Select Page

Didattica inclusiva nell’insegnamento della storia e della cittadinanza.

Didattica inclusiva nell’insegnamento della storia e della cittadinanza.
Abstract

Da anni la scuola si interroga su come favorire il successo formativo degli studenti con Bisogni Educativi Speciali (BES) o con Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA). Molti paesi d’Europa hanno legiferato in tal senso obbligando i docenti a prendere in considerazione il problema. Una delle osservazioni critiche verso questi tentativi di inclusione, e non una delle meno infondate, è che la norma, così come la pedagogia relativa, parla di strategie didattiche generali, se non generiche, che non fanno riferimento alle discipline. Euroclio ha provato a rimediare a questo difetto conducendo un progetto di studio delle migliori tecniche di insegnamento/apprendimento inclusivo della storia e della cittadinanza come materie specifiche. Questo articolo riassume i risultati di questo tentativo, per molti aspetti discutibile e perfezionabile, ma indubbiamente pioneristico e perciò stimolante.

Introduzione

Da anni nel mondo della scuola si sente parlare di “inclusione”, termine con il quale si definisce un’idea di scuola dove si possa conseguire un’educazione di qualità corrispondente alle potenzialità di ciascuno. Un’utopia forse, ma un’utopia che non è mai sembrata tanto concreta come nel corso di una delle tante attività di formazione dei docenti che Euroclio1 ha tenuto nel corso del 2018.

Durante un’intensa settimana di lavoro, infatti, i problemi e le possibili soluzioni di un insegnamento inclusivo della storia e della cittadinanza sono stati affrontati a Metlika, in Slovenia, dal 9 al 15 luglio 2018. È lì, nella regione dei Balcani occidentali, che si è tenuta la quarta Summer school regionale di Euroclio, contestualmente al seminario finale del progetto Strategies for inclusion,2 cui hanno partecipato insegnanti e docenti universitari di Norvegia, Portogallo, Paesi Bassi, Repubblica Ceca e Armenia. Gli insegnanti delle repubbliche dell’ex-Jugoslavia, di Albania e Bulgaria si sono perciò confrontati con i partecipanti al progetto in un proficuo scambio di esperienze e di riflessioni.

Il corso, comprensivo di relazioni e laboratori, ha cercato innanzitutto di sfatare un luogo comune, spesso evocato e sempre criticato durante i lavori: la didattica inclusiva non dovrebbe consistere in una semplificazione banalizzante dei contenuti o, peggio ancora, nella riduzione della qualità dell’insegnamento ai minimi termini. Dovrebbe, invece, come recita uno dei documenti finali del progetto3, consistere nella rimozione delle barriere che, in generale, ostacolano gli apprendimenti e, in particolare, l’apprendimento della storia e della cittadinanza.

Dall’integrazione all’inclusione

La didattica inclusiva non prevede strategie che soddisfino soltanto le esigenze degli allievi con bisogni educativi speciali, perché è un insieme di pratiche che riguardano tutti gli studenti. L’inclusione va infatti distinta dall’integrazione. Quest’ultima è un processo secondo il quale un sistema educativo standardizzato riduce o adatta le sue richieste entro un certo limite (“la sufficienza”, gli obiettivi minimi, etc.) a seconda delle capacità di apprendimento del singolo alunno. In sostanza, grazie ad una buona integrazione, lo studente che non riesce o non può riuscire a ottenere i risultati che tutti i cosiddetti normodotati possono o devono raggiungere potrà conseguirne una parte socialmente accettabile. L’integrazione, di cui l’Italia è stata pioniera,4 si rivolge dunque solo agli studenti con bisogni particolari, ne modifica il curricolo e offre i mezzi per rispondere ai loro specifici problemi ma, per questo o quel tipo “speciale” di studente, ha bisogno di personale specializzato. Dal canto suo l’inclusione, che accetta e supera gli obiettivi dell’integrazione – insegnare il più possibile a qualunque allievo -, è rivolta invece tutti gli studenti. La sua realizzazione non implica soltanto un cambiamento del paradigma educativo e normativo della scuola come l’abbiamo conosciuta finora, ma può anche offrire nuove opportunità a chiunque. Inoltre, non ha bisogno della professionalità di insegnanti specializzati, ma supera il modello dell’istruzione standardizzata5 e dei programmi prefissati e si fonda sulle capacità generali di ogni insegnante, facendo leva sulle buone pratiche e sugli strumenti di cui da sempre si fa uso. Se le politiche scolastiche l’accogliessero, la didattica inclusiva potrebbe offrire a tutti, attraverso strategie didattiche coinvolgenti, le massime opportunità di acquisizione e manipolazione della più ampia conoscenza possibile.

 

Insegnare storia con gli schemi e le mappe

Di questo tema ha parlato a Metlika la dott.ssa Carrie Weston, direttrice della Sir John Cass School of Education presso la University of East London. Nel Regno Unito gli studenti con bisogni educativi speciali sono circa il 20% del totale ma solo una piccola percentuale, l’uno o il due per cento circa, richiede educatori specializzati e istituzioni dedicate.

Per la maggior parte degli studenti con bisogni educativi speciali, la legislazione inglese, promulgata tra la fine degli anni Novanta e i primi del Duemila, prevede l’obbligo di evitare discriminazioni, impone che non vengano trattati “meno favorevolmente” e sollecita la promozione di un vero e proprio cambiamento del paradigma didattico tradizionale finalizzato al successo formativo del singolo. La dottoressa si è poi particolarmente soffermata sui ragazzi affetti dai Disturbi dello Spettro Autistico. Molte ricerche neurologiche e didattiche su questi allievi sembrerebbero dimostrare l’importanza dei supporti visivi per la concettualizzazione dei termini astratti e delle relazioni causa effetto. Ciò è particolarmente rilevante per l’insegnamento della storia e della cittadinanza, dove la necessità di «immaginare mondi che non ci sono più»6, effettuare confronti e paragoni e, in ultima analisi, «creare significato» su quello che si sta studiando richiede la padronanza dei processi cognitivi e la concettualizzazione.

 

Le tre dimensioni dell’insegnamento della cittadinanza

Com’è stato già più volte rilevato, pensare storicamente la realtà, crearsi una prospettiva temporale per la lettura dei fenomeni sociali e per le implicazioni collettive dei fenomeni personali non sono processi cognitivi che si sviluppano “naturalmente” negli studenti. E questo, a maggior ragione, è ancor più vero per l’insegnamento della cittadinanza. In questo ambito l’allievo riflette su fenomeni che nascono sì da esperienze molto concrete, ma sono pensabili solo attraverso rappresentazioni mentali complesse, come la coscienza di appartenere a un gruppo – la cosiddetta identità -, la distinzione tra bene e male – l’etica -, le forme che assumono le relazioni sociali e il senso delle istituzioni e dei sistemi politici – la cittadinanza attiva. Creare repertori d’immagini, mappe concettuali da redigere con carta e matita o con i software disponibili, associare concetti a raffigurazioni simboliche attraverso l’uso delle flashcards7 esemplificano alcune delle metodologie didattiche che, per un verso, offrono occasioni di apprendimento allo studente con bisogni educativi speciali e, per l’altro, permettono a tutta la classe di comprendere meglio l’uno o l’altro aspetto della materia.

 

Le barriere da superare per un insegnamento inclusivo

Come realizzare gli ambiziosi obiettivi delineati nella relazione della dottoressa Weston? Di questo si è parlato in una seconda importante comunicazione tenuta da Jayne Pletser, direttrice del Curriculum per un’Educazione Inclusiva presso l’International Baccalaureate Organization (IBO).8 Secondo Pletser occorre innanzitutto identificare gli ostacoli che possono impedire, ritardare o differire il raggiungimento degli obiettivi di apprendimento desiderati. In generale queste barriere possono essere raggruppate in cinque categorie:

  • l’organizzazione della scuola e le sue risorse, non solo e non tanto in termini economici. La mancanza di fondi naturalmente è un ostacolo fondamentale al funzionamento di qualunque istituzione educativa ma, per esempio, la mancanza di audiolibri per i dislessici o per gli ipovedenti, la mancanza di oggetti specifici da manipolare per i non vedenti, la rigidità dell’orario di insegnamento, la standardizzazione degli arredi, etc. possono generare questa o quella difficoltà nel processo educativo;

  • i metodi di insegnamento e apprendimento troppo standardizzati, di cui abbiamo già parlato;

  • le culture e le politiche scolastiche, come quelle tese al raggiungimento di risultati uniformi;

  • gli edifici e gli ostacoli che, per esempio, impediscono ai ragazzi con difficoltà motorie di frequentare in piena autonomia la scuola;

  • le relazioni interpersonali all’interno della comunità scolastica in cui, per varie ragioni, non tutti si sentano accettati o apprezzati come persone, al di là delle differenze individuali, culturali, linguistiche o sociali.

 

Progettare gli apprendimenti per tutti

L’idea che guida il lavoro delle scuole IBO è che non esiste uno studente “medio” cui riferirsi per programmare le attività educative ma che, al contrario, ciascuno ha tempi diversi e diversi percorsi possibili di apprendimento. Per cercare di raggiungere tutti gli allievi non si dovrebbe perciò pensare a una scuola modellata su un minimo comune denominatore che tutti dovrebbero apprendere, una sorta di benchmark educativo, quanto piuttosto lavorare «sui margini»9, cioè su attività didattiche che accompagnino lo studente dal livello più elementare a quello più complesso attraverso un continuum di pratiche costantemente controllato. Qualcosa del genere è già entrato nell’ordinamento scolastico italiano con la legge 170 del 2010, che obbliga le scuole, e gli editori scolastici, a realizzare attività didattiche e materiali adatti alla costruzione graduale degli apprendimenti, anche in presenza di alunni con disturbi specifici dell’apprendimento (DSA). Tuttavia si tratta ancora di materiali integrativi, che non sostituiscono la didattica standard con una didattica universalmente inclusiva. Il curricolo dell’IBO cerca invece, attraverso l’applicazione dei principi dell’UDL (Universal Design for Learning),10 di proporre a tutti gli studenti un programma integrato e, al contempo, flessibile.

 

Lo studente come allievo “esperto”

La finalità generale dell’UDL consiste nel rendere gli studenti “allievi esperti” (expert learners). Uno studente esperto è definito come:

  1. consapevole e motivato,

  2. pieno di risorse e ben informato,

  3. capace di elaborare strategicamente il conseguimento dei suoi obiettivi.

La declinazione di queste finalità generali comincia con la scelta delle conoscenze (che sono imprescindibilmente legate alle competenze), prosegue attraverso la proposta di metodologie adatte a ottenerle e si chiude con la sollecitazione della motivazione (che non va mai data per scontata) e dell’autonomia nella elaborazione e rielaborazione degli apprendimenti. Nei termini proposti da IBO occorre lavorare inizialmente sulla costruzione dell’autostima, valorizzare le conoscenze pregresse e informali, fornire opportunità guidate di utilizzare i linguaggi, verificare la comprensione dei contenuti, rendere efficace la loro comunicazione ed espressione e, infine, permettere agli allievi di eseguire i compiti complessi della elaborazione e rielaborazione al fine di conseguire i risultati attesi o desiderati.

Le barriere da superare per imparare la storia e la cittadinanza

Ma questo approccio consente anche di superare le barriere che solitamente si oppongono all’apprendimento della storia e della cittadinanza? Per capirlo, cominciamo a elencare queste barriere secondo la classificazione del professor Arie Wilschut (Center for Applied Research in Education dell’Amsterdam University of Applied Sciences).

Innanzitutto gli studenti hanno problemi di motivazione (1- Perché studiare la storia e la cittadinanza?), non si sentono connessi con il passato (2- Cosa mi lega alla storia?), faticano a immaginare le relazioni fra passato e presente e, quando lo fanno, a farsi un’idea precisa del passato (3- In che modo passato e presente sono collegati fra di loro? 4- Come posso parlare del passato senza averne esperienza personale?).

In secondo luogo gli studenti faticano a studiare la storia perché non riescono a cogliere la natura prospettica della conoscenza storica (5- Perché la narrazione storica dipende sempre dal punto di vista dal quale si parte?), la pensano spesso in maniera anacronistica (6- Come si distingue la storia dal mito?).

Infine gli ostacoli forse più difficili da superare nell’insegnamento della storia e della cittadinanza sono quelli che riguardano le capacità critiche e analitiche necessarie a dominare il linguaggio della storia e la sua capacità specifica di pensare la realtà (7- Come si superano i pregiudizi? 8- Come si distinguono criticamente i fatti dalle fantasie? 9- Come si ragiona comparativamente? 10- Come si usano i registri più sofisticati del linguaggio naturale? 11- Come si difendono le argomentazioni sensate?).

 

Una raccolta di “buone” pratiche

La scommessa di IBO è che, nel quadro dell’UDL, anche le barriere che ostacolano gli apprendimenti storico-sociali possano essere superate coinvolgendo gli studenti in attività didattiche diversificate e progettate sui gruppi classe o addirittura sui singoli studenti. Si tratta naturalmente di quadro che, allo stato attuale, sembra addirittura difficile da sognare nel sistema scolastico italiano, oberato dalla mancanza di fondi e dalle classi numerose, ma forse qualcosa si può fare anche da noi. Alla fine del progetto di Euroclio sono state raccolte una ventina di buone pratiche11 alcune delle quali, seppure con qualche aggiustamento, possono essere realizzate anche in Italia nei vari livelli della scuola primaria e/o secondaria12.

La storia come materia necessaria all’insegnamento della cittadinanza

La terza relazione del seminario, quella più specificamente dedicata alla didattica della storia, è stata tenuta proprio da Arie Wilschut. Nella sua riflessione sull’inclusione Wilschut ha affrontato innanzitutto il tema della mancanza di motivazione verso gli studi storici. Una strada da percorrere per superare questa difficoltà sembra essere quella di collegare sempre più strettamente la storia e la cittadinanza. Le due materie infatti sono strettamente legate tra di loro. La storia non è una conoscenza del passato semplicemente “da ricordare”, e non è nemmeno un esercizio di ragionamento o di pensiero storico da svolgere solo per se stesso. Il senso didattico dello studio di una materia come la storia risiede nella risposta alla domanda: in che modo la gente fa i conti con il proprio passato per creare il mondo di oggi? In altre parole, se i cittadini creano continuamente il loro mondo attraverso il senso che danno alle esperienze individuali e collettive del passato, storia e cittadinanza, allora, correttamente comprese, sono materie gemelle.

 

Cittadinanza ed educazione: una relazione necessaria

I cittadini, inoltre, sono realmente tali quando sentono di appartenere a una comunità, ossia quando, attraverso una pratica politica faticosa e talvolta frustrante, mettono in atto il necessario lavoro di autogoverno di cui ogni società ha bisogno. Il cittadino, a differenza del suddito, non ubbidisce però a un individuo, a un leader o a un principio ultraterreno, bensì riconosce il legittimo potere di entità astratte come la legge, la repubblica, la comunità o lo stato. È per questo motivo che, fin dal discorso che Tucidide attribuisce a Pericle, la cittadinanza è sempre stata collegata all’educazione13. Un suddito non ha bisogno di sapere perché deve ubbidire, semplicemente perché è costretto a farlo. Un cittadino, invece, deve essere ben informato e assumersi delle responsabilità; è necessario che aderisca ad alcuni principi e che si immagini alternative alla gestione consuetudinaria della cosa pubblica. Si tratta però di comportamenti che non si manifestano spontaneamente ma che si imparano studiando le azioni umane del passato, unico fondamento per poter agire nel presente e immaginare il futuro.

 

Memoria e storia

Quanto alla storia, dunque, appare evidente che ci sia una relazione fra la memoria che abbiamo del passato, il modo in cui percepiamo il presente e le aspettative che nutriamo per il futuro. Questa relazione, che si basa sul rapporto tra una percezione, il presente, e due astrazioni, il passato e il futuro, è tutt’altro che ovvia e si può esprimere in quattro forme:

  • quella del mito, in cui le storie raccontate trasmettono le credenze del passato;

  • quella sociale, che riguarda la successione dei riti di passaggio, la rappresentazione dei momenti critici della vita, come la nascita, il matrimonio, la morte, etc.;

  • quella del quotidiano, in cui si ripete la successione degli eventi di ogni settimana, mese o anno.

La quarta, che ci interessa in modo particolare, è la forma storica di trasmissione della memoria. Essa non ha nulla di naturale. Piuttosto, va insegnata, anche e soprattutto perché le prime tre tendono ad appiattirsi sul presente: il mito ripete sempre una stessa storia che pretende di valere una volta per tutte; i riti di passaggio si riproducono sempre uguali, e il quotidiano, pur svolgendosi nel tempo, tende a riproporre costantemente la stessa successione di accadimenti. La storia, invece, cerca di conoscere le differenze tra passato e presente, coglie le complesse strutture che legano gli eventi in relazioni di causa-effetto, ragiona sulle permanenze e i mutamenti e mostra anche il lato imprevedibile e casuale dei fenomeni storici. Questi ultimi, infatti, sono sempre il risultato dell’azione di qualche soggetto reale che contribuisce a determinare il proprio futuro.

 

Sapere la storia, orientarsi nel presente e scegliere per il futuro

Se queste sono le caratteristiche tipiche della storia e della cittadinanza, si capisce come solo chi possieda una chiara conoscenza della forma storica di ricostruzione del passato non creda passivamente ai miti e sia più disposto di altri a pensare che l’azione concreta orienti il cambiamento. Cittadinanza e storia dipendono insomma entrambe dall’educazione e la conoscenza della storia forma cittadini consapevoli del loro ruolo. Chi conosce la storia comprende:

  • la realtà del presente, dalle sue origini ai possibili futuri sviluppi;

  • che il futuro è aperto così come il passato, che avrebbe potuto essere diverso da come si è dato;

  • che, se si studiano le scelte compiute nel passato per risolvere i problemi dell’umanità, si pongono sempre delle alternative;

  • la difficoltà di ricostruire la verità con la “V” maiuscola sulle realtà sociali.

Chi conosce la storia, chi ne padroneggia il linguaggio e le logiche, sarà dunque un cittadino in ultima analisi migliore, perché sarà capace di prendere una posizione senza assolutizzarla, di distinguere i fatti dalle fantasie senza dogmatismi, di valutare e paragonare senza semplificare, di discutere con linguaggio proprio senza usare violenza verbale o fisica.

 

Le competenze di una buona e inclusiva didattica della storia

Ciascuna di queste competenze potrà essere ottenuta solo a scuola se gli insegnanti, nello specifico delle loro classi, saranno capaci di abbattere le barriere di cui abbiamo già parlato. In particolare, secondo Wilschut, occorre progettare attività didattiche capaci di mettere gli studenti nella condizione di:

  • vedere le cose da una prospettiva diversa dalla propria;

  • cogliere la realtà del passato;

  • trovare le fonti di prova per ciascuna affermazione storica;

  • esaminare criticamente tutte le fonti attribuendo il giusto valore a ciascuna;

  • non generalizzare frettolosamente ed evitare le semplificazioni eccessive attraverso la valutazione comparativa;

  • possedere il vocabolario adatto a svolgere tutte le attività precedenti;

  • argomentare e contro argomentare correttamente.

 

La storia e la sua interpretazione attraverso i concetti

La progettazione del lavoro didattico innanzitutto dovrebbe tenere presente quale obiettivo conseguire in termini di competenze. Questo non significa però che i contenuti storici non vadano insegnati, anzi; vuol dire invece che il loro insegnamento è più efficace se si conosce “perché” si studiano e se – con opportune attività didattiche – si fa capire agli studenti la ragione del loro insegnamento. Una delle strade per rendere inclusiva questa didattica è stata presentata dalla professoressa norvegese Lise Kvande (Norwegian University of Science and Technology)14. L’insegnamento della storia e della cittadinanza si esprime attraverso l’utilizzo di un vasto repertorio di concettualizzazioni e di espressioni linguistiche, vera palestra per gli esercizi sulle enormi possibilità di astrazione e di generalizzazione, propria o impropria, che possiede il linguaggio comune. Di questi concetti è necessario fare didattica perché, oggi più che mai, non se ne può dare per scontata la conoscenza neppure a livello semplicemente linguistico o letterale.

 

La storia come studio della dialettica fra descrizioni e concetti

Insomma, Wilschut ritiene che una didattica inclusiva della storia e della cittadinanza debba partire dalle analogie storiche, dalla scoperta e dalla corretta valutazione dei possibili parallelismi fra il passato e il presente. Dopo avere connesso in questo modo il passato con il presente, lo studente può ipotizzare ragionevolmente il futuro. Ciò non significa semplificare o relativizzare tutto e il suo contrario ma, all’opposto, implica misurarsi in un continuo rapporto dialettico tra “testo” e “contesto”, in cui il testo è dato dai fatti accertabili e classificabili solo attraverso le loro concettualizzazioni e le concettualizzazioni hanno senso solo se corrispondono a qualche dato di fatto di cui rendano ragione.

Ciò di cui abbiamo parlato si confronta, purtroppo, con un sistema scolastico in cui, in tutta Europa e altrove, la maggior parte delle lezioni di storia consiste ancora nella memorizzazione dei libri di testo. Le pratiche raccolte dal progetto di Euroclio, invece, mostrano che lobiettivo di andare oltre al modello di apprendimento della storia come memorizzazione di contenuti prefissati è difficile ma possibile.

Riferimenti bibliografici
  • Barton Keith C., Levstik Linda S. 2004, Teaching history for the common good, Mahawa, NJ: Lawrence Erlbaum
  • Illich I. 2013, Descolarizzare la società, Loreto: Simplicissimus Book Farm (ed. or. 1971)
  • Savia G. (acd.) 2016, Universal Design for Learning, Trento: Erickson
  • Tucidide 2003, La Guerra del Peloponneso, II, 41, Milano: Garzanti
  • Wilschut A. 2012, Images of Time. The role of a Historical Consciousness of Time in Learning History, Charlotte, NC: IAP
Sitografia

Note:

1 Una esemplificazione delle attività di Euroclio (European Association of History Educators) è cosultabile all’url www.euroclio.eu

3 Reperibile all’indirizzo https://euroclio.eu/wp-content/uploads/2018/10/S4I_Policy-Recommendations_IT.pdf, url consultata il 4 marzo 2019

4 Con la legge 517 del 1977, quella che – per intenderci – aboliva le classi differenziali.

5 Contro l’istruzione standardizzata si può leggere una requisitoria molto nota, ma per molti aspetti ancora attuale, in (Illich 2013, ed. or. 1971).

7 Una sintetica descrizione delle flashcards è contenuta nella pagina https://it.wikipedia.org/wiki/Flashcard, url consultata il 4 marzo 2019

8 Per una panoramica delle attività di IBO si veda, in lingua inglese, https://www.ibo.org/, url consultata il 4 marzo 2019

9 Per un primo approccio al concetto si veda questo breve video in inglese ma con sottotitoli https://www.youtube.com/watch?v=4eBmyttcfU4, url consultata il 4 marzo 2019

10 Un’idea generale sull’UDL si può trarre da questo sito in lingua inglese con sottotitoli http://www.cast.org/our-work/about-udl.html#.XCx8dc9Kgo8, url consultata il 4 marzo 2019

11 La descrizione dettagliata di queste pratiche, in inglese, è reperibile all’indirizzo https://euroclio.eu/resource-centre/strategies-for-inclusion/, url consultata il 4 marzo 2019

12 Chi scrive ha provato ad utilizzare il metodo dell’Avatar descritto, in inglese, all’url https://euroclio.eu/resource/the-avatar-method/, url consultata il 4 marzo 2019

13 «Dirò, in breve, che la città nostra è, nel suo complesso una viva scuola per la Grecia. Non solo, ma in particolare mi sembra che ogni cittadino, educato alla nostra scuola, acquisti una personalità completa, agile all’esercizio degli impegni più diversi, con elegante disinvoltura» (Tucidide 2003, 117).

14 Per comprendere il metodo di insegnamento dei concetti della Kvande si può consultare, in lingua inglese, il sito del suo progetto all’url https://www.clear-project.net/ . Una sintetica presentazione di cosa s’intenda per storia dei concetti si trova in queste pagine http://www.studiculturali.it/dizionario/lemmi/storia_dei_concetti_body.html https://www.unipd.it/concetti/ns/concepts_it/arguments/storia_concetti.htm, url consultata il 4 marzo 2019

Autore:

Dati articolo

Autore:
Titolo: Didattica inclusiva nell’insegnamento della storia e della cittadinanza.
DOI: 10.12977/nov291
Parole chiave: , , ,
Numero della rivista: n.12, agosto 2019
ISSN: ISSN 2283-6837

Come citarlo:
, Didattica inclusiva nell’insegnamento della storia e della cittadinanza., Novecento.org, n. 12, agosto 2019. DOI: 10.12977/nov291

Didattica digitale integrata