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Testimoni a scuola. Una riflessione sull’uso delle fonti orali per la didattica della storia

Testimoni a scuola. Una riflessione sull’uso delle fonti orali per la didattica della storia
Abstract

Da diversi anni a scuola vengono invitati protagonisti e testimoni della storia del secolo scorso con l’obiettivo di coinvolgere e incuriosire gli studenti e farli appassionare allo studio del passato. Il presente contributo cerca di suggerire modalità, mezzi e strumenti per rendere efficace didatticamente l’uso delle fonti orali nell’insegnamento della storia, sottolineando in primo luogo la necessità di usare le memorie tenendole distinte dalla storia degli eventi di cui esse parlano.

Introduzione
Nella scuola italiana testimoni e protagonisti della storia contemporanea sono sempre più spesso invitati a raccontare agli studenti la loro esperienza. Quella che è stata definita l’era del testimone ha coinciso con l’emanazione di alcune leggi che hanno indirettamente sancito il “dovere di ricordare”. Così alcune giornate istituzionali sono diventate occasioni per portare in classe il racconto di chi ha vissuto gli eventi del secolo scorso (con proliferazione di iniziative che hanno coinvolto studenti di ogni età e protagonisti diversi: da chi ha fatto la guerra ed è stato deportato e imprigionato a chi era semplicemente giovane in quegli anni, con un ventaglio di realtà diverse che vanno dal racconto del nonno nella scuola primaria al racconto drammatico del deportato nella scuola secondaria). Questa pratica di affidarsi al racconto orale per studiare la storia si è diffusa in maniera capillare tanto da venire utilizzata anche per la storia del secondo Novecento, lontano dai tragici avvenimenti della seconda guerra mondiale.
Ma spesso l’impegno profuso dagli insegnanti per trovare la persona giusta e per organizzare l’incontro esaurisce il lavoro didattico che, in molti casi, inizia e si conclude con la testimonianza.

Memoria e storia
Quando si parla di fonti orali ci si riferisce a racconti e storie di vita che i protagonisti trasmettono oralmente attingendo ai loro ricordi. Da ciò deriva che che, quando si chiama un testimone a parlare in classe occorre immediatamente far capire ai ragazzi che non si sta lavorando sul piano della storia, ma su quello della memoria. Anche l’insegnante deve essere consapevole da quale punto di vista sta osservando il passato, così da avere chiari obiettivi e strategie.
Certamente memoria e storia sono tra loro intrecciate: così come la memoria è documento per la storia, quest’ultima condiziona la prima. Tuttavia esiste una differenza di fondo: mentre la memoria appartiene sempre a qualcuno (il testimone, la sua famiglia, la collettività, la nazione, ecc…), la storia cerca di essere estranea alla logica delle appartenenze perché mira alla comprensione e alla ricostruzione di processi storici attraverso le tracce del passato (fonti).
La memoria, in quanto atto soggettivo di ricostruzione del passato, è condizionata dal contesto in cui il soggetto ha vissuto, vive e ricorda e in cui si sono stratificate e depositate storie e memorie di altri, narrazioni condivise, percezioni collettive. Pertanto se è vero che il racconto è sempre soggettivo, tuttavia esso riflette il contesto da cui nasce, riproducendo non solo la memoria del protagonista, ma anche quella degli altri (la famiglia, la comunità, ecc…). Si potrebbe dire che la testimonianza è la sintesi soggettiva di un processo complesso e dialettico che investe il passato, il presente, la memoria e la storia.

Sintesi coerente del passato: la memoria individuale
Un aspetto da tenere in considerazione quando si fruisce di una fonte orale è il fatto che chi ricorda tende a stabilire una sintesi coerente del passato: interpretazione che fatica ad accogliere dubbi e criticità provenienti da letture differenti. Il fatto di essere testimoni di un evento rende certi che le cose siano andate davvero come si ricorda e l’io c’ero diviene spesso la risposta che mette a tacere qualsiasi obiezione.
Proprio per questi motivi la classe deve sapere che il racconto del testimone è necessariamente soggettivo, parziale e mutevole: è il suo sguardo sul passato e non la storia di quel passato. Il testimone informa sui fatti, racconta cosa essi hanno rappresentato per lui, che cosa avrebbe voluto fare e che cosa pensa di aver fatto.
La storia è altro ed è costruita su fonti che prendono in considerazione punti di vista diversi e che lo storico compone nel suo lavoro di ricostruzione del passato, cercando di rispettare e riprodurre la complessità dei processi storici e la molteplicità degli sguardi.
Sul piano didattico l’insegnante dovrebbe mirare a costruire un percorso che porti alla comprensione dei processi storici, attraverso l’uso di fonti diverse, tra cui anche quelle orali. Ma fare confusione tra storia e memoria è un errore da evitare, perché oltre a far pensare che i ricordi siano la storia, ha il grosso limite di semplificare il passato e appiattirlo sulle percezioni soggettive, lasciando spazio all’insinuarsi di stereotipi e luoghi comuni.
La confusione talora determina esperienze in cui, soprattutto nella scuola del primo ciclo, un periodo storico può essere affrontato in classe solo attraverso il racconto dei nonni, con il risultato che i ragazzi non conosceranno la storia di un periodo, ma solamente i ricordi di chi è andato in classe a raccontare.
Dati tutti questi rischi sarebbe legittimo chiedersi: se la fonte orale non informa sui fatti, ma sulla percezione di essi, se non è storia ma memoria, se è parziale e soggettiva, che senso ha utilizzarla in classe? Perché si continua a chiamare i testimoni per fare storia?

L’incontro. Un’occasione di apprendimento
Non è questo il luogo in cui dilungarsi sulle ragioni della sovraesposizione di memoria dei nostri giorni e su cui esiste un’ampia bibliografia [Bensoussan 2014; Bidussa 2009; De Luna 2011; Pisanty 2012 e 2014; Wieviorka 1999]. Ma è vero che i testimoni sono ormai una presenza certa e diffusa nelle nostre scuole e nelle pratiche didattiche (si vedano anche i recenti protocolli d’intesa stipulati dal Miur con Anpi e Ministero della Difesa) e dunque è giusto provare a pensare come rendere l’incontro un’occasione di apprendimento.
La prima competenza che viene attivata nello studente è quella dell’ascolto. Un aspetto da non sottovalutare, poiché saper ascoltare è un elemento prezioso nella vita e nel lavoro.

«La pratica della storia orale mi ha insegnato una lezione importante: l’educazione è un processo che non va in una direzione sola, e l’intervista sul campo è sostanzialmente un’esperienza di apprendimento. (…) Siamo lì per imparare. Questa esperienza ha dato forma anche al mio lavoro di insegnante, aiutandomi a ricordare che gli studenti possiedono esperienze, abilità, conoscenze (per esempio, nel campo musicale o nell’informatica) superiori alle mie. Posso imparare qualcosa da loro, e insegnare meglio quello che so, se comincio applicando all’insegnamento la tecnica fondamentale della storia orale: l’ascolto» [Portelli 2006, 15]

Sebbene Portelli si riferisca alla sua esperienza di storico orale, tuttavia anche in classe sentire parlare un testimone dà inizio a una “esperienza di apprendimento” basata in primo luogo sull’ascolto. Il racconto del testimone aiuta gli studenti a capire che la storia non è qualcosa di astratto, teorico e lontano, ma è fatta di esperienze concrete di persone normali, che hanno vissuto fatti lontani. Questa consapevolezza farà sentire gli studenti parte di un processo storico, a cui saranno chiamati a dare il loro responsabile contributo, che rimarrà nella loro memoria e in quella collettiva. Perciò l’ascolto della testimonianza è una lezione di cittadinanza che contribuisce a creare negli studenti coscienza della propria memoria e della propria storicità.
Inoltre l’incontro con il testimone non ha mai nulla di scontato. Quando gli studenti si trovano davanti a una persona disposta a ricordare non hanno idea di che cosa dirà. La fonte è una scatola chiusa che può essere aperta solo con le domande giuste. La partecipazione di chi intervista determina uno scambio di sguardi e di punti di vista (inter/vista), che non vanno necessariamente in una sola direzione e non è detto che quello che si vuole sapere trovi una risposta.
Ma ciò che a prima vista può sembrare un elemento di difficoltà rappresenta un’occasione educativa che pone gli studenti nella prospettiva della ricerca, con i rischi che essa comporta (ad esempio l’ottica con cui si prevede di affrontare un tema potrebbe essere scombussolata, in quanto la fonte può porre in evidenza altri aspetti e questioni).
Per chi, come i nostri studenti, guarda da lontano e con distacco gli eventi del secolo scorso, poter ascoltare la voce, incontrare lo sguardo e sentire il racconto di chi ha vissuto prima di loro è un’occasione di coinvolgimento e di partecipazione che genera curiosità ed empatia.
Tuttavia l’ascolto e la curiosità non bastano da soli a far imparare la storia ai nostri studenti: affinché ciò avvenga è necessario inserire il racconto del testimone all’interno di una strategia didattica pensata e progettata (ciò che avviene anche quando ci si avvale di altre fonti come il cinema, le immagini, la letteratura, i documenti d’archivio, ecc…). Si tratta perciò di imparare a lavorare con lo specifico documento utilizzato, essere consapevoli della sua potenzialità e della sua peculiarità, imparare a interrogarlo, integrarlo con altre fonti e valorizzarlo.

Quando programmare l’incontro
Dunque se incontrare un testimone è un momento di un percorso didattico progettato e articolato, come prima cosa occorre decidere quando farlo. Anche se non esiste una regola è importante che sia previsto un percorso di andata e ritorno: dalla memoria alla storia e dalla storia alla memoria. L’incontro reca con sé inevitabilmente un coinvolgimento che va curato e gestito per riuscire a mantenere un equilibrio tra la dimensione emotiva e quella più propriamente razionale di ricerca delle motivazioni e di indagine sul passato, con gli strumenti della storia.
Qualora l’incontro sia al termine di un percorso, è probabile che i ragazzi cercheranno nel racconto del testimone risposte a domande a cui la storia non ha saputo rispondere, perché connesse alla dimensione soggettiva. Se invece si vogliono cercare nel coinvolgimento e nella curiosità le motivazioni per arrivare allo studio della storia, allora l’incontro darà inizio al percorso didattico e successivamente si cercheranno risposte nella storia.

Preparare l’intervista
In ogni caso, è bene che l’incontro sia preparato con gli studenti, mediante la scrittura di una serie di domande che serviranno da filo conduttore durante l’intervista. Quando il testimone entra in classe inizia un dialogo che gli studenti devono saper condurre, lasciando che la fonte parli il più possibile, evitando interruzioni, ma riconducendola anche al filo del discorso. La preparazione delle domande è già un lavoro importante sotto diversi punti di vista. Sul piano storico richiede la conoscenza delle coordinate spaziali e temporali e implica operazioni di tematizzazione. Sul piano linguistico si dovrà imparare a porre domande aperte, che non orientino la risposta, evitando tuttavia formulazioni generiche. Il livello di genericità dipende dal momento in cui avviene l’incontro. Se è all’inizio è probabile che la classe sappia ancora molto poco dell’argomento e quindi le domande saranno più generiche.
Nel curare la preparazione dell’intervista l’insegnante dovrebbe spiegare al testimone l’uso che verrà fatto della stessa, che verrà registrata e trascritta (sarà necessario chiedere una liberatoria per l’eventuale uso di tutta o una parte di essa).

Dall’intervista al testo scritto
Anche la dimensione dell’oralità interessa il lavoro didattico, da diversi punti di vista: per potere diventare fonte didattica il racconto del testimone ha bisogno di essere trasformato in testo scritto e fissato sulla carta in una versione che, sarà giusto sottolineare, è solo una delle tante possibili: quella registrata in quel determinato momento.
Va tenuto conto, poi, che più il testimone è abituato a raccontare, più farà ricorso a un canovaccio sperimentato nella successione dei fatti, nella riproposizione di intercalari ed espressioni, fino ad arrivare talvolta all’utilizzo di frasi ricorrenti in ogni testimonianza. In questi casi sarà più difficile avere informazioni diverse da quelle che usualmente il testimone inserisce nella sua “scaletta” (anche se un lavoro di scardinamento delle strutture abituali del racconto capace di fare emergere la memoria involontaria, esula da qualsiasi lavoro didattico e richiede competenze da storico orale, tuttavia potrebbe essere interessante far notare agli studenti il ricorrere o meno di concetti, immagini ed espressioni, mettendo a confronto più fonti su uno stesso argomento).
Molto interessante è pure lavorare sulla struttura narrativa della testimonianza, applicando ad essa le chiavi di lettura che i nostri studenti sono abituati ad usare nell’analisi di un testo narrativo (voce narrante, fabula e intreccio, focalizzazione, ecc…). Ciò consentirà di capire meglio il testimone, la sua abitudine a raccontare, la sua disponibilità, il suo modo di presentarsi, l’immagine che vuole dare di sé.
La trascrizione e la trasformazione dell’intervista in un testo narrativo sono operazioni che sollecitano negli studenti competenze di tipo storico e linguistico. Dal punto di vista storico l’operazione implica conoscenze extra-testuali che i ragazzi dovrebbero aver acquisito nella fase di preparazione; dal punto di vista linguistico trasformare le pause e le esitazioni in parole, sostituire anacoluti e interruzioni del discorso con una sintassi e un lessico fedeli al testo è un esercizio linguistico che affina competenze linguistiche. Indipendentemente dal percorso didattico in cui l’incontro si inserisce, la trascrizione può essere utilizzata per comporre un testo di tipo interpretativo o descrittivo attraverso cui gli studenti potranno imparare a gestire le informazioni e assemblarle in base alla consegna del testo, metterle in fila e collocarle in sequenza logica, citare in modo corretto le fonti da cui le informazioni sono state tratte, contestualizzarle coerentemente e correttamente.
Ottenuta una trascrizione leggibile si potrà procedere con la scrittura di due diversi tipi di testo: il primo, che potremmo definire racconto di vita, sarà più strettamente biografico e legato alle vicende di vita del testimone; il secondo potrà mettere in luce fatti e vicende di cui il testimone ha parlato, e che si collocano al centro della scena (mentre le notizie biografiche si porranno sullo sfondo).
In entrambi i casi i passi dell’intervista saranno citati in nota o nel testo, così come le informazioni acquisite tramite altre fonti (documenti, immagini, manuale di storia, ecc…) e indicate con rimando in nota (un’accortezza poco diffusa a scuola e che è invece alla base di una corretta e consapevole gestione delle informazioni).
Fase finale del lavoro, l’intervista e la trascrizione saranno collocati nell’archivio della scuola o in un altro luogo in cui possano essere conservati e messi a disposizione di chiunque in futuro volesse verificare direttamente i testi e confrontarli con le voci di nuove testimonianze o semplicemente riutilizzarli per altri lavoro didattici.

Bibliografia

  • Bensoussan G. 2014, L’eredità di Auschwitz. Come ricordare?, Torino: Einaudi
  • Bidussa D. 2009, Dopo l’ultimo testimone, Torino: Einaudi
  • Bonomo B. 2013, Voci della memoria. L’uso delle fonti orali nella ricerca storica, Roma: Carocci
  • Celetti D. e Novello E. (acd) 2006, La didattica della storia attraverso le fonti orali, Padova: Centro Studi Ettore Luccini. In formato pdf: http://www.centrostudiluccini.it/pubblicazioni/libri/didattica/Celetti&Novello-Didattica.pdf [URL consultato l’ultima volta il 2/12/2014]
  • Contini G. e Martini A. 1993, Verba manent. L’uso delle fonti orali per la storia contemporanea, Roma: La Nuova Italia Scientifica
  • De Luna G. 2011, La repubblica del dolore. Le memorie di un’Italia divisa, Milano: Feltrinelli
  • Giulietti D. 2013, Eri sul treno per Auschwitz. Strumenti per raccontare la Shoah ai bambini, Rimini: Fulmino
  • Gribaudi G. 2014, Le memorie plurali e il racconto pubblico della guerra. Il ruolo delle fonti orali nella riflessione storiografica del secondo conflitto mondiale, “Italia Contemporanea”, 275
  • Pisanty V. 2012, Abusi di memoria. Negare, banalizzare, sacralizzare la Shoah, Milano: Bruno Mondadori
  • Pisanty V. 2014, L’irritante questione delle camere a gas. Logica del negazionismo, Milano: Bompiani
  • Portelli A. 2006, Storia orale come scuola, “memoria/memorie”, 1
  • Portelli A. 2007, Storie orali. Racconto, immaginazione, dialogo, Roma: Donzelli
  • Socrate F. 2014, “L’unica cosa concreta che ho in mano è il racconto”. Intervista a Bruno Bonomo e Sandro Portelli su storia orale e generazioni, “Italia Contemporanea”, 275
  • Wieviorka A. 1999, L’era del testimone, Milano: Raffaello Cortina
Nella foto di copertina: Elaborazione di “Anker Grossvater erzählt eine Geschichte 1884” by Albert Anker – Albert Anker, Sandor Kuthy und andere, Orell Füssli Verlag, Zürich 1980. Licensed under Public domain via Wikimedia Commons.