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Si chiude un archivio, si apre un portale. Gli album fotografici della guerra nello schermo digitale del Centenario

Si chiude un archivio, si apre un portale. Gli album fotografici della guerra nello schermo digitale del Centenario
Abstract

A partire dal 2001 il patrimonio documentario della Grande Guerra partecipa di una politica istituzionale che si propone di stimolare iniziative che valorizzino tematiche di studio e di divulgazione pubblica relative all’identità nazionale italiana.[1] In questa logica, anche il fondo fotografico conservato presso il Museo Centrale del Risorgimento di Roma – la Grande Guerra è ancora la quarta guerra d’indipendenza italiana dall’Impero austro-ungarico – è inserito in un piano di “unificazione” del patrimonio volto alla digitalizzazione e alla fruizione condivisa sul web. Così, il «Fondo Fotografico della Prima Guerra Mondiale», smembrato intorno al 1934 tra vari istituti – la Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea, la Biblioteca Universitaria Alessandrina e il Museo Centrale del Risorgimento di Roma – è stato ricomposto sul portale del sito www.14-18.it secondo i criteri di messa in rete dettati dal progetto europeo Europeana.eu.[2]

Il passaggio definitivo del «Fondo Fotografico Guerra» al digitale apre e pone allo storico e studioso di fonti iconografiche della Grande Guerra una serie di significative questioni di metodo e di contenuto, nuove e dirimenti rispetto al destino virtuale dell’archivio come luogo di ordinamento, reperimento e fruizione di documenti. Il caso specifico della trasmigrazione degli album fotografici della guerra sul portale web http://www.14-18.it/album definisce alcune problematiche del fenomeno della digitalizzazione: qualità dell’immagine, reperimento delle informazioni presenti sugli oggetti materiali, rispetto delle logiche narrative del montaggio fotografico e delle strategie iconografiche della messa in sequenza dei fotogrammi sulle pagine degli album.[3] Per il patrimonio fotografico digitalizzato del MCRR, l’accesso e la consultazione sono possibili esclusivamente sul web, ne consegue che il portale coincide con la sede unica dell’archivio e con l’archivio stesso. La ricerca storica e le politiche di uso pubblica del passato e della memoria via web devono, dunque, fare i conti con il nuovo tournant teorico attraversato dal concetto di archivio ai tempi di internet e comprendere se sia o meno necessario ricodificare il metodo della ricerca di fronte a queste proliferanti memorie virtuali collettive ad uso delle celebrazioni.

Il Centenario come osservatorio dell’uso pubblico del passato

L’11 marzo del 2011, per la presentazione pisana del suo ultimo saggio sulla mitografia della patria dall’Unità al fascismo, lo storico Alberto Mario Banti provoca il pubblico a una riflessione. Parafrasando le conclusioni del libro dedicate all’analisi critica dell’uso pubblico dell’universo simbolico del nazionalismo e dei suoi miti fondativi, Banti pone una domanda alla storiografia: «Davvero si ritiene che questa sia la migliore attrezzatura che la comunità repubblicana può mettere in campo per affrontare le sfide dell’emigrazione, della globalizzazione, del multiculturalismo?» (Banti 2011, p.208). Erano in corso le celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario del Risorgimento. Oggi, nel 2016, in pieno Centenario europeo della Grande Guerra, quesiti sovrapponibili a quelli sono di nuovo d’attualità, soprattutto se si considera la macchina culturale messa in moto sul web ancora prima dell’inizio ufficiale delle celebrazioni nel maggio 2014.

L’universo simbolico artificioso e propagandistico della nazione come patria in armi, fondata sul mito manipolatorio dei caduti e sul dizionario della violenza virile e del sacrificio dei martiri, è valido anche per il primo conflitto mondiale. Questo evento, anzi, si dimostra essere la più potente cassa di risonanza delle retoriche discorsive e iconografiche nate dall’epopea del Risorgimento, prima costruzione dell’identità nazionale e della memoria storica ufficiale conseguente. In questi primi anni di celebrazione/commemorazione della guerra, la marginalizzazione delle «più recenti ricerche scientifiche» cui accennava Banti sembra acutizzarsi a favore di un ulteriore radicamento delle due strategie dominanti nell’uso pubblico del passato. La prima (e migliore) di queste, fa un utilizzo dell’oggetto storico – la tragedia mondiale della guerra – come monito etico del pacifismo con il rischio, seppur «nobile», «che l’educazione civica si mangi la storia» a colpi di presentismo.[4] La seconda strategia, comunque in linea con le intenzioni dell’altra, pratica un uso del passato che più che pubblico diviene mediatico con la messa in campo dei dispositivi e delle politiche dell’Historytainment che fanno della Grande Guerra un evento di intrattenimento invece che un oggetto di storia.

Questi atteggiamenti si sono alimentati con il susseguirsi delle commemorazioni del ’14-’18 grazie alle vagues interpretative che hanno tentato ogni volta di guidare e definire i processi costitutivi della memoria pubblica nazionale sulla Grande Guerra. La prima di queste vagues è quella “risorgimentale” degli anni Venti, quando le celebrazioni della guerra esprimono la volontà del regime fascista di forgiare la comunità nazionale “redenta” nel mito armato e vittorioso dell’unità e dell’indipendenza. Una retorica nazionalista pure ancora valida negli anni difficili del secondo dopoguerra quando viene utilizzata per pacificare la memoria divisa tramite il mito storico del sacrificio per la patria unita.

È solo con il ’68 che, in contrasto con quelle logiche interpretative della storia nazionale appena ribadite dal cinquantesimo della Grande Guerra (1965), si fanno avanti nuove e importanti proposte di ricerca. La contingenza politica di quegli anni spinge ad adottare una prospettiva “dal basso” e “periferica” rispetto al discorso ufficiale nazionale. Al lavoro di studiosi come Isnenghi, Antonelli e Gibelli si deve l’affermazione di oggetti, soggetti e fenomeni che la storiografia ufficiale non ha mai considerato.[5] A questa scuola di studi, ormai affermata e istituzionalizzata, si deve inoltre un approccio interdisciplinare capace di sfilacciare il tessuto del racconto unico della Storia, portando l’attenzione sulle storie ancora anonime.

Nonostante ciò, immagini e figure profonde (Banti 2011) permangono e sono riattivate e diffuse dall’azione attualizzante di alcune politiche ufficiali. In modo particolare, oggi queste opposte strategie celebrative della Grande Guerra sembrano trovare nella riconfigurazione dei patrimoni documentali e archivistici sul web e dell’archivio-museo virtuale un nuovo e più prolifero luogo d’elezione.

Fotografia e Grande Guerra. Una questione di visibilità (archivistica)

schermata3Fin qui si è soltanto accennato alla straordinaria diversificazione di quelle che si considerano ufficialmente fonti per la storia della Grande Guerra. La novità dell’approccio metodologico della ricerca degli ultimi trenta-quaranta anni ha riconosciuto il valore e la dignità scientifica di documento a oggetti “altri” da quelli stabiliti dalle griglie descrittive e normative di inventari e cataloghi d’archivio. Insieme agli egodocumenti e ai piccoli oggetti prodotti artigianalmente in trincea, le fotografie e gli album fotografici sono tra i fondi più consistenti e rappresentativi della natura proliferante del patrimonio archivistico della Grande Guerra, seppur rimasti i più “invisibili” alla ricerca e alla divulgazione pubblica. Almeno fino ad ora.

Se è vero che ogni epoca si dà fonti che rispondono ai bisogni contingenti (Vovelle 1980), allora il numero e la qualità degli album fotografici provenienti dai fronti della Grande Guerra li elevano a fonti legittime per la ricerca storica in quanto documentano una evidente – quantitativamente e qualitativamente – capacità di rispondere a esigenze proprie dell’«attimo pericoloso» dell’esperienza di guerra (Jünger 1931). Da un lato, il soldato è costretto a una visione menomata, inquadrata dall’interramento e dall’ottica forzata delle feritoie nelle trincee. Nella logistica della trincea la percezione è, infatti, totalmente nuova rispetto ai passati scenari di guerra (Virilio 2002): essa diventa non soltanto strategica per la presa di visione della realtà circostante, dunque per il grado di visibilità agibile sul campo; ma si fa anche funzionale alla sopravvivenza che, al contrario, dipende dalla maggiore invisibilità del soldato nella trincea (Grossi 2013). Dall’altro lato, un bisogno proprio di quell’«attimo pericoloso» è quello di lasciare un’impronta dell’esistenza del singolo, del suo corpo e del suo corpo d’armata, delle operazioni militari come della vita quotidiana nel terreno dissestato delle trincee. La fotografia soddisfa questo bisogno “magicamente” così come ormai accade fin dagli albori della svolta foto-cinematografica nella seconda metà del XIX secolo.

Con la Prima guerra mondiale, però, l’uso della fotografia si massifica e si sistematizza anche come tecnica logistica sul campo e come produzione iconografica coerente con l’immaginario bellico ereditato dalle ultime guerre ottocentesche. Tale messe di immagini si caratterizza per una volontà a far conoscere la guerra vedendola grazie al lavoro di fotografi, anche affermati, arruolati nei Servizi Foto-cinematografici degli eserciti. Le prime piccole macchine fotografiche tascabili, poi, permettono anche ai soldati amatori di cimentarsi e di far confluire i propri scatti nelle raccolte dei Servizi ufficiali. La fotografia prolifera in trincea, quindi, tanto per documentare gli avvenimenti e per guidare le operazioni militari, quanto per comporre un vasto e massificato collage di testimonianze del tutto inedito rispetto alle “visioni” e ai “panorami” delle precedenti esperienze belliche.

Il «Fondo Fotografico della Guerra»: immortalare l’esperienza e monumentalizzare la storia

schermata4Nel mentre la guerra si fa totale per impegno di risorse materiali e umane, per durata e per estensione geopolitica, le potenzialità della «riproducibilità tecnica» della fotografia conquistano e definiscono visivamente il «carattere distruttivo» del XX secolo che con quel conflitto sembra schiudersi (Benjamin 2012).

Da qui, la necessità di dare forma alle collette fotografiche sul fronte e, quindi, di comporre e ordinarle per la conservazione e, in seguito, per la fruizione documentaria. Tra il 1915 e il 1918 ad occuparsi della raccolta delle fotografie prodotte sul fronte della guerra per l’Italia sono l’Ufficio storiografico per la mobilitazione industriale – nell’agosto del 1916 compreso sotto il Ministero armi e munizioni[6]; e il Comitato Nazionale per la Storia del Risorgimento Italiano, nato prima della guerra e di competenza del Ministero della Pubblica Istruzione.[7]

Fin da subito, ci si impegna a una raccolta della documentazione fotografica al fine di costituire un archivio, una biblioteca e un museo centrali della guerra nella sede definitiva del Vittoriano di piazza Venezia a Roma, in quel periodo ancora in costruzione. Questa forma sistematica di raccolta continua fino agli anni ’30 in linea con la logica “risorgimentale” dell’uso pubblico del passato propria al militarismo culturale fascista. Questa procede, infatti, alla «monumentalizzazione» della memoria documentaria, anche quella fotografica, della guerra nel mausoleo per la doppia commemorazione funebre del «padre della nazione in armi», il re Vittorio Emanuele II, e del figlio martire del sacrificio, il Milite Ignoto. Nel picco retorico fascista della nazione-altare della guerra, alla visibilità del Vittoriano nel cuore della capitale del Regno fa da contraltare l’invisibilità che la pietrificazione monumentale destina al «Fondo Guerra» custodito sotto la pesante retorica del marmo tombale. Negli anni tra il 1934 e il 1937, poi, con la soppressione del Comitato la raccolta viene smembrata e divisa e al MCRR restano 122 album fotografici, divisi sulla base della dicitura originaria indicata sulla copertina o sull’etichetta di inventariazione.

La gran parte degli studi condotti sul materiale iconografico della Grande Guerra in Italia ha privilegiato cartoline, disegni, manifesti e litografie, riviste e giornali illustrati, prodotti sia per il fronte interno sia ad uso e consumo delle truppe in trincea. Si tratta di materiali di “seconda mano”, realizzati dalla manipolazione e dal riutilizzo editoriale delle fotografie in funzione della retorica estetica della propaganda ufficiale e della censura militare (Mosse 2007).

Anche gli album fotografici sono il prodotto di una costruzione orientata da una precisa politica di selezione delle fotografie e del loro montaggio in sequenza ma, proprio le possibilità date dalla composizione e lo scopo interno, logistico e documentario della loro realizzazione, aprono spazi inediti d’interpretazione visuale di quella guerra. Inoltre, il percorso e le forme che questi oggetti hanno assunto nel tempo e, in particolare, in occasione della virtualizzazione dei patrimoni archivistici per il Centenario, costituiscono un interessante caso-limite per la riflessione dello storico della cultura visuale di fronte all’iconizzazione dei propri oggetti di ricerca nel solo spazio multimediale del portale.

Una Grande Guerra, migliaia di visualizzazioni

schermata1Alle radici della predilezione per la pubblicazione sul Web di materiali fotografici e iconografici in genere sta spesso la loro più facile spendibilità in un ambiente la cui natura multimediale ripropone ed esaspera la prevalenza della cultura visiva su quella testuale tipica della nostra epoca. È una strategia che, del segno fotografico, punta a esaltare il valore estetico e a mettere in risalto il «livello connotativo (il significato simbolico, metaforico […])» piuttosto che il «livello denotativo (comunemente “quello che è raffigurato” nell’immagine)». A richiamare alla mente il già noto, piuttosto che a trasmettere nuove conoscenze. Ad affidarsi, insomma, alla capacità della fotografia di coagulare memorie (Vitali 2004, p.100).

Richiamare alla mente il già noto e affidarsi alla capacità della fotografia di coagulare memorie: due bisogni apparentemente marginali se si considerano gli eventi e i documenti politico-diplomatici della storia della Grande Guerra ma essenziali se si tiene conto dell’uso coevo – e di quello contemporaneo via web – che questi oggetti rivestono nelle diverse operazioni di divulgazione dell’esperienza della guerra attraverso l’accesso alle sue tracce fotografiche. Su questi oggetti, infatti, inciampano continuamente i piedi dello studioso e del fruitore-pubblico della memoria che cercano di orientarsi nella gigantesca nebulosa di iniziative ai tempi del social Centenario e che rivela in questi mesi quanto il primo conflitto mondiale ben si presti come «guerra buona per tutti gli usi»[8]. Questo fenomeno evidenzia la predilezione da parte delle operazioni commemorative/celebrative per gli strumenti di divulgazione mediatica, per le reti virtuali di condivisione e, soprattutto, per le logiche di fruizione del «passato digitale» tramite visualizzazioni – nella doppia accezione di modalità di accesso al web e di proposizione di materiali a carattere visuale.

Il portale www.14-18.it è costituito da un grande archivio di immagini di straordinario interesse storico che consente la conoscenza e la valorizzazione di collezioni possedute da istituzioni diverse tra cui archivi, musei, biblioteche. Si rende così consultabile sul web, in forma unitaria e con semplici suddivisioni tipologiche, un importante patrimonio documentario poco conosciuto o del tutto inedito.

Le intenzioni sono principalmente quelle espresse in questo estratto della presentazione del portale 14-18. Documenti e immagini della grande guerra: la più esplicita riguarda la possibilità di aprire gli archivi a un pubblico il più vasto possibile, con la volontà di unificare i patrimoni, facilitare gli accessi, condividere le esperienze – compresa quella, discutibile, della guerra in trincea e del conflitto vissuto dalle popolazioni civili sul fronte interno. L’intenzione più pratica, invece, è di valorizzare le collezioni a mezzo della semplificazione delle strategie di fruizione archivistica grazie all’uso del linguaggio e degli strumenti multimediali.

Se si applica questo discorso al caso-limite dell’album fotografico, si ottiene un risultato molto complesso e particolare, anche per quanto riguarda la necessità di distinguere tra il fruitore occasionale o il consumatore dell’Historytainment, e lo storico o il generico studioso.

Più evidente che per le fotografie “sciolte” digitalizzate e pubblicate nelle quali si può incappare casualmente o anche seguendo una delle «semplici suddivisioni tipologiche» stabilite dai curatori del portale, è con gli album che emerge il carattere evocativo dei documenti fotografici. A fare di questi, infatti, il caso-limite dell’esplicita capacità dei patrimoni iconografici ad essere trasmessi con maggiore immediatezza al pubblico nel formato di «icone» del passato sono le caratteristiche proprie dell’album come dispositivo interattivo composto da un numero molteplice di pagine consultabili, nonché da molteplici sequenzialità possibili di immagini che compongono le singole pagine di ogni raccolta (es. http://www.14-18.it/album/mcrr_a_5).

La potenzialità metodologica in discussione consiste nell’apertura che l’album – come oggetto mobile e, poi, digitale – suggerisce per il tramite del montaggio e delle forme che questo assume nei diversi esemplari a disposizione online, delle strategie compositive che li pongono in essere, delle relazioni che emergono tra le singole fotografie e delle analogie che si determinano nell’immaginario bellico collettivo tra l’inizio del Novecento e gli anni tra le due guerre.

L’album allo schermo. Declinazioni del passato al futuro digitale

schermata2Fin dal suo utilizzo come libro illustrato dei fotogrammi di famiglia, l’album si presenta come «inventario esaustivo del mondo visibile», capace di ridurlo nella sua totalità «ad un formato consultabile», di «circoscrivere le nuove dimensioni del visibile» e di «scongiurare l’invisibile».[9]

Nel caso degli album fotografici della Grande Guerra, oltre alla possibilità di (ri)trovare l’integrità originaria del fondo, quindi di ricostruire geneticamente i termini della sua formazione, della coerenza e dell’autenticità generale, la trasmigrazione online permette anche di creare e aprire con il tasto «album fotografici» del menu a tendina del sito un vero e proprio «archivio inventato».[10] In questo spazio-archivio-ordinamento-griglia virtuale, il singolo fondo passa da un livello di accessibilità ad un altro completamente nuovo – o meglio, dall’inaccessibilità fisica stabilita delle scrupolose norme di conservazione del materiale, alla sola accessibilità virtuale a mezzo di infinite, e tutte possibili, visualizzazioni.

L’album fotografico, dunque, ben si presta alla codificazione digitale e al fenomeno tecnico e culturale visuale della iconizzazione e le ragioni sono essenzialmente due: la prima consiste nell’essere un oggetto visivo costruito sugli stessi principi, le stesse norme e le stesse logiche di ordinamento alla base della costruzione delle strutture virtuali e dei loro contenuti digitali per la consultazione di siti online (serialità, simultaneità, giustapposizione, struttura a griglia, non-linearità, ecc.). La seconda ragione, poi, determinata dall’impossibilità di una fruizione materiale di oggetti più facilmente deperibili, è data dal trattamento che solo lo spazio dello schermo permette di applicare ai materiali in studio. In buona sostanza, l’album fotografico digitale si scompagina assai più facilmente sullo schermo grazie alla simultaneità delle pagine elettroniche, di quanto si possa fare nello spazio limitato del tavolo di una sala di consultazione in archivio. Inoltre, la virtualità degli spazi di lavoro fa emergere più intuitivamente le dinamiche e le strategie di funzionamento dell’album come dispositivo iconografico e narrativo per il fatto stesso che nell’ambiente multimediale queste possono essere praticate e verificate virtualmente all’accesso e all’infinito. Il ricercatore è, inoltre, messo nella condizione di fruire e disporre direttamente dei materiali che si mettono effettivamente a sua totale disposizione, consentendogli di diventare archivista del suo corpus documentario, di possederlo sul proprio computer, in una trasmigrazione ulteriore della fonte dalla banca dati in linea a quella del singolo personal computer (Soldani – Tomassini 1996). Senza tralasciare l’aspetto economico della scelta istituzionale dell’archivio digitale: le pratiche per l’accesso e la consultazione diretta dei materiali nelle sedi fisiche della conservazione sono effettivamente più dispendiose di un unico investimento di digitalizzazione per la libera fruizione online.

Apprendere a vedere: le strategie della memoria dalla trincea all’archivio web

C’è ancora un’intenzione che occorre chiarire tra quelle che si leggono sul portale web circa visibilità e visualizzazione di questo tipo specifico di patrimonio fotografico: l’uscita dall’oblio e l’apparizione di questi fondi marginalizzati dalla scena illuminata delle cerimonie del Centenario.

Questa voce è essenziale per esplicitare il quesito metodologico che il sorgere dei musei-archivi (inventati) virtuali pone allo storico e, in generale, allo studioso della cultura visuale e dell’immaginario collettivo sui conflitti del Novecento: è possibile che la proliferazione, la condivisione semplificata e diffusa di patrimoni iconografici e l’accessibilità virtuale estesa grazie al world wide web permettano una familiarità con i modi di esposizione dell’immagine della guerra che insegni a vedere e che renda leggibili i documenti visuali che fanno parte del patrimonio storico del XX secolo?

Gli album fotografici come libri-inventari illustrati della guerra tentano, attraverso il montaggio e la messa in sequenza di frammenti fotografici della catastrofe delle trincee, di dare un ordine al mondo deflagrato nel conflitto. Questa pratica, assai diffusa, suggerisce una sorta di coerenza epistemologica fra la scansione della realtà data dallo scavo delle opposte trincee, lo sguardo inquadrato e tagliato dalla ferita-feritoia dell’osservatorio sul campo e il sistema iconografico degli album fatto di griglie, di foto-ritagli e di collage che costituisce il nuovo linguaggio pedagogico per la comprensione del disordine mondiale (Catucci 2003, p.224). Attraverso il montaggio, infatti, i frammenti di visione trovano, pur nella precarietà dei supporti cartacei, un ordinamento e una composizione propedeutici alla «leggibilità» della realtà segnata dagli eventi della guerra. È, quindi, una potenzialità propria alle immagini fotografiche e al montaggio negli album quella di sperimentare l’arte, la tecnica e la pratica della memoria secondo un approccio metodologico e pedagogico che lo spazio di consultazione multimediale sembra aumentare e rendere esponenziale.

Ribaltando la citazione di Vovelle, le fonti che si dà oggi il tempo del social Centenario e dell’Historytainment della Grande Guerra necessitano di un esercizio dello sguardo che recuperi gli album alla conversazione sospesa con il passato (Langford 2001), quando le pagine sono rimaste chiuse nella tomba monumentale del Vittoriano. Rispondere a questo bisogno, però, chiede allo stesso tempo la codificazione di un nuovo approccio metodologico per apprendere a vedere, anzi, a visualizzare: per abilitare lo sguardo alla leggibilità delle immagini e delle strategie della memoria che si attivano nella forma specifica del montaggio fotografico degli album. Questa, infatti, precede di un secolo almeno la fruizione e la visualizzazione virtuale con le sue griglie di suddivisione dei contenuti sulle pagine virtuali, le sue icone proliferanti e interattive e i suoi sempre più sottili ed effimeri interstizi distintivi.

Quello che occorre ricodificare, quindi, è il gesto antropologico del lettore-visualizzatore dell’album fisico: «sfogliarlo e risfogliarlo perché nell’osservare le foto in esso contenute […] i morti tornino» e si possa «ricongiungerci con loro».[11]

Bibliografia

Banti Alberto M., Sublime madre nostra. La nazione italiana dal Risorgimento al fascismo, Laterza, Roma-Bari, 2011

Benjamin Walter (a cura di A.Pinotti – A.Somaini), Aura e choc. Saggi sulla teoria dei media, Einaudi, Torino, 2012

Catucci Stefano, Per una filosofia povera. La Grande Guerra, l’esperienza, il senso: a partire da Lukacs, Bollati Boringhieri, Torino, 2013

Grossi Erica, La memoria nelle fotografie dalle trincee della Grande Guerra. La menomazione percettiva come testimonianza, in Piredda P. (ed. by), The Great War in Italy. Representation and Interpretation, Troubador, Leicester, 2013, pp.196-205

Jünger Ernst, Der gefährliche Augenblick. Eine Sammlung von Bildern und Berichten [L’attimo pericoloso. Una raccolta di immagini e resoconti], Junker und Dünnhaupt Verlag, Berlino, 1931

Langford Martha, Suspended Conversations. The Afterlife of Memory in Photographic Albums, McGill – Queen’s University Press, Montreal of Kingston, London-Ithaca, 2001

Mosse George L. (tr. it., G.Ferrara Degli Uberti), Le guerre mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti, Laterza, Roma-Bari, 2007 (1990)

Soldani Simonetta – Tomassini Luigi, Storia e computer. Alla ricerca del passato con l’informatica, Mondadori, Milano, 1996.

Virilio Paul (tr. it., D.Buzzolan), Guerra e cinema. Logistica della percezione, Lindau, Torino, 2002 (1984)

Vitali Stefano, Passato digitale. Le fonti dello storico nell’era del computer, Mondadori, Milano, 2004.

Vovelle Michel, Storia e lunga durata, in Le Goff Jacques (tr. it., T.Capra), La nuova storia, Mondadori, Milano, 1980, pp.47-80 (1978)


Note

[1] Legge n°78 del 7/03/2001.

[2] Dopo diverse sollecitazioni, il 20 settembre 2008 il presidente Barroso lancia a Bruxelles il prototipo del sito-patrimonio con i suoi 4,5 milioni di contenuti, provenienti da più di 1000 istituti europei. Il sito è operativo dall’aprile 2009 e con l’avvicinarsi delle celebrazioni mondiali del Centenario ha sviluppato un portale dedicato alla Grande Guerra: http://www.europeana1914-1918.eu/en/explore. Cfr. Purday J., Think Culture: Europeana.eu from concept to construction, in «Digitalia. Rivista del digitale nei beni culturali», n.1, anno IV, 2009, pp.105-126, on line: http://digitalia.sbn.it/article/view/459 (ultima consultazione 5/04/2016). Il MCRR ha anche un portale autonomo Vedere la Grande Guerra. Immagini della prima guerra mondiale (http://movio.beniculturali.it/mcrr/immaginidellagrandeguerra/), nel quale è possibile consultare le immagini per tematiche predefinite, secondo il modello di Europeana.eu.

[3] Queste riflessioni nascono dal lavoro di ricerca dottorale in Studi Culturali Europei i cui esiti sono raccolta in una tesi dal titolo: 1914-1918 . L’Album della Guerra: regime telescopico e montaggio fotografico della Storia (Palermo-Düsseldorf 2011-2013).

[4] Cfr. Granzotto M.L., Intervista a Mario Isnenghi sul Centenario della Prima guerra mondiale, in «Novecento.org», n.5, dicembre 2015. DOI: 10.12977/nov104; https://www.novecento.org/uso-pubblico-della-storia/intervista-a-mario-isnenghi-sul-centenario-della-prima-guerra-mondiale-1389/#_ednref3 (ultima consultazione 5/04/2016).

[5] La pubblicazione-cesura di quell’anno che apre a una intera, nuova corrente di ricerche negli archivi locali e nella documentazione privata e diffusa (lettere, diari, memorie, cartoline, gli egodocumenti dei soldati e dei civili), è quella a firma di Mario Isnenghi, I vinti di Caporetto nella letteratura di guerra, Marsilio, Venezia, 1967. Da questa pubblicazione e dalle successive attività del gruppo di giovani studiosi intorno alla rivista «Materiali di lavoro», deriverà inoltre, tra gli anni Settanta e Ottanta, l’istituzione degli Archivi della Scrittura Popolare (Trento e Genova).

[6] La costituzione dell’Ufficio Storiografico per la mobilitazione industriale, afferente al Ministero delle armi e delle munizioni, risponde dell’eco jüngeriana sulla Mobilmachung: la «mobilitazione totale» degli stati-nazione europei nella fase di crisi tra l’inizio del secolo e la fine della guerra.

[7] Responsabile della costituzione del Comitato e dell’Istituto-Museo per la Storia del Risorgimento Italiano, Paolo Boselli (Savona, 1839 – Roma, 1932) è presidente del Consiglio tra il 1916 e la disfatta di Caporetto (24/10/1917) e promuove «La raccolta iconografica dei principali documenti biografici riguardanti i caduti sul campo dell’onore» (relazione del 1918).

[8] Cfr. Paris E., Una guerra buona per tutti gli usi. Intervista allo storico Quinto Antonelli sulle interpretazioni e strumentalizzazioni che si sono succedute nel corso di un secolo, in «Questotrentino», n.2. febbraio 2014.

[9] Il testo tra virgolette è una libera traduzione da Rouillé A., Éditorial. Vertige du nombre, in «La Recherche Photographique – Collection», série, n.10, Juin 1991, pp.5-7, p.5.

[10] «[…] quegli archivi che «assemblano materiale documentario di varia natura e di provenienza diversa, estraendoli dai propri contesti di origine e ricreandone di nuovi, esemplati sugli interessi storiografici e i percorsi di studio dei loro curatori.».» in Rosenzweig R., The Road to Xanadu: Public and Private Pathways on the History Web, in «The Journal of American History», n.88, anno II, 2001-2002, pp.548-579, p.560.

[11] Sebald W.G. (tr. it., A.Vigliani), Gli emigrati, Adelphi, Milano, 2007 (1992), p.56.

Dati articolo

Autore:
Titolo: Si chiude un archivio, si apre un portale. Gli album fotografici della guerra nello schermo digitale del Centenario
DOI: 10.12977/nov164
Parole chiave: , ,
Numero della rivista: n. 7, febbraio 2017
ISSN: ISSN 2283-6837

Come citarlo:
, Si chiude un archivio, si apre un portale. Gli album fotografici della guerra nello schermo digitale del Centenario, Novecento.org, n. 7, febbraio 2017. DOI: 10.12977/nov164

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