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Abbiamo strappato la pianta; bisogna strappare la radice

Giuseppe Scalarini, Abbiamo strappato la pianta; bisogna strappare la radice

pubblicato in “Avantiì!”, 2 febbraio 1946

CONTESTO STORICO

In occasione del 2 giugno scegliamo di presentare una vignetta di Giuseppe Scalarini intitolata Abbiamo strappato la pianta; bisogna strappare la radice pubblicata il 10 febbraio 1946 sull’«Avanti! Quotidiano del Partito socialista di unità proletaria».[1] Si tratta di uno dei primi disegni pubblicati dal più grande vignettista satirico italiano dopo la sconfitta del fascismo e quindi dalla ripresa della stampa dell’organo del Partito socialista; infine questa è una delle ultime immagini pubblicate da Scalarini prima della morte, avvenuta a Milano il 30 dicembre 1948.

L’immagine di Scalarini ci accompagna nel clima italiano successivo alla Liberazione e in particolare a una delle questioni ancora aperte nel febbraio 1946: il rapporto intercorso tra fascismo e monarchia e il futuro assetto politico italiano, ancora dinanzi al bivio tra regno e repubblica.

Leggendo gli articoli sulla prima pagina dell’«Avanti!» – all’interno della quale sul fondo è inserita l’immagine di Scalarini – siamo introdotti alle questioni italiane e internazionali che caratterizzavano il dibattito politico a distanza di pochi mesi dalla Liberazione italiana: l’articolo di apertura riguarda la legge elettorale politica per la Costituente, sulla colonna di destra l’editoriale – significativamente intitolato Suicidio – dedicato alle insanabili lacerazioni interne al Partito d’azione, che proprio pochi giorni prima aveva concluso il congresso, dopo un paio di mesi dalla caduta del governo di Ferruccio Parri. Ancora, sulla prima pagina si dedica ampio spazio al raggiungimento di un accordo a Londra per la ridefinizione del confine italo-francese; un altro articolo si occupa della messa al bando da parte dell’Onu del regime di Franco, un altro rivela le mistificanti dichiarazioni del generale Giovanni Messe sulle operazioni militari del Csir in Russia (Dalla retorica di Messe alla realtà del fante), e poi ancora altri articoli si dedicano alla riduzione dei viveri per gli italiani indigenti da parte dell’Unrra[2] e alle imminenti elezioni in Unione Sovietica (10 febbraio 1946).

Gli articoli della pagina successiva ci accompagnano nella vita quotidiana dell’Italia dell’immediato dopoguerra: un articolo è dedicato all’apertura di un refettorio dell’Unrra per i «bambini poveri di Milano» in un asilo di via Bergognone. Dall’articolo si apprende che l’Unrra distribuiva solo a Milano 45.000 razioni, di cui 3400 alle gestanti, 2000 ai bambini fino ai 12 mesi, 8000 fino a tre anni, 14.000 fino agli otto anni, 17.000 fino ai quindici anni. E ancora, una lettera pubblicata ci introduce nella ancor più tragica situazione dei bambini di Cassino stritolati da fame e malaria e alle raccolte di fondi per la popolazione cui partecipano anche famiglie proletarie dell’Italia settentrionale con quel poco che è nelle loro possibilità. Da un altro articolo veniamo a sapere che all’Alfa Romeo di Melzo sono in corso trattative per la riduzione dell’orario di lavoro da 48 a 40 ore e allo stesso tempo gli impiegati hanno deciso di sostenere con una parte del loro stipendio i loro colleghi operai, dei quali molti al momento sono rimasti senza lavoro per la scarsità di commesse. Anche la réclame del «prodotto per bucato» Natrosil 102 – che si rivolge esplicitamente alle «massaie» – ci ricorda la condizione d’indigenza diffusa di una nazione distrutta anche materialmente dalla guerra e nella quale la ricerca del cibo è un problema quotidiano per milioni di persone: per le più fedeli e assidue clienti l’azienda mette in palio come premio 25 scatole da «due dozzine di uova freschissime da tavola». Di notevole impatto è il contrasto tra gli spettacoli cinematografici proposti in quei giorni: diverse sale milanesi hanno in programma Il figlio di Tarzan (di Richard Thorpe, Usa, 1939), alla Casa Matteotti viene presentato per la seconda volta Il cammino verso la vita (di Nikolai Ekk, Urss 1931, premiato alla prima edizione della Mostra di Venezia) girato dopo la guerra civile tra Ucraina e Russia che pone al centro la questione della emancipazione dei besprizornye, quelli che – come recita il trafiletto – sono gli «sciuscià russi». Si annuncia che l’intero ricavato delle donazioni degli spettatori sarà devoluto al Centro tutela minorile italiano.

L’IMMAGINE

Scalarini[3] è tra i più grandi caricaturisti e vignettisti italiani e questa immagine sintetizza uno dei temi che attraversano la sua opera satirica: il nesso inscindibile tra fascismo italiano e monarchia che costituisce una questione essenziale dopo la Liberazione, nel clima che precede il referendum del 2 e 3 giugno 1946. L’immagine di Scalarini è semplice e chiara, secondo lo stile dell’autore: la mano che domina dall’alto (allegoria delle forze che hanno attivamente lottato per la Liberazione e che stanno lavorando con tenacia per la costruzione di una repubblica democratica) stringe tra le dita una pianta su cui compare la scritta «FASCISMO» per strapparla. Solo un legame – in apparenza tenue – unisce ancora la pianta al suo bulbo e alle sue radici che sono rappresentate dalla piccola corona saldamente aggrappata sotto terra: il pugno tira, ma la terra sembra sollevarsi, segno che l’opposizione esercitata dalla monarchia contro l’estromissione dalla vita politica italiana è comunque più forte di quel che si possa immaginare. Sulla superficie della terra affiora un piccolo teschio, a ricordare le infinite morti di antifascisti, partigiani, semplici cittadini che sono state causate dalla repressione, dalla deportazione, dalle rappresaglie, dalla guerra e di cui il fascismo è giudicato responsabile proprio come la monarchia sabauda. Forse anche quel teschio sarebbe riseppellito e spinto definitivamente nell’oblio, qualora la corona dei Savoia riemergesse alla luce.

Scalarini inizia a collaborare all’«Avanti!» il 22 ottobre 1911 e vi lavora assiduamente fino al 1926 producendo per la testata socialista fondata da Claudio Treves circa 3700 disegni. Il 1926 è l’anno in cui dopo essere stato aggredito per la terza volta dai fascisti a Milano – evento da ricondurre nella cornice repressiva successiva agli attentati falliti ai danni di Mussolini di quell’anno e alle “leggi fascistissime” – viene ricoverato per circa un mese all’ospedale con una commozione cerebrale e una mandibola rotta; appena dopo essere stato dimesso riceve la condanna dal Tribunale speciale a cinque anni di confino che passerà prima a Lampedusa, poi a Ustica. Per circa venti anni Scalarini non potrà più pubblicare le sue illuminanti vignette né per l’«Avanti!», né per le altre riviste con cui collaborava.

La sanzione imposta a Scalarini è un esempio molto chiaro di come il confino sia stata un’arma potente nelle mani dello stato fascista attraverso cui isolare, fiaccare e mettere a tacere qualsiasi voce critica nei confronti del regime stesso. Come ha osservato Camilla Poesio, l’arma del confino – introdotta nel novembre 1926 come potenziamento del domicilio coatto – «da una parte, allontanava per un periodo di tempo più o meno lungo persone scomode senza imbattersi in complicazioni giudiziarie disponendo di una procedura agile e veloce e, senza ricorrere a eclatanti azioni terroristiche (che avrebbero danneggiato l’immagine del nuovo Stato fascista e che, al contempo, avrebbero mostrato quanto ancora il dissenso fosse tutt’altro che soffocato); dall’altra (…) il confino rappresentò per molti un provvedimento invasivo, tutt’altro che mite».[4]

La fertile attività di Scalarini era iniziata a Mantova negli anni Novanta dell’Ottocento, con alcune piccole mostre di disegni e con la fondazione di una Società letteraria mantovana insieme a un amico, il socialista Ivanoe Bonomi,[5] il futuro presidente del Consiglio dei ministri tra il 1921 e il 1922 e tra il 1944 e il 1945, nonché deputato dell’Assemblea costituente e primo presidente del Senato della Repubblica tra il 1948 e il 1951. L’interesse per il disegno satirico e la caricatura si approfondisce durante due soggiorni parigini nel 1892 e nel 1894 anno in cui conclude gli studi di arte all’Accademia di Venezia. Nel 1896 fonda a Mantova la rivista «Merlin cocai» orientata politicamente in senso radicale e socialista, i cui disegni furono per lui all’origine di molti problemi con la censura e la polizia. Nel 1898 a Mantova apre il giornale socialista «La terra» e nel clima di repressione del tempo (è l’anno dei moti di Milano sfociata nella criminale repressione di Bava Beccaris), Scalarini è costretto a fuggire in Austria e successivamente in Germania dove collabora per i «Fliegende Blätter» di Monaco, per i «Lustige Blätter» di Berlino e per il celebre «Simplicisssimus»: i temi affrontati sono l’oppressione del proletariato, l’opposizione alla guerra, l’ipocrisia e la disonestà dei capitalisti e del clero.

Il 22 ottobre 1911 Scalarini inizia a lavorare per l’«Avanti!»: come ha osservato lo storico dell’arte Mario De Micheli con l’inizio della collaborazione per il quotidiano socialista «nasce veramente lo Scalarini maggiore. […] Il suo tono si alza, la sua visione prende a organizzarsi per sintesi, il suo disegno si fa più essenziale e definitorio. […] Ogni suo disegno diventa un giudizio espresso in termini contratti, epigrammatici. […] Egli credeva fermamente nel potere persuasivo e chiarificatore dell’immagine».[6] Il primo obiettivo del giudizio tagliente di Scalarini fu la Guerra di Libia (1911-1912) cui dedicò numerosi disegni incentrati sulle violenze subite dai popoli aggrediti e sul legame tra la politica colonialista, il capitalismo italiano, l’incantamento e l’oppressione del proletariato.

Una fase cruciale dell’attività di Scalarini è quella legata alla Prima guerra mondiale. Con l’incarico di direzione dell’«Avanti!» assunta da Giacinto Menotti Serrati – succeduto a Mussolini il 1° novembre 1914 – il quotidiano divenne uno dei punti di riferimenti più avanzati delle posizioni radicalmente critiche nei confronti della partecipazione italiana alla guerra, di cui gli articoli di Menotti Serrati e i disegni di Scalarini costituivano uno strumento critico potentissimo. Nel corso del conflitto poi questa critica antibellicista – condotta attraverso argomentazioni politiche sviluppate dalle parole di Menotti Serrati e dalle immagini di Scalarini – coniò la figura del «pescecane», ovvero l’industriale privato fornitore di materiale o di servizi per l’esercito che lucrava ai danni dell’erario pubblico. Come ha notato Fabio Ecca, sulle pagine dell’«Avanti!» con il passare dei mesi gli articoli che portavano alla luce questo fenomeno erano «sempre più approfonditi e analitici» e questi «erano accompagnati dalle immagini di Scalarini che «tascabili erano facilmente comprensibili e potevano essere facilmente ritagliate e condivise con quanti non avevano acquistato il giornale socialista».[7] Quando non imbiancate dalla censura, le fameliche bocche di squalo e tante altre immagini dissacranti disegnate da Scalarini diventarono una delle più incisive forme di critica alla partecipazione alla guerra e alle sue conseguenze anche sul piano dell’impoverimento delle classi lavoratrici.

I disegni satirici creati dopo l’ascesa al potere dell’ex collega dell’«Avanti!» Mussolini sono tra le più penetranti in assoluto nel panorama europeo e la matita di Scalarini diviene ancora più affilata nella trattazione dei temi su cui aveva lavorato negli anni della Prima guerra: la critica alla retorica nazionalista, le ingiustizie economico-sociali, la decostruzione dell’ideologia guerrafondaia. Nell’Italia fascista, con immagini immediate e sintetiche, Scalarini trova il modo in cui portare a intuire le ingiustizie più o meno nascoste e a rendere inaccettabili agli occhi di molti i diversi aspetti della “vita normale” nella macchina statale fascista. Con il suo lavoro Scalarini smaschera i legami tra il capitalismo italiano (rappresentato di volta in volta e in base alle differenti situazioni come un avvoltoio, un vampiro, una piovra, un pescecane, un pingue profittatore) e la politica fascista, decostruisce la retorica nazionalista e guerrafondaia, pone in ridicolo il penoso e assai diffuso asservimento di intellettuali e giornalisti all’ideologia di regime (significativa una vignetta del 1924 intitolata Le penne lustrascarpe), attira l’attenzione delle masse popolari sul rapporto tra clericalismo e fascistizzazione della società italiana (assai efficace l’immagine del 1924 in cui una piovra con la testa a forma di cupola di San Pietro allunga i suoi tentacoli in tutti gli ambiti della vita italiana: scuole, ministeri, tribunali ecc.). L’attenzione diffusa nelle masse popolari per il lavoro di Scalarini – che ha saputo articolare un pensiero per immagini anticapitalista e antifascista – è testimoniato anche dalla pubblicazione di volumi che raccolgono per temi i disegni preparati per «L’Avanti»: La guerra nella caricatura, 1912; Il processo della guerra 1913; La guerra davanti al tribunale della storia, 1920; Abbasso la guerra, 1923; tutte le raccolte sono state pubblicate dalla Società editrice «L’Avanti».

Il clima di eliminazione di ogni voce critica e di totale uniformazione del regime nel clima imposto dalle “leggi fascistissime” colpiscono immediatamente Scalarini che è condannato al confino tra Lampedusa e Ustica dal 1926 per cinque anni (in realtà fu rilasciato nel novembre 1929). Insieme a questo provvedimento a Scalarini è fatto divieto di pubblicare o firmare ogni tipo di lavoro.[8] In questo modo il regime rende impossibile forma di critica da parte della sua matita. Come ha osservato Ecca «a far paura al regime mussoliniano era probabilmente il potere persuasivo dei suoi disegni che, fondati su principi pedagogici e didattici, avevano permesso all’autore la creazione di un rapporto con i cittadini, qualunque fosse il loro sentimento politico, difficilmente controllabile».[9] Un’eccellente sintesi del lavoro grafico di Scalarini – e del pericolo per il regime fascista racchiuso in ogni sua immagine – è in queste parole di Giovanna Ginex:

Le immagini simboliche, tendenti negli anni a una sempre più efficace sintesi compositiva, sono accompagnate da un breve testo didascalico, in un continuo esercizio di misura, plasmato dall’intento didattico rivolto verso i lettori; Scalarini si trattiene e trattiene il suo segno, punta all’essenziale, a levare piuttosto che ad aggiungere. Non siamo di fronte a un linguaggio grafico espressionista o allineato alla grafica art nouveau, bensì al loro opposto. Scalarini tende al minimalismo grafico e alla stilizzazione che tuttavia – o forse proprio in quanto tale – possono raggiungere vette di incisività. Con i suoi disegni raramente si ride, sempre si riflette. Non realizza caricature, e anche la definizione di “satira” per la sua opera d’ambito politico appare parziale e riduttiva.[10]

Dopo essere stato liberato dal confino (ma tenuto sempre sotto sorveglianza e con il divieto di pubblicare) Scalarini è di nuovo arrestato nel luglio 1940 e trasferito per un nuovo periodo di confino a Vasto e poi a Bucchianico (Chieti) fino al mese di dicembre 1940, quando gli è concesso di tornare a Milano sempre in un regime di stretta sorveglianza.

In questi anni Scalarini – nonostante il divieto – continua a disegnare e a scrivere di nascosto e il frutto parziale di questo lavoro dà origine al libro per bambini Le avventure di Miglio pubblicato da Vallardi nel 1933 di cui ufficialmente l’autrice è la figlia Virginia Scalarini Chiabov: in questa apparentemente innocua lettura per i piccoli, Scalarini inserisce sottili e incisivi richiami critici alla società italiana fascista e alla possibile sconfitta del regime. Infine, lavora a Le mie isole (pubblicato postumo) uno scritto autobiografico, accompagnato da piccoli disegni in cui l’autore descrive la propria esperienza di confinato. Il testo basato sugli appunti presi durante il periodo di isolamento viene composto intorno al 1938 e poi nel 1940. Il tono delicato della ricostruzione della sua vita quotidiana di confinato, dei rapporti con confinati celebri – tra cui Ferruccio Parri, Nello Rosselli, – e di dimenticati antifascisti sembra contrastare con la forza corrosiva dei suoi disegni satirici; tuttavia come ha osservato opportunamente Mario De Micheli «proprio in questo suo tono dimesso, quotidiano, normale modo di essere sta la segreta energia di Scalarini, sta nel suo mite, naturale, disarmante coraggio. Per lui era naturale, nonostante le violenze subite e le ricorrenti minacce, comportarsi così davanti al fascismo».[11]

Negli anni successivi alla Liberazione, i problemi di salute e soprattutto la tragica perdita della moglie Carolina (1943) e della figlia Giuseppina (1945) piegano la vitalità di Scalarini che dirada sempre più le collaborazioni con il quotidiano socialista e con altre testate. Come dicevamo in apertura, questa del 1946 è una delle ultime vignette pubblicate sull’«Avanti!». Probabilmente l’ultimo progetto rimasto incompiuto sarebbe stato quello di pubblicare una raccolta di disegni da dedicare alla moglie e alla figlia scomparsa, raccolta per la quale aveva già preparato la dedica ritrovata tra le sue carte: «Alla memoria di mia moglie e di mia figlia Pina, che mi sorressero col loro affetto, quando urlavano intorno a me le tempeste scatenate da questi disegni».[12]

BIBLIOGRAFIA

Per una panoramica generale sulla bibliografia di e su Scalarini si rinvia a: http://www.scalarini.it/it/bibliografia

Per una introduzione generale si rinvia alla voce del Dizionario biografico degli italiani: http://www.treccani.it/enciclopedia/giuseppe-scalarini_(Dizionario-Biografico)/

  • C. Bibolotti, F. A. Calotti, Giuseppe Scalarini. Il veleno della storia, (a c. di), Museo della satira e della caricatura, Forte dei Marmi 2006: https://issuu.com/museosatira/docs/scalarini
  • V. Chiabov Scalarini, Le avventure di Miglio, Vallardi, Milano 1933.
  • G. Scalarini, Le mie isole, a c. di M. De Micheli, Franco Angeli, Milano 1992
  • M. De Micheli, Giuseppe Scalarini, Edizioni Avanti!, Milano 1962.
  • M. De Micheli, Giuseppe Scalarini. Vita e disegni del grande caricaturista politico, Feltrinelli, Milano 1978.
  • F. Ecca, Penna, matita e reclusione. Le esperienze di Giacinto Menotti Serrati e Giuseppe Scalarini, in Enrico Serventi Longhi, Anthony Santilli (a c. di), Stampa coatta. Il giornalismo in regime di detenzione, confino, internamento nel XX secolo, Alla around, Roma 2020.
  • G. Ginex, Giovanni Scalarini, in «L’uomo nero. Materiali per una storia delle arti della modernità», n° 11-12, 2015.
  • G. Ginex, Scalarini incognito: testi, vignette e disegni per il “Corriere dei Piccoli” e “La Domenica del Corriere” in «L’uomo nero. Materiali per una storia delle arti nella modernità», n° 7-8, 2011.

PAROLE CHIAVE

PER CITARE L’ARTICOLO

, Abbiamo strappato la pianta; bisogna strappare la radice, Novecento.org, n. 16, agosto 2021.


Note:

[1] L’intera collezione dell’«Avanti!» – compresa la copia del quotidiano del 10 febbraio 1946 in cui compare questa immagine di Scalarini – è consultabile sul sito del Senato della Repubblica a questo indirizzo: https://avanti.senato.it/avanti/controller.php?page=archivio-pubblicazione-anno-edizione-mese&anno=1946&edizione=Edizione%20Nazionale&mese=2). Un utile strumento per orientarsi nell’arte di Scalarini è il sito http://www.scalarini.it/ in cui si ripercorre l’intera opera del disegnatore; nel sito oltre a un profilo biografico si trova anche una sezione bibliografica molto accurata e una selezione delle principali mostre a lui dedicate. Un percorso antologico on line del lavoro di disegnatore di Scalarini è il catalogo Giuseppe Scalarini. Il veleno della storia, a c. di Cinzia Bibolotti e Franco Angelo Calotti (pubblicato in occasione della omonima mostra tenutasi a Forte dei Marmi nel 2006) disponibile in rete al seguente indirizzo: https://issuu.com/museosatira/docs/scalarini.

[2] La United nations relief and rehabilitation administration è stata una organizzazione internazionale attiva tra il 1943 e il 1947 per l’aiuto civile ed economico delle popolazioni colpite dalla guerra e sostenuta finanziariamente dagli stati che non avevano subito le più gravi devastazioni. Nel 1945 entra a far parte delle Nazioni unite.

[3] Per un sintetico ma esaustivo profilo biografico e artistico di Scalarini si veda la voce a lui dedicata nel Dizionario biografico degli italiani consultabile al seguente indirizzo: http://www.treccani.it/enciclopedia/giuseppe-scalarini_(Dizionario-Biografico)/ Nella vasta letteratura sull’opera di Scalarini, l’introduzione più completa rimane quella di Mario De Micheli, Giuseppe Scalarini. Vita e disegni del grande caricaturista politico, Feltrinelli, Milano 1978.

[4] Camilla Poesio, Il confino fascista. L’arma silenziosa del regime, Laterza, Roma-Bari 2011, p. X.

[5] Un profilo della figura di Ivanoe Bonomi è consultabile nel Dizionario biografico degli italiani al seguente indirizzo: http://www.treccani.it/enciclopedia/ivanoe-bonomi_%28Dizionario-Biografico%29/

[6] Mario De Micheli, Giuseppe Scalarini. Vita e disegni del grande caricaturista politico, cit. pp. 40-42.

[7] Fabio Ecca, Penna, matita e reclusione. Le esperienze di Giacinto Menotti Serrati e Giuseppe Scalarini, in Enrico Serventi Longhi, Anthony Santilli (a c. di), Stampa coatta. Il giornalismo in regime di detenzione, confino, internamento nel XX secolo, All around, Roma 2020, p. 76.

[8] Archivio centrale dello Stato, Mininter, Confinati politici, Fascicoli personali, b.923. Su questi aspetti rinvio ancora a Fabio Ecca, Penna, matita e reclusione. Le esperienze di Giacinto Menotti Serrati e Giuseppe Scalarini, in Enrico Serventi Longhi, Anthony Santilli (a c. di), Stampa coatta. Il giornalismo in regime di detenzione, confino, internamento nel XX secolo, cit., pp. 78 e sgg.

[9] Fabio Ecca, Penna, matita e reclusione. Le esperienze di Giacinto Menotti Serrati e Giuseppe Scalarini, in Enrico Serventi Longhi, Anthony Santilli (a c. di), Stampa coatta. Il giornalismo in regime di detenzione, confino, internamento nel XX secolo, cit., pp. 80-81.

[10] Giovanna Ginex, Giovanni Scalarini, in «L’uomo nero. Materiali per una storia delle arti della modernità», n° 11-12, 2015, p. 313. Di Giovanna Ginex si veda anche Scalarini incognito: testi, vignette e disegni per il “Corriere dei Piccoli” e “La Domenica del Corriere” in «L’uomo nero. Materiali per una storia delle arti nella modernità», n° 7-8, 2011.

[11] Mario De Micheli, Prefazione, in Giuseppe Scalarini, Le mie isole, a c. di M. De Micheli, Franco Angeli, Milano 1992, p. 10. Alcuni schizzi del paesaggio di Ustica disegnati da Scalarini durante il confino sono consultabili al seguente indirizzo: http://www.centrostudiustica.it/images/PDF/pdf-copertine-rivista-lettera/Lettera-N.-23-24-Anno-VIII-Agosto-Dicembre-2006/L23-24_Conf_ScalariniMuseoSatira_Giannoni.pdf

[12] Il testo della dedica è riportato in Mario De Micheli, Giuseppe Scalarini, Edizioni Avanti!, Milano 1962, p. 198.

Dati articolo

Autore:
Titolo: Abbiamo strappato la pianta; bisogna strappare la radice
DOI:
Parole chiave: , ,
Numero della rivista: n.14, agosto 2020
ISSN: ISSN 2283-6837

Come citarlo:
, Abbiamo strappato la pianta; bisogna strappare la radice, Novecento.org, n.. 14, agosto 2020.

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