal momento che i materiali del COR datano a qualche anno fa, sono stati ampliati integrando video di TikTok.

Un esempio di post usato per le attività di valutazione dei materiali sul web.

Alla fine di questa prima fase, è stato evidente che il metodo storico può diventare una risorsa per imparare a valutare le fonti che circolano sul web. Di più, confrontandosi con esse, in un circolo virtuoso, si sono apprese delle strategie specifiche per cercare le conoscenze extra fontes che permettono l’interpretazione: la lettura laterale, da questo punto di vista, diventa una strategia per la storia 2.0, che si muove alla ricerca di documenti sul web. Infine, lavorando su contenuti digitali che affrontavano temi di storia, è stato possibile anche riflettere su come i risultati della ricerca storica possono essere travisati o banalizzati nella comunicazione sulle piattaforme.

Fase 2: “scrivere di storia” con i meme

In sintesi, la prima fase del lavoro ha avuto al centro le operazioni di ricerca delle informazioni e di rilettura dei documenti alla luce di dati supplementari raccolti:[7] le strategie fornite sono servite per imparare a valutare le informazioni raccolte. Nella seconda fase, si è fatto un passaggio ulteriore, usando una forma di scrittura frequente sui social: il meme.[8]

I meme sono un mezzo di comunicazione che spesso incontra la storia in forme satiriche, ma negli ultimi anni sono stati usati in senso propriamente didattico come prodotto finale di attività di traduzione culturale della conoscenza storica verso forme di comunicazione quotidiana.[9] Questo tipo di narrazione digitale, infatti, consente di trasmettere con immediatezza l’interpretazione costruita attraverso la ricerca storica e, in più, offre una possibilità di comunicazione non lineare e multimediale, la cui padronanza diventa un obiettivo didattico.

Innanzitutto, sono stati proposti ai partecipanti alcuni meme storici.[10] per individuare le caratteristiche che li rendono efficaci: una battuta immediata, un’immagine facilmente riconoscibile per il pubblico, un contenuto che deve far sorridere ma anche rimandare a qualcosa di vero. Per costruire un buon meme storico, è diventato chiaro agli studenti che era necessario conoscere il tema al quale era dedicato.

Per fare un passo avanti, abbiamo dunque consolidato le strategie già acquisite: studenti e studentesse hanno iniziato il lavoro analizzando a gruppi un dossier di documenti. Il tema su cui hanno lavorato è stato la corsa allo spazio, attraverso la quale sono state ricostruite le dinamiche della guerra fredda.

Dopo un quarto d’ora di introduzione dell’insegnante, che ha periodizzato la guerra fredda “a terra” e “nello spazio” (1945-1955, 1955-metà anni Settanta, metà anni Settanta-1989)[11], i gruppi hanno scelto di quale periodo occuparsi. I tre dossier, riferiti all’inizio della corsa allo spazio, all’allunaggio e allo scudo spaziale, contenevano informazioni di contesto, fonti primarie e alcuni brani storiografici: una decina di brevi documenti in tutto.

A partire dall’interpretazione delle fonti e integrando le informazioni di contesto con eventuali ricerche on line – valutando le risorse trovate in base ai criteri appresi nella fase 1 – ciascun gruppo doveva completare una griglia di informazioni sull’URSS dal punto di vista statunitense oppure sugli USA dal punto di vista sovietico, riferite al periodo storico scelto.

Sono stati dunque formati sei gruppi, due per ciascun tema: uno con punto di vista statunitense e uno con punto di vista sovietico.

In base all’analisi e all’interpretazione delle fonti, ogni gruppo ha selezionato e riportato le caratteristiche salienti di una delle due superpotenze dal punto di vista dell’altra, soffermandosi sulle contraddizioni dei due modelli in competizione. Gli elementi incoerenti e le ambivalenze delle due società, infatti, erano la risorsa fondamentale per costruire un meme durante la seconda ora. La progettazione e realizzazione dei meme è stata individuale, dopo di che sono stati condivisi su una bacheca virtuale e votati a maggioranza per scegliere quello più riuscito.

 Due esempi dei meme prodotti dagli studenti e studentesse: sullo scudo spaziale e sull’allunaggio.

Fase 3: interpretare un oggetto digitale

I passaggi cognitivi richiesti a studenti e studentesse nelle prime due fasi sono stati quelli della ricerca e selezione delle informazioni, dell’analisi e dell’interpretazione, che hanno portato a rielaborare e rileggere le fonti iniziali. Infine, abbiamo ricostruito e comunicato la conoscenza appresa con lo storytelling attraverso i meme.

Nelle fasi 3 e 4, questi stessi passaggi sono stati effettuati nuovamente, usando però una tecnologia diversa, cioè la programmazione di oggetti e ambienti 3D con la piattaforma Delightex. Il tema studiato è stato la Resistenza, che più o meno in contemporanea gli studenti e le studentesse di quinta superiore stavano affrontando nelle ore curricolari.

Abbiamo cercato di ricostruire la storia della Resistenza a partire dagli oggetti, prendendo spunto da una recente pubblicazione curata da Paola Boccalatte e Mirco Carrattieri.[12]

Anche in questo caso, i ragazzi e le ragazze hanno lavorato per prima cosa su un dossier di documenti, per scegliere un oggetto a partire dal quale, a parere del gruppo, potesse essere ricostruito un aspetto della storia della Resistenza. Si sono così formati cinque gruppi: uno impegnato a ricostruire il rapporto tra partigiani e alleati, che ha lavorato su un mitragliatore MK II Sten; un secondo concentrato sulla Resistenza non armata, che ha scelto un kit medico; un terzo che ha approfondito il collegamento tra i vari gruppi attivi nella Resistenza, lavorando su una bicicletta. Un quarto gruppo ha scelto come tema la stampa clandestina, ma non è riuscito a portare a termine il lavoro avviato su una pedalina, per una serie di assenze dei diversi membri. L’ultimo gruppo si è focalizzato sul ruolo del CLN e, pur partendo da un oggetto – cioè la scrivania di Villa Migone a Genova sulla quale è stato firmato l’atto di resa del contingente tedesco in città[13] – ha ricostruito un ambiente digitale capace di raccontare questa storia.

La fase 3, della durata di 2 ore, è stata dedicata all’interrogazione e all’interpretazione degli oggetti: studenti e studentesse hanno dovuto analizzare l’oggetto, servendosi di riproduzioni 3D e immagini, in assenza di una sua copia materiale, e poi collegare le sue caratteristiche strutturali (come è fatto?) e funzionali (come veniva usato?) alle informazioni sul contesto storico. In questo modo, la tecnologia digitale si è prestata come supporto all’analisi storica scolastica, ampliando la possibilità di lavorare in modo laboratoriale grazie alle riproduzioni tridimensionali.

Fase 4: “scrivere” un multimedia di storia

Nell’ultima fase, l’oggetto 3D è stato trasformato in un multimedia: a partire dal file della ricostruzione tridimensionale, cercato e scaricato gratuitamente dal sito https://sketchfab.com/, studenti e studentesse hanno programmato un’esperienza di realtà aumentata fruibile con un merge cube. Si tratta di uno strumento semplice ma di effetto: un cubo di gomma che funziona in sostanza come un Qr-Code. Attraverso la piattaforma Delightex si programma un oggetto multimediale e, quando si inquadra tramite smartphone o tablet il merge cube, sullo schermo appare l’oggetto in realtà aumentata. In questo modo, si possono inserire registrazioni audio e video, immagini e testi che espandono l’oggetto 3D, con il quale si può interagire tenendo in mano fisicamente il cubo di gomma. Toccando i punti opportunamente programmati, ruotando il cubo o muovendolo nello spazio si sbloccano i contenuti.

L’attività di programmazione è stata a 360°: studenti e studentesse hanno appreso i rudimenti della programmazione a blocchi, un sistema visuale che permette di scrivere codice informatico usando semplici elementi grafici, ma hanno dovuto programmare l’esperienza dei fruitori degli oggetti anche dal punto di vista dei contenuti scelti, del loro ordine e dell’interpretazione complessiva della Resistenza che volevano trasmettere. Con gli stessi principi e sempre su Delightex ha lavorato anche il gruppo impegnato nella costruzione dell’ambiente virtuale di Villa Migone.

Gli oggetti multimediali creati in questo modo, dunque, hanno richiesto una ricostruzione storica e al contempo hanno stimolato un uso attivo e consapevole della tecnologia per la realtà aumentata. Il risultato è stato un prodotto ricco e multimediale, per elaborare il quale i partecipanti sono stati spinti a lavorare in modo approfondito sugli oggetti di partenza.

 

  Studenti e studentesse impegnati nella prova dell’ambiente 3D ricostruito.

La fase di progettazione di un oggetto in realtà aumentata: dietro al tablet si intravede il merge cube. A destra, un esempio di uno degli oggetti in realtà aumentata visto attraverso lo smartphone: tenendolo in mano è stato attivato un pannello informativo, che può essere letto o ascoltato. Dietro al pannello si intravede l’oggetto, che si può osservare meglio nel brevissimo video della manipolazione (sotto).

 

 

 

 

 

 

 

CONCLUSIONI E PISTE FUTURE

Se insegniamo storia adottando un metodo trasmissivo, includere le nuove tecnologie nelle lezioni si risolve in una sostituzione di una parte della trasmissione fatta dall’insegnante: se l’idea è questa, allora possiamo semplicemente guardare un video o fare qualche domanda all’IA anziché ascoltare il docente. In questo modo, piegheremo le tecnologie a un basso coinvolgimento degli studenti e tenderemo a selezionare quelle che per loro natura trasmettono un messaggio completo che lo studente deve, con più o meno precisione, recepire.[14] Le caratteristiche specifiche dell’ambiente digitale, quali l’interattività, la costruzione cooperativa della conoscenza, la personalizzazione dei percorsi, non hanno senso all’interno di questo tipo di insegnamento: è un’illusione, dunque, che si possano costruire in questo modo competenze di cittadinanza digitale.

Al contrario, se l’apprendimento della storia è visto come un’attività che potenzia strategie cognitive, esercitandole in modo graduale su contenuti rilevanti per la comunità scientifica di riferimento, è possibile integrarlo con tecnologie che accentuano il coinvolgimento degli studenti nella costruzione del messaggio. Centrare l’attività didattica sugli studenti non significa delegare loro la scelta dei contenuti o considerarli irrilevanti ma guidarli in percorsi di apprendimento il cui successo dipende dalla loro partecipazione: da questo punto di vista, le nuove tecnologie possono essere un supporto per un insegnamento-apprendimento nel quale è centrale l’attività di rielaborazione e ricostruzione, condotta individualmente o in gruppo. Quanto più il mezzo usato rende difficile il “copia-incolla”, tanto più sarà utile per spingere gli studenti e le studentesse ad appropriarsi in modo personale dei materiali che proponiamo loro.

Questo progetto PNRR si è svolto in orario pomeridiano e ha potuto contare su un alto numero di ore: le attività presentate in questo articolo ne hanno richieste 17. Tuttavia, un approccio di questo tipo potrebbe essere adottato e diluito nel corso dell’anno, svolgendo le quattro fasi durante unità didattiche diverse. Inoltre, una parte dell’attività di programmazione può essere svolta a casa, una volta che sia stata impostata la prima lezione. In questo modo, il percorso integrato di storia e tecnologia è sostenibile durante la normale attività didattica, a patto che si sia disponibili a quella valutazione formativa e di processo che, tuttavia, caratterizza il laboratorio storico anche con carta e matita.

I materiali in italiano realizzati adattando il percorso Civic On-line Reasoning sono a disposizione di tutti i docenti che vogliano servirsene, a questo indirizzo: https://sharepeardeck.com/kn62bi.

La presentazione è realizzata con Pear Deck, che permette di far interagire studenti e studentesse con le slides. Alcune accortezze: 1. ogni volta che c’è una slide interattiva, i risultati devono essere discussi con la classe; 2. la presentazione include un Kahoot, del quale è inserito il link per il docente, che dovrà lanciare il gioco per la sua classe e modificare il link nella presentazione.

 

BIBLIOGRAFIA

Sul modello del laboratorio storico:

  • A. Brusa, Il laboratorio nel curricolo di storia. Modelli e problemi, in S. Adorno, L. Ambrosi, M. Angelini (a cura di) Pensare storicamente, Franco Angeli, Milano 2020, pp. 49-72.
  • A. Delmonaco, Il laboratorio di storia, in F. Monducci e A. Portincasa (a cura di), Insegnare storia nella scuola secondaria, UTET, Torino 2023, pp. 19-30.

Sul rapporto tra tecnologie e insegnamento della storia:

  • L. Boschetti, S. Ditrani, R. Guazzone, Insegnare storia con le nuove tecnologie, Carocci, Roma 2022.

Sul progetto Civic On-line Reasoning e la lettura laterale:

  • S. Wineburg, S. McGrew, J. Breakstone, T. Ortega, Evaluating Information: The Cornerstone of Civic Online Reasoning. Stanford Digital Repository, 2016 Available at: http://purl.stanford.edu/fv751yt5934.
  • S. Wineburg, J. Breakstone, S. McGrew, M. Smith, T. Ortega, Lateral Reading on the Open Internet (November 15, 2021). Available at SSRN: https://ssrn.com/abstract=3936112 or http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.3936112.
  • J. Breakstone, M. Smith, P. Connors, T. Ortega, D. Kerr, S. Wineburg, Lateral reading: College students learn to critically evaluate internet sources in an online course. Harvard Kennedy School (HKS) in “Misinformation Review”, 2(1), 2021.

Sulla didattica con gli oggetti:

  • J. Santacana Mestre, N. Llonch Molina, Fare storia con gli oggetti, Carocci, Roma 2022.
  • G. De Felice, Archeologie del contemporaneo. Paesaggi, contesti, oggetti, Carocci, 2023.
  • G. De Felice, L’archeologia del contemporaneo in 10 oggetti, Laterza, Roma-Bari 2024.

Note:

[1] Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza- Missione 4 – Componente 1 – Investimento 1.4 “Intervento straordinario finalizzato alla riduzione dei divari territoriali nelle scuole secondarie di primo e di secondo grado e alla lotta alla dispersione scolastica”, finanziato dall’Unione europea – Next Generation EU. Codice – Progetto: M4C1I1.4-2024-1322-P-48441- D.M.19/2024-Titolo del Progetto: “Insieme nel Sylos”, modulo “Che Storia è questa?!”.

[2] R. Vuorikari, S., Kluzer, Y. Punie, DigComp 2.2: The Digital Competence Framework for Citizens, EUR 31006 EN, Publications Office of the European Union, Luxembourg, 2022, doi:10.2760/115376, JRC128415 https://publications.jrc.ec.europa.eu/repository/handle/JRC128415, per la versione italiana https://www.agid.gov.it/sites/agid/files/2024-05/digcomp_2.2_italiano.pdf.

[3] Qui una breve cronologia delle attività: https://inquirygroup.org/history. Dal sito si può accedere anche ad una vasta bibliografia, dalla quale cito, alla fine dell’articolo, alcune ricerche che consiglio come prime letture sul tema.

[4] Ne sono esempi le riproduzioni 3D prodotte e distribuite gratuitamente, tra gli altri, dal British Museum, dallo Smithsonian Museum e dal Museo Egizio di Torino.

[5] Su questo punto si vedano le opere di Jean Davallon, citato come pioniere nel settore da J. Santacana Mestre, N. Llonch Molina, Fare storia con gli oggetti, Carocci, Roma 2022.

[6] https://www.historialudens.it/didattica-della-storia/362-saigon.html

[7] A. Brusa, Il manuale, la lezione e i documenti come strumenti di alfabetizzazione storica. Tecniche e problemi di insegnamento fra innovazione e tradizione, in “Dimensioni e problemi della ricerca storica” 1/2021, pp. 183-230.

[8] L. Boschetti, S. Ditrani, R. Guazzone, Insegnare storia con le nuove tecnologie. Didattica aumentata per bambini e adolescenti, Carocci, Roma 2022, pp. 71-77.

[9] R. Guazzone, Meme-nto mori. Ovvero come sfottere papi e imperatori al tempo dei social (e leggere attentamente il manuale), su Historialudens.it, 20 gennaio 2021; M. Gazzini, Meme o non meme? Contaminazioni tra evoluzionismo, visual history e medievistica, Istituto storico italiano per il Medioevo, Roma 2024.

[10] Sono stati volutamente scelti meme prodotti in contesti diversi: la pagina Facebook “Feudalesimo e libertà”, due corsi universitari (uno italiano e uno americano, rispettivamente di storia medievale e di storia moderna), e due attività svolte in una scuola superiore. Sono stati considerati “storici” sia i meme che ironizzavano sui comportamenti e la personalità di personaggi storici, sia quello di “Feudalesimo e libertà”, che metteva alla berlina gli stereotipi colti sul Medioevo diffusi in rete. Sulle caratteristiche dei meme nella didattica della storia cfr. L. Boschetti, S.  Ditrani, R. Guazzone, Insegnare storia con le nuove tecnologie, Carocci, Roma 2022, pp. 71-77.

[11] La periodizzazione proposta ha tenuto presenti T. Judt, Postwar. La nostra storia 1945-2005, Laterza, Roma-Bari 2005 e E. Bini, E. Vezzosi (a cura di) Scienziati e guerra fredda. Tra collaborazione e diritti umani, Viella, Roma 2020. Con i e le partecipanti si è brevemente discusso delle differenti date considerate dagli storici come punto di svolta negli anni Settanta: sono stati fatti cenni agli eventi del 1971, 1973 e 1975, per poi decidere di considerare il quinquennio 1971-1975 come periodo nel quale maturano una serie di cambiamenti decisivi.

[12] P. E. Boccalatte, M. Carrattieri, Scarpe rotte eppur bisogna andar. Una storia della Resistenza in 30 oggetti, Biblion Edizioni, Milano 2024. Il volume è stato recensito su Novecento.org proprio mentre era in corso questo progetto: cfr. Enrica Bricchetto, Scarpe rotte eppur bisogna andar. Una storia della Resistenza in 30 oggetti, a cura di P. E. Boccalatte e M. Carrattieri, in “Novecento.org”, n.23, giugno 2025. DOI: 10.52056/9791257010218/17.

[13] Il testo di riferimento per questo ambiente è stato E. M. Tonizzi, “A wonderful job”. Genova, aprile 1945: insurrezione e liberazione, Carocci, Roma 2006. Per gli altri gruppi, si è fatto ampio ricorso anche al Dizionario della Resistenza, a cura di E. Collotti, R. Sandri e F. Sessi, nuova edizione, Torino, Einaudi 2006. Come detto, ogni gruppo aveva a disposizione un proprio dossier di materiali, specifici per l’argomento affrontato.

[14] M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano 2023 (1967).