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La Prima guerra mondiale nei videogiochi

La Prima guerra mondiale nei videogiochi

“Valiant Hearts: The Great War”

Abstract

La tesi di fondo dell’articolo è che i videogiochi possono essere validi strumenti per la diffusione seria di conoscenza storica. Attraverso l’analisi di Valiant Hearts, un videogioco francese uscito nel 2014 per il centenario della Prima guerra mondiale, metto in mostra come attraverso le fasi di gioco sia possibile trasmettere implicitamente al giocatore nozioni non ovvie di natura storica e storiografica. Inoltre evidenzio come la natura interattiva del videogioco possa favorire un naturale incontro tra giocatore e fonti storiche autentiche in funzione didattica e narratologica.

Il tema

Propongo una riflessione sulla relazione che intercorre tra la storia e gli strumenti di mediazione digitali d’intrattenimento, i videogiochi. Per farlo mi calerò direttamente sul campo ed esaminerò il caso molto interessante di Valiant Hearts: the Great War, un videogioco uscito nel 2014, che dimostra come un argomento storico complesso quale la Prima guerra mondiale possa essere narrato seriamente anche dal canale di diffusione videoludico. Verrà posta particolare attenzione su una metodologia ed una trattazione specifica delle fonti da parte degli sviluppatori.

L’espandersi del mondo videoludico

Nel mondo accademico, anche italiano, ci si sta sempre di più rendendo conto dello stretto rapporto che sussiste tra la percezione del passato colta dai cittadini e le più aggiornate tecnologie digitali volte all’intrattenimento[1]. Fuori dal nostro paese, in particolar modo nel Giappone e negli Stati Uniti, la relazione tra le due entità, racconto storico e videogioco, è sia più stretta sia, conseguentemente, più sentita e studiata. Nonostante ciò anche l’Italia ha fatto in questi ultimi anni passi importanti per tentare di porsi nella scia degli studi più evoluti. A Roma, per esempio, nel giugno 2013 è stato fondato Vigamus[2], il primo museo interamente dedicato al videogioco, gestito dalla Fondazione vigamus, ente riconosciuto dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. Obiettivo principale della fondazione è quello di «promuovere e diffondere la consapevolezza del portato culturale del videogioco in Italia»[3].

Il museo ospita all’interno un Centro studi e ricerche, la cui mission è l’impegno «nella preservazione e divulgazione del patrimonio culturale legato al videogioco attraverso la produzione di contenuti museali ed editoriali»[4]. Legata al museo c’è anche Vigamus academy, la prima università interamente dedicata al videogioco. Un altro dato significativo viene espresso dalla scuola privata di videogames milanese, la Digital bros game academy che, fondata nel 2014, nel marzo scorso ha visto già raddoppiato il numero degli iscritti rispetto all’anno scolastico precedente [Cozzi, 2016]. Il motivo di tanto interesse, oltre al valore in sé dell’oggetto studiato, è legato al fatto che ormai da diversi anni il mondo dei videogiochi va conquistando una fetta sempre più consistente del mercato mondiale dedicato all’intrattenimento. Basta pensare all’ormai nota sequela di record di vendite stabiliti dalla Activision con la serie di Call of Duty: uno “sparatutto” in soggettiva che permette, in modalità single o multiplayer, di calarsi nei panni di un soldato nei principali teatri di guerra della storia novecentesca, odierna e fantascientifica. Nel 2011 è uscito Call of Duty: Modern Warfare 3 che nei primi cinque giorni dall’uscita ha incassato 775 milioni di dollari portando il brand Call of Duty a toccare i sei miliardi di dollari. Robert Kotick, Ceo della casa di pubblicazione Blizzard Activision, di fronte agli impressionanti dati di vendita ha sostenuto che Call of Duty è diventato «la prima property nel mondo dell’entertainment nella storia a stabilire record di lancio sui primi cinque giorni per tre anni consecutivi su tutte le forme d’intrattenimento» [Sagramati, 2011]. A poco più di un anno dall’uscita di Modern Warfare 3 un nuovo episodio del brand vede la luce, Black Ops II, e ottiene un miliardo di dollari nei primi sedici giorni. Nonostante ci siano voci dissidenti, i giornali già da tempo hanno iniziato a sostenere che il mezzo videoludico stia detronizzando, almeno in termini di cifre, il cinema nel mercato dell’intrattenimento [Tremolada, 2012]. Va considerato inoltre che, nonostante l’ammontare dell’incasso faccia riflettere sulle copie di videogiochi vendute, questi dati prendono in considerazione soltanto i giocatori che si sono dotati della licenza del gioco originale e che, di conseguenza, non vengono inclusi tutti coloro che l’hanno ottenuto semplicemente scaricandolo da siti internet non ufficiali. Questo dettaglio non deve essere in alcun modo trascurato visto che l’esistenza di questi siti “alternativi” è nota ai più ed è possibile raggiungerli direttamente da Google. Tenendo come punto fermo questa informazione è certo che, nonostante non sia possibile ottenere statistiche precise, il numero reale di usufruitori di questi videogiochi sia sensibilmente più alto di quello riportato dalle statistiche ufficiali.

Call of Duty, anche se rappresenta per ora il caso più eclatante del successo che i videogiochi stanno riscuotendo nel mercato mondiale, non è assolutamente un’eccezione. Tutto il mondo che ruota attorno ai videogames è in espansione. A conferma di ciò vediamo, giorno dopo giorno, moltiplicarsi in rete enti e servizi finalizzati alla promozione e divulgazione della cultura videoludica: a cominciare, per esempio, da realtà in lingua italiana come Multiplayer.it o Spaziogames.it, che nacquero come semplici riviste online specializzate, per poi diventare delle vere e proprie aziende di ambito allargato. Multiplayer.it, per esempio, oltre ad essere una testata giornalistica specializzata costantemente aggiornata, possiede un e-commerce in cui vengono venduti videogiochi e gadget ed è titolare di una collana di libri ispirati al mondo dei videogiochi. Anche le massime testate giornalistiche nazionali dedicano delle apposite rubriche al mondo dell’intrattenimento digitale come per esempio il sito del «Corriere della Sera» o de «Il Sole 24 Ore» e negli scaffali delle biblioteche d’Italia accanto ai classici della letteratura possiamo ora trovare libri come Metal Gear Solid: il romanzo di Raymond Benson, o Dragon Age: L’impero delle maschere di Patrick Weekes, rispettivamente basati sull’universo dei due omonimi videogiochi di grande successo.

In sostanza anche l’Italia si sta accorgendo del potenziale, se non altro economico, sociale e culturale, posseduto dal videogioco. Per quanto le tecnologie e soprattutto il mondo videoludico, strutturalmente, guardino verso il futuro, è sbagliato ritenere che la disciplina storica non venga toccata da questa esplosione di interesse per il digitale. Il motivo è che diversi videogiochi propongono ambientazioni, scenari, eventi e personaggi del passato. Conseguentemente evocano e sostengono una narrazione, un’estetica, un’elaborazione obbligata conscia o inconscia dell’immaginario storico per chiunque ne usufruisca. Del resto il cinema per decenni ha portato avanti questa costruzione estetica dell’immaginario storico: quanti nativi digitali penserebbero al busto di Lisippo di fronte al nome di Alessandro Magno? È molto più probabile che a affiorare nelle loro menti sia il volto di Colin Farrell mentre interpreta il grande macedone in Alexander di Oliver Stone. Ed è ugualmente probabile che la stessa persona, al vagare con la fantasia nella Firenze rinascimentale, ripensi involontariamente alle case ed ai tetti del ‘400-‘500 visti in Assassin’s Creed piuttosto che quelli ispirati, per esempio, da Burckhardt ne La civiltà del Rinascimento in Italia.

L’immaginario storico

L’immaginario storico, infatti, è costituito da un collage di immagini mentali presenti in ogni uomo e raffiguranti un passato reso oggetto. Quest’ultimo, proprio perché appartenente a un passato che ora non esiste più, è inesistente o definitivamente alterato. Pensiamo, per esempio, ad un monumento che per quanto ben custodito e restaurato non potrà mai essersi conservato perfettamente come al momento della costruzione. Nonostante questa mancanza di dati la nostra immaginazione ci permette di costruire immagini, statiche o in movimento, degli oggetti storici appena ci vengono richiamati. Con quali dati lavora la nostra immaginazione? Da dove derivano le informazioni che ci permettono di costruire immagini complesse del passato, coincidenti o meno con la realtà storica? Prima i musei, i luoghi della memoria, poi la fotografia, i film, la tv, internet, e ora i videogames, si inseriscono in questo processo di creazione immaginifico dell’uomo e ne influenzano consapevolmente o inconsapevolmente il risultato attraverso la “somministrazione” di dati; andando, in sostanza, a completare sempre di più il puzzle personale della raffigurazione storica creata nella mente del soggetto. Citando Claudio Fogu in un interessante saggio del 2009: noi identifichiamo il passato sempre di più come un luogo, e quindi come qualcosa di visivo, legato alla vista, piuttosto che come un tempo, cioè qualcosa di astratto [Fogu, 2008]. Ecco perché bisogna tenere a mente l’eccezionale successo del mondo dei videogiochi nel mercato mondiale. È proprio la costante e prolungata immersione[5] della mente del soggetto nel mondo digitale che comporta una passiva influenza nella creazione dell’immaginario storico del giocatore, andando a creare un’estetica ed una conoscenza storica, conscia o inconscia. Inoltre quest’analisi è necessaria perché i videogiochi possono essere potenziali strumenti di approccio alla materia storica, sia dal punto di vista didattico, sia, lo si vedrà con il proseguire della trattazione, dal punto di vista storiografico.

Il videogioco

Valiant Hearts: the Great War rappresenta sicuramente un unicum nel suo genere e può essere considerato emblematico di come un videogioco possa diffondere seriamente una narrazione storica complessa. Il prodotto è stato sviluppato da un piccolo team all’interno di Ubisoft Montpellier, uno studio francese di proprietà della Ubisoft Entertainment, una delle più grandi case di sviluppo e distribuzione di videogiochi nel mondo, ed è stato premiato dal governo francese che lo ha inserito nel programma commemorativo nazionale per il centenario della Grande guerra: Mission du Centenaire[6]. Questo è un dato importante, perché Valiant Hearts può essere considerato il miglior caso di un videogioco seriamente pensato esplicitamente per diffondere conoscenza storica, attirando il vivo interesse nella commissione francese per il centenario della Prima guerra mondiale. In passato sono stati innumerevoli i videogiochi basati su un’ambientazione storica che proponevano un qualche tipo di conoscenza o quanto meno un’estetica storica coerente ma, a memoria, a parte casi di palesi fallimenti (come il videogioco italiano commemorativo dei 150 anni dell’Unità d’Italia, Gioventù Ribelle, che non ha praticamente visto la luce ed è stato recensito molto negativamente da tutta la stampa specializzata e non), la componente storico/narrativa di questi videogiochi rimaneva inserita nel piano commerciale del prodotto: una scelta di stile ed ambientazione che esulava da motivazioni didattiche o commemorative. Il proposito esplicito di Valiant Hearts, invece, è proprio quello di raccontare una storia verosimile all’interno del contesto reale della Grande guerra. Gli eventi che il giocatore si trova a vivere tramite il suo alter-ego digitale sono in sé inventati, ma risultano verosimili nel macro-contesto della narrazione generale perché, come vedremo, il giocatore sarà costantemente accompagnato da fonti storiche autentiche che dimostrano la storicità delle azioni che si stanno svolgendo sullo schermo[7].

Valiant Hearts: the Great War è un puzzle game che racconta la storia di quattro personaggi le cui vite si intrecciano lungo i principali scenari della Prima guerra mondiale:

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Karl, un ragazzo tedesco che viveva in Francia insieme alla moglie e che al momento dello scoppio delle ostilità è stato rimpatriato forzatamente in Germania per combattere nell’esercito tedesco; Emile, francese di nascita e padre della moglie di Karl, anch’egli costretto ad arruolarsi, anche se nell’esercito francese; Freddie, un volontario americano che combatte per l’Intesa e Anna, una studentessa belga figlia di uno scienziato che è partita volontaria per prestare aiuto come infermiera. Nel progredire della narrazione, inoltre, si avvicendano altri personaggi: Walt, un cane militare che seguirà il gruppo per tutta la storia, il padre di Anna, scienziato costretto a fornire le sue conoscenze per l’esercito tedesco, ed il minaccioso Barone von Dorf, capo di un’unità militare tedesca: l’arci-nemico contro il quale i protagonisti si trovano a dover combattere per gran parte della narrazione. La trama si sviluppa in un arco cronologico che va dal 1914 al 1917 e tocca alcuni dei principali avvenimenti bellici del conflitto sul fronte occidentale.

Il gameplay, cioè come si svolge l’azione nel concreto, si articola nel classico gioco a progressione dove il giocatore, per avanzare nell’avventura, deve risolvere semplici rompicapi come spostare delle leve, salire su montacarichi e azionare strani marchingegni. Non si tratta di un classico gioco d’azione, poiché l’ambientazione e la narrazione sono di guerra, ma il giocatore si troverà raramente a sparare a dei nemici; la maggior parte del tempo sarà impiegata a ripararsi dal fuoco nemico o ad aiutare png (personaggi non giocanti) in difficoltà posti nelle retrovie o addirittura lontano dal fronte. Possiamo anche sostenere che questo particolare aspetto di retrovia del gameplay risponda non tanto a scelte mirate di marketing con finalità meramente commerciali, ma rifletta una vera e propria motivazione storiografica di fondo.

Storiografia e videogiochi

I recenti filoni di ricerca storiografica sulla Prima guerra mondiale, infatti, tendono a concentrarsi maggiormente sulla situazione generale e particolare della società in guerra piuttosto che riesaminare il conflitto dal tradizionale punto di vista politico e militare [Bizzocchi, 2014]. In questi studi il protagonista diventa tutto l’universo che ruota attorno al fronte. Le grandi strategie, gli Stati belligeranti, le politiche di respiro continentali cedono il posto alle singole, drammatiche e supreme esperienze di vita individuali, degli emarginati, dei dimenticati, delle minoranze etniche, dei civili e del loro ruolo fondamentale nella “battaglia dei materiali”[8]. Oppure si analizza la guerra con punti di vista inediti, come quello antropologico, psicologico o medico. Gli sviluppatori sembrano seguire questo stato di cose ed infatti i protagonisti del videogioco risulterebbero ai margini di un tradizionale racconto di guerra pensato per il mondo videoludico: Emile fa il cuoco e affronta tutta l’avventura con solo un mestolo in mano, Freddie è un civile che non imbraccerà mai un fucile, Anna è un’infermiera e Karl è l’unico vero militare, ma disertore. Anche gli ufficiali subiscono una forte caricatura negativa e finiscono per essere univocamente associati, forse un po’ ingiustamente, ad insensati ordini di carica che mandano al massacro migliaia di soldati. Nell’impianto narrativo come nell’architettura del gameplay Valiant Hearts racconta una storia dal basso, ponendosi controcorrente rispetto al trend classico dei videogiochi di guerra dove, in genere, il protagonista riveste i panni del soldato-eroe che con arma alla mano, affronta direttamente il nemico sul campo di battaglia. Bisogna inoltre sottolineare che nella tradizione videoludica di guerra il giocatore si trova spesso a ricoprire i panni dell’“eroe decisivo”, cioè di colui che, con infinite prodezze e atti di valore assoluto, determina il destino dell’intero conflitto. In tale architettura il giocatore riveste talmente tanto i panni del protagonista che, da una parte, l’aspetto della guerra come fenomeno collettivo cede il posto all’alto momento della decisiva azione individuale e, dall’altro, la narrazione della storia si eclissa di fronte alla sua spettacolarizzazione. Nell’architettura di Valiant Hearts invece, il giocatore è sempre conscio di far parte di una titanica azione collettiva della quale non ha alcun vero controllo e la protagonista del videogioco risulta essere la guerra stessa colta, questa volta, in una dimensione drammatica, che ne restituisce un affresco più veritiero e maggiormente aderente a quanto gli studi storiografici affermano. Anche questo aspetto va ricollegato al piano di lettura dal basso dell’intero conflitto. Si può quindi sostenere che gli sviluppatori, e gli storici con cui hanno collaborato, vogliano raccogliere l’istanza storiografica recente e presentare ai videogiocatori una narrazione storica che segue le nuove correnti di interpretazione del conflitto. In questo modo si viene a creare un singolare, quanto efficace, canale di comunicazione tra la storiografia e il grande pubblico delle nuove generazioni. Le recenti interpretazioni della Grande guerra, le impostazioni di lettura degli eventi, il punto di vista con cui indagare i fatti, vengono recepite consciamente o inconsciamente dal soggetto senza che sia necessaria la lettura approfondita di poderosi saggi storici. Il tutto avviene automaticamente giocando e seguendo la narrazione proposta dagli sviluppatori. Il giocatore acquista la consapevolezza che la guerra non è soltanto quella al fronte quando per esempio, nel progredire dell’avventura, è richiesto il nostro aiuto per salvare civili incastrati tra le macerie, aiutare feriti in difficoltà, tirare su il morale delle truppe improvvisando una piccola orchestra o, come nel momento raffigurato dall’immagine sottostante quando, con il nostro alter-ego Anna, contribuiamo al regolare svolgimento di un improvvisato ospedale da campo.

"Valiant Hearts: The Great War" highlights the horrors faced by normal people in extraordinary circumstances. (Ubisoft Montpellier/MCT) ** OUTS - ELSENT, FPG, TCN - OUTS **

“Valiant Hearts: The Great War” highlights the horrors faced by normal people in extraordinary circumstances. (Ubisoft Montpellier/MCT) ** OUTS – ELSENT, FPG, TCN – OUTS **

L’approccio dal basso non è, in sé, certamente “rivoluzionario” se paragonato al paradigma cinematografico che, da questo punto di vista, ha di gran lunga anticipato persino gli studi storiografici (pensiamo per esempio al neorealismo italiano dove protagonisti assoluti delle guerre erano i civili o i singoli soldati), ma risulta certamente innovativo per quanto riguarda il mondo videoludico. Vi è un parallelo tra l’architettura pensata dagli sviluppatori di Valiant Hearts e la nuova percezione della Prima guerra mondiale. Questo mette in evidenza un nuovo punto di vista con il quale analizzare i videogiochi: non più solo strumenti di intrattenimento, ma complessi fenomeni che, in sé stessi, racchiudono un mix di istanze tecnologiche e culturali difficili da padroneggiare, e di cui è arduo prevedere con sicurezza il futuro. Ritengo che tali aspetti donino a questi nuovi media la dignità di essere studiati a fondo anche da un punto di vista umanistico. In Italia, nonostante in questi ultimi anni si siano fatti passi da gigante, fatichiamo a riconoscere l’incidenza culturale di questi prodotti e quando si parla del binomio cultura/videogioco in molti ancora rimangono sorpresi se non imbarazzati.

La riproduzione di fonti storiche nei videogiochi

Le fonti e la didattica

Altra peculiarità di Valiant Hearts: the Great War è sicuramente l’aspetto legato al trattamento degli oggetti reperibili nel gioco e delle fonti. Durante la fase di gameplay il giocatore può raccogliere da terra degli item, oggetti particolari che hanno una pura funzione didattica. Una volta raccolti vengono descritti con un disegno dell’oggetto seguito da una spiegazione elaborata che ne riassume l’utilizzo.

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Nell’immagine qui a fianco viene raffigurata una finestra di dialogo che permette al giocatore di avere notizie sull’oggetto appena trovato. In questo caso si tratta del classico elmetto tedesco della Grande guerra. A fianco al disegno sono presenti dei riquadri che rappresentano i vari oggetti che si possono trovare nella zona che il giocatore sta, in quel momento, esplorando. Già di per sé questo aspetto didattico del gioco risulta interessante perché non solo fornisce notizie su singoli oggetti digitali, ma reali, a disposizione nel gioco (sono più o meno un centinaio), ma permette di collocare l’oggetto in un determinato contesto ed in una determinata situazione. Non viene mai fornito un nuovo item senza il contesto adatto a farlo trovare. Questo accresce ulteriormente il significato della raffigurazione e la portata didattica del videogioco, tenendo conto del fatto che per la progressione dell’avventura non ci sarebbe alcun bisogno di questi oggetti. La loro esistenza è vincolata a motivazioni meramente didattiche.

Le fonti e la narrazione

Ma se la Ubisoft Montpellier si fosse limitata a questo tipo di reperti Valiant Hearts: the Great War non sarebbe molto differente da altri videogiochi presenti sul mercato, anche da diverso tempo. Quello che rende questo gioco particolarmente interessante per i nostri studi è la trattazione delle fonti. Spesso nel progredire della narrazione il videogioco propone delle finestre di dialogo, strutturate nella stessa maniera di quella vista poco sopra, che però presentano delle fotografie a colori autentiche.

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Queste immagini sono state messe a disposizione dall’archivio storico video e fotografico di Apocalypse, World War 1[9]. Si tratta di una miniserie televisiva ambientata nella Prima guerra mondiale costruita montando pellicole originali d’epoca rese a colori. Il progetto è il risultato del lavoro di due case di produzione documentarie, francese e canadese. La Ubisoft Montpellier è riuscita a stringere con loro una collaborazione ed avere accesso all’archivio di riferimento. Il risultato sono delle schede informative come quella sopra riportata, che presentano la fotografia d’epoca corredata di una spiegazione. Al contrario degli item, le fotografie in questione vengono classificate come Facts, cioè fatti. Il termine non è casuale e sottintende l’autenticità della fotografia e la veridicità delle informazioni che ne risultano, cioè la storicità di ciò che è raffigurato. Queste fotografie hanno lo scopo di mettere in relazione l’ambientazione e la storicità della raffigurazione con quella riprodotta, con motore grafico, dal videogioco. In sostanza viene a crearsi un parallelo tra la storia raccontata dalle fotografie e quella narrata da Valiant Hearts. Infatti, esattamente come per gli item, che nel proseguire della narrazione non compaiono mai per caso ma sempre in un contesto coerente, anche i facts appaiono per spiegare un evento o un contesto che il giocatore sta vivendo proprio in quel determinato momento.

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Per esempio nell’ultimo screenshot appare l’immagine autentica di una parata di soldati tedeschi, corredata da una breve didascalia esemplificativa, nel momento in cui le vicende narrate da Valiant Hearts portano il nostro alter-ego digitale a doversi forzatamente arruolare nell’esercito perché è appena scoppiato il conflitto. In questo modo è più facile per il giocatore immedesimarsi maggiormente nella realtà storica riprodotta, perché la fotografia rende tutto molto più realistico. La sensazione non è più solo quella di interagire con un personaggio in un videogioco completamente slegato dalla realtà, ma di ri-vivere una ipotetica realtà del passato mediata dallo strumento digitale del videogioco.

Le fonti e la grafica

In verità queste fotografie autentiche hanno svolto un ruolo ancor più importante nell’intero ciclo-vita[10] di Valiant Hearts. Sono state la fonte per i modelli di gran parte dell’ambientazione del videogioco e di conseguenza possono essere considerate in tutto e per tutto delle vere e proprie fonti storiografiche per la realizzazione del gioco. Vediamo alcune immagini prese dal sito ufficiale del prodotto, che mostrano le fotografie d’epoca con a fianco il loro rispettivo modello digitale.

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Questo è un altro aspetto interessante da tenere in considerazione perché molti prodotti videoludici sfruttano la mediazione estetica della cinematografia per la realizzazione di modelli digitali, mentre gli sviluppatori di Valiant Hearts hanno saltato questo passaggio e hanno attinto direttamente dalle fonti. Questo, oltre a essere un passo metodologico evoluto, rende sempre meno evidente la distanza tra la realtà della fotografia e quella riprodotta dal videogioco, perché i due mondi tendono ad assomigliarsi. Un altro esempio è la scelta della tavolozza dei colori nel motore grafico che ricalca quella delle fotografie di Apocalypse. Il giocatore si immedesima maggiormente nella realtà riprodotta dal videogioco e l’azione svolta viene associata con più facilità alla realtà del passato grazie alla similitudine di colori.

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In sostanza l’architettura di Valiant Hearts pone il giocatore nella condizione di essere sempre più convinto della storicità della narrazione a cui sta prendendo parte. Il ritorno al motore grafico successivo alla chiusura della fotografia diventa l’ideale continuazione del momento immortalato nello scatto, come se i soggetti o i paesaggi impressi nella pellicola prendessero magicamente vita e continuassero a svolgere quello che la staticità della fotografia non ha potuto conservare. Il videogioco ha la capacità di trasformare una fotografia in un video, interpretando quello che è successo prima e dopo il momento dello scatto. La consapevolezza dell’autenticità della fonte dona storicità a tutta l’ambientazione del gioco.

Sia gli items sia soprattutto i facts non hanno carattere invasivo poiché il giocatore può decidere di visualizzare le finestre di dialogo oppure ignorarle e proseguire. In questo Valiant Hearts si comporta esattamente come un avanzato museo di reperti storici o fotografici interattivo dove, attraverso un gameplay di facile intuizione, l’utente viene guidato in un percorso visivo in cui fotografie autentiche e reperti digitali lo aiutano ad accedere più facilmente alla realtà storica del conflitto. In sostanza la funzione narrativa, e ancor più quella didattica che tradizionalmente, quando non assenti, svolgono un ruolo minimo nei videogiochi, qui ascendono a scopi principali, relegando il gameplay e la struttura di Valiant Hearts a puro mezzo. Il gioco, la sua meccanica, il suo gameplay, in sé, sono un mezzo per ottenere altri scopi, cioè le funzioni narrative e didattiche.

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La didattica learning by doing nell’immersione digitale

Nelle pagine precedenti ho cercato di illustrare la capacità di Valiant Hearts di entrare in profondità in un evento complesso come la Grande Guerra. Un altro punto di forza di un videogioco nella narrazione è la capacità di immergere la mente del giocatore nella realtà riprodotta e permettere una più facile acquisizione delle informazioni trasmesse. L’interattività di questi prodotti ha il potere di fornire una “materialità” a ciò che altrimenti rimarrebbe confinato sul piano puramente figurativo e astratto. Questo possiamo vederlo sia in Valiant Hearts che, forse più facilmente, in altri prodotti di diversa natura ludica. Prendiamo per esempio il caso di un videogioco ormai datato, il primo Rome Total War, della casa di produzione inglese The Creative Assembly, uscito in Italia nel lontano 2004[11]. Si tratta di un videogioco ambientato nell’antica Roma repubblicana e che permette al giocatore di guidare una fazione patrizia nella difficile ascesa al potere. Il prodotto, per la sua complessità, meriterebbe un’approfondita trattazione a parte, ma per l’esempio che voglio descrivere basta sapere che al giocatore viene data la possibilità di svolgere vere e proprie battaglie simulate sul campo guidando le proprie truppe contro quelle del nemico. L’aspetto tattico è la cosa più interessante di queste fasi di gioco in cui concetti imparati a scuola durante le ore di storia, come per esempio accerchiamento, ritirata, legione, falange, che normalmente rimarrebbero confinati in una dimensione puramente concettuale, prendono forma e concretezza nella simulazione videoludica. Allora il giocatore impara (divertendosi) nella “pratica”, che l’accerchiamento è l’obiettivo di ogni tattica di guerra del passato, che la falange è un’unità militare molto forte per gli attacchi frontali, ma debole ai lati e lenta nei movimenti, che la cavalleria è una forza tatticamente indispensabile, ecc… L’acquisizione delle informazioni non avviene per memorizzazione o studio come durante la lettura del testo scolastico ma per “esperienza pratica” in una sorprendente modalità “learning by doing”. Anche il rapporto dello studente con le fonti storiche, o con i reperti storici e archeologici, viene facilitato da questa modalità di apprendimento. Se proviamo, per gioco, a confrontare un oggetto del passato, ipotizziamo una spada appartenuta ad un fante francese della Guerra dei cent’anni, nella sua versione reale, custodita in un museo, con la sua copia digitale calata in un mondo creato al computer, possiamo trarre alcune considerazioni:

  • l’autenticità dell’oggetto reale non può, in alcun modo, essere sostituita integralmente da una copia dell’oggetto ricostruita al computer. Neppure la realtà virtuale può emulare al 100% l’oggetto autentico. Alcuni dettagli, come il peso, il tatto o l’odore, non possono essere riprodotti nemmeno dai più avanzati caschi virtuali. Va però tenuto presente che nella grande maggioranza dei musei non è permesso avvicinarsi al reperto tanto da poterlo toccare o addirittura prendere in mano per constatarne il peso reale.
  • il momento, unico, che porta il visitatore a trovarsi di fronte ad un oggetto storico autentico non è in alcun modo sostituibile.

Tenuto conto di questi aspetti essenziali si constata che:

  • la copia digitale, per aspetto estetico, suono e funzionalità può essere ricostruita integralmente e conformemente all’originale[12].
  • il digitale permette di vedere gli oggetti in movimento quando invece la teca del museo li imprigiona in una decontestualizzante staticità.
  • il digitale inoltre, permette una maggiore contestualizzazione ambientale e storica. La fonte non è più solo un oggetto da osservare e studiare, ma da utilizzare nel contesto entro il quale è stato effettivamente usato.
  • la copia digitale non è vincolata geograficamente, nel senso che può essere riprodotta da qualsiasi device in qualsiasi punto del pianeta ed in qualsiasi orario o contesto. La nostra spada francese, custodita in un museo di Parigi, può essere “utilizzata” da uno studente di Taiwan sul proprio laptop.

È questo l’aspetto didattico più interessante di tali prodotti e, nonostante non si stia implicitamente incentivando massicce sessioni di gioco pomeridiane in sostituzione dei classici compiti scolastici, è forse arrivato il momento di valutare il potenziale didattico di questi videogiochi. Non è questa certo la sede per affrontare approfonditamente un simile discorso, però valeva la pena spendervi qualche parola, se non altro per accennare brevemente la questione e gettare un ponte a possibili riflessioni e ricerche future. Del resto non sono certo impensabili lezioni di storia extra-ordinarie, trasferite in aula informatica, dove i ragazzi, seduti di fronte a personal computer collegati tra loro in LAN o in internet, possono affrontare “sessioni di immersione” in ambiente storico/videoludico.

In questo ipotetico caso non si tratterebbe di lasciare i ragazzi di fronte a titoli di intrattenimento come quelli qui analizzati, ma a prodotti creati appositamente per l’utilizzo scolastico e per immergere gli studenti in contesti, ambienti e problematiche del passato con il chiaro scopo di incentivare l’apprendimento attraverso la tecnica del learning by doing. Non si tratta di un obiettivo perseguibile nell’immediato. I pregiudizi verso quelli che vengono spesso ancora considerati come puri intrattenimenti infantili sono ben radicati, ma il fatto che il Governo abbia dimostrato con Gioventù Ribelle un vivo, seppur fallimentare, interesse verso la diffusione della conoscenza storica attraverso un videogioco ci fa ben sperare in positivi risvolti futuri. Sarà necessario un lento e graduale processo di apprendimento che investirà, prima di tutto l’istituzione che deve credere e finanziare l’eventuale sviluppo di questi prodotti esplicitamente pensati per la scuola. In seconda battuta le istituzioni scolastiche locali, che non sempre sono disposte a rinnovare o semplicemente mettere in discussione una consolidata metodologia d’insegnamento, dovranno prima formarsi e quindi ritagliare spazio nelle proprie lezioni per applicare questi nuovi approcci alla materia.

Conclusioni

Nel presente testo ho analizzato Valiant Hearts: The Great War perché ho ritenuto che per architettura software, struttura narrativa e gameplay sia un prodotto adatto per presentare il videogioco in generale come mezzo per la diffusione di un sapere storico. Sono i concetti di interattività e immersione digitale i due pilastri sopra i quali si regge tutto l’edificio. Ho spiegato nei capitoli centrali come il comprendere la narrazione, l’apprendimento di nozioni storiche e il rapportarsi del giocatore/studente con le fonti in copia digitale siano più proficue attraverso l’interazione (learning by doing) in un contesto di immersione digitale. La contestualizzazione di oggetti storici viene favorita dall’effettivo inserimento dei medesimi nel proprio ambiente “naturale” laddove il ruolo del computer e del videogioco è quello di mediare tra la mente del giocatore e la realtà storica del passato. Parto dal presupposto che nello studio della storia, come in quello di tante altre discipline, la via della percezione sensibile sia un canale privilegiato per una maggiore comprensione di concetti, dinamiche e problematiche altrimenti difficili da cogliere pienamente. In questo, la dinamica videoludica può venirci in aiuto offrendoci la possibilità di vivere esperienze sensibili nel passato, controllate e create appositamente.

Bibliografia

Monografie e articoli

In rete


Note

[1] Diversi sono i contributi accademici in questo settore, eccone alcuni: M. Bittanti, L’utilità e il danno dei videogame per la storia, in «Storia e problemi contemporanei», Vol. 20, Fasc. 44, 2007, pp. 61-99; M. Bittanti (a cura di), Civilization. Storie virtuali, fantasie reali, Edizioni Costa & Nolan, 2005; una interessante tesi di laurea all’Università di Roma Tre di V. Moretti, Storia e videogames: narrazione storica nella videoludica, Relatore: Dott. M. Meluzzi, Correlatore: Dott.sa E. Baldassari, A.a. 2008/2009.

[2] http://www.vigamus.com/.

[3] http://www.vigamus.com/chi-siamo/fondazione-vigamus.

[4] http://www.vigamus.com/centro-studi/mission.

[5] Il concetto è fondamentale per comprendere pienamente il potere dei media, in particolare dei videogames. L’obiettivo è di fare in modo che la mente del giocatore sia totalmente trasportata all’interno del mondo creato dagli sviluppatori. Da questo punto di vista i videogiochi tradizionali possono essere considerati il ponte che collega la realtà vivente alla realtà virtuale.

[6] http://centenaire.org/fr.

[7] Da questo punto di vista il videogioco assume la struttura tipica del romanzo storico in cui i personaggi e gli avvenimenti inventati vengono calati in contesti ed ambientazioni reali. Partendo da questo presupposto e legandolo a recenti filoni di studio storiografico in cui la storia viene colta esclusivamente come narrazione (Hayden White), è possibile, addirittura, ipotizzare che il videogioco possa ambire alla dignità di vera e propria opera storiografica.

[8] Concetto espresso da Ernst Jünger per definire la guerra di logoramento nelle trincee. Di fronte alla straordinaria quantità di materiale bellico utilizzato dagli Stati, la guerra diventa non solo lo scontro tra due eserciti, ma tra due sistemi di produzione. In questo senso diventa chiaro perché, secondo Jünger, quello che viene a definirsi fronte interno (cioè tutto il sistema di produzione che sta alla base del sostentamento del fronte vero e proprio) è molto più determinante per le sorti della guerra rispetto all’azione militare in sé stessa. Per approfondire questo aspetto, oltre alla lettura dei saggi e diari di guerra di Ernst Jünger, cfr. P. Amato, S. Gorgone, Tecnica lavoro resistenza. Studi su Ernst Jünger, Milano, Mimesis Edizioni, 2008.

[9] http://www.nationalgeographic.com.au/tv/apocalypse-world-war-i/.

[10] Si tratta di un concetto di ingegneria del software ed è sinonimo dell’intero processo di produzione di un programma, dall’analisi della richiesta del cliente, fino alla consegna del prodotto.

[11] Dal 2004 ad oggi sono usciti tanti nuovi titoli del brand Total War.

[12] La copia in realtà solleva infinite questioni che è impossibile affrontare in questa sede. A cominciare dal criterio con il quale si può definire attendibile all’originale una copia.