Select Page

Echi resistenti. Urban game della Liberazione

Echi resistenti. Urban game della Liberazione
Abstract

Il 22 aprile 2018, anniversario della Liberazione di Modena, è stato realizzato l’urban game Echi resistenti, a cura di PopHistory, un’associazione di Public History formatasi nel 2017 a Modena dopo la prima edizione del Master di II livello in Public History dell’Università di Modena e Reggio Emilia del 2015. E’stata l’occasione per vivere una data significativa del calendario civile andando oltre la celebrazione, con la modalità attiva e partecipativa del gioco. Dati i caratteri immersivi e coinvolgenti che lo connotano, non riscontrabili in forme didattiche più tradizionali, l’urban game può rappresentare anche per gli studenti un metodo alternativo ed efficace per conoscere meglio i luoghi dal punto di vista storico e delle tematiche che testimoniano.

PAESAGGIO E MEMORIA

Iniziative culturali, quale coinvolgimento di pubblico?

Le iniziative inserite nel contesto delle celebrazioni del 25 aprile sono ogni anno molteplici e diversificate in ogni centro cittadino della provincia di Modena, con un’attenzione che, di volta in volta, si basa su aspetti specifici del periodo resistenziale e della Seconda guerra mondiale. Nonostante questa ampia offerta, che spesso gode di una buona risonanza di pubblico, non sono frequenti i progetti innovativi dal punto di vista del coinvolgimento dei partecipanti.

Sollecitati da questa riflessione, abbiamo quindi elaborato un format di attività che garantisse, a fianco di una divulgazione scientifica di qualità, la possibilità di coinvolgere pubblici differenti in modo personalizzato. Oggetto specifico della nostra attenzione sono stati i luoghi, fonte storica scientificamente consolidata, analizzata e, di recente, divulgata su portali web, siti e mappature grazie all’impegno profuso soprattutto dalla rete degli Istituti storici italiani.

Tracce di memoria, messa in scena della memoria storica collettiva

Il rapporto dei luoghi con la storia è strettissimo – tanto che l’espressione “avere luogo” significa “accadere”, “avvenire” – e si connette alla dimensione geografica del paesaggio in cui ogni luogo è inserito.

Questi concetti si legano e si intrecciano con la definizione di “documento” e “monumento” elaborata da Jacques Le Goff che li considera entrambi materiali della memoria collettiva, ma mentre il primo viene inteso come prova storica, spesso in forma di testimonianza scritta, il monumento si configura come un’eredità del passato, può richiamare il passato, perpetuare il ricordo e ha insita in sé una buona dose di intenzionalità. Il documento è invece un prodotto della società che lo ha fabbricato secondo i rapporti di forza che in essa detenevano il potere. Solo l’analisi del documento in quanto tale consente alla memoria collettiva di recuperarlo e allo storico di usarlo scientificamente, cioè con piena cognizione di causa.[1]

Al di là dei dibattiti e degli approfondimenti su queste definizioni, tanto preziose quanto complesse, le tracce individuabili nella città sono sia documenti, ossia prove storiche, sia monumenti, vale a dire eredità della memoria collettiva, di ciò che si decide di ricordare: entrambi ci raccontano come la società è cambiata e ha concepito se stessa nel corso dei decenni. Il monumento diventa quindi documento.

D’altronde, la memoria non è il semplice effetto del tempo che scorre, delle deformazioni e dell’usura del ricordo mentale, ma è legata allo spazio. E la presenza di un luogo come punto di riferimento alimentato da una chiara intenzionalità mnemonica costituisce una base formidabile, insuperabile per efficacia e pregnanza simbolica, per istituire un forte senso di identità tra gruppi e comunità. I luoghi hanno inoltre la capacità di conservare e garantire la memoria anche dopo una fase di oblio collettivo, ottenendo una “rianimazione”, perché il luogo riattiva il ricordo, almeno tanto quanto il ricordo riattiva il luogo.

I luoghi di memoria, vettori di senso spazio-temporale

Spazio come luogo e memoria come traccia: lungo questa linea di riflessione si giunge nel vivo di una tematica, quella dei luoghi di memoria. Intendiamo questo termine secondo la concezione offerta da Pierre Nora nel 1984 come spazi fisici e mentali che si caratterizzano per essere costituiti da elementi materiali o puramente simbolici, dove un gruppo, una comunità o un’intera società si riconoscono e proiettano la propria storia alla memoria collettiva. Possono essere musei, archivi, monumenti, anniversari, territori e località segnati da eventi significativi, ma anche miti, pagine letterarie, personaggi, date. Cioè, per estensione, l’orizzonte culturale e simbolico che ha caratterizzato la storia e la formazione di una compagine nazionale e statale o di una singola comunità. Da questo punto di vista, tali luoghi devono possedere un’eccedenza semantica, che renda possibile una metamorfosi delle attribuzioni di significato, in grado di stabilire e generare delle connessioni con esperienze emotive, mitiche, immaginali, capaci di trasferire nel tempo un contatto, esperienze e fatti significativi del passato. Sono quindi compresi tutti i sensi: “dal più materiale e concreto, come i monumenti ai caduti e gli Archivi di Stato, ai più astratti e intellettualmente costruiti, come la nozione di lignaggio, di generazione, o ancora di regione e di “uomo-memoria”.”[2] I luoghi di memoria sono innanzitutto i resti, attraversati da molteplici dimensioni: storiografica, poiché anche su di essi si costruisce la storia; etnografica, poiché mettono in discussione le nostre abitudini familiari e sociali; psicologica, perché ci pongono da un piano individuale a uno collettivo; politica, perché entrano in quel gioco di forze che può trasformare la realtà. Sono luoghi intesi in tre sensi: materiale, simbolico e funzionale; ma lo sono simultaneamente e in gradi diversi. Con questa definizione sono quindi concepiti non soltanto i siti, ma anche gli eventi, i simboli, i monumenti, le date istituzionali, le strutture sociali, le tradizioni, i linguaggi.

I luoghi di memoria rimandano sempre a una pluralità di situazioni e significati: sono spesso luoghi-evento, poiché ricordano avvenimenti particolari che vi sono accaduti; altre volte sono luoghi-simbolo perché rappresentano temi importanti in contesti più ampi; possono essere ricordati per personalità di spicco che vi hanno vissuto o compiuto opere storicamente rilevanti; sono infine luoghi di memoria, ossia elaborazione monumentale di ciò che la società, nel corso dei secoli, ha deciso fosse degno di essere ricordato.

Sono tuttavia luoghi di memoria anche quelli non istituzionalizzati, ma riconosciuti dalle diverse comunità, che a essi conferiscono significati sia condivisi, sia individuali che generalmente afferiscono alla memoria locale, al comune sentire e alle storie che ogni cittadino vive e costruisce nella propria quotidianità.[3]

Lo scenario urbano, paesaggio di appartenenza civile

Entrando nello specifico dell’esperienza, noi ci siamo concentrati su uno scenario urbano, ma questo intreccio tra società e territorio è valido per il paesaggio in generale, soprattutto in prospettiva storica.[4] Numerose sono le visite guidate e i trekking urbani che i soggetti culturali propongono sui luoghi di storia e di memoria, ma a questa iniziativa ormai consolidata – che annovera ormai alcuni decenni di proposte e attività[5] − abbiamo voluto affiancarne un’altra che prevedesse un più alto grado di coinvolgimento dei partecipanti e l’utilizzo di mezzi e fonti diverse per la costruzione di una propria interpretazione storica. Si tratta di una modalità di divulgazione storica insolita, attiva e partecipata, rivolta alla scoperta di qualcosa di nuovo, sostituendo la commemorazione con “qualcosa di più elevato, con l’evocazione”[6].

Il concetto di paesaggio ha in sé un senso di appartenenza. La sua radice etimologica è la stessa di paese e il suo equivalente inglese landscape deriva dall’olandese landshap, che significa sia un’unità di insediamento umano o addirittura un’unità amministrativa, sia qualsiasi cosa potesse essere gradevole oggetto di rappresentazione pittorica.[7] In effetti, quest’idea nasce nel contesto della pittura e della fotografia ed è introdotta nell’analisi geografica da Alexander von Humboldt nel XIX secolo, che distingue tre stadi della relazione conoscitiva uomo-ambiente. Al primo posto la suggestione, che è l’elemento visivo, sentimento primigenio che sorge nell’animo umano davanti alla bellezza della natura. Il paesaggio è un luogo dove si vede qualcosa, che può dare qualcosa, che investe e attraversa completamente. È la prima percezione, che si ripete ogni volta. Il paesaggio ha un’immediatezza visiva, ma anche una distanza spaziale e una sua forza naturale, sebbene sia costruito dall’uomo; ha una sua forza di suggestione, anche se è un paesaggio ricordato e immaginato. Il paesaggio può “appaesare” o creare uno spaesamento, ma si fa comunque esperienza di questo. La conoscenza di esso si forma da una razionale suddivisione dei suoi elementi e da una nuova sintesi scientifica, costruita sulla mutua interdipendenza di tutti gli elementi. Il paesaggio, per Humboldt, è il veicolo più adatto per condurre la società civile alla conoscenza scientifica, poiché esso è tutto ciò che resta fuori dalla logica cartografica in cui gli spazi si equivalgono, in cui il mondo è ridotto a una tavola. Ecco perché presuppone un punto di vantaggio dell’osservatore, un rilievo, un punto di vista elevato da cui guardare: perché esso è il contrario di ogni forma di riduzione a un’estensione piatta della Terra.[8]

Ultima prova di “Echi resistenti”: davanti al Sacrario partigiano della Ghirlandina

GLI URBAN GAME

Urban game, storia e memoria pubblica dei luoghi

Abbracciando la metodologia della Public History, la sfida è stata quella di valorizzare un patrimonio di ricerca bibliografica e documentaria di notevole importanza riguardo i luoghi della lotta resistenziale, condividendolo con il pubblico attraverso un canale meno utilizzato ma sicuramente più interattivo e coinvolgente: l’urban game.

L’urban game consiste in un gioco a tappe, agito a squadre oppure singolarmente, che si svolge per le strade di una città seguendo un itinerario lungo diversi luoghi significativi nei quali di volta in volta è richiesto di superare delle prove.

Questo format mette in primo piano i luoghi come portatori di una storia specifica – in questo caso quella del periodo resistenziale – ma anche come esperienza concreta di sedimentazione e stratificazione memoriale di significati che i cittadini nel corso dei decenni hanno conferito loro. Ci ricorda, infatti, Quaini che, in quanto studiosi, possiamo guardare ai luoghi e al paesaggio come a “una sorta di memoria in cui si registra e si sintetizza la storia dei disegni territoriali degli uomini”[9]. La nostra interazione con il luogo è quindi a doppio senso: se da un lato esso ci racconta una storia, dall’altro è lo specchio del nostro modo di guardare la realtà, presente e passata, e di conferirle significati.

Urban game, giocare la città valorizzando le fonti storiche

L’urban game, grazie al superamento di prove e alla necessità di “vivere il luogo” nella sua specificità, di osservarlo dal proprio punto di vista prima di offrire spiegazioni e conoscenze, permette un’interazione maggiore tra il luogo e i visitatori/giocatori.

La scelta del gioco segnala quindi un’importante necessità metodologica: “creare la consapevolezza di come nel paesaggio restino le tracce di questi elementi passati e favorire l’acquisizione di uno sguardo profondo, capace di cogliere l’esistenza di stratificazioni differenti”.[10]

Per la realizzazione di Echi resistenti ci siamo basati, oltre che su percorsi di ricerca personali costruiti nel corso degli anni, sugli itinerari del sito Resistenza Mappe, un portale nato per ricordare e celebrare, nel 70° anniversario della Liberazione, i luoghi e gli eventi della Seconda Guerra Mondiale e della Resistenza, pensato ed elaborato dagli Istituti Storici dell’Emilia-Romagna in Rete. Si sono inoltre tenuti in considerazione i seguenti siti: Atlante delle stragi nazifasciste in Italia, Ultime lettere dei condannati a morte e deportati della Resistenza italiana, Modena 900 e Guerra infame. La valorizzazione delle fonti, della bibliografia e della recente sitografia a disposizione è stata attuata quindi all’interno di una costruzione narrativa necessaria per il meccanismo del gioco e per assicurare un racconto coerente.

Urban game, scoprire un territorio con dispositivi mobili

Gli urban game sono comunemente definiti “giochi dal vivo che si realizzano usando l’ambiente urbano come terreno di gioco”. Nel Regno Unito e nel mondo anglosassone si sono diffusi a partire dai primi ani 2000 e successivamente si sono introdotti in tutte le società occidentali.

In Italia sono ancora un terreno di sperimentazione e novità, ma ormai è frequente trovare esempi diversi di urban game o cacce al tesoro tra gli eventi pubblici che si svolgono annualmente nel territorio urbano. Sebbene la dinamica della caccia al tesoro sia quella maggiormente utilizzata, le possibilità sono numerose e alquanto diversificate tra loro.[11]

L’urban game (o street game) rientra tra i location-based games, ossia giochi nei quali l’esperienza di gioco si estende al mondo reale; è un gioco per più partecipanti (multiplayer) giocato in un ambiente urbano e che, tramite l’utilizzo di diversi dispositivi mobili, può evolvere in un gioco basato sulla geolocalizzazione, nel quale gli eventi accadono in base alla posizione del giocatore nello spazio urbano.

Gli urban game possono quindi rappresentare delle vere e proprie politiche, che, partendo dal basso, permettono di scoprire, valorizzare, narrare, far rivivere una città o una sua parte, permettendo ai suoi abitanti di riappropriarsene dandole un senso collettivo e condiviso.[12]

Urban game, sfide ludiche per narrazioni storiche

Gli urban game si sposano in modo naturale con le tematiche storiche, riallacciandosi anche al mondo delle rievocazioni storiche e a quello dei giochi da tavolo. In Italia è presente da tempo un dibattito acceso, seppur di nicchia, a partire da due urban realizzati negli ultimi anni: I ribelli della montagna, sulla occupazione nazifascista di un borgo dell’Appennino tosco-emiliano nel 1944, e Ultimo covo, che propone le ultime fasi del rapimento del generale americano J.L. Dozier da parte delle Brigate Rosse. Questi due esempi, realizzati dall’associazione Terre Spezzate, hanno suscitato diverse discussioni e polemiche poiché propongono giochi con modalità LARP (Live-Action Role Playing), ossia un’esperienza particolarmente immersiva, che richiede ai partecipanti di indossare per due giorni i panni anche di figure storiche i cui valori sono distanti dal sentire comune (i nazisti e i brigatisti).

Al di là di questa tipologia specifica, gli urban game e il gioco in generale hanno il grande vantaggio di poter coinvolgere molte persone, di età e interessi diversi, tra cui anche i giovani e gli studenti, usando gli stimoli della sfida e della naturale competizione. In un gioco, infatti, i partecipanti devono poter vincere e, soprattutto, quando si pone loro davanti un ostacolo, devono avere una reale possibilità di superarlo, altrimenti il gioco non funziona, diventa una recita a copione che snatura l’esperienza ludica. Inoltre, la sfida assume ancora più valore se si permette di realizzarla in modo personale.

ECHI RESISTENTI

La Liberazione sulle orme di Irma

Raccontare i venti mesi della Resistenza e il giorno della Liberazione con la modalità dell’urban game si è rivelata una sfida di creatività, un gioco e un’attività di ricerca intrecciati insieme. Inoltre, è stato anche un modo per dare risalto, spessore e voce ai luoghi e alle persone che hanno rappresentato la lotta antifascista nella città di Modena, luoghi che spesso appartengono alla quotidianità e quindi non suscitano particolare attenzione, oppure luoghi apparentemente muti perché privi di segni.

Echi resistenti – questo il nome dell’iniziativa svoltasi a Modena il 22 aprile – in particolare, presentava una cornice narrativa che permettesse ai partecipanti di “tuffarsi dentro la storia” di Irma, una staffetta partigiana modenese scomparsa alle soglie dell’aprile del 1945, della quale occorreva ripercorrere gli spostamenti, gli incontri e le vicende. Irma, infatti, era in possesso di un codice segreto da decifrare, fondamentale proprio per l’avvio delle operazioni di Liberazione della città di Modena. La richiesta di aiuto ai partecipanti viene fatta direttamente dal comandante della Brigata Gap Walter Tabacchi, impersonato da un nostro collega.

La dinamica del gioco urbano

Una volta accettata la sfida che poneva il comandante di ogni brigata, i partecipanti dovevano aprire una busta consegnata loro al momento dell’iscrizione, contenente una mappa del centro storico e un elenco di prove, ognuna corrispondente a una tappa. I luoghi selezionati rimandavano a tematiche o eventi specifici necessari per conoscere gli aspetti fondamentali della guerra di Liberazione: la vita quotidiana e la fame, il potere nazifascista, la violenza, la clandestinità. Le prove da superare erano di vario tipo e richiedevano la creatività dei partecipanti, ma allo stesso tempo anche la loro visione e comprensione del tema che si stava considerando: scattare la foto a un particolare ancora visibile, realizzare un menù settimanale sulla base delle tessere annonarie in vigore all’epoca, ricomporre un puzzle, realizzare un quadro astratto con i propri corpi o ciò che si aveva a disposizione. Ogni prova, però, era legata a un luogo e solo qui doveva essere svolta proprio per elaborare una restituzione personale di ciò che il sito esprimeva o rappresentava. Così, davanti alla facciata dell’Accademia militare si richiedeva di scattare una fotografia alla “quota pipistrello”, ossia l’ultimo piano dell’ex Palazzo ducale, sede del comando tedesco e della Gnr, in cui venivano perpetrati i violenti interrogatori ai presunti partigiani arrestati.

Le comunicazioni con il proprio comando di brigata erano mantenute tramite l’applicazione per smartphone Whatsapp, che si è dimostrato un efficace canale di regia, ma che presuppone una buona copertura dagli operatori telematici, sia per il “dietro le quinte”, sia per i giocatori. Al superamento di ogni prova, il comando inviava un file audio contenente la voce di una persona che Irma aveva incontrato in quel luogo. Nel caso dell’Accademia militare, si ascoltava la voce di un gappista che raccontava alla staffetta le violenze subite dal comando tedesco durante un interrogatorio. In questo modo, a fianco della visita al luogo urbano, abbiamo offerto una testimonianza costruita, ma di forte impatto emotivo, che aggiungeva elementi di rielaborazione personale alla descrizione dei fatti storici. A ogni tappa, oltre alla traccia audio, si riceveva anche un frammento del codice criptato che ogni brigata doveva decifrare, per poter liberare la città e considerare compiuta la missione della staffetta Irma.

L’ultima prova riportava i partecipanti al punto di partenza, in piazzetta Torre, proprio sotto la Ghirlandina, sulla quale è presente il Sacrario ai caduti della Resistenza

 

Un esempio di prova

Una delle prove richieste era quella di elaborare un menù settimanale per una famiglia di quattro persone a partire dalle varietà e quantità di alimenti che si potevano acquistare negli anni ‘40 con le tessere annonarie. Qui sotto ne riportiamo un frammento fra quelli consegnati:

Lunedì

Colazione: pane, burro e zucchero

Pranzo: pasta all’olio e grana

Cena: pane e acqua

Martedì

Colazione: pane e marmellata

Pranzo: riso al pomodoro

Cena: pane e acqua

[…]

Domenica

Colazione: pane, burro, marmellata e zucchero

Pranzo: grassi suini, pasta e grana

Cena sgattona[13] con quello che rimane.

Urban game, quali implicazioni per la didattica?

L’iniziativa, essendo stata pensata per essere realizzata in un giorno festivo e richiedendo alcune conoscenze per un tour cittadino, era rivolta a tutta la cittadinanza, adulti e famiglie con bambini. Potrebbe però essere declinata didatticamente, principalmente per le classi di scuola secondaria di II grado, senza apportare particolari modifiche. Gli studenti, infatti, sono sicuramente abili nell’uso dello smartphone, sia per le situazioni in cui occorre comunicare con il comando della brigata, sia nel reperire informazioni di contesto che potrebbero mancare. Questo tipo di opportunità formativa è anche contemplato nelle indicazioni del MIUR, all’interno del Piano Nazionale Scuola Digitale, in riferimento alla politica del Bring your own device (BYOD), sull’uso dei propri device personali per le attività scolastiche.

L’intero gioco, del resto, permette agli studenti di rapportarsi, seppur in maniera non approfondita – ma potrà diventarlo in un secondo momento in classe – con fonti, luoghi, persone, processi e dinamiche, che insieme, vanno a rappresentare un evento contestualizzato nel tempo e nello spazio in modo molto preciso. Questo processo può essere svolto attraverso la partecipazione attiva dei ragazzi, i quali per primi devono mettersi in gioco e ingegnarsi per superare le prove, ricevendone in cambio una testimonianza verosimile che può dare forma e sostanza alle conoscenze e “dare corpo” ai luoghi e alle persone che hanno vissuto quell’aprile 1945.

Con una struttura simile, l’urban game potrebbe essere pensato anche per la scuola primaria e per la secondaria di primo grado, con le dovute modifiche: in sostituzione dell’uso dell’applicazione Whatsapp, le prove e le tappe potrebbero essere gestite da figuranti, con l’accompagnamento fisico di una persona per un numero minore di tappe. Anche i materiali potrebbero essere molto più precisi nei riferimenti, prima di tutto nella geolocalizzazione delle tappe, mettendo alla prova le loro capacità di orientamento nello spazio. D’altra parte, i numerosi riferimenti al paesaggio e alle tracce storiche del proprio ambiente di vita presenti nelle Indicazioni nazionali del 2012 rappresentano un ulteriore supporto ad una didattica di questo tipo, anche con i più piccoli[14], che preveda proprio l’uscita dalle mura dell’aula.[15]

Urban game e didattica della storia

Al di là degli adattamenti, delle varianti e delle differenti tipologie possibili, l’urban game rappresenta sicuramente una modalità di apprendimento della storia fortemente esperienziale, che riesce a coniugare la trasmissione di contenuti scientifici alle modalità più accattivanti dell’intreccio narrativo e alla sollecitazione a porsi domande sul contesto in cui si agisce e ci si muove.

La didattica è, infatti, una delle anime feconde del più ampio mondo della Public History, che appunto si rivolge a un pubblico generale, tra cui è in primo piano la popolazione studentesca. Il mondo della scuola può rappresentare per la Public History un buon terreno di prova e di sperimentazione di nuovi progetti e temi, senza limitarsi a esserne l’unico orizzonte, contribuendo alla costruzione di un sapere storico condiviso e fondamentale per la formazione sociale dei cittadini di domani.

Si ringraziano Lorenzo Trenti per la progettazione e Gabriele Sorrentino per la panoramica sugli urban game.

 


Note:

[1] J. Le Goff, Documento/Monumento, in R. Romano et al. (a cura di), Enciclopedia, Einaudi, Torino 1978, vol. V, pp. 38-43.

[2] P. Nora (sous la direction de), Les lieux de mémoire, vol. 1, Gallimard, Paris 1997, p. 15 (t.d.a.).

[3] A. Tarpino, Geografie della memoria. Case, rovine, oggetti quotidiani, Einaudi, Torino 2008, p. 4.

[4] E. Tosci, La lettura del paesaggio storico e i giochi di escursione, in «Glocale», n. 6-7, 2013, p. 251: “Per lo storico, infatti, il paesaggio è il luogo in cui una società proietta se stessa e i propri rapporti interni, le dinamiche demografiche ed economiche, gli equilibri sociali, le diverse capacità tecniche e culturali. Si tratta di un fenomeno stratificato, i cui livelli si sono modificati e accumulati nel corso del tempo: in cui il presente interviene sul passato e lo trasforma conservando, talvolta, elementi di origine antropica e naturale”.

[5] Si veda, ad esempio, A. Brusa et al., Come evitare le visite guidate e godersi un bene storico, in La valenza dei beni culturali, Atti del convegno, 21 maggio 1999, Associazione Ingegneri e Architetti della Provincia di Ravenna.

[6] P. Rumiz, La storia fuori dal libro, in P. Rumiz et al., Il Passato al presente, raccontare il passato oggi, Feltrinelli, Milano 2016, Kindle Edition, cap. 1.

[7] S. Schama, Paesaggio e memoria, Mondadori, Verona 1997, p. 10.

[8] F. Farinelli, L’invenzione della Terra, Sellerio editore, Palermo 2007, p. 141.

[9]  M. Quaini, Attraversare il paesaggio: un percorso metaforico nella pianificazione territoriale, in Il senso del paesaggio, Seminario internazionale (Torino, 7-8 maggio 1998), Politecnico di Torino 1998, p. 191.

[10] E. Tosci, op. cit., p. 256.

[11] Si vedano ad esempio le proposte di Gradara ludens festival al sito http://web.quipo.it/scuolastrumentodipace/gradara_ludens.htm#GRADARA%20LUDENS%20FESTIVAL consultato il 27 giugno 2018.

[12]M. Bertolo, I. Mariani, Game Design. Gioco e giocare tra teoria e progetto, Pearson, Milano 2014.

[13] Termine dialettale utilizzato dai giocatori per indicare un pasto povero,  rimediato con gli avanzi.

[14] Numerosi riferimenti si possono trovare nei traguardi delle competenze al termine della scuola primaria e secondaria di I grado in diverse discipline: storia (pp. 43-44), geografia (pp. 47-48), arte e immagine (pp. 60-61).

[15] Si veda M. Cecalupo e G. Febbraro, Il paesaggio, palestra per una cittadinanza attiva, in «Historia ludens», 3 febbraio 2013, http://www.historialudens.it/geostoria-e-cittadinanza/51-il-paesaggio-palestra-per-una-cittadinanza-attiva.html consultato il 27 giugno 2018.