Select Page

L’intolleranza nei confronti delle comunità religiose. Un percorso

L’intolleranza nei confronti delle comunità religiose. Un percorso

1791 – Freedom of speech, press, religi[on], assem[bly]; 1941 – Freedom of expression and religion, freedom from want and fear: “Everywhere in the world.” F.D.R.
United States. Works Progress Administration (N.Y.), Funder/sponsor
Federal Art Project (New York, N.Y.), Funder/sponsor
Fonte: Biblioteca del congresso degli USA – Pubblico dominio

Abstract

L’articolo propone un percorso ragionato attraverso un tema vastissimo e molto controverso. Sono infatti molteplici i fattori e assai diverse le interpretazioni in materia di comunità religiose. L’autore quindi intende tratteggiare un itineriario alla luce dei suoi studi e della sua esperienza con i media e le istituzioni europee, in particolare nel triennio 2016-2018 trascorso a collaborare con l’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa).

Ho preparato questo testo a partire dalla sbobinatura e sistemazione dell’intervento orale. Ho mantenuto per quanto possibile lo stile diretto del testo grezzo su cui ho lavorato. Ne soffre la precisione terminologica. Ne guadagna l’immediatezza.

Il tema è vastissimo e molto controverso. Sono molteplici i fattori e diverse le interpretazioni. Come indica il sottotitolo, qui si intende soltanto suggerire un percorso, alla luce dei miei studi e della mia esperienza con le istituzioni europee (in particolare nel triennio 2016-2018, con l’OSCE, Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), e i media.

Dopo una premessa, svilupperò il percorso in cinque tappe dedicate ai seguenti temi:
1) eguaglianza e diversità;
2) politiche pubbliche sull’intolleranza religiosa;
3) diritti e applicazione dei diritti;
4) maggioranze e minoranze;
5) religione come scelta o come non scelta.

Ognuna delle parti è costruita con riferimenti cronologici che consentono di ancorare diacronicamente le mie riflessioni ad alcuni passaggi storici. I riferimenti storici sono altrettanti suggerimenti per approfondimenti specifici in sede scolastica. La selezione dei passaggi storici è naturalmente soggettiva, ma non arbitraria: rinvio alle mie pubblicazioni (in particolare a Marco Ventura, Creduli e credenti, Einaudi 2014) per la mia visione complessiva del tema e per le ragioni, i documenti e la bibliografia che la sostengono.

 

Premessa: il caso Kokkinakis

Abbiamo commemorato quest’anno il 25° anniversario della sentenza della Corte europea dei diritti umani con la quale per la prima volta nella storia i giudici di Strasburgo hanno condannato un paese europeo per avere violato il diritto di libertà religiosa. Era il 25 maggio 1993. La sentenza dichiarò contraria alla libertà religiosa la condanna in Grecia di un testimone di Geova reo di proselitismo “improprio”. Il diritto greco prevedeva infatti che a fronte della legittima propaganda religiosa dei cristiani ortodossi esponenti della Chiesa di Stato, era illegittima e sanzionabile penalmente, come avvenuto al Sig. Kokkinakis, la propaganda di un membro di altra religione che le autorità greche avessero ritenuto “impropria”.

Ho chiesto di recente, il 4 maggio 2018, in un incontro ad Atene per il progetto europeo Grassroots Mobilise, all’avvocato Panos Bitsaxis, all’epoca nel team di avvocati del signor Kokkinakis, cosa oggi ricorda come l’aspetto più importante del caso. Così mi ha risposto: “Il signor Kokkinakis aveva le idee molto chiare sul suo Dio, ma molto confuse sui suoi diritti”. Questa frase riassume il taglio del mio intervento: l’intolleranza verso le comunità religiose dipende dal rapporto tra la rivendicazione di diritti religiosi, a favore o contro qualcuno, e cioè la dimensione socio-politica e giuridica da un lato, e dall’altro le traiettorie della fede, dell’appartenenza e della pratica dei credenti, individualmente e collettivamente. Sarà all’interno di queste coordinate che vedremo svilupparsi il percorso e che concluderemo sul nodo fondamentale dell’intolleranza religiosa odierna, e cioè sulla tensione tra religione come scelta individuale e religione come eredità collettiva.

 

Eguaglianza e diversità

Settanta anni fa, nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, sono proclamati diritti universali di tutti, per tutti. Si consacra l’egualitarismo che all’epoca pervade, in modi tanto diversi, la società americana del libero mercato e quella sovietica del socialismo pianificatore. Coincide con questa fase l’ideale del separatismo, dominante ancora in entrambi i mondi e ancora con esiti diversi: nel mondo libero, laddove residuano stati o religioni di stato, come in Italia, si inaugurano decenni di lotta per l’eguaglianza separatista che faccia piazza pulita dei privilegi per le maggioranze. Sta nella fine del concordato e del riconoscimento della diversità speciale della religione della maggioranza, si pensa allora, la migliore garanzia per le minoranze. Sembrano in ritardo, in quella fase, le tradizioni sociali e costituzionali che accettano corpi intermedi – le formazioni sociali della Costituzione repubblicana italiana, e più avanzate quelle che concepiscono un unico corpo politico in cui la repubblica e il cittadino siano in diretto contatto, senza mediazioni.

Dopo il crollo del comunismo sovietico e l’abbattimento del muro di Berlino, in un mutato scenario mondiale, la questione dell’eguaglianza dei diritti si è posta diversamente. La domanda di riconoscimento della differenza si è andata aggiungendo alla domanda di eguaglianza di un tempo. L’antica tutela delle minoranze nazionali dell’epoca coloniale si è rinnovata in una stagione di riconoscimento dei diritti delle minoranze vecchie e nuove.

Sembra avere oggi minor forza di attrazione il modello francese che resiste e si arrocca nel rifiuto di riconoscere i diritti delle minoranze, su una posizione di cui è simbolo la lotta al velo islamico. Come ha mostrato Jeremie Gilbert in un articolo del 2017 sull’International Journal of Constitutional Law, nella tradizione francese, consolidata nell’ultimo ventennio dal Conseil constitutionnel, il riconoscimento di diritti specifici delle minoranze continua a considerarsi in contrasto con l’eguaglianza di tutti i cittadini, il cui diritto di associarsi non deve mettere in discussione il rapporto diretto, senza mediazioni, tra la Repubblica e l’individuo. Nella tradizione egualitaria francese, dunque, si continua a sostenere che le minoranze sociali, e anche religiose, siano meglio tutelate attraverso la loro invisibilità, ovvero il loro non riconoscimento e la piena eguaglianza dei loro membri ad ogni altro individuo e cittadino. Viceversa nell’esperienza britannica, tedesca e italiana, a fronte della minore eguaglianza, vi è stato un indubbio migliore riconoscimento della diversità di minoranze che, ad esempio, possono ricevere l’otto per mille, come i valdesi italiani, o insegnare nella scuola pubblica, come i musulmani tedeschi, o esercitare la propria giurisdizione, come i musulmani britannici negli Sharia Council.

Il rapporto tra eguaglianza e diversità, tra riconoscimento attraverso l’invisibilità e riconoscimento attraverso l’invisibilità, e sul possibile equilibrio tra le due dimensioni, si pone oggi, su scala globale, in termini particolarmente complessi. Coesistono grandi questioni di principio, e strategie degli attori che si rinnovano e reinventano di continuo. Mentre si può essere tentati di appiattirsi sul dibattito presente, è fondamentale un lavoro storico sui modelli e le esperienze.

Un suggerimento per un lavoro didattico in merito è quello di lavorare sui testi costituzionali e sulla stessa Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, o su altri testi come la Convenzione europea dei diritti umani o l’Atto finale di Helsinki da cui prende avvio la grande avventura della Conferenza, poi Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, oppure ancora, in tempi più recenti la Carta di Nizza dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Di particolare interesse dal punto di vista dell’intolleranza religiosa potrebbe essere un lavoro sulle personalità che hanno ispirato le grandi carte dei diritti e sulla loro biografia religiosa.

Per la Costituzione indiana si potrebbe lavorare su Gandhi, che può essere studiato come un padre del costituzionalismo moderno e al contempo come il campione di una religione dialogante e plurale che contribuisce ai diritti fondamentali e che viene tuttavia sconfitta dalla partizione tra India e Pakistan del 1948 e dal coevo assassinio dello stesso Gandhi.

Per la Dichiarazione del 1948 delle Nazioni Unite sarebbe interessante approfondire il profilo cristiano protestante della sua grande tessitrice Eleanor Roosevelt, o cristiano ortodosso di Charles Malik. Per i grandi testi dell’integrazione europea, come la stessa Convenzione del 1950, si potrebbero approfondire le traiettorie religiose dei padri dell’esperienza democratico-cristiana tedesca e italiana come Adenauer e De Gasperi.

 

Politiche pubbliche sull’intolleranza religiosa

In ogni caso di intolleranza religiosa, dal caso greco culminato nella sentenza Kokkinakis di 25 anni fa alla partizione indiana, e a quella palestinese anche legata alla fine dell’impero coloniale britannico, di 70 anni fa, la tensione è sempre su due livelli intrecciati, il conflitto sociale e le politiche pubbliche, cioè le politiche degli stati e dei governi, che quel conflitto creano, aggravano o non contrastano efficacemente. È qui in questione un processo circolare: come la società reagisce alle politiche governative, come il governo reagisce ai conflitti sociali.

Un momento storico di grande significato su cui lavorare in proposito, anche nella prospettiva imminente del quarantesimo anniversario, è il 1979, un anno molto importante per la religione, in particolare per l’islam. Si registrano in quell’anno la rivoluzione khomeinista in Iran, l’attentato all’ambasciata americana a Islamabad (da collegare al Pakistan, alla partizione del ’48 di cui abbiamo parlato sopra e da cui è nato uno dei paesi che consideriamo oggi tra i maggiori persecutori delle minoranze religiose, anche musulmane), l’invasione sovietica dell’Afghanistan, e infine il fatto meno noto al pubblico e molto controverso nelle sue dimensioni reali, cioè il primo grande attacco terroristico all’interno dell’Arabia Saudita ai luoghi sacri della Mecca. Attraverso il lavoro sul 1979 e le sue ripercussioni sulla storia successiva dei popoli islamici e del mondo intero, ad esempio attraverso gli scritti sull’islam politico moderno di Massimo Campanini, è possibile studiare un aspetto cruciale dell’intolleranza religiosa contemporanea, legata all’islam in modi che fatichiamo molto a determinare, ma che sappiamo, appunto, a cavallo tra restrizioni sociali e restrizioni governative della libertà.

Può essere utile sapere, anche per il lavoro didattico, che le due categorie di restrizione sociale e di restrizione governativa sono adottate a partire dal 2007 dal centro di ricerca americano Pew Research Center, i cui rapporti sono pubblicati periodicamente e rappresentano una fonte influente nel mondo diplomatico occidentale. A fronte di una forte tendenza alla relativizzazione culturale e politica dei diritti, in particolare in ambito religioso, il monitoraggio delle restrizioni sociali e governative della libertà religiosa su scala globale presenta certamente il rischio della strumentalizzazione dell’intolleranza religiosa nell’interesse nazionale – pensiamo alla politica estera in materia religiosa degli Stati Uniti – o di questa o quella religione. Esso ha tuttavia anche il merito di sensibilizzare circa le implicazioni e le ricadute delle scelte dei governi. In un tempo in cui si ricerca con fatica un equilibrio tra eguaglianza e diversità, va sottolineato il ruolo locale e globale degli Stati, accanto a quello della società civile.

E’ dunque un bene, con le necessarie cautele, che il tema delle restrizioni alla libertà religiosa nel mondo, associato all’intolleranza religiosa, sia oggi molto forte nell’agenda internazionale. Domani, 4 settembre 2018, presenteremo a Bruxelles un rapporto per i parlamentari europei sulle restrizioni della libertà religiosa nel mondo realizzato dai ricercatori del centro per le scienze religiose della Fondazione Bruno Kessler di Trento, che ho l’onore di dirigere dal 2016, e le università del Lussemburgo e di Cambridge.

 

Diritti e applicazione dei diritti

E’ opinione diffusa, fatta propria da Ahmed Shahid, rapporteur speciale per la libertà religiosa delle Nazioni Unite, che in questa stagione della storia mondiale si debba prendere atto che la formulazione del diritto di libertà religiosa ha raggiunto un soddisfacente stato di maturazione, e che ci si debba invece concentrare sulla implementazione, sulla effettiva protezione dei diritti proclamati e dettagliati sulla carta. Un buon lavoro didattico in proposito si potrebbe fare sulla fase centrale degli anni novanta, e in particolare sul genocidio in Ruanda, e sul processo di pace in Irlanda del Nord e in Bosnia. Possono essere casi di studio importanti, in cui si definiscono un nuovo diritto anche attraverso il lavoro dei Tribunali internazionali e una nuova politica grazie alla cooperazione interreligiosa (particolarmente significativa nei casi ricordati). Al contempo, questi stessi casi, e altri, possono essere studiati dal punto di vista che ci preoccupa, dell’applicazione dei diritti. I documenti prodotti dai rapporteur sulla libertà religiosa, lo stesso Shahid e il predecessore Heiner Bielefedlt, possono anche essere un ottimo materiale di lavoro. Di Bielefeldt, in proposito, si può segnalare la Bruno Kessler Lecture del 2017 sul “potenziale provocatorio della libertà religiosa”, disponibile online in versione inglese e italiana sul sito della Fondazione Kessler.

 

Maggioranze e minoranze

Sullo sfondo della ricerca di un equilibrio tra eguaglianza e diversità, della lotta a restrizioni indebite della libertà religiosa nella società e da parte dei governi, e della applicazione dei diritti, sta la tensione tra maggioranze e minoranze.

Va evitata, in proposito, ogni semplificazione, soprattutto quella di ritenere il protestantesimo legato al modello liberista americano in cui le maggioranze rinunciano ai privilegi e si impegnano a competere e per converso di ritenere il cattolicesimo legato al protezionismo spagnolo e italiano.

Tanto protestantesimo, ad esempio scandinavo, è fortemente legato ad un modello di riconoscimento e promozione della Chiesa maggioritaria, del “popolo”. E’ anche oggi forte un protestantesimo maggioritario e anti-egualitario, come negli Stati Uniti del travel ban, il divieto di ingresso ai cittadini di alcuni paesi islamici, e nei protestanti dell’Europa del nord che sono stati tra i più attivi sostenitori della battaglia per la difesa del crocifisso nelle scuole pubbliche italiane.

Viceversa per la Chiesa cattolica si può pensare che l’approccio concordatario dei paesi cattolici come Italia e Spagna sia universale, e con ciò si trascurerebbe la capacità delle minoranze cattoliche di integrarsi in paesi a maggioranza diversa, gli Stati Uniti prima di tutto. In proposito è significativo che il primo presidente cattolico degli Stati Uniti, John Fitzgerald Kennedy, abbia dovuto precisare in una conferenza stampa durante la campagna elettorale del 1960 che in caso di conflitto con la Chiesa cattolica avrebbe fatto l’interesse del popolo americano, anche a costo di disobbedire al pontefice, dichiarazione considerata oggi molto criticamente dai cattolici americani più conservatori. Da considerare anche i paesi cattolici che hanno riformato le proprie legislazioni sulla libertà religiosa fino a rivelarsi, secondo Brett Scharffs (nel volume 2017 degli Annali di studi religiosi della Fondazione Bruno Kessler), l’esempio più significativo al mondo di religione maggioritaria che trasforma il proprio pensiero sulla libertà religiosa e rende i paesi cattolici tra i più ospitali per le minoranze.

Dopo aver ricordato quanto, anche storicamente, maggioranze e minoranze siano fluide nella loro determinazione e nelle loro strategie, va riconosciuta la presenza oggi, in particolare sulla scena europea, di una nuova tipologia di maggioranze e minoranze.

Emergono in particolare cinque tipi.

a) La maggioranza che si riconosce come tale in quanto accomunata da una cultura e da una tradizione corrispondenti ad una religione. E’ il caso, per l’Italia, dell’identità rivendicata nella difesa del crocifisso nella scuola pubblica, dove per i vescovi italiani, il crocifisso si impone ai credenti in quanto simbolo religiose e a tutti in quanto simbolo culturale e tradizionale.

b) La minoranza che, specularmente, si riconosce anch’essa in quanto accomunata da una cultura e da una tradizione corrispondenti ad una religione. E’ il caso di chi rivendica il porto del velo in quanto necessità indisponibile dettata dall’oggettiva appartenenza a un islam che è al contempo cultura e religione.

c) La maggioranza riformista che vuole mutare costumi, culture e norme, come in Occidente la maggioranza, non priva di settori fortemente motivati dal punto di vista religioso, che ha ottenuto dai Parlamenti l’introduzione del matrimonio, o almeno delle unioni civili, per persone dello stesso sesso.

d) La minoranza riformista che vuole mutare assetti fondamentali sul religioso, come ad esempio i pastafariani che inventano una religione parodia delle religioni tradizionali per lottare contro i vantaggi legali di queste.

e) La minoranza resistente che combatte contro le riforme, come gli obiettori di coscienza al matrimonio dello stesso sesso.

Così delineate, maggioranze e minoranze appaiono in tutta la loro fluidità e complessità. Sono al contempo sinonimo di grandi identità rigide e di strategie del momento che possono indurre a spostarsi da una identità all’altra. Si potrà didatticamente lavorare in proposito sulle varie tappe delle vicende del crocifisso nelle scuole pubbliche italiane e del velo nelle scuole pubbliche francesi.

Di questo gioco, la ragione e la conseguenza più profonda, ultima tappa del nostro percorso, è l’identificazione della religione come una questione di scelta rimessa in ultima analisi all’individuo, o al contrario come una appartenenza che non si sceglie, che è data, in cui si nasce. Sarà dedicata a questa questione la quinta e ultima tappa del nostro percorso.

 

Religione come scelta o come non scelta

Con la sentenza Kokkinakis si afferma nello spazio del Consiglio d’Europa la libertà di pensiero, coscienza, religione, ovvero, come ci dice la Corte, di uno degli “elementi più vitali” che costruiscono l’identità dei credenti e della loro concezione di vita, ma anche una “preziosa risorsa” per atei, agnostici, scettici e indifferenti. Questa equiparazione tra religione e credo, tra religioni tradizionali e nuove forme del credere, anche atee e agnostiche, piace poco a chi ritiene che le religioni, e le religioni tradizionali, debbano stare su un gradino più alto nel rapporto tra società civile e istituzioni. Per questo imbarazza la Commissione europea la pretesa che rappresentanti della massoneria e di Scientology siedano allo stesso tavolo dei vescovi cattolici quando si discute a Bruxelles di matrimonio fra persone dello stesso sesso o di altre questioni eticamente sensibili.

Accanto al disegnarsi di nuove maggioranze e nuove minoranze, emerge così la questione ancora più fondamentale del nuovo definirsi della religione tra fede e appartenenza, tra scelta e non scelta.

Da un lato, la questione va vista nella prospettiva del nuovo fenomeno religioso in una età secolare, per dirla con Charles Tayor, dove la cornice di riferimento non è più trascendente, ma immanente, e tuttavia Dio non è morto, e anzi le religioni giocano un ruolo sociale e politico significativo. Si parla in proposito di società post-secolare e rinvio su questo, anche per interessanti materiali didattici al bel libro di Paolo Costa, La città post-secolare (Queriniana 2019). Ebbene, nella società secolarizzata in cui sono sopravvissute le religioni nella forma di una crescente diversità religiosa, è marcata la differenza tra adesione di fede, libera, individuale e mobile, e adesione ereditata dalla famiglia e dal popolo, collettiva e irrinunciabile. Non soltanto questa distinzione divide le tradizioni religiose – ad esempio l’islam, che punisce severamente l’apostasia, dal cristianesimo, che tutela la libertà religiosa del cristiano che si converte ad altra religione, – ma anche le religioni al loro interno, come avviene nello stesso cristianesimo con forme di appartenenza identitaria e nazionale contrapposte a forme liquidissime. Vale qui di nuovo l’esempio dei paesi scandinavi dove torna di moda l’idea che essere protestante significa essere fedele a una nazione, in modo molto dissimile dalla costruzione di certo protestantesimo anglosassone o evangelico in America latina, Africa e Asia come religione della scelta individuale. Rinvio in proposito a Marco Ventura, M. Ventura, “Faith vs. Identity. The Protestant Factor in Contemporary European Freedom of religion or Belief”, in The Protestant Reformation in a Context of Global History. Religious Reforms and World Civilizations, ed by H. Schilling and S. Seidel Menchi (Bologna: il Mulino / Berlin: Duncker & Humblot, 2017) pp. 193-209.

Dall’altro lato, la questione è strategica; essa è cioè cruciale per la dimensione politica e giuridica dell’intolleranza religiosa. Si può infatti, da questo punto di vista, difendere le proprie rivendicazioni in quanto materia di coscienza, di incomprimibile autonomia individuale, o al contrario come espressione di fedeltà al proprio gruppo, di irrinunciabile identità collettiva. Ancora utile l’esempio del velo, difeso presso gli individualisti liberali tedeschi e francesi in nome della libertà di scelta della donna, presso i multiculturalisti anglosassone come imposto da una cultura post-coloniale e presso gli alleati religiosi cristiani occidentali come un precetto religioso minacciato dal secolarismo.

In entrambe le dimensioni, quella socio-culturale delle nuove forme del religioso post-secolare e quella politica e giuridica delle nuove traiettorie delle rivendicazioni dei credenti, e nel crescente contrasto tra l’individualismo e il collettivismo dei diritti, in ultima analisi, si gioca la partita più profonda della intolleranza religiosa.

Siamo ormai all’attualità, e sarebbe in proposito molto interessante lavorare con gli studenti sui materiali religiosi disponibili quotidianamente nei media (ripeto, anche sulla religione a scuola come nel caso del crocifisso, delle benedizioni scolastiche, del creazionismo nei corsi di scienze, dell’insegnamento delle religioni fuori dal loro insegnamento strutturalmente confessionale nell’insegnamento della religione cattolica), e cercare traccia dell’una e dell’altra dimensione, della scelta e della non scelta, e misurare le implicazioni dell’una e dell’altra dal punto di vista della tolleranza e dell’intolleranza religiosa.

Si conclude qui il nostro percorso. L’avvocato Panos Bitsaxis ha ricordato come Il signor Kokkinakis avesse “le idee molto chiare sul suo Dio, ma molto confuse sui suoi diritti”. Attraverso le cinque tappe, abbiamo compreso la complessità, la ricchezza e la problematicità del rapporto tra le due dimensioni, quella dell’esperienza religiosa e quella della rivendicazione e protezione dei diritti ad essa collegati: nei vari passaggi storici, di cui qui se n’è proposto qualcuno, e nella cronaca. Davanti alle restrizioni sociali e governative, la difesa della libertà religiosa per la quale l’Occidente può a ragione ergersi ad esempio nella storia mondiale va intesa come un cantiere sempre aperto, cui le grandi agenzie educative, la società civile, gli attori religiosi e non, i governi, devono contribuire senza sosta.

Dati articolo

Autore:
Titolo: L’intolleranza nei confronti delle comunità religiose. Un percorso
DOI: 10.12977/nov268
Parole chiave: ,
Numero della rivista: n.11, febbraio 2019
ISSN: ISSN 2283-6837

Come citarlo:
, L’intolleranza nei confronti delle comunità religiose. Un percorso, Novecento.org, n. 11, febbraio 2019. DOI: 10.12977/nov268

Didattica digitale integrata