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Siamo in grado di comprendere i subalterni?

Siamo in grado di comprendere i subalterni?
Abstract

Il percorso degli studenti della classe 4 B RIM dell’istituto “Genco” di Altamura si è incentrato sul Quaderno 25 “Ai margini della storia” dedicato – come indica il sottotitolo – alla storia dei gruppi sociali subalterni. Le attività didattiche svoltesi in forma laboratoriale, oltre a stimolare uno studio diretto dei testi gramsciani, sono state pensate in chiave trasversale e metacognitiva. Dalla lettura e dalla riflessione in gruppi è derivato un prodotto audio in cui gli studenti hanno riflettuto anche sulla possibilità di leggere la condizione di subalterni al presente se non “con le lenti di Gramsci”, almeno sulla base delle proprie esperienze e convinzioni in termini differenti. A corredo sono poste un’antologia dal Quaderno 25 e alcune proposte bibliografiche.

Quale Gramsci? I subalterni

La proposta di un laboratorio su testi gramsciani è stata in generale ben accolta dal gruppo classe, già coinvolto in precedenti esperienze laboratoriali. Indubbiamente vi erano anche dei problemi in questa nuova sfida, in particolare riguardanti la “saldatura” fra il programma di storia in svolgimento (trattandosi di classe quarta) e l’approfondimento dell’epoca in cui Gramsci visse e operò: un autore-personaggio politico, peraltro, poco noto a gran parte della classe, come emerso in sede iniziale.

Questa difficoltà, discussa con gli stessi studenti, è stata in larga parte superata grazie alla scelta di una tematica chiaramente utile in chiave metodologica e trasversale. La proposta è stata infatti quella di indagare la riflessione gramsciana sulla società e sulla sua articolazione in classi e gruppi, riflettendo sui caratteri di questa articolazione – la divisione fra classi dominanti e gruppi dominati e le interrelazioni fra loro – e, in particolare, sui gruppi “subalterni”.

La categoria di subalterni per Gramsci indica un insieme plurale ed eterogeneo di gruppi sociali, che comprende altre componenti oltre alla classe operaia e al proletariato. Sono gruppi sociali divisi tra loro, caratterizzati da vari livelli di marginalità e organizzazione, accomunati però dalla subalternità ai gruppi sociali dominanti, ai cui interessi, principi e valori finiscono per essere subordinati.

Si è posta subito una questione preliminare: qual è il ‘senso comune’ che si è venuto a creare su una categoria intrinsecamente multiforme e cangiante come quella di subalterni? Per la generazione dei cosiddetti millennials chi sono i subalterni? Quante tipologie esistono e legate a quali “narrazioni”, memorie sedimentate, esperienze? Che significa essere ai margini della storia: appartenere ad una certa etnia/razza, essere donne, essere colonizzati, essere dipendenti, poveri, disoccupati, essere ignoranti? Oggi che vuol dire essere subalterni? Queste domande hanno accompagnato tutto il percorso didattico, costituendo il necessario contrappunto alla lettura dei testi gramsciani, che si sono rivelati un prezioso laboratorio storico e del tempo presente.

L’idea generale del lavoro didattico

Nei mesi di ottobre e novembre, quindi, dopo aver fatto ricerche sulla biografia gramsciana e sulle caratteristiche testuali dei suoi Quaderni del carcere, gli studenti hanno letto il Quaderno 25 “Ai margini della storia”, dedicato – come indica il suo sottotitolo – alla storia dei gruppi sociali subalterni[1].

La lettura dei paragrafi del breve quaderno ha assunto carattere significativo in relazione non solo ai contenuti specifici approfonditi ma anche per il modo diverso di intendere e studiare la storia: come ricerca di «ogni traccia di iniziativa autonoma da parte dei gruppi subalterni » (Q 25, 2), in nome di una storia “integrale”. In altre parole, il testo gramsciano ha stimolato anche una riflessione di secondo livello (metacognitiva) sulla didattica della storia e sulla storiografia.

Programmazione disciplinare e progettazione

Ne è conseguita un’integrazione nella programmazione di storia per la classe, con la delineazione di un’apposita Unità di Apprendimento. L’aver affidato ai testi gramsciani il ruolo di documenti-guida nella stesura dell’Uda da un lato risponde all’esigenza di attivare in sede laboratoriale processi di apprendimento non più incentrati su un procedimento meramente trasmissivo, dall’altro mostra come si possa coniugare una seria didattica per competenze con l’approfondimento dei contenuti e delle conoscenze, piuttosto che, come alcuni critici rilevano, con un loro ridimensionamento e semplificazione.

Nel costruire l’UdA  il docente ha scelto quindi un ‘approccio misto’, alternando lezioni frontali e attività in gruppo, in classe e a casa. Sono queste ultime a connotare la dimensione laboratoriale, utile anche per responsabilizzare maggiormente degli studenti e per promuovere i differenti interessi coltivati dagli stessi.

Le indicazioni di natura metodologica e didattica sono state esplicitate agli studenti e da questi largamente condivise:

  • Promuovere negli alunni una migliore conoscenza dell’argomento attraverso studi e ricerche individuali e di gruppo.
  • Promuovere autonomi percorsi culturali mediante ricerche capaci di coinvolgere differenti competenze e attitudini e di favorire l’intreccio fra studio della storia e personali interessi per determinati argomenti e aspetti.
  • Sviluppare una lettura dei testi gramsciani nella duplice chiave di fonti storiche e documenti storiografici; distinguere le informazioni fornite dalle fonti e i giudizi della storiografia successiva.

Schema del lavoro didattico

a) brainstorming: chi sono i “subalterni”?

b) lettura degli otto paragrafi del Quaderno gramsciano, selezione dei temi, divisione in gruppi

c) ricerche bibliografiche e sitografiche (con l’ausilio del docente)

d) discussione sui testi e restituzione delle riflessioni suscitate dalla lettura

e) elaborazione di un prodotto finale comune

f) relazioni finali dei gruppi e autovalutazione

Dalle definizioni spontanee alla storiografia

Al centro degli elaborati parziali dei singoli gruppi di lavoro (c) vi è stata la definizione di subalterni e l’importanza del loro ruolo nella concezione gramsciana di storia.

Successivamente, il docente ha chiesto alla classe di comunicare riflessioni, domande e suggestioni ricavate dalla lettura dei testi gramsciani in un prodotto finale (d), che raccogliesse il lavoro di tutti i gruppi. La scelta è stata quella di simulare una trasmissione radiofonica, con interviste condotte fra gli stessi alunni su alcuni temi approfonditi. Come strumentazione sono stati utilizzati gli smartphone degli stessi alunni, che hanno consentito sia di redigere e modificare i vari elaborati sia di registrare i vari interventi: tale impiego ha reso nettamente più spedita l’intera attività.

Nel lavoro finale, un file audio di 11 minuti, sono confluiti il racconto del lavoro svolto, alcuni temi e vicende affrontate dal pensatore sardo nel Q25[2], ma soprattutto la domanda da cui è partito tutto il lavoro: Siamo in grado di comprendere i subalterni? In questa sezione le voci dell’intera classe si sono soffermate sulla propria percezione dei subalterni, ossia su come intendere questo eterogeneo e mutevole gruppo sociale, ieri e soprattutto oggi.

Non sfuggirà il riferimento alle tesi, suggestive quanto discusse, di una studiosa anglo-indiana, Gayatri Spivak. In un suo saggio pubblicato originariamente nel 1988, Can the Subaltern Speak?, la studiosa concludeva che no, i subalterni non possono parlare: un subalterno che parla, infatti, ha perso la sua condizione subalterna. Nondimeno la lettura dei testi gramsciani sembra riportare la questione su altri binari. E su questo tema sono stati chiamati gli alunni a esprimere il loro giudizio motivato.

Gayatri Spivak, esponente di rilievo dei “Subaltern Studies”, qui intervistata da Steve Paulson https://conversations.e-flux.com/t/gayatri-spivak-on-derrida-the-subaltern-and-her-life-and-work/4198. Per avviarsi allo studio di questa corrente storiografica, si può partire da questa nota di “Storicamente” https://storicamente.org/storia-delle-migrazioni_link9 .

Una comunità ermeneutica in sviluppo

La partecipazione al laboratorio gramsciano è stata per gli alunni un’autentica novità, vissuta peraltro senza particolare enfasi o “ansie da prestazioni”. In tal senso opportuna si è rivelata la scelta di un’elaborazione corale in sede di studio e di registrazione, tesa ad evitare una mera sommatoria di prestazioni individuali.

Le riflessioni gramsciane e la tematica delle culture delle classi subalterne hanno consentito inoltre agli studenti e alle studentesse di aprire spazi ad una didattica interdisciplinare connessa in modo critico e riflessivo con i dilemmi del loro presente.

Attraverso la critica di Gramsci ad una visione della storia che tiene ai margini alcuni gruppi (diversi per etnia, genere, collocazione produttiva, ecc. dai gruppi dominanti), rendendoli subalterni, gli studenti hanno potuto riflettere su come viene costruito, anche culturalmente, il rapporto con il passato da parte di una comunità. Si veda ad esempio la densa annotazione gramsciana in Q 25, 4: «Spesso i gruppi subalterni sono originariamente di altra razza (altra cultura e altra religione) di quelli dominanti e spesso sono un miscuglio di razze diverse, come nel caso degli schiavi». Se la storia è “dal punto di vista di un gruppo”, se lascia gli altri gruppi “ai margini”, se è al servizio di una certa “costruzione identitaria”, non può essere storia integrale, non può essere autentico strumento di conoscenza e di riflessione sul passato. Questo è un tema cruciale oggi, se è vero, come sostengono molti studiosi, che il rapporto tra storia e memoria si sia oggi capovolto a favore di quest’ultima, favorendo il proliferare di usi (e abusi) pubblici della storia.

Una valenza interdisciplinare

La gramsciana storia integrale invece si presta perfettamente ad essere parte di una didattica interculturale che abbia anche l’ambizione di essere una sorta di antidoto al ritorno di narrazioni identitarie e neo-razziste (su base culturalista, non più pseudo-biologica), basate su dicotomie oppositive “noi – loro”. Intesa in questo modo, la storia è educazione alla cittadinanza, ai principi stessi su cui si fonda la Costituzione repubblicana. Si pensi, e.g., al dettato costituzionale degli articoli 3 (uguaglianza formale e sostanziale), 8 e 19 (libertà religiosa), 10 commi 3 e 4 (diritto d’asilo e limiti all’estradizione di stranieri), 30 (tutela dei figli anche se illegittimi), 34 (diritti e doveri dell’istruzione). Principi capaci, nella loro lenta (in parte incompiuta) applicazione in rebus, di scardinare secolari disuguaglianze strutturali.

Valutazione e riflessioni didattiche

La valutazione delle attività e degli apprendimenti – sempre complessa in sede laboratoriale, anche perché non assume carattere solo personale – ha tenuto conto in primo luogo dell’impegno profuso, del rispetto delle consegne (a loro volta evolutesi in base alle risposte degli studenti) e della qualità dei vari contributi all’elaborato. Ancora più complessa la valutazione delle ricadute tanto didattica quanto metacognitiva (in termini di consapevolezza storico-critica, capacità di operare collegamenti, creatività, autovalutazione) che necessita, si converrà, di tempi più distesi di osservazione. Si può sostenere come il progetto gramsciano abbia provato ad attivare percorsi personali che non possono né vogliono essere valutati esclusivamente nel presente anno scolastico.

Una tappa importante è consistita nella stesura di una relazione finale da parte dei vari gruppi di lavoro con la richiesta anche di critica e di autovalutazione: in essa gli studenti sono stati invitati a esporre tanto il proprio contributo alle attività nelle diverse fasi quanto l’utilità sul piano formativo (conoscenze acquisite e procedure attivate).

Ecco uno stralcio dalla relazione finale

la classe, nonostante le prime perplessità dovute al mancato studio del periodo storico di riferimento, ha portato a termine il compito assegnato apprendendo spunti di riflessione per affrontare le tematiche odierne» (gruppo sul rapporto donne-subalternità); «la storia ufficiale non può tralasciare i ceti non dominanti in quanto anch’essi meritano di essere inseriti nella storia, anche perché essi sono sempre stati e sono tutt’oggi la maggioranza della popolazione» (gruppo su Lazzaretti). Le relazioni degli altri gruppi si sono concentrati solo sugli aspetti contenutistici

La stessa presenza di difficoltà nella comprensione o ritrascrizione dei contenuti gramsciani ha provocato riflessioni aggiuntive, come è avvenuto nel caso del tema, pur brevemente affrontato in uno dei paragrafi (Q 25, 4), della relazione fra subalternità e dimensione femminile, che ha necessitato di particolare attenzione da parte del gruppo che vi si è dedicato.

Ecco uno stralcio da un tema:

Come nota Gramsci, le classi subalterne spesso si sono legate alla dimensione etnica creando lavori servili per le donne in vari ambiti, come quello agricolo. Nel quaderno 25 Gramsci non si occupa molto dell’argomento “DONNA”. Nel quarto paragrafo Gramsci istituisce un’analogia fra la donna nel mondo romano e il rapporto dei gruppi subalterni rispetto a quelli dominanti nel corso della storia. Tuttavia, questa analogia è parziale: il rapporto tra uomo e donna basato sul maschilismo non è equiparabile totalmente a quello delle classi superiori che dominano i gruppi subalterni. Gramsci ritiene più importante quest’ultimo rapporto, non sottovalutando però il rapporto di dominazione dell’uomo sulla donna (denominato maschilismo) che secondo la sua opinione è importante per la storia dei costumi e della mentalità.

Comprendere i subalterni

Per come gli alunni hanno affrontato le note gramsciane, alcune tematiche appaiono sensibili: la presenza occultata degli schiavi con la loro componente etnica, la dimensione religiosa (fra contenimento e promozione delle istanze di riscatto), l’interesse per la storia delle donne, infine il ruolo dell’istruzione come fattore di emancipazione.

Invitati a rispondere alla domanda siamo in grado di comprendere i subalterni? nella sezione finale, gli alunni si sono divisi. Fra chi ha dato una risposta negativa le motivazioni sono legate al cambiamento dei tempi e delle morfologie sociali dei subalterni (non più lo schiavo romano o la serva medievale ma il bracciante straniero, talvolta diplomato, senza documenti validi che giunge in Puglia per le varie stagioni di raccolta agricola e che riceve paghe insufficienti) o alla mancanza di esperienza diretta. Altri hanno risposto positivamente: una maggiore attenzione mediatica su certi temi e le attività di volontariato religioso giustificano una personale conoscenza; infine, altri ancora hanno sostenuto una posizione intermedia: la subalternità si esprime anche in una difficile comunicazione e in ridotte possibilità di incontro; d’altre parte, come evidenziato in tre interventi, è difficile immedesimarsi in loro (che è poi il tema gramsciano della medesimezza fra intellettuali e popolo). 

Comprendere noi stessi

Nondimeno si è insinuato il dubbio che anch’essi – giovani meridionali – in qualche modo, nonostante i loro positivi rendimenti scolastici e le loro capacità, non possano considerarsi (con buona pace di chi pone subalternità e consapevolezza come condizioni ossimoriche) subalterni. Così allora le note gramsciane assumerebbero un differente scopo: non citazioni su mondi antichi o passati ma spunti per la comprensione del proprio mondo. Siamo in grado di comprendere noi stessi?

 

Dossier

ANTOLOGIA DI TESTI GRAMSCIANI DAL QUADERNO 25

Criteri metodologici per lo studio dei subalterni

La storia dei gruppi sociali subalterni è necessariamente disgregata ed episodica. È indubbio che nell’attività storica di questi gruppi c’è la tendenza all’unificazione sia pure su piani provvisori, ma questa tendenza è continuamente spezzata dall’iniziativa dei gruppi dominanti, e pertanto può essere dimostrata solo a ciclo storico compiuto, se esso si conchiude con un successo. I gruppi subalterni subiscono sempre l’iniziativa dei gruppi dominanti, anche quando si ribellano e insorgono: solo la vittoria «permanente» spezza, e non immediatamente, la subordinazione. In realtà, anche quando paiono trionfanti, i gruppi subalterni sono solo in istato di difesa allarmata (questa verità si può dimostrare con la storia della Rivoluzione francese fino al 1830 almeno). Ogni traccia di iniziativa autonoma da parte dei gruppi subalterni dovrebbe perciò essere di valore inestimabile per lo storico integrale; da ciò risulta che una tale storia non può essere trattata che per monografie e che ogni monografia domanda un cumulo molto grande di materiali spesso difficili da raccogliere.

Q 25, 2

Come si formano i gruppi subalterni

Bisogna pertanto studiare: 1) il formarsi obbiettivo dei gruppi sociali subalterni, per lo sviluppo e i rivolgimenti che si verificano nel mondo della produzione economica, la loro diffusione quantitativa e la loro origine da gruppi sociali preesistenti, di cui conservano per un certo tempo la mentalità, l’ideologia e i fini; 2) il loro aderire attivamente o passivamente alle formazioni politiche dominanti, i tentativi di influire sui programmi di queste formazioni per imporre rivendicazioni proprie e le conseguenze che tali tentativi hanno nel determinare processi di decomposizione e di rinnovamento o di neoformazione; 3) la nascita di partiti nuovi dei gruppi dominanti per mantenere il consenso e il controllo dei gruppi subalterni; 4) le formazioni proprie dei gruppi subalterni per rivendicazioni di carattere ristretto e parziale; 5) le nuove formazioni che affermano l’autonomia dei gruppi subalterni ma nei vecchi quadri; 6) le formazioni che affermano l’autonomia integrale ecc.

Q 25, 5

Alcune note generali sullo sviluppo storico dei gruppi sociali subalterni nel Medio Evo e a Roma

Spesso i gruppi subalterni sono originariamente di altra razza (altra cultura e altra religione) di quelli dominanti e spesso sono un miscuglio di razze diverse, come nel caso degli schiavi.

La quistione dell’importanza delle donne nella storia romana è simile a quella dei gruppi subalterni, ma fino a un certo punto; il «maschilismo» può solo in un certo senso essere paragonato a un dominio di classe, esso ha quindi più importanza per la storia dei costumi che per la storia politica e sociale.

Q 25, 4

Gli schiavi a Roma.

1) Un’osservazione casuale di Cesare (Bello Gallico, I, 40, 5) informa del fatto che il nucleo degli schiavi che si rivoltarono con Spartaco era costituito dai prigionieri di guerra Cimbri: questi rivoltosi furono annientati. (Cfr Tenney Frank, Storia economica di Roma, trad. italiana, Ed. Vallecchi, p. 153). In questo stesso capitolo del libro del Frank sono da vedere le osservazioni e le congetture sulla diversa sorte delle varie nazionalità di schiavi e sulla loro sopravvivenza probabile in quanto non furono distrutti: o si assimilarono alla popolazione indigena o addirittura la sostituirono.

2) A Roma gli schiavi non potevano essere riconosciuti esteriormente come tali. Quando un senatore propose una volta che agli schiavi fosse dato un abito che li distinguesse, il Senato fu contrario al provvedimento, per timore che gli schiavi divenissero pericolosi qualora potessero rendersi conto del loro grande numero (cfr Seneca, De clem., I, 24 e Tacito, Annali,

4, 27). In questo episodio sono contenute le ragioni politico‑psicologiche che determinano una serie di manifestazioni pubbliche: le processioni religiose, i cortei, le assemblee popolari, le parate di vario genere e anche in parte le elezioni (la partecipazione alle elezioni di alcuni gruppi) e i plebisciti.

Q 25, 6

Davide Lazzaretti

Davide Lazzaretti. In un articolo pubblicato dalla «Fiera Letteraria» del 26 agosto 1928, Domenico Bulferetti ricorda alcuni elementi della vita e della formazione culturale di Davide Lazzaretti. Bibliografia: Andrea Verga, Davide Lazzaretti e la pazzia sensoria (Milano, Rechiedei, 1880); Cesare Lombroso, Pazzi e anormali (questo era il costume culturale del tempo: invece di studiare le origini di un avvenimento collettivo, e le ragioni del suo diffondersi, del suo essere collettivo, si isolava il protagonista e ci si limitava a farne la biografia patologica, troppo spesso prendendo le mosse da motivi non accertati o interpretabili in modo diverso: per una élite sociale, gli elementi dei gruppi subalterni hanno sempre alcunché di barbarico e di patologico).

[…] il Barzellotti studia il successivo svolgimento dello spirito del Lazzaretti, i suoi viaggi in Francia, e l’influsso che ebbe su di lui il prete milanese Onorio Taramelli, «uomo di fine ingegno e larga coltura», che per aver scritto contro la monarchia era stato arrestato a Milano e poi era fuggito in Francia. Dal Taramelli Davide ebbe l’impulso repubblicano. La bandiera di Davide era rossa con la scritta: «La repubblica e il regno di Dio».

Nella processione del 18 agosto 1878 in cui Davide fu ucciso, egli domandò ai suoi fedeli se volevano la repubblica. Al «sì» fragoroso egli rispose: «la repubblica incomincia da oggi in poi nel mondo; ma non sarà quella del ’48: sarà il regno di Dio, la legge del Diritto succeduta a quella di Grazia».

[…] In ogni modo, il dramma del Lazzaretti è stato finora veduto solo dal punto di vista dell’impressionismo letterario, mentre meriterebbe un’analisi politico-storica».

Q 25, 1

Davide Lazzaretti (1834-1878), il “profeta dell’Amiata” è stato a lungo  oggetto di studi sulle eresie e  i movimenti di protesta contadina. Oggi  rientra anche nell’ottica degli studi sulla subalternità. Qui,  la bibliografia a cura della Regione  Toscana: http://www.consiglio.regione.toscana.it/upload/BIBLIOTECA/documenti/DOCUMENTI_BIBLIOTECA/bibliografie/2017/bibliografia_LAZZARETTI_2017.pdf

PICCOLA BIBLIOGRAFIA RAGIONATA DI STUDI GRAMSCIANI SUL QUADERNO 25

Testo critico di riferimento: Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, 4 volumi, Torino 1975.

Per le caratteristiche testuali dei Quaderni si veda almeno R. Mordenti, Gramsci e la rivoluzione necessaria, Roma 2007, pp. 155-172.

Utili spunti sul tema dei subalterni in Gramsci in: G. Liguori, Tre accezioni di «subalterno» in Gramsci, in “Critica marxista” n.s. 6 (2011), pp. 33-41; L. Durante, Nazionale-popolare, in F. Frosini-G. Liguori (a cura di), Le parole di Gramsci. Per un lessico dei Quaderni del carcere, Roma 2004, pp. 150-169; F. Frosini, L’egemonia e i “subalterni”: utopia, religione, democrazia, in “International Gramsci Journal”, 2(1), 2016, pp. 126-166 (consultabile su :http://ro.uow.edu.au/gramsci/vol2/iss1/25 )-

Per la ricezione degli spunti gramsciani sui subalterni in una delle principali studiose postcoloniali, Gayatri Spivak, si vedano come bibliografia di partenza: G.C. Spivak, Critica della ragione postcoloniale. Verso una storia del presente in dissolvenza, Roma 2004; M. Mellino, La critica postcoloniale. Decolonizzazione, capitalismo e cosmopolitismo nei postcolonial studies, Roma 2005, in part. pp. 79-83; Liguori, Tre accezioni di «subalterno» in Gramsci, cit.

Si segnalano come recenti studi per la schiavitù nel Mediterraneo tardoantico, ossia nel passaggio fra mondo antico e medievale: K. Harper, Slavery in the Late Roman World, AD 275-425, Cambridge-New York 2011; G. Colantuono, Unioni tardoantiche. Documenti conciliari e giuridici per una storia sociale del matrimonio nella tarda antichità, Roma 2018, pp. 115-166 (sul tema delle unioni, contubernia, fra persone libere e appartenenti al mondo servile).


Note:

[1] I testi gramsciani sono tratti dalla classica edizione einaudiana.

[2]

  • la figura del capo religioso ottocentesco Davide Lazzaretti e i possibili motivi del fatto che tale vicenda sia posta all’esordio del Quaderno 25 (Q 25, 1) .
  • La condizione degli schiavi nell’antica Roma (Q 25, 6).
  • La riflessione sulla subalternità al femminile (Q 25, 4).
  • L’utilità della riflessione gramsciana per l’apprendimento della storia. Questa parte della registrazione è stata realizzata anche in albanese grazie alla presenza di tre alunni.
  • La ricerca di possibili eredi della riflessione gramsciana sui subalterni in Italia.

Dati articolo

Autore:
Titolo: Siamo in grado di comprendere i subalterni?
DOI: 10.12977/nov246
Parole chiave:
Numero della rivista: n.10, agosto 2018
ISSN: ISSN 2283-6837

Come citarlo:
, Siamo in grado di comprendere i subalterni?, Novecento.org, n. 10, agosto 2018. DOI: 10.12977/nov246

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