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La città europea. Lessico, problemi e storia

La città europea. Lessico, problemi e storia

Destinazione didattica

Il dossier sulla città europea mette insieme dati quantitativi e qualche analisi più qualitativa intorno a dei nodi problematici della metropoli in Europa. Si tratta di un percorso non esaustivo e soprattutto rivolto più al presente che al passato. In questo senso i prerequisiti richiesti sono la conoscenza generale della storia della rivoluzione industriale nelle sue diverse fasi e dello sviluppo urbano nel contesto europeo. Il dossier è destinato al triennio degli Istituti di istruzione secondaria superiore, in particolare per le classi quarte e quinte, e può essere interessante sia per gli indirizzi più umanistici sia per gli ambiti tecnici.
La parte dei documenti prevede, in alcuni casi, una conoscenza di base dell’inglese.
Spunti di riflessione come le “gentrificazione” (si veda il paragrafo corrispondente) o il concetto di “nonluoghi” (si veda Documento n. 12) si prestano a essere utilizzati come strumenti didattici di conoscenza del proprio territorio.

Il lessico di base della città

Europa = città

La città è un elemento costitutivo della storia e della società europee e, ancora oggi, l’Europa è uno dei continenti a maggiore densità urbana. Basti pensare che nell’Unione Europea a 28 stati vivono nelle aree urbane oltre due terzi della popolazione, utilizzando circa l’80% delle risorse energetiche e generando fino all’85% del PIL europeo. In pratica su circa 500 milioni di abitanti dell’UE nel 2015, quasi 340 milioni vivono in città o in zone assimilabili e circa 160 milioni in aree rurali. A questo dato si può aggiungere che i centri abitati in Europa sono tantissimi, circa 3500 che superano i 10.000 abitanti, mentre negli Stati Uniti non se ne contano più di mille. Si tratta naturalmente di un retaggio della storia che molte città hanno avuto nel “lungo passato” in cui sono sorte, svolgendo spesso – soprattutto in epoca medioevale – funzioni di capitali territoriali in competizione una con l’altra.

Megalopoli

Se è così diffusa la dimensione cittadina, al contrario non sono troppe le città che superano il milione di abitanti, circa venti nell’Europa a 28 stati, e solo sei si collocano sopra i due milioni di abitanti. Se invece allarghiamo lo sguardo da quelle che in senso stretto sono le città – ovvero le Unità amministrative locali – e guardiamo alle aree metropolitane – cioè quei territori che gravitano strutturalmente intorno a una città – giungiamo a cifre più considerevoli[1]: così Londra (si veda Doc. 1) arriva a circa 14 milioni di abitanti e Parigi a 11.800.000 abitanti; vi sono poi aree costituite da diversi centri che, però, sono interconnessi fra loro, come l’area del bacino della Ruhr a nord di Colonia in Germania che raccoglie città distanti fra loro una sessantina di chilometri e coinvolge 12 milioni di abitanti; o, per venire in Italia, l’area metropolitana di Roma, di quasi quattro milioni, o quella di Milano, che arriva a circa 3.100.000. Questi dati aiutano però a capire un aspetto importante: se è vero che l’Europa è fortemente urbanizzata e continuerà ad esserlo, appare evidente che l’ascesa esponenziale delle megalopoli e delle aree metropolitane che sta avvenendo a livello globale è un fattore che non coinvolge l’Europa e, in particolare, gli stati dell’Unione. Nelle 31 megalopoli oltre i 10 milioni di  abitanti censiti dal report della Nazioni Unite The World’s Cities in 2016, solo Londra e Parigi rappresentano l’UE e, allargandosi a tutto il continente, si aggiungono Mosca e Istanbul. Le altre megalopoli sono nelle Americhe (New York, Los Angeles, São Paulo, Rio de Janeiro, Buenos Aires) e, soprattutto, in Asia, con ben sei in Cina e cinque in India.

Si tratta, in fondo, di una buona notizia: è possibile cioè che la città europea riesca a mantenere una dimensione governabile, proprio grazie alla sua “storica anzianità” e alla capillarità del suo tessuto urbano, in modo da potere affrontare problemi come, ad esempio, disoccupazione, povertà e ghettizzazione che sono presenti e in crescita.

Le note successive vogliono, in questo senso, mettere a fuoco alcuni punti problematici della città europea, evidenziando le contraddizioni, le difficoltà, ma anche le opportunità che essa offre.

Centro – periferie

Una caratteristica specifica della città europea è la presenza di un centro ben definito che raccoglie, in linea di massima, gli edifici storici più significativi. Questa peculiarità è un segno evidente dell’antichità degli insediamenti urbani europei i quali, nella stragrande maggioranza dei casi, hanno alle spalle una storia di almeno 500 anni. Poche infatti sono le città di una certa importanza che sono state fondate dopo il 1500, mentre quasi tutte affondano le loro origini o in epoca greco-romana o medioevale. Fra le non molte città che sono sorte o sono diventati centri urbani importanti dopo il XVI secolo soprattutto in seguito alla rivoluzione industriale, si possono ricordare, per esempio, nell’est Europa Katowice, in Polonia, che acquistò lo status giuridico di città solo nel 1865, e San Pietroburgo in Russia, costruita dal nulla per volontà dallo zar Pietro il Grande nel 1703, o Birmingham e Sheffield in Inghilterra.

L’importanza anche identitaria per le città europee dell’esistenza di un “centro” è confermata dalla volontà manifestatasi dopo le distruzioni avvenute durante la seconda guerra mondiale di ricostruire, nel limite del possibile, i principali monumenti e le zone centrali. I bombardamenti a tappeto o le distruzioni pianificate di interi centri urbani “coventrizzarono[2]” moltissime città: in Germania per esempio Dresda, colpita da un’offensiva aerea alleata senza precedenti nel febbraio 1945, e la stessa Berlino. O Varsavia, rasa al suolo dai tedeschi come rappresaglia in seguito alla rivolta della resistenza polacca dell’agosto 1944. In questi casi e in altri ci si impegnò nella ricostruzione fino ad anni molto recenti come a Dresda (Si veda Doc. 2) o dando vita a città rinnovate e policentriche come Berlino, a seguito anche delle vicende storiche che la tennero separata in due zone fino alla riunificazione del 1989.

Le periferie

Se dunque la presenza di un centro è un carattere distintivo della città europea e a oggi è impossibile immaginarne una del tutto priva di questa caratteristica come Los Angeles negli Stati Uniti, un altro aspetto peculiare è l’insieme dei quartieri periferici che si collocano intorno ai centri cittadini, e la cui nascita e sviluppo sono strettamente connessi, nell’ambito della storia contemporanea, alla crescita industriale prefordista e fordista.

In questo contesto non è utile addentrarsi nell’analisi dello sviluppo della metropoli industriale europea né nella crescita di zone urbane immediatamente confinanti con il centro o dislocate in luoghi particolarmente attrattivi che hanno concentrato gli insediamenti del ceto medio o dell’alta borghesia, quanto sottolineare che queste periferie hanno rappresentato il naturale insediamento della classe operaia e dei flussi migratori che l’hanno determinata, dopo un iniziale insediamento di queste persone anche nelle zone più degradate dei centri urbani. La dinamica periferia / centro rappresenta dunque un tratto distintivo dell’evoluzione urbana europea e anche del contrasto sociale fra classi contrapposte e orientate politicamente, per quanto tutto ciò sia avvenuto nelle realtà nazionali in tempi o modi diversi.

Crisi e deindustrializzazione

Un dato inconfutabile nell’evoluzione del tessuto urbano è però, a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso, la progressiva deindustrializzazione delle città europee in seguito a processi  di globalizzazione sempre più ampi che hanno svuotato, di fatto, intere ed estese aree urbane di attività produttive e di coesione sociale e abitativa. A titolo esemplificativo il caso delle banlieues parigine appare paradigmatico. Nate in seguito a una pianificazione urbana molto strutturata a partire dagli anni ’60 del Novecento come quartieri satelliti strettamente connessi alla produzione industriale, queste cités avevano inizialmente caratteri di modernità e funzionalità, con infrastrutture e servizi all’avanguardia. Poi, in seguito alla chiusura delle fabbriche e alla progressiva diminuzione degli investimenti pubblici, in questi quartieri la disoccupazione è cresciuta alle stelle (intorno al 40%) mentre tutto il sistema organizzativo e sociale andava disgregandosi, fino a trasformare le banlieues nel simbolo stesso del degrado, della violenza e della criminalità delle periferie. I momenti più forti di questo piano inclinato sono state, poi, le rivolte dell’autunno 2005 scoppiate a Parigi e nel resto della Francia, che hanno reso evidente la distanza ormai fortissima fra la popolazione soprattutto giovanile delle banlieues, il resto dei cittadini e le istituzioni, in particolare le forze dell’ordine[3].

L’indebitamento

Di fronte a questa realtà spesso drammatica della deindustrializzazione, moltissime città europee si sono dunque trovate a fare i conti con nuove e complesse problematiche, a partire dal fatto che, in molti casi, hanno dovuto reinventare un’identità socio-economica che sostituisse quella industriale preesistente. Inoltre la presenza di ampie zone abbandonate dagli insediamenti produttivi ha determinato la necessità di riqualificare queste zone per evitare un progressivo degrado. Naturalmente, per compiere queste ambiziose operazioni urbanistiche sono stati e sono necessari massicci investimenti, provenienti dalle politiche comunitarie europee, dalla fiscalità degli stati o delle città stesse e dall’investimento o dal credito del sistema produttivo e finanziario. Il risultato, da un punto di vista dei conti delle città, è stato il loro progressivo indebitamento che, per esempio a Berlino, ha raggiunto la cifra record di 60 miliardi di euro.

Grandi eventi

Un caso particolare del tentativo di molte città di ridefinire la propria natura o di utilizzare ingenti risorse per avviare forti cambiamenti urbani è quello di divenire sede di grandi eventi globali, come le Olimpiadi o le esposizioni universali. Per restare agli ultimi decenni, in Europa le Olimpiadi estive o invernali sono state ospitate a Barcellona (1992), Lillehammer (1994), Atene (2004), Torino (2006), Londra (2012). Per le esposizioni universali ricordiamo solo Genova e Siviglia (1992), Lisbona (1998), Milano (2015). Anche se mediamente i conti di queste imprese sono sempre stati in rosso per lo sforamento metodico dei costi preventivati[4], in alcuni casi – come a Barcellona e Torino ma anche Genova e Lisbona – il rinnovamento dell’immagine della città e delle sue infrastrutture ha lasciato un segno profondo e duraturo, contribuendo a modernizzare il tessuto urbano e a superare o a offrire qualche alternativa alla crisi postindustriale; al contrario ad Atene lo sforzo finanziario per le Olimpiadi, accompagnato da una sequela di scandali e corruzione, ha segnato l’inizio di quella crisi debitoria della Grecia che ha travolto il paese a partire dal 2009.

Gentrificazione

Tra le dinamiche fra centro e periferia che la crisi postindustriale ha accelerato in seguito alle riconversioni di interi quartieri periferici o di zone specifiche dei centri urbani merita attenzione il fenomeno della cosiddetta “gentrificazione”. Il termine è stato adottato già nel 1964 dalla sociologa inglese Ruth Glass e deriva dalla parola gentry, che indica la piccola nobiltà e, per estensione, la classe media. Il fenomeno consiste nella “colonizzazione” da parte di persone o nuclei famigliari economicamente abbienti di quartieri abbastanza degradati e abitati dalla classe operaia o da recenti immigrati. Il fenomeno è in corso già da molto tempo e, in Europa, ha come città simbolo Londra – oltre a essere assai diffuso negli USA – ma negli ultimi decenni ha interessato molte città europee, come Berlino, Parigi e, per esempio in Italia, Milano: nel capoluogo lombardo tutta l’area dei quartieri Garibaldi, Isola e Varesine è stata interessata da un progetto radicale di ristrutturazione e adeguamento urbano – il progetto Porta Nuova sviluppato dal 2004 al 2015 – che ha reso l’area all’avanguardia nelle soluzioni urbanistiche e abitative, di cui i grattacieli del “bosco verticale” sono i simboli. L’investimento economico è stato imponente, sono state coinvolte fra le più importanti archistar mondiali e, oggi, la proprietà di Porta Nuova è nelle mani del fondo sovrano del Qatar. Se è ovvio che quest’area della città ha oggi un aspetto decisamente più accattivante della case di ballatoio che caratterizzavano la zona fino a venti-trent’anni fa, il costo è stata l’”espulsione” dei precedenti abitanti, l’aumento geometrico del valore immobiliare  dell’area e il totale mutamento della sua composizione sociale.

Città museo

In seguito alla crescita esponenziale dell’erogazione di servizi a discapito della produzione industriale – favoriti anche dalla rivoluzione digitale – si sono poi sviluppati ampi fenomeni di trasformazione dei centri urbani in hub direzionali di servizi globali o, per converso, in musei a cielo aperto che mettono in mostra il proprio patrimonio al pubblico internazionale del turismo. Questo processo ha reso certamente più vivibili e piacevoli i centri urbani per gli stessi cittadini grazie, ad esempio, alla pedonalizzazione di ampie zone, ma ha estromesso, soprattutto a causa dei costi, molti abitanti “storici” del centro o ne ha reso proibitivo l’insediamento anche per persone del ceto medio. In una città come Roma, nel primo decennio degli anni Duemila, il processo di allontanamento dal centro si è molto accentuato, con una tendenza crescente delle famiglie sopra i quattro componenti ad abitare al di là del Grande Raccordo Anulare che circonda la capitale italiana e con il rischio di una crescita urbanistica con scarsa pianificazione che sta “consumando” aree sempre più periferiche dell’agro romano (Si veda Doc. 3).

In conclusione, i processi avviati dalla deindustrializzazione hanno rimescolato la dinamica fra centro e periferia, accentuando quella polarizzazione sociale ed economica fra le due componenti della città che è già un dato purtroppo acquisito di molte metropoli extraeuropee, a partire da quelle americane.

La città europea e la globalizzazione

Nel mutamento economico degli ultimi decenni caratterizzato in Occidente e, quindi, in Europa da un lato dalla delocalizzazione industriale e dall’altro dallo sviluppo enorme di mercati come quello finanziario che sono davvero globali grazie alla pervasività del web, le città europee hanno reagito in modo assai diversificato.

L’indice di globalizzazione

Da questo punto di vista, un indice significativo è quello della globalizzazione delle città, individuato sulla base di una serie di parametri; la valutazione è svolta da diversi istituti di ricerca, ma quella che si è maggiormente affermata è condotta dal 2008 dalla società di consulenza A. T. Kearney in collaborazione con altri importanti enti americani. La ricerca, prima biennale ora annuale, analizza nel rapporto 2017 ben 128 città, valutandole attraverso cinque parametri: l’attività economica, il capitale umano, lo circolazione delle informazioni, gli eventi culturali e l’influenza politica. In questa classifica alcune città europee sono posizionate nella top 25: dopo New York al primo posto, troviamo Londra al secondo, Parigi al terzo, Bruxelles (all’11°), Madrid (13°), Berlino (14°), Vienna (20°), Amsterdam (22°), Barcellona (24°). Per trovare delle città italiane bisogna scendere al 33° posto (Roma) e al 43° (Milano).  Se si analizza invece la top 25 dell’indice della potenzialità di globalizzazione delle città – l’autlook del report 2017 – si trovano altri protagonisti a parte Londra e Parigi. Incontriamo così Monaco (al 7° posto), Stoccolma (al 9°), Zurigo, Ginevra, Amsterdam, Berlino, Copenhagen e Düsseldorf. Milano perde quattro posizioni in rapporto al 2016 ed è al 33° posto, mentre Roma resta stabile al 49°(Si vedano Doc. 4 e 5).

Che significato hanno questi dati? In pratica vogliono dire che ci sono alcune città più propense di altre ad adattarsi ai mutamenti conseguenti alla globalizzazione e che quindi, oggi e in prospettiva, attirano e attireranno capitali e imprese, sono e saranno sedi di istituzioni internazionali, scuole e università prestigiose, poli per studenti e lavoratori di alto livello, organizzatori di eventi culturali e sportivi importanti, eccetera.

In generale si può quindi osservare che in rapporto alla densità del fenomeno urbano in Europa e, nello specifico, in Unione Europea, poche città come Londra e Parigi sanno interpretare questa che è, a tutti gli effetti, una competizione globale, mentre molte altre o non partecipano alla gara in corso o non sono in grado di competere, rischiando di relegarsi in una posizione marginale.

Globalizzazione e politica

Esiste una correlazione fra questa propensione delle città alla globalizzazione e certi orientamenti politici? Con tutte le precauzioni del caso e senza volere assolutamente individuare delle costanti deterministiche, in alcune circostanze sembrerebbe di sì: per esempio il voto inglese del giugno 2016 che ha portato alla Brexit appare influenzato da queste problematiche. Il risultato complessivo favorevole all’uscita dall’UE ha ottenuto il 51,9% dei voti ed è stato prevalente in tutte le regioni escluso quella di Londra dove i voti per restare in UE sono stati quasi il 60%, anche se la parte est della città ha invece votato per l’uscita. Pure altre città, come Manchester, Liverpool, Bristol, Leeds sono state per il “remain” insieme alla Scozia e all’Irlanda del Nord. Se poi si va a vedere la composizione sociale del voto, si può osservare che la popolazione più istruita, con un reddito più alto e giovane ha votato di più per il “remain”. In sintesi estrema si può quindi affermare che il voto per il “leave – uscire” è stato prevalente presso le parti della popolazione più in difficoltà o escluse dai processi di globalizzazione, naturalmente con le dovute eccezioni (si vedano Doc. 6 e 7).

Nuovi ceti urbani e nuove povertà

D’altra parte occorre tenere presente che la globalizzazione sta creando un nuovo ceto emergente costituito da manager, politici, funzionari internazionali, scienziati, artisti, persone dello spettacolo e dello sport che rappresentato una borghesia cosmopolita che si muove con disinvoltura e segna con la sua presenza le città globali. Costoro sono “mobili” attraverso il mondo e l’Europa, si spostano per affari, lavoro e piacere e, in un certo senso, contribuiscono a plasmare l’aspetto stesso delle città e, soprattutto, dei centri urbani. Per ritornare a un aspetto già analizzato in precedenza, è anche per queste persone che si costruiscono i centri direzionali e si “bonificano” i quartieri più pittoreschi, marginalizzando porzioni importanti della popolazione cittadina.

D’altra parte sono le città ad assorbire maggiormente l’impatto dell’emigrazione proveniente dal Sud del mondo; come è stato osservato (A. Cavalli, A. Martinelli, La società europea, p. 160), la mobilità territoriale riguarda gli estremi delle classi sociali: da una parte la borghesia globalizzata, dall’altra le persone che fuggono dalla miseria e dalle guerre e che si insediano nei tessuti urbani preesistenti, spesso colpiti dalla deindustrializzazione e dalla perdita di coesione sociale.

Per fare un esempio di attualità, Bruxelles è all’11° posto nella classifica delle città globalizzate nel 2017, è sede delle più importanti istituzioni europee e della Nato ed è abitata da migliaia di funzionari ben pagati che lavorano in queste organizzazioni. Tralasciando il fatto che la loro presenza rende la città molto cara soprattutto per quel che riguarda il mercato immobiliare, con evidenti difficoltà per le persone che non usufruiscono direttamente o indirettamente dei benefici connessi alla presenza di queste istituzioni, ha destato scalpore internazionale scoprire che a pochi minuti dal centro città esista un quartiere come Molenbeek-Saint-Jean, da cui sono provenuti alcuni degli attentatori che hanno compiuto gli attacchi terroristici a Parigi nel novembre 2015 e nella stessa Bruxelles a marzo 2016. Quartiere a forte presenza musulmana e, nello specifico, marocchina, è stato dipinto come un covo diffuso dell’integralismo jihadista che godrebbe della generale complicità degli abitanti. Al di là di queste generalizzazioni, quello che è però emerso è il sostanziale abbandono in cui è stato lasciato questo quartiere, la disgregazione del tessuto sociale causata dalla disoccupazione e la progressiva radicalizzazione di giovani che dalla vita di strada e dalla piccola criminalità sono passati – spesso attraverso il carcere – all’abbracciare il terrorismo islamista[5].

Di conseguenza la città si configura per il futuro europeo come l’epicentro delle sue tensioni e delle sue potenzialità: luogo dell’opportunità e dell’innovazione, la città ospita al suo interno gli ambiti di maggior degrado e povertà, con tutti i rischi che questi comportano. Una politica mirata di welfare ha finora limitato, pur con molte zone d’ombra, i processi di marginalizzazione e ghettizzazione così presenti nelle aree urbane extraeuropee, ma l’attuale polarizzazione del benessere economico e un’Unione Europea che chiede solo il rispetto pur importante dei bilanci fanno immaginare un futuro molto problematico per le città del continente europeo.

Inclusione/esclusione

Da almeno tre decenni il trionfo del capitalismo globalizzato (neoliberismo) su scala mondiale ha comportato l’imporsi di potenze economiche transnazionali (banche, corporation, imprese) che hanno indebolito il potere degli Stati nazione e creato un disordine planetario in cui l’1% della popolazione del pianeta possiede una ricchezza pari al 99%. Questo stato di cose ha fatto sì che, dagli anni Novanta, si sia assistito in tutte le città del mondo, con maggiore o minore intensità, a un processo di deregolamentazione dovuto alla privatizzazione di intere parti di città.

Nelle città europee agiscono logiche finanziarie che non hanno l’obiettivo di migliorare le città ma di aumentare i profitti di impresa, come si può comprendere dalla lettura del documento indicato nella nota[6] (Si veda Doc. 8).

La privatizzazione dello spazio pubblico e i processi di disneylandizzazione di molte città – per l’Italia basti pensare a Venezia, oltraggiata dal passaggio delle grandi navi, dalle centinaia di negozi di souvenir di scarso gusto – sottraggono spazi vitali di incontro e di confronto agli abitanti per produrre a pochi grandi profitti.

Enzo Scandurra, già professore di urbanistica alla Sapienza di Roma, ha definito la città come la più grandiosa costruzione simbolica e materiale della modernità, non solo luogo di scambi e di commerci  ma «Condizione umana di esistenza di milioni di persone che vivono insieme pur mantenendo le proprie individualità e le proprie storie (…) essa consente l’essere insieme tra diversi e il nobile termine di cittadino, se spogliato dal suo universalismo astratto che ne fa un individuo statistico, una proprietà, un oggetto della nazione, può tornare a significare l’abitante della città, la persona che si muove, lavora vive e dorme in un città cui appartiene e che gli appartiene. (…) il bene pubblico di quella città diventa parte dei suoi stessi interessi personali»[7].

Le città tra passato e presente

Le origini dell’esplosione urbana europea

Intorno all’anno Mille le città europee furono attrici di una nuova organizzazione sociale ed economica, erano luoghi in cui venivano accolti uomini di ogni provenienza: avventurieri, vagabondi pellegrini. Se, come ci ha insegnato la storiografia più avvertita, si rifugge dallo stereotipo del Medio Evo come epoca buia, è indubbio che le città  furono luoghi propulsori di cambiamenti sociali: i ceti urbani dei mercanti e degli artigiani restituirono nuovo protagonismo alle città. Oltre a questi due ceti, avevano residenza urbana anche un numero cospicuo di esponenti del clero, dell’amministrazione ecclesiastica e  un patriziato di proprietari terrieri e immobiliari (soprattutto nell’Europa meridionale). I ceti urbani erano unificati dal comune interesse a difendere l’autonomia e le libertà della città dal potere feudale (libertà di autogoverno, di riscossione di dazi e gabelle, di battere moneta, ecc.). La fuga in città garantiva l’interruzione del rapporto servile verso il feudatario (“L’aria della città rende liberi”) e, se comportava l’accettazione di nuove regole, garantiva prima o poi il godimento dei diritti di cittadinanza.

L’Europa nasce come spazio geoculturale della civitas

Ora, la convivenza tra diversi, per attenuare gli inevitabili conflitti, richiede manovre concomitanti  da parte dei governanti che vanno dalla formazione educativa, a quella occupazionale, religiosa, urbanistica (Si veda Doc. 9). Senza sicurezza non c’è effettiva libertà e la democrazia verrebbe meno alle sue funzioni sottraendosi a questi compiti. Così come senza solidarietà la democrazia getterebbe a mare le sue origini. D’altro canto la convivenza non è mai pacifica, comporta rinunce e dolorose ibridazioni ma, come ci ha insegnato Braudel, è stato proprio il processo di ibridazione di popoli e culture che si è svolto per secoli, in forme anche cruente, nel Mediterraneo a fare grande l’Europa.

Come è  noto, le città europee si distinguono da quelle americane per la loro lunga storia stratificata nel tempo e nello spazio: le città Inca e Maya sono reperti di civiltà scomparse, mentre accanto al sito del Foro romano altre civiltà si sono succedute, molte città europee si trovano nei siti degli originari castra romani. La storia di Atene, Firenze, Roma ci mostra che queste città, oggi caratterizzate da una specifica identità, sono l’esito di un processo interattivo e relazionale prodotto da tensione, incontro/scontro tra differenze. Sono il risultato di continui aggiustamenti tra culture differenti. Ha scritto Lidia Decandia, docente all’università di Sassari: «Nell’aspirazione ad una città perfetta e irraggiungibile, le diverse società che si sono succedute nel tempo, hanno continuato a dare forma ad essa con la stessa pazienza con cui sulla riva del mare si costruiscono castelli di sabbia sapendo che un’onda dal mare potrà spesso distruggerli, ma anche portare materiali nuovi per ricostruire. In bilico fra ordine e disordine, quasi ai margini del caos, le forme emerse e destinate a scomparire hanno espresso il profondo bisogno dell’uomo di superare la finitudine della singolarità per trovare modi nuovi per essere insieme e non affogare nella solitudine dell’insignificanza»[8].

La città come fortezza e il nuovo impero

Alle città intese come frutto di relazioni e di scambi, crogiuolo, luogo di coabitazione di differenze, sistema aperto in grado di evolversi e di ripensarsi, si contrappone un pensiero  dicotomico che ha cominciato ad opporre la città al suo esterno, un pensiero chiuso che vede la città come forma bloccata che contrappone l’abitante della città allo straniero, il civilizzato al barbaro. E’ un pensiero che nasce da una retorica identitaria costruita sulla potenza totalitaria di una radice unica, basti pensare alla città di Roma che, nonostante le sue origini meticce, dopo aver costruito una sorta di amalgama identitario, si è assunta nel corso dei secoli il compito di esportare nel mondo i propri valori integrando e assimilando le diverse culture dei popoli assoggettati, sacrificando le diversità a vantaggio del proprio ordinamento e del proprio dominio[9].

Un’osservazione interessante ci fa riflettere su come il sogno dell’impero romano sia solo apparentemente distante e lontano da quanto è stato messo in atto negli ultimi decenni. Attraverso una strategia economico-politica inglobante e universalistica è stato realizzato un impero costruito dalle linee del potere finanziario e digitale. «Nell’esportare ‘i nostri valori’ universalistici abbiamo dato vita a una città sconfinata in cui i capitali immateriali si muovono liberamente e con essi, come nelle strade dell’antico Impero, gli immaginari, le culture veicolate dai nuovi poteri digitali. E tuttavia questa città-mondo non disegna uno spazio omogeneo in cui tutti possono circolare liberamente, ma appare frammentata e disconnessa, fatta di esclusioni, conflitti e diseguaglianze sociali. In essa nuovi muri vengono continuamente eretti per proteggere i centri di potere, per segregare i poveri e gli esclusi, affinché non diventino pericolosi»[10]. È così che quel modello di sviluppo mostra le sue crepe e con esso l’idea di città che lo ha caratterizzato.

Città e migranti

Le nostre città per rinascere devono configurarsi come laboratori di pensiero nuovo, luoghi in cui sperimentare, nell’apertura e nello scambio, pratiche inedite e immaginare altre strade possibili. In questo senso, i migranti che arrivano da lontano e portano con sé altri modi di vivere possono rappresentare una risorsa in vista di nuove forme di coabitazione urbana. Come già accaduto nel passato, le città possono essere i luoghi che, anziché confinare ed espellere i “barbari”, possono originare nuovi modi per vivere insieme proprio grazie all’incontro/scontro tra differenze.

Tutte le città si trasformano reagendo alla pressione di chi arriva, è una dinamica evidente negli ultimi decenni: una straordinaria crescita urbana si è accompagnata alla nascita di un abitare marginale, povero. In realtà gli abitanti ai margini non sono estranei alla vita della città, al contrario ne costituiscono un aspetto essenziale: «Le loro attività lavorative, anche se in parte informali, o proprio perché informali, hanno un peso rilevante nell’economia urbana; la loro domanda di welfare mette alla prova sia le finanze locali, sia le buone intenzioni dei partiti democratici»[11]. Il diventare città di queste persone marginali, altera equilibri, talvolta provoca conflitti, ma passa attraverso l’affermazione di un loro diritto alla città, alla conquista di cittadinanza. È una condizione che fa parte del nostro tempo e che richiede l’elaborazione di strumenti per governarla: «Il cambiamento urbano è per definizione inclusivo e implica un continuo dialogo tra differenze (di lingua, religioni, origini, modi di vita, ecc.,), mentre la conservazione, come la nostalgia dei bei tempi che furono non è che un’utopia»[12]

Bibliografia essenziale

  • Ilaria Agostini et altri, La città e l’accoglienza, Castel San Pietro Romano, Manifestolibri, 2017.
  • Marc Augé, Nonluoghi: introduzione a una antropologia della surmodernità, Milano, Eleuthera, 2002
  • Guido Boffi, Migrazioni. Note di geoestetica, Napoli-Salerno, Orthotes, 2014.
  • Antonio Brusa, Il concetto di cittadinanza e l’insegnamento della storia, in “Historia ludens”, 5 settembre 2016, http://www.historialudens.it/didattica-della-storia/272-il-concetto-di-cittadinanza-e-l-insegnamento-della-storia.html
  • Cavalli Alessandro, Martinelli Alberto, La società europea, Bologna, Il Mulino, 2015
  • Giancarlo Consonni, La bellezza civile. Splendore e crisi della città, Sant’Arcangelo di Romagna, Maggioli, 2013.
  • Dematteis Giuseppe, Lanza Carla, Le città del mondo: una geografia urbana, Torino, Utet, 2011
  • Lewis Mumford, ed. it, La città nella storia. Dal santuario alla polis, Milano, Bompiani, 1977.
  • Antonella Romeo  (a cura di), Abbandoni. Assembramenti urbani: rifugiati e negligenti  politiche di accoglienza, Torino, Seb27, 2017
  • Saskia Sassen, ed. it., Città globali; New York, Londra, Tokyo, Torino, Utet, 1997
  • Saskia Sassen, ed. it., La città nell’economia globale, Bologna, Il Mulino, 1997
  • Vicari Haddock Serena, La città contemporanea, Bologna, Il Mulino, 2004

Sitografia essenziale

 

La città europea

Il dossier dei documenti

Sono tredici documenti, di vario genere, che ci permettono di approfondire o di aprire la discussione su alcuni punti chiave del testo. Alcuni sono online. Li richiamerete cliccando sulle parole “calde”. Altri li abbiamo riportati per intero.

  1. Londra in duemila anni

Il LEA (London Evolution Animation) è stato sviluppato dal Bartlett Center for Advanced Spatial Analysis (UCL) e mostra lo sviluppo storico di Londra dai tempi romani al 2013, individuando anche la rete delle strade grazie a dati georeferenziati. Gli assi stradali costruiti in epoca romana permangono nella Londra attuale e su quelle linee si è andata sviluppando la città. L’animazione visualizza anche (come punti gialli allargati) la posizione e il numero delle strutture e degli edifici costruiti durante ogni periodo storico e oggi catalogati e protetti dalla legge.

In questo senso la mappa aiuta a comprendere il recente sviluppo di una cultura della tutela del patrimonio storico-architettonico della città e si pone come strumento per pianificare i futuri interventi urbanistici.

La mappa è sottotitolata in inglese; se lo si desidera, si può inserire una traduzione automatica in italiano che può aiutare nella comprensione. Per attivare questa funzione occorre cliccare sull’icona “Impostazioni”, poi su “sottotitoli” e “Traduzione automatica” selezionando la lingua.

  1. La ricostruzione di Dresda attraverso le fotografie

Il reportage fotografico mette a confronto il livello di distruzione di Dresda dopo i bombardamenti alleati compiuti dal 13 al 15 febbraio 1945 con la situazione al 2005. In quell’anno, infatti, terminava la ricostruzione della Frauenkirche, la chiesa luterana della città, la cui riedificazione era iniziata solo nel 1995. Una testimonianza della volontà cittadina di ridare vita a un centro quasi completamente raso al suolo sessant’anni prima. Questi bombardamenti su Dresda fecero circa 25.000 morti e avvolsero la città in una cosiddetta “tempesta di fuoco”, ovvero un vento di fuoco fortissimo alimentato dalle fiamme che attira verso il suo centro persone e cose.

  1. La distribuzione della popolazione a Roma

Le tre mappe commentate che seguono mostrano il territorio di Roma con il progressivo allontanamento di parte della popolazione dal centro e dalla prima cintura dei quartieri periferici “storici”. In tulle le mappe la linea esterna delimita il confine del Comune di Roma; la linea interna circolare indica il Grande Raccordo Anulare (GRA).

Nella prima mappa si osserva a sinistra l’alta densità di popolazione (persone per ettaro) nelle aree centrali o semicentrali, che sono quelle però dove è più rilevante lo spopolamento, mentre a destra si osserva l’incremento in percentuale di popolazione, evidente, soprattutto, nei Municipi più esterni al GRA.

Un aspetto importante di questa distribuzione della popolazione è il consumo di suolo e la crescita dall’area urbana in modo disordinato. Ecco come è  commentato questo aspetto nella mappa: «L’espulsione di parte della popolazione dalla città consolidata, oltre agli effetti sociali, ha forti ricadute per l’organizzazione spaziale e funzionale. Infatti, l’inarrestabile processo di avanzamento “a macchia d’olio” (sprawl) dell’urbanizzazione, sul territorio dell’Agro romano, continua ad aggravare il funzionamento di una già complessa e frastagliata struttura urbana e a mettere a repentaglio la sopravvivenza delle attività agricole e della cintura verde romana».

Nella seconda mappa si vede la distribuzione della popolazione in rapporto a due tipologie di famiglie: le famiglie costituite da un solo componente sono concentrate nel centro storico (a sinistra). A destra, invece, le famiglie con quattro o più componenti che abitano soprattutto fuori dal GRA. Se la numerosità del nucleo è, insieme al reddito, indice della condizione socio-economica delle famiglie, si può dire che per una famiglia abbastanza numerosa è molto difficile vivere in centro a causa dei costi eccessivi.

Nella terza mappa si osserva la distribuzione della popolazione in rapporto all’età degli abitanti: gli under 30 sono fuori dal centro urbano e prima periferia, relegati soprattutto nei quartieri oltre il GRA (mappa a sinistra). Gli over 65 sono invece dislocati nella periferia storica intorno al centro e molto poco nei quartieri più lontani. Ecco il commento degli estensori della mappa: «L’elevata percentuale di popolazione giovane nella periferia più lontana […] fa pensare a un fenomeno di espulsione dalla città consolidata di persone giovani, presumibilmente sotto-occupate o precarie, a causa degli elevati costi di acquisto e affitto delle abitazioni».   

  1. Report 2012 sull’indice di globalizzazione

Il report, tradotto in italiano, presenta due statistiche principali su un campione di 66 città: l’indice di globalizzazione, ovvero il Global Cities Index 2012, e l’indice di potenzialità di globalizzazione delle città emergenti, l’Emerging Cities Outlook 2012.

Nel primo caso i parametri utilizzati per definire questa speciale classifica sono, come già indicato, l’attività economica, il capitale umano, la circolazione delle informazioni, gli eventi culturali e l’influenza politica. Come si può osservare, le prime quattro città lo sono stabilmente fin dal 2008, quando è iniziata la ricerca, con le leadership di New York e Londra piuttosto consolidate.

Da un punto di vista europeo, il report evidenzia il ruolo della Germania, con tre città tra i primi 35. Come sottolineato, «Uno dei cardini della classifica delle città globali è il concetto che la globalizzazione rappresenta il trasferimento di potere dagli stati nazionali a una rete di città globali. La Germania ne è la dimostrazione, con Berlino (20°), Francoforte (23°) e Monaco (31°) che formano un network di città che dovrebbe guidare il continuo successo nazionale».

Per quel che riguarda l’Italia, Roma è, nel 2012, al 28° posto grazie alla sua offerta culturale (siti, musei, mostre, eventi sportivi) che la colloca al 14° posto globale – un dato che appare comunque da approfondire vista la ricchezza artistica della città – e all’8° per l’influenza politica, ovvero la presenza di ambasciate, istituzioni internazionali – si pensi anche al Vaticano – , ecc. Milano risulta invece al 41° posto, soprattutto grazie all’indicatore del Capitale umano (cioè la presenza di scuole e università internazionali, l’attrattività verso  personale qualificato e studenti) e lo Sviluppo economico, con la presenza di sedi di importanti multinazionali, lo scambio di merci, il valore del mercato finanziario, ecc.

Riguardo all’indice delle città emergenti, esso si basa sull’esame di otto fattori che riguardano l’Attività economica e il Capitale umano, visti sia come punti di forza che di debolezza. Da questa classifica, emerge chiaramente la crescita delle città cinesi e indiane.

  1. Report 2017 sull’indice di globalizzazione

Il report, in inglese, si è esteso a un campione di 128 città, distribuite in tutti i continenti, e il cui elenco si trova a p. 10 del documento.

Anche nel 2017 sono presentate due classifiche, quella dell’indice di globalizzazione e quella dell’indice di potenzialità di globalizzazione. I due elenchi complessivi si trovano in fondo al documento. L’analisi è sviluppata attraverso i medesimi parametri delle edizioni precedenti, articolati al loro interno in diverse metriche, 27 per il Global Cities Index 2017, e 13 per il Global Cities Autlook 2017, che prende in considerazione quattro parametri principali: il benessere personale, l’economia, l’innovazione e la governance.

Il report ci fornisce dati molto dettagliati: La figura 1 ci mostra le prime 25 città delle due classifiche, segmentando i risultati per i diversi parametri di analisi e inserendo i dati comparativi con il 2016 e il rispettivo risultato nell’altra classifica. Si possono così confrontare i risultati e le prestazioni.

Nella figura 2 è invece mostrata la classifica delle prime 25 città in entrambi gli elenchi, dividendole per aree continentali. L’acronimo EMEA fa riferimento all’area che comprende Europa, Medio Oriente e Africa, un ambito geografico-economico usato soprattutto nel mondo delle grandi imprese multinazionali come una delle suddivisioni del mercato globale.

Nella figura 3 si può vedere la città “perfetta”, cioè quella che emerge dalle migliori prestazioni per ogni parametro e per le singole metriche che lo compongono. Nella figura 4 vi è la stessa classifica per la città più “emergente”.

Se passiamo poi all’elenco complessivo delle 128 città, possiamo vedere per l’Italia un certo arretramento di posizioni in entrambe le classifiche: Roma passa dal 28° posto al 33°, perdendo cinque posizioni; Milano dal 41° al 43°, perdendone due.

Un’ultima considerazione: queste classifiche hanno un intento che non è soltanto di “rappresentare” certe tendenze socio-economiche delle città ma anche di essere strumenti per le aziende, le società di servizi e gli operatori di business per scegliere dove fare i propri investimenti e posizionare le proprie sedi. Insomma, non si tratta di sola ricerca ma di elaborazione di informazioni all’interno della competizione globale.

  1. Gran Bretagna: Il risultato del referendum sulla permanenza o uscita dall’UE

La mappa indica chiaramente le regioni che hanno votato a favore del “rimanere” o del “lasciare” l’Unione Europea. Per restare, si sono espressi a favore solo la maggioranza degli abitanti di Londra, della Scozia e del Nord Irlanda. Tutto il resto del paese, pur con percentuali diverse, ha votato a favore dell’uscita dall’UE.

Se per Londra, in rapporto alla globalizzazione della città, appare naturale un voto a favore del restare in Europa, il voto scozzese si spiega anche come un atto di autonomia nei confronti dell’Inghilterra. Per l’Irlanda del Nord, vale un discorso analogo: la maggioranza degli elettori, cattolici e vicini al partito Sinn Féin, ha votato pe restare; i protestanti, legati al partito Unionista, sono stati per la Brexit. In pratica In Irlanda del Nord si è votato per l’UE per sfuggire all’abbraccio inglese e “sciogliersi” in una dimensione europea che permette maggiore autonomia, oltre che fondi strutturali ingenti.

  1. Un’analisi del voto sulla Brexit

Le mappe interattive sul sito della BBC presentano nel dettaglio il voto sul referendum, indicando i risultati per ciascuna area elettorale. Sono poi presentate le aree che hanno votato con maggiori percentuali a favore del “leave” e del “remain” (la percentuale più alta si ha a Gibilterra con quasi il 96%). Sono poi presentati i risultati per regione e la percentuale dei votanti.

Passando a un’analisi più approfondita del voto, si vede subito che quello dei “giovani” è stato a favore della permanenza nell’UE, anche se nelle aree in cui questi erano percentualmente molto presenti l’astensione è stata più alta.

Un dato significativo è poi quello successivo: nelle 30 aree in cui la maggior parte dei cittadini sono anziani, 27 aree hanno votato per l’uscita; 28 aree su 30 a favore del “leave” dove la popolazione presentava meno diplomati; e 30 su 30 nelle aree in cui la maggior parte della popolazione si definiva “inglese”. Insomma: bassa scolarità, anzianità e nazionalismo sono stati gli ingredienti che hanno favorito la Brexit.

  1.  “Così i padroni delle città hanno conquistato il mondo”

Saskia Sassen, sociologa della Columbia University, autrice di libri celebri (da Le città nell’economia globale a Espulsioni, brutalità e complessità nell’economia globale editi in Italia dal Mulino) nel 2016 è intervenuta al convegno  Urban Age del luglio 2016, ospite della Biennale Architettura. Il titolo del Convegno è stato ” Shaping Cities”. Urban Age è   organizzato dalla London School of Economics Cities, dalla Alfred Herrhausen Gesellschaft    della Deutsche Bank con United Nations Habitat III. Il documento riporta la sua intervista concessa a “La Repubblica” il 13 luglio 2016.

  1. Migranti, il modello di accoglienza dei Comuni solidali che funziona

Il documento dà notizia di un esempio di coesistenza, nel paese calabrese di Riace, di culture plurali che si aiutano vicendevolmente. L’articolo è stato pubblicato su “Il Fatto quotidiano” del 5 agosto 2016.

  1. Un fatto di cronaca, per introdurre la discussione fra docenti

Il brano è tratto dall’articolo di Antonio Brusa, Il concetto di cittadinanza e l’insegnamento della storia pubblicato sulla rivista on line “Historia Ludens”, il 5 settembre È senz’altro un utile stimolo per ragionare su città, cittadinanza, uso pubblico/politico della storia.

  1. Il concetto di città globale

È stata la sociologa statunitense Saskia Sassen a definire per prima il concetto di città globale, nei suoi celebri saggi Città globali. New York, Londra, Tokyo (1991, ed. it. 1997) e Le città nell’economia globale (1994, ed. it. 1997). In sintesi la studiosa americana sostiene che i processi economici di internazionalizzazione, finanziarizzazione e concentrazione industriale in corso dagli ultimi decenni del XX secolo hanno favorito lo sviluppo dei centri urbani nei quali si concentrano le funzioni di controllo, gestione e finanziamento dell’economia mondiale. Nell’economia globale sono cresciuti a dismisura gli investimenti transnazionali che alimentano il decentramento produttivo ma che necessitano di strutture centralizzate di controllo e di gestione sempre più sofisticate; inoltre lo sviluppo di grandi multinazionali che assorbono gli attori economici più piccoli richiedono a loro volta servizi ad alto tasso di conoscenza che sono prestati da agenzie specializzate. Infine lo sviluppo esponenziale delle attività finanziarie induce a concentrare i luoghi dell’analisi dei dati e delle contrattazioni in luoghi fisici ben precisi. Va da sé che questi processi hanno ricevuto un impulso decisivo grazie alla rivoluzione digitale.

Nel brano che presentiamo, l’Introduzione di Città globali. New York, Londra, Tokyo, Torino, UTET Libreria, 2002, Saskia Sassen sviluppa questi concetti, indicando la reciproca dipendenza fra città ed economia globali e sottolineando che la dinamica sociale della città globale produce una consistente polarizzazione della ricchezza, con la crescita di nuovi ceti emergenti e un impoverimento netto della manodopera dequalificata. Da non dimenticare, inoltre, il rapporto fra queste città e la nazione di appartenenza che sembra indicare una progressiva “autonomia decisionale” delle prime, quasi affrancate dai poteri centrali.

  1. I nonluoghi

Nell’analisi delle aree urbane contemporanee, l’antropologo francese Marc Augé ha introdotto la categoria dei nonluoghi, a partire dal fortunato saggio Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità (1992). Si tratta di tutti quegli spazi, tipici della nostra società, che non trasmettono al frequentatore nessun senso di appartenenza, di storicità e di relazione. Riprendendo le sue parole sono «le vie aeree, ferroviarie, autostradali e gli abitacoli mobili detti “mezzi di trasporto” […] gli aeroporti, le stazioni ferroviarie, le grandi catene alberghiere, le strutture per il tempo libero, i grandi spazi commerciali, la complessa matassa di reti cablate o senza fili (op. cit., p. 78) […]» e poi gli outlet, gli ascensori, le sale d’aspetto. In questi nonluoghi, sostanzialmente identici in tutto il mondo, l’individuo si muove come depersonalizzato, senza identità specifica, “ridotto” alla funzione che esercita in quello spazio. In modo paradossale, questi ambienti possono essere consolatori e tranquillizzanti per le persone, che ovunque trovano spazi già noti e addomesticati, e non hanno bisogno di mostrare la propria personalità né di interloquire con le diversità.

Nel brano allegato, tratto dal terzo capitolo Dai luoghi ai non luoghi del suo saggio (op. cit., pp. 77-78 e 88-96), l’autore introduce anche il concetto di surmodernità, ovvero l’evoluzione delle società complesse nell’epoca della globalizzazione. I nonluoghi sono un effetto e, al tempo stesso, una causa della surmodernità.

  1. Città e distribuzione della ricchezza

La sociologa Serena Vicari Haddock sviluppa nel suo libro La città contemporanea del 2004 un’approfondita analisi delle caratteristiche della metropoli attuale, in particolare europea. Nel brano allegato, l’autrice si sofferma sulla polarizzazione economica che caratterizza le città globali, con l’aumento delle fasce superiori, richiedenti sempre maggiori servizi, e una massa di lavoratori a basso salario che li forniscono. Insomma, nelle città – soprattutto se globali – la forbice dei redditi si approfondisce, a discapito degli immigrati, delle classi poco professionalizzate e anche di un ceto  medio che è progressivamente impoverito dalla digitalizzazione delle proprie funzioni. Nonostante ciò, l’autrice evidenzia una differenza fra città europee e americane che si configura spazialmente nel minore processo di ghettizzazione delle persone meno abbienti e nella minore costruzione di aree chiuse e militarizzate all’interno della “città fortezza”.

Occorre capire se questa finora mancata “americanizzazione” delle città potrà continuare.


Note:

[1] I dati intorno alla popolazione cittadina non sono così omogenei, in quanto sono diversi i modelli di riferimento e le modalità di rilevamento. Per esempio, nel report della Nazioni Unite The World’s Cities  in 2016 http://www.un.org/en/development/desa/population/publications/pdf/urbanization/the_worlds_cities_in_2016_data_booklet.pdf si usa come parametro oltre alla “città in senso stretto” e “area metropolitana” anche il concetto di “agglomerazione urbana”, ovvero quell’ambito di territorio contiguo e senza interruzione che definisce i confini della città. Con questo parametro, Londra arriva a 11.467.000 abitanti e non a circa 14 milioni.

[2] Il termine “coventrizzare” deriva dalla città inglese di Coventry, completamente rasa al suolo per i bombardamenti tedeschi del novembre 1940. Nel caso specifico il simbolo della città, la cattedrale, fu distrutta quasi completamente ma, nel dopoguerra, si decise non di ricostruirla quanto di edificare a fianco delle sue rovine una struttura moderna.

[3] Per una ricostruzione precisa della rivolta del 2005, si veda la bella voce di wikipedia Italia: https://it.wikipedia.org/wiki/Rivolte_del_2005_nelle_banlieue_francesi

[4] Si veda, l’articolo on line de “La Stampa” del 22 settembre 2016: http://www.lastampa.it/2016/09/22/italia/cronache/i-giochi-chiudono-in-rosso-vantaggi-solo-dopo-anni-QPsxGCrNMvrKcbQhnAvFPO/pagina.html

[5] A questo proposito si veda l’articolo: http://www.repubblica.it/venerdi/reportage/2016/03/07/news/viaggio_a_bruxellistan_un_mondo_a_parte-134939065/

[6] Si veda http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2016/07/13/cosi-i-padroni-delle-citta-hanno-conquistato-il-mondo41.html?ref=search

[7] Enzo Scandurra, Un popolo nuovo arriva, in La città e l’accoglienza, Castel San Pietro Romano, Manifesto Libri, 2017, pp. 27-28.

[8] Lidia Decandia, Dalla città fortezza alla città come opera d’arte relazionale, in La città e l’accoglienza, op. cit., p. 52.

[9] Guido Boffi, Migrazioni. Note di geoestetica, Napoli-Salerno,Orthotes, 2014, p. 199

[10] Lidia Decandia, op. cit., p. 55

[11] Marco Buttino, L’accoglienza non è un’emergenza, in Antonella Romeo (a cura di), Abbandoni. Assembramenti urbani: rifugiati e negligenti  politiche di accoglienza, Torino, Seb27, 2017, p. 255.

[12] Ibidem.

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Titolo: La città europea. Lessico, problemi e storia
DOI: 10.12977/nov224
Parole chiave: , , ,
Numero della rivista: n.9, febbraio 2018
ISSN: ISSN 2283-6837

Come citarlo:
and , La città europea. Lessico, problemi e storia, Novecento.org, n. 9, febbraio 2018. DOI: 10.12977/nov224

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