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I nazionalismi in Europa

I nazionalismi in Europa
Indicazioni didattiche

La questione nazionale e la storia del nazionalismo in Europa sono temi centrali nella programmazione della disciplina storica per le classi quarte e quinte della Scuola secondaria di secondo grado.

Gli stati nazionali, così come si configurano oggi nell’Europa contemporanea, si strutturano tra la fine del Settecento e la fine della Prima guerra mondiale. Peraltro le due guerre mondiali rappresentano l’esito drammatico delle contraddizioni insite nella storia del nazionalismo, termine complesso per descrivere sia l’ideologia dello stato nazionale, sia quel processo politico che prepara e legittima la formazione dello stato nazionale.

Il dossier allegato al presente testo e comprensivo di numerosi documenti di varia tipologia (mappe, articoli di giornale, sintesi di saggi) privilegia un approccio ai processi geopolitici che investono l’Europa odierna rilevando le difficoltà delle istituzioni europee di fronte alle forze disgregatrici rappresentate sia dal vigore dei partiti nazionalpopulisti presenti negli stati europei, sia dalle fratture cresciute fra gli stati e originate dalle crisi politiche, economiche e culturali degli ultimi decenni.

Le proposte didattiche intendono stimolare negli studenti lo studio del percorso storico dei nazionalismi in Europa e il confronto tra il valore delle istituzioni comunitarie che nascono alla fine della Seconda guerra mondiale e rappresentano ancora oggi il modo più efficace per fronteggiare le nuove sfide della globalizzazione, e dall’altro il perdurare degli stati nazionali ancora elementi fondanti e costituitivi dell’Unione europea. La Comunità europea non ha sostituito gli stati nazionali dei paesi membri, che sono allo stesso tempo rafforzati e indeboliti dal processo di integrazione. Le nazioni continuano ad essere le fondamenta su cui si costruisce l’unione sovranazionale e dunque oggi il nazionalismo può rappresentare ancora l’ostacolo principale per lo sviluppo di una maggiore integrazione politica, soprattutto quando viene utilizzato dai leader nazionalpopulisti per accrescere il proprio consenso elettorale.

Forme e passaggi storici

a cura di Chiara Fragiacomo

Introduzione

Per favorire un approccio critico e rigoroso a un tema così complesso che attraversa la storia europea degli ultimi due secoli, è necessario considerare in via preliminare con attenzione una serie di questioni:

  1. la definizione dei termini nazionenazionalismo e la messa a punto della complessità concettuale collegata ai due termini;
  2. le interpretazioni date nel corso del tempo e in diversi contesti del nazionalismo;
  3. la storicità del nazionalismo che segna la storia europea degli ultimi due secoli con fasi e valenze diverse.
  4. La riscoperta e la rivalutazione del fenomeno nazionalista nel secondo dopoguerra per cui si assiste in particolare dagli anni Sessanta agli anni Novanta a un’abbondante pubblicazione di studi sul nazionalismo considerato in maniera più critica e distaccata da storici, antropologi, sociologi.

Il congresso di Berlino del 1878. By Anton von Werner – First uploaded to de.wikipedia by de:Benutzer:APPER., Public Domain, Link

1. Nazione –Nazionalismo

  • Nazione (dal latino ‘natio’, sostantivo derivante dal verbo nasci = nascere, quindi il popolo presso il quale si è nati). In senso moderno indica il riferimento etnico e culturale per la formazione degli stati moderni[1]. Il concetto di nazione cominciò a formarsi a partire da quello di popolo, che aveva dominato nella filosofia politica del secolo XVIII, quando si accentuò, in questo concetto, l’importanza dei fattori naturali e tradizionali a scapito di quelli volontari. Il popolo è costituito essenzialmente dalla volontà comune, che è la base del patto originario; la nazione è costituita essenzialmente da legami indipendenti dalla volontà dei singoli: la razza, la religione, la lingua e tutti gli altri elementi che possono essere compresi sotto il nome di tradizione. A differenza del popolo, che non c’è se non per la deliberata volontà dei suoi membri e come effetto di questa volontà, la nazione non ha niente a che fare con la volontà degli individui: è un destino che incombe  sugli individui, e al quale questi non possono sottrarsi senza tradimento. In questi termini la nazione cominciò ad essere concepita chiaramente soltanto ai primi dell’Ottocento. La concezione della nazione come fatto naturale è una idea risalente all’età romantica. J. G. Herder nel 1774 nelle Idee per la filosofia della storia dell’umanità affermava che “un popolo è una pianta della natura proprio come una famiglia, soltanto che ha più rami”. Il termine si caricherà in seguito, specie a partire dagli ultime due decenni dell’Ottocento, di connotazioni razziali che identificavano il Volk nel popolo tedesco come popolo “originario” superiore.
    È con la Rivoluzione francese che si affermò invece decisamente l’applicazione politica del termine nazione, intesa ora come nazione democratica, a sovranità popolare, che sceglie i suoi rappresentanti nel ceto borghese del Terzo Stato, il quale “abbraccia tutto ciò che appartiene alla nazione”. Allora si fissò il significato moderno di nazione, sebbene le sue diverse accezioni continueranno ad evolversi secondo una variabile enfatizzazione dei suoi elementi costitutivi[2].
    Oggi gli storici concordano che la nazione sia innanzitutto una costruzione culturale e simbolica, fondata su elementi geografici, storici, linguistici e culturali comuni.
  • Nazionalismo
    Secondo la definizione di Ernest Gellner (Nazioni e nazionalismo, 1983)  “il nazionalismo è anzitutto un principio politico che sostiene che l’unità nazionale e l’unità politica dovrebbero essere perfettamente coincidenti”. Con nazionalismo si intendono sia i movimenti culturali, sia i movimenti politici che si sono richiamati a questo principio e che hanno sostenuto e legittimato la formazione degli Stati nazionali. Gellner ha collegato la nascita del nazionalismo con alcune condizioni preliminari che sono necessarie alla sua comparsa; precondizione del nazionalismo è il consenso attorno allo stato come “unità politicamente centralizzata”, che discende da un “clima morale politico” omogeneo. È quindi, per molti versi, lo stato a far la nazione, nella fase del capitalismo industriale, in particolare attraverso una burocrazia e un sistema di istruzione comune.

2. Le interpretazioni del nazionalismo

  1. La più comune spiegazione e anche la prima che abbia considerato il nazionalismo come fenomeno storico a sé stante, è quella che lo interpreta come movimento di idee.  Dunque, il nazionalismo nacque come reazione alla cultura razionalista dell’Illuminismo francese. Nella valutazione positiva del fenomeno, il percorso inizia nel Settecento con Rousseau o Herder, proseguendo nel XIX secolo con l’abbinamento al liberalismo, culminando con i principi di Woodrow Wilson (autodeterminazione dei popoli). Nella versione negativa, il punto di partenza è costituito sempre da Rousseau o Herder, ma visti come precursori di un filone di pensiero e di azione politica che accentua i suoi caratteri primordiali, irrazionalistici e totalitari, per culminare nella catastrofe della Seconda guerra mondiale.
    La diversa accezione rinvia ai diversi contesti e al passaggio da una fase all’altra  del nazionalismo.
  2. L’interpretazione etnogenetica spiega il fenomeno nazionalista in base a un’origine etnica delle nazioni. Le nazioni moderne esistono ed emergono perché esisteva (a partire dall’antichità o dal Medioevo) un originario ceppo etnico. Questo approccio, abbastanza diffuso nella storiografia europea tra l’Ottocento e la Seconda guerra mondiale, è stato ripreso negli anni Ottanta e Novanta del Novecento in campo sociologico. Nel testo Le origini etniche delle nazioni (1986; ed. it. 1991), A.D. Smith sostiene che le nazioni moderne, nonostante i loro aspetti nuovi e originali, sono spesso basate su legami e memorie etniche premoderni, e talvolta antichi. Le nazioni moderne si basano su identità molto più antiche che discendono da un senso di differenza culturale, al principio spesso piccola, ma che una varietà di processi ha ampliato e approfondito, tale da produrre “comunità di storia e destino”, completamente distinte sul piano culturale. Non tutte le differenze culturali sono diventate (o potrebbero diventare) la base di tali separazioni e antagonismi o della creazione di nazioni. L’origine etnica delle nazioni moderne dimostra che le identità culturali, una volta create, non appassiscono facilmente, che i componenti etnici premoderni sono profondamente inseriti nella maggior parte delle nazioni moderne, e che le identità nazionali sono saldamente fondate nella strutturazione del mondo moderno. Per Smith  un’approfondita indagine socio-storica sulle origini delle nazioni, quindi, aiuta a comprendere meglio i sentimenti e gli attaccamenti potenti e profondamente radicati che le identità culturali collettive costruiscono nel corso di molte generazioni. Secondo Smith questo è particolarmente rilevante per il progetto dell’unificazione europea. Il progetto europeo avrà successo o fallirà in relazione al tema della creazione di un’autentica identità culturale europea popolare, che sia in grado di affiancarsi alle esistenti identità nazionali piuttosto che sostituirle.
  3. Secondo l’interpretazione funzionalistica rappresentata dall’antropologo Ernest Gellner (Nazioni e nazionalismo, 1883, ed. it. 1992) il nazionalismo è un fenomeno moderno. Società industriale e affermazione del nazionalismo sono due fenomeni interdipendenti. La società moderna non solo è compatibile con il nazionalismo, ma ne ha anzi un bisogno funzionale: la mobilità e l’egualitarismo di questa società richiedono quella omogeneità culturale di cui il nazionalismo si fa portatore. Infatti, nella società industriale la tecnologia è in continua crescita, con una divisione del lavoro molto più fluida, che richiede una crescente comunicazione verticale nella società; questa istanza comporta da un lato una necessità di omogeneità culturale, dall’altro rende la società egualitaria. La società non è più divisa tra cultura alta e bassa, ma è dominata da un’unica cultura, che è quella alta. Il nazionalismo, a sua volta, è un prodotto della modernità: senza il mutamento tecnologico e sociale la spinta all’omogeneità culturale sarebbe stata materialmente impossibile.

3. I nodi storici del nazionalismo

Un’analisi del percorso storico del nazionalismo nella storia europea dovrebbe favorire una lettura distaccata e critica della rinascita dei nazionalismi nell’Europa odierna. Il nazionalismo ha una sua specificità storica, e cioè l’affermazione della necessità di una sostanziale coincidenza tra confini statuali e confini culturali. Il nazionalismo è dunque l’affermazione di una forma di identità molto specifica (e storicamente contingente), e quindi di una forma di rifiuto della diversità non meno specifica. Ciò significa che la valutazione della crescita o del declino del nazionalismo non implica, di per sé, una valutazione di fenomeni spesso legati al nazionalismo ma distinti da esso (come la xenofobia, il razzismo, l’ostilità nei confronti degli immigrati). Per i principali passaggi storici del nazionalismo si rinvia a G. Franzinetti (a cura di) Dossier Nazionalismo, in ‘I Viaggi di Erodoto’, a. 9 (1995) numero 26, Edizioni scolastiche Bruno Mondadori, pp. 86 – 90; 142-143; 165-167 (Vedi documento 1).

4. La riscoperta e il ripensamento del nazionalismo. Gli studi degli anni Ottanta e Novanta del ‘900.

Moltissimi studi orientati a un ripensamento critico del nazionalismo e a una sua rivalutazione furono pubblicati a  partire dagli anni Ottanta e soprattutto dal 1989.  Riprendendo e rielaborando dibattiti più o meno recenti, questi testi hanno riacceso un interesse che dopo la Seconda guerra mondiale sembrava aver perso la sua attualità, in un’atmosfera “post nazionale” di cui la politica dei blocchi e l’avvio della costruzione europea costituivano l’aspetto più evidente. I processi di decolonizzazione furono da molti interpretati in chiave nazionale, ma al di là di questo il tema della nazione e dei nazionalismi mantenne a lungo un carattere prevalentemente accademico. Negli anni Ottanta apparvero alcuni dei testi teorici più significativi: tra gli altri Nazioni e nazionalismo (1983) di Ernst Gellner, e Comunità immaginate (1983) di Benedict Anderson.  Dopo la caduta del muro di Berlino, sulla base del riferimento ai concetti di nazione, nazionalismo, etnonazionalismo e stato nazionale, sono state sostenute tesi assai diverse, e talora del tutto opposte rispecchiando i ritmi di sviluppo dell’epoca post bipolare e della sua percezione. Ad esempio Eric J. Hobsbawm  (Nazioni e nazionalismi dal 1780. Programmi, mito, realtà (1990) dichiarava semplicemente esaurita la parabola dei nazionalismi, affermando che essi avevano ormai cessato di costituire “un fattore di primaria importanza dello sviluppo storico”. Peraltro sosteneva la tesi che le tradizioni, alle quali i vari nazionalismi si sono rifatti come fonte del loro diritto a rivendicare certi confini, sono in genere tradizioni inventate. Nicole Janigro nel testo dedicato alla guerra nella ex Iugoslavia L’esplosione delle nazioni. Il caso jugoslavo (1994) interpretava “l’esplosione delle nazioni” come la cifra specifica della conflittualità del futuro. Molti autori si sono sforzati di mettere in relazione i fenomeni di rinazionalizzazione delle politica mondiale con i processi di globalizzazione. Infatti, proprio rispetto a tali processi, Hobsbawm aveva definito il nazionalismo alla fine del XX secolo come una reazione puramente difensiva e residuale. Altri autori, invece, ne hanno sottolineato la rinnovata attualità. Tra questi citiamo Anthony D. Smith, uno dei maggiori studiosi del nazionalismo a livello internazionale. Nel suo testo più noto, Le origini etniche delle nazioni (op. cit.) egli sosteneva che le nazioni, pur non essendo fondate su elementi di carattere naturale, bensì di tipo culturale, avevano una storia di lunghissima durata, che affondava le sue radici nel tipo sociale della comunità etnica. Esse dunque risalgono all’inizio dei tempi, non sono mai scomparse né mai scompariranno dall’orizzonte della storia e costituiscono il fondamento di qualsiasi forma di comunità politica, che proprio in quanto tale si sente, e deve sentirsi, affratellata dal senso di un’appartenenza e di un’identità nazionali. Nel suo più recente Nazioni e nazionalismi nell’era globale, Smith ha dimostrato come il revival delle nazioni e delle etnonazioni sia oggi per vari aspetti sollecitato e alimentato anche dai processi omologanti e spersonalizzanti della globalizzazione. In questa prospettiva, il mondo post bipolare viene a configurarsi come un mondo a molteplici dimensioni, un mondo plurale e nel contempo tendenzialmente conflittuale.

Nazionalismo e diritti umani[3]

Il rapporto tra nazionalismo e diritti umani è complesso, problematico e controverso. Da una parte si ritiene che il nazionalismo abbia dato un contributo positivo alla storia dei diritti umani e che i dibattiti e le mobilitazioni a esso collegati abbiano aiutato i popoli a rivendicarli e ottenerli. Dall’altra parte si asserisce il contrario, che in certi casi il nazionalismo abbia sottratto diritti o non li abbia concesso a tutti e, soprattutto negli ultimi anni, sia diventato un vero e proprio ostacolo da superare se si vuole che i popoli li conseguano e godano in libertà e sicurezza. Parte del problema risiede nella natura del nazionalismo stesso, oggetto di grandi controversie. Un tentativo di risolvere questa difficoltà di comprensione, consiste nel distinguere differenti tipi di nazione, in particolare una nazione etnica e una nazione civile e diversi tipi di nazionalismo, uno etnico e uno civile, quest’ultimo maggiormente conciliabile con i diritti umani.

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I sostenitori del nazionalismo etnico affermano che le nazioni sono oggettive, comunità di destino in cui uno nasce, un destino cui nessuno può sottrarsi. Chi non vi partecipa, sicuramente non appartiene alla nazione etnica e non può avere gli stessi diritti fondamentali. Al contrario, le nazioni civili sono quelle in cui i cittadini hanno convenuto di riunirsi formando una comunità e hanno consapevolmente preso la decisione politica di riconoscersi in una società in cui tutti coloro che ne rispettano i principi fondanti, devono avere gli stessi diritti. Gli Stati nazione occidentali sono spesso presi a esempio di questo tipo di nazionalismo, soprattutto Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, che nei secoli 1600 e 1700 furono teatro di rivoluzioni in cui democrazia e nazionalismo erano connessi in misura più o meno ampia, e dove i diritti umani sono stati maggiormente promossi. Stati orientali sono invece presi a esempio di nazioni etniche il cui nesso tra democrazia e nazione è assente o attenuato e i diritti umani sono stati spesso minacciati. Nonostante questa sia una valutazione idealizzata, tuttavia un tratto positivo del nesso tra nazionalismo e diritti umani sarebbe che questi sono stati comunque garantiti e sviluppati nell’ordinamento di stati nazione che nel tempo sono diventati nazioni civili.

Altri vedono nel nazionalismo, in una prospettiva ben più critica, una minaccia, forse sempre maggiore col passare del tempo, per i diritti umani. Hannah Arendt (Le origini del totalitarismo, 1951) aveva messo in evidenza in relazione all’epoca della Rivoluzione francese e della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, la contraddizione fondamentale insita nel fatto che “gli stessi diritti fondamentali erano stati rivendicati a un tempo come l’inalienabile patrimonio di tutti gli esseri umani e come il patrimonio specificatamente nazionale di un popolo sovrano. La conseguenza di questa contraddizione fu che da allora in poi i diritti umani furono garantiti come diritti nazionali”. Così, un gran numero di persone furono (e oggi lo sono sempre più) immediatamente messe in pericolo: minoranze che in un modo o nell’altro non rientravano o non rientrano nella concezione nazionalista della nazione. Man mano che il nazionalismo estendeva la propria egemonia, in particolare nel XX secolo, sempre più persone si accorsero che i loro diritti potevano essere negati da stati nazione che giudicavano la loro presenza intollerabile per una molteplicità di ragioni, per esempio perché rifiutavano di assimilarsi a una pretesa identità o cultura, perché non volevano rinunciare alla fedeltà alla propria, o perché desideravano continuare a parlare la propria lingua. In realtà tale opposizione non ha bisogno di essere concreta o motivata: può darsi che nell’immaginario nazionalista un determinato gruppo sia visto come intrinsecamente estraneo, sovversivo, pericoloso, mentre in realtà non costituisce affatto una minaccia. Secondo moltissimi teorici il nazionalismo si è radicato nell’immaginario come un’ideologia. Come sostiene Benedict Anderson, la nazione è “una comunità politica immaginata”. I nazionalisti si adoperano per far sì che questa immaginazione diventi naturale, senso comune, quando in realtà essa ha bisogno di ciò che Michael Billig (1995) ha chiamato costant flagging (una costante opera di sbandieramento dell’identità nazionale). Coloro che si oppongono al fascino o alla pressione di questo costant flagging, sia individui sia gruppi minoritari, possono diventare assai vulnerabili, oggetto di ostilità, aggressione e attacchi, in quanto “stranieri” o traditori. I loro diritti possono venire limitati, se non del tutto soppressi, con conseguente espulsione o peggio; si pensi alla sorte degli ebrei nella Shoah, quando agli iniziali tentativi di espulsione seguì il genocidio.

Attualmente anche in riferimento ai temi dell’accoglienza dei rifugiati, del diritto di asilo, negli stati nazionali europei, la relazione tra nazionalismo e diritti umani è ancora oggetto di dibattito controverso e di riflessione sulle possibili alternative al nazionalismo laddove il primato della sovranità nazionale rende impossibile la salvaguardia dei diritti umani.

Nazionalismo e Istituzioni europee. Le contraddizioni

Come sostiene Alberto Martinelli[4], la questione del nazionalismo è al centro delle due principali contraddizioni dell’odierna politica dell’Unione europea. La prima consiste nel progetto di costruire un’unione sovranazionale usando gli Stati nazionali come elementi costitutivi, ma liberandosi dei connessi nazionalismi. La seconda è la contraddizione fra il trasferimento di porzioni crescenti di sovranità nazionale dal livello statale a quello sovranazionale e l’inadeguato trasferimento di impegno e lealtà dai cittadini dei diversi paesi membri alle istituzioni di una comunità sovranazionale in fieri. Le due contraddizioni sono correlate tra di loro. Per quanto riguarda la prima, le decisioni politiche prese a livello dell’Unione distribuiscono in modo diseguale costi e benefici tra i paesi membri, alimentando una rinazionalizzazione del conflitto. Questo è rafforzato dalla incompletezza e deficit di legittimazione della democrazia europea per cui contano ancora molto i rispettivi elettorati nazionali nelle elezioni delle rappresentanze (vedi membri del Consiglio europeo) che tendono a porre l’interesse nazionale al di sopra dell’interesse comune. I conflitti di interesse tra stati sono più rilevanti dei conflitti tra classi.  Il nazionalismo blocca la strada verso una comunità politica più forte, che potrebbe legittimare una governance sovranazionale più completa. La seconda contraddizione riguarda i limiti che incontra un governo sovranazionale con scarso sviluppo di sentimenti comunitari nell’attuare un’integrazione economica, legale e amministrativa. Inoltre, la questione del nazionalismo nell’Europa contemporanea coinvolge anche una popolazione immigrata in aumento che rende la società europea sempre più eterogenea. L’afflusso crescente degli immigrati per ragioni economiche e l’emergenza umanitaria dei richiedenti asilo pongono complessi problemi di integrazione sociale e di gestione dei conflitti connessi alle fratture etniche, religiose e culturali.

Visualizza elenco documenti

Documento n. 1

I principali passaggi storici del nazionalismo nelle regioni d’Europa tra la fine del Settecento e la fine della Seconda guerra mondiale.

SINTESI da G. Franzinetti (a cura di ) Dossier Nazionalismo, in ‘I Viaggi di Erodoto’, a. 9 (1995) numero 26, Edizioni scolastiche Bruno Mondadori, pp. 86 – 90; 142-143; 165-167.

Documento n. 2

da La sindrome di Tocqueville, Editoriale in Bruxelles. Il fantasma dell’Europa, Limes n.3 a. 2016, pp. 7-26

Documento n. 3

da  Hans Kundnani, Esporto, dunque sono. Il ritorno del nazionalismo tedesco, in 2014-1914, L’Eredità dei Grandi Imperi, Limes n.  a. 2016, pp. 75-85.

Documento n.4

da  Balázs Juhász, Le fonti della condotta ungherese, in Bruxelles. Il fantasma dell’Europa, Limes n.3 a. 2016, pp. 183-188.

Documento n. 5

da Vinzia Fiorino, Madri dolorose: una figura profonda del nazionalismo italiano, in “Società e Storia” a. XXXVII (2014) n. 145, pp. 513- 517.

da Maria Luisa Betri, I corsi e i ricorsi  nella comunicazione del discorso nazionale, in “Società e Storia” a. XXXVII (2014) n. 145, pp. 519- 522.

 

Una difficile convivenza. Nazionalismi e Unione Europea

a cura di Marida Brignani

Il 14 settembre 2016, il presidente della Commissione europea Jean Claude Junker, parlando al Parlamento europeo di Strasburgo, invitava gli stati membri a «difendere la logica dell’unità». Affermava che «l’Europa può funzionare solo se tutti lavoriamo per l’unità e la comunanza, e dimentichiamo l’antagonismo tra le competences e le istituzioni. Solo allora l’Europa sarà più che la somma delle sue parti». Un’affermazione che, a sessant’anni dal Trattato di Roma, mostrava quanto il processo di costruzione dell’Europa unita fosse lungi dall’essere compiutamente realizzato.

Il 25 marzo 2017, i capi di stato e di governo dell’UE si incontravano a Roma per celebrare l’anniversario del Trattato del 1957 e per sottoscrivere una Dichiarazione con la quale, viste le difficoltà politiche di giungere alla condivisione di iniziative concrete, ci si accontentava di tracciare dei macro-obiettivi condivisi, con la speranza che fungessero da catalizzatori delle politiche future. Nella realtà, gli intenti comuni erano tanto generici da apparire privi di chiare linee di indirizzo. In questa Rome Agenda i leader si impegnavano a tendere verso la realizzazione di

  • un’Europa sicura e protetta
  • un’Europa prosperosa e sostenibile
  • un’Europa sociale
  • un’Europa più forte nello scenario globale

(James Kanter, Elisabetta Povoledo, in «The New York Times», 25 marzo 2017)

Il successo dell’incontro risiedeva, per il momento, quasi esclusivamente nella partecipazione di tutti gli stati membri e in una timida apertura del dibattito, fortemente sollecitata dall’Italia a margine delle celebrazioni. La fragilità dell’accordo sarebbe emersa in tutta la sua realtà nei giorni immediatamente successivi, sotto la violenta scossa degli attentati terroristici di aprile.

La situazione di stallo delle istituzioni europee di fronte a temi essenziali quali l’immigrazione, la lotta al terrorismo, le nuove povertà e il crescente malcontento nella popolazione della maggior parte degli stati membri, pur con differenze di segno e di indirizzo, merita un’analisi di ampia prospettiva, che tenga conto del passato, delle questioni irrisolte, e che sappia guardare oltre l’immediatezza della chiamata alle urne di alcuni dei 28 paesi nella primavera-estate 2017. Inutile sottolineare che il rumore delle opinioni che si accalcano quotidianamente sui media, pur facendo emergere in molti casi aspetti solo apparentemente marginali quali i registri comunicativi e il lessico utilizzati nella comunicazione politica e giornalistica, entrambi bisognosi di alzare continuamente i toni per emergere sopra il rumore di fondo, rende difficile alla maggior parte dei cittadini la selezione dei temi sostanziali e l’approccio a una riflessione informata.

Il risorgere del nazionalismo in Europa

Per comprendere il risorgere, con caratteristiche virali, dei vari aspetti del nazionalismo, è indispensabile conoscerne la genesi e le conseguenze. Hans-Ulrich Wehler, nella sua agile e puntuale storia comparata Nazionalismo. Storia, forme, conseguenze (Bollati Boringhieri 2002), analizza la nascita del nazionalismo, il suo innalzamento a “religione politica della modernità”, le sue varie tipologie e utopie, la sua diffusione e si chiede se esso abbia risposto alle aspettative di contribuire a creare una società improntata al principio di eguaglianza e di pacifica coesistenza fra le nazioni, come ci si aspettava. Ne constata inevitabilmente l’assoluto fallimento. Alla luce delle discriminazioni e delle guerre che hanno insanguinato l’Europa e il mondo del XX e dell’inizio del XXI secolo, l’autore si spinge a decretare l’agonia dei nazionalismi e a ipotizzarne la sostituzione con nuove basi di legittimazione politica, democratica e sociale. Era infatti difficile immaginare, nel 2002, l’avvento di una violenta crisi economica che dagli Stati Uniti si sarebbe velocemente propagata nel mondo, con particolare virulenza nel vecchio continente, e avrebbe fornito motivi (e alibi) per scivolare in un clima di instabilità politica e incertezza economica. Sollecitati dalle nuove incertezze e dalle paure diffuse, i nazionalismi, non solo europei, hanno trovato nuova linfa vitale. In un crescendo di enfasi retorica hanno permeato del loro lessico le fonti di informazione e si sono tradotti in dati quantitativi di consenso alle scadenze elettorali. L’analisi del fenomeno è tornata prepotentemente ad interessare analisti politici, economisti e storici che hanno cercato di leggerne le nuove caratteristiche attraverso studi comparati. Che cosa accomuna e cosa differenzia i nuovi nazionalismi da quelli del passato? Qual è il loro potenziale di penetrazione oggi nelle società europee e la loro capacità di interferire con il processo di unificazione?

L’incremento progressivo della spinta nazionalistica in tutti gli stati membri dell’UE è rinfocolato quotidianamente dal clima di tensione urlata, di incertezza, di confusione che permea la comunicazione, la quale con identica assertività afferma tutto e il contrario di tutto, generando paura, diffidenza e una diffusa percezione di smarrimento che induce a confinare e difendere un territorio – fisico e psicologico – entro il quale riconoscere punti di riferimento rassicuranti. Il fenomeno è noto e le ricerche, le analisi e gli studi fin qui condotti ne confermano l’incremento in concomitanza con il dilagare della grande crisi economica del 2008. Un baratro dal quale molti paesi non sono ancora riemersi. Il trend generalizzato al rialzo dei populismi ha in questo periodo toccato punte estreme e molto note: dalle affermazioni sconcertanti del leader ungherese Orban, alla Brexit, all’elezione di Trump alla presidenza degli Stati Uniti che con i suoi twitter sconvolge ogni mattina le diplomazie di mezzo mondo, alla vittoria della destra nazionalista nelle elezioni austriache, alla drammatica crisi catalana che pone l’Europa di fronte a domande pressanti che richiedono risposte urgenti, nella realtà mai elaborate e condivise.

La retorica dell’identità

Nel clamore delle espressioni forti, Adriano Prosperi ha preferito la riflessione sul lessico della quotidianità che alimenta la retorica dell’identità, base irrinunciabile del nazionalismo più virulento, e sulla barbarie di un linguaggio solo apparentemente innocuo ma che, come ben dimostra la tentata strage razziale del 3 febbraio a Macerata, alza costantemente l’asticella dell’intolleranza e dell’aggressività che può scivolare facilmente dal contesto verbale a quello fisico.

Mentre le merci e gli oggetti si mondializzano gli esseri umani si tribalizzano. Oggi fabbricare le identità serve soprattutto ad alzare una barriera di tradizioni e religioni che protegga noi dagli altri, ignorando la dimensione del mutamento da cui nessuna storia è immune.

La sua analisi si addentra nel linguaggio di uso corrente per smascherare i concetti latenti che contribuisce a veicolare.

La ‘barbarie’ la troviamo a viso scoperto o celata sotto sinonimi. Tra questi sta conoscendo una fortuna crescente ‘identità’. E accanto a ‘identità’, ‘radici’, ma anche ‘etnicità’, con gli antenati ‘nazione’ e ‘nazionalità’. Parole che sono diventate abituali nel nostro linguaggio ma che possono diventare pietre perchè, come tutto ciò che serve a distinguere e a prendere coscienza di una separazione, contengono un potenziale violento pronto a giustificare aggressioni civili e guerre. È dietro queste parole che vediamo alzarsi in piedi individui collettivi di cui si presuppone una naturalistica e inassimilabile diversità. Se, come scriveva Saul Bellow, l’identità di un essere umano è quella definita dal racconto della sua vita, per estensione l’dentità di un popolo o di una società umana sarebbe la sua storia. Ma nessuna definizione, per quanto acuta ed elegante, può impedirci di avvertire dietro questa parola, apparentemente così semplice e innocua, l’eco sorda della risacca della storia e dei rapporti di forza che ha ripreso a fare intensamente il suo antico lavoro: scaraventa sulle rive più diverse popoli e individui, quando non li cancella inabissandoli nel fondo del mare
(Adriano Prosperi, Identità. L’altra faccia della storia, Laterza 2016).

Nazionalismi e globalizzazione

Un’analisi storica comparata del manifestarsi, dell’affermarsi o dell’assopirsi delle spinte nazionalistiche che hanno condizionato e spesso determinato gli eventi degli ultimi due secoli aiuta a comprendere la natura e le forme di questo atteggiamento politico, economico e culturale e consente di riconoscerne i germi e le manifestazioni (palesi e latenti) nella società di oggi. Più difficile, al di là di un percepibile generalizzato incremento, è coglierne l’andamento e la prospettiva. Influenzata quotidianamente dagli avvenimenti globali – in una condizione di ‘connessione permanente’ che sembra azzerare le distanze spaziali e temporali (ogni giorno quel che accade in qualsiasi parte del mondo è percepito come qui ed ora e si sovrappone, oscurandolo, a quel che è accaduto ieri) – l’opinione pubblica ondeggia fra slanci di solidarietà e arroccamenti difensivi, fra richieste di trasparenza e democrazia e rigurgiti nostalgici di uomini forti, di messia capaci di capovolgere in cento giorni le situazioni complesse portando i paesi fuori dallo stallo. Non ancora cristallizzato in contorni definiti, il tempo presente galleggia sulla massa magmatica di avvenimenti, fatti, opinioni, scelte in continua trasformazione e rapida obsolescenza fra i quali è difficile orientarsi. E accade pure che la storia venga negata per legge, come è accaduto in Polonia il 1° febbraio 2018 con l’approvazione della norma che punisce con una pena carceraria fino a tre anni chi parla di campi di sterminio polacchi, legge che il presidente Andrzej Duda ha deciso di firmare prima di sottoporla alla Corte Costituzionale per la valutazione di conformità. Nel generalizzato rigurgito del nazionalismo più radicale, l’obiettivo della norma è quello di salvaguardare l’immagine del Paese di fronte alla tragedia dell’Olocausto. Ma la negazione degli errori passati poco serve a evitare i futuri.

Brutte e buone notizie: lo sguardo di un economista politico

Per una riflessione sui nazionalismi oggi in Europa e sul loro potere di condizionamento delle politiche comunitarie, si ripropone a titolo orientativo un breve saggio di Stefano Bartolini del 7 luglio 2016 (testo integrale alla pagina http://www.libertaegiustizia.it/2016/07/08/linsostenibile-futuro-dei-nazionalismi/). L’articolo non è ovviamente aggiornato con gli avvenimenti più recenti, ma anche le aspettative – andate deluse – che in quel momento, come la maggior parte degli analisti, l’autore manifestava, costituiscono un interessante elemento di riflessione sui cambiamenti in atto e sulla rapidità della loro evoluzione. L’articolo pare infatti ancora poter individuare riferimenti storico-politici ed economici attraverso i quali abbozzare un ordine alla molteplicità degli input e delle informazioni che giungono dal contesto europeo, nel tentativo di leggere un fenomeno in veloce divenire. Ci si limiterà a inserire, a margine del testo e a soccorso del lettore, alcuni brevi aggiornamenti sugli ultimi avvenimenti.

Partendo dalla cronaca, l’autore suddivideva i dati in brutte e buone notizie e tracciava una mappa dei problemi da affrontare e delle opportunità da valorizzare.

Le brutte notizie

Secondo Bartolini innanzitutto la Brexit, subito seguita dalle similitudini inquietanti fra la situazione attuale e quella degli anni Venti e Trenta del Novecento. L’autore ripercorreva, comparandole con il clima di oggi, le motivazioni dell’ascesa del nazismo espresse da Karl Polanyi (La Grande Trasformazione, 1944): la crisi economica, l’espandersi dei nazionalismi, lo strapotere della dimensione economica, la tendenza all’autodifesa dalla globalizzazione, la percezione dei confini nazionali come baluardi da difendere, l’inclinazione all’autoritarismo, la personalizzazione del pericolo. L’analisi di Polanyi gli pareva ancora convincente

perché chiarisce che cosa hanno in comune i due periodi di espansione dei nazionalismi identitari: ambedue si svolgono nel contesto di una furiosa globalizzazione. In questa situazione, allora come oggi, i confini nazionali sono divenuti il recinto entro il quale proteggersi dalle tempeste del capitalismo globale. Queste tempeste vengono personificate. Secondo Polanyi l’Ebreo simboleggiava per il Nazismo il potere corrosivo del denaro sulla comunità. Il migrante contemporaneo personifica la globalizzazione. È la prova vivente che non possiamo sfuggirle nel nostro quotidiano. In molta gente questa percezione prevale su quella che i migranti sono in realtà le prime vittime della globalizzazione. È il senso di solitudine e di impotenza il motore del consenso nazionalista.

A margine dell’articolo di Bartolini – e come temuto da Prosperi – non possiamo oggi ignorare fra le cattive notizie la degenerazione in azioni del clima violento evocato dalle parole, utilizzate in forma sempre più generalizzata dai diversi canali di comunicazione. Ne sono un esempio la tentata strage di giovani africani consumata a Macerata il 3 febbraio 2018 e gli scontri violenti fra antagonisti e frange estremiste di matrice neofascista che si sono susseguiti nelle cronache dei primi due mesi del 2018.

Le buone notizie

La scomparsa del comunismo. Per Bartolini questa era una buona notizia perché disinnescava uno dei fattori che avevano in passato sostenuto in Europa l’alibi della necessità di governi forti che, anche a scapito della democrazia, fossero in grado di coagulare molte energie per scongiurarne l’avanzata nei paesi occidentali. L’autore era inoltre particolarmente fiducioso nel fatto che le forze nazionaliste non riuscissero a salire estesamente al potere in occidente.

La dinamica elettorale in Europa lo testimonia chiaramente: ogni volta che i partiti nazionalisti hanno avuto la chance reale di vincere qualche elezione importante, gli elettori hanno dato un voto massiccio e decisivo a qualunque altro candidato rimasto in lizza. È accaduto ai ballottaggi due volte in Francia e una in Austria. Il primo episodio francese è delle presidenziali del 2002. Arrivarono al ballottaggio Chirac e Le Pen (padre), che al primo turno avevano ottenuto rispettivamente il 20% e il 17% dei voti. Al ballottaggio Le Pen arrivò a malapena al 18% mentre Chirac ottiene l’82% dei voti. Come dire che Le Pen ottenne praticamente gli stessi voti del primo turno e il resto dei francesi si coalizzò contro di lui. Stessa storia alle regionali francesi del 2015. Il Front National al primo turno risultava il primo partito e si presentava ai ballottaggi con i propri candidati spesso in testa. Ma al secondo turno non ha vinto in nessuna regione perché ha ottenuto praticamente gli stessi voti del primo turno mentre gli altri elettori hanno fatto convergere i loro voti sul candidato avversario, qualunque fosse. In ambedue i casi francesi la partecipazione al voto è aumentata di circa 3.5 milioni di voti al secondo turno: cioè molta gente non si era scomodata per andare a votare ma quando si è trattato di sbarrare la strada agli xenofobi si è mobilitata eccome […] improbabile che i nazionalisti vadano massicciamente al potere in occidente», poiché «le pulsioni nazionaliste funzionano benissimo nei referendum e ce ne potrebbero essere altri a destabilizzare l’Europa, ben oltre la Brexit. […] Insomma, il futuro più probabile del nazionalismo è: vittorie nei referendum e sconfitte nelle elezioni.

Ma i due motivi più concreti per continuare a essere fiduciosi erano, secondo Bartolini, l’assoluta irrealizzabilità delle proposte della destra xenofoba nei confronti dell’immigrazione –   concentrate sul controllo capillare delle frontiere e su azioni esclusivamente nazionali –  e il ricordo dei 60 milioni di morti causati dalla Seconda Guerra Mondiale. Secondo l’autore,

                il mondo alla fine si rivolgerà a qualcosa di più sensato del nazionalismo per risolvere il problema dell’assedio dell’economia alle nostre vite. Questo qualcosa riguarda una economia che sia fatta per le persone e che non chieda alle persone di essere fatte per l’economia. Questo significa umanizzare l’economia. Se ci saranno progetti concreti e fattibili per costruirla, essi prevarranno. L’alternativa è l’instabilità economica, politica e sociale. Io penso che di progetti concreti ce ne siano già e che stiano ampliando la loro visibilità. Per questo sono ottimista. (MicroMega online,7 luglio 2016)

Manifestazione pro Unione Europea a Londra, Marzo 2017. By IlovetheeuOwn work, CC BY-SA 4.0, Link

Un anno di rapide svolte

Le speranze di una reazione popolare al dilagare del nazionalismo xenofobo, espresse nel 2016 da Bartolini, sono state in parte confermate dalle tornate elettorali del primo semestre del 2017. Le elezioni presidenziali francesi del 23 aprile e del 7 maggio 2017 hanno infatti visto la netta vittoria dell’europeista Macron (66,1%) contro Marine Le Pen (33,9%) con una affluenza alle urne del 74,6%. La candidata del Front National ha ottenuto la maggioranza in due soli dipartimenti metropolitani, significativamente toccati dal flusso migratorio verso il Regno Unito: Calais (52,1%) e Aisne (52,9%). Le successive elezioni legislative per il rinnovo del Parlamento francese hanno visto già al primo turno (11 giugno 2017) il trionfo del partito centrista di Macron con il 32,6% dei voti e l’esito finale del 18 giugno attestato sulla conquista del 60,65% dei seggi, ma con un record di astensionismo alle urne, in questa seconda fase, del 56%.

Ai dati sulle elezioni francesi, pare significativo aggiungere un cenno alle elezioni amministrative italiane dell’11 giugno 2017, nel corso delle quali si è votato per il rinnovo dei sindaci in oltre mille comuni italiani. Il Movimento 5 Stelle, caratterizzato da un altalenante euroscetticismo, ha subito una sensibile battuta d’arresto in un percorso di crescita che l’aveva in breve tempo portato nei sondaggi ad eguagliare e a tratti a superare il gradimento del Partito Democratico e della coalizione di centro-destra. La Lega Nord, tradizionalmente legata alla difesa di interessi regionali, antieuro e fortemente critica nei confronti delle politiche europee, ha sostanzialmente mantenuto la posizione.

Anche in Gran Bretagna le elezioni generali anticipate dell’8 giugno 2017, volute dal Primo ministro Theresa May nella convinzione di strappare un generale consenso popolare ottenendo la maggioranza assoluta e un cospicuo rafforzamento della propria posizione interna in vista della complessa gestione dell’attuazione della Brexit, complici lo sgomento e il sentimento di insicurezza incrementati dal terribile attentato di Manchester del 22 maggio 2017, hanno clamorosamente fallito il bersaglio e la vittoria di misura della May sul candidato labourista le ha fatto perdere numerosi seggi, obbligandola a cercare un difficile accordo con altre forze parlamentari.

Nel frattempo però oltreoceano, ma con significative ripercussioni anche in Europa, il nazional-populismo aveva trovato un potente testimonial in Donald Trump, dall’8 novembre 2016 nuovo presidente degli Stati Uniti. Una sorpresa per la maggior parte degli analisti occidentali e per la stessa stampa statunitense che aveva creduto nella possibilità di una vittoria di Hillary Clinton, nonostante la fragilità della sua proposta politica. La previsione si era rivelata, alla luce dei fatti, troppo ottimistica, ma le diffuse proteste popolari, le bocciature giudiziarie, il disagio diffuso provocato dal Russia-gate (con insistenti ipotesi che il voto americano sia stato in qualche modo adulterato da un intervento esterno) e la disinvoltura con la quale il Presidente calpesta e smantella oggi i diritti sociali acquisiti e gli accordi internazionali siglati dall’amministrazione Obama, o si libera di figure cruciali del suo governo quando non congeniali ai suoi disegni, nonostante i dati galoppanti dell’economia e della finanza, scalfiscono un poco ogni giorni lo zoccolo del consenso, reclutato nelle fila «dell’America bianca, frustrata e in via di marginalizzazione, nostalgica dei bei tempi in cui l’America prendeva a sganassoni i cattivi».

L’autunno caldo del nazional-populismo

Già dall’autunno 2017, a smorzare troppo speranzosi entusiasmi accesi dalle tornate elettorali della primavera-estate e a riportare alla realtà di una preoccupante ascesa dei nazional-populismi in tutta Europa, hanno pensato le elezioni legislative del 15 ottobre in Austria, che hanno visto l’affermazione indiscussa, con il 31% dei voti, del Partito popolare conservatore austriaco (Övp) guidato dal giovanissimo Sebastian Kurz, dopo una battaglia elettorale condotta al ritmo di affermazioni accattivanti. Era l’arrivo di quell’ondata della destra conservatrice e xenofoba che si attendeva già dalle elezioni presidenziali del 2016 ma che, sorprendentemente, il popolo austriaco aveva saputo temporaneamente neutralizzare. Una specie di sospensione di giudizio, di fragile tregua di un problema che ora  ricompariva in tutta la sua veemenza. La maggior parte degli analisti, incoraggiata dal risultato delle elezioni presidenziali del 2016, aveva infatti creduto  che il problema austriaco fosse per il momento arginato. Al primo turno infatti il candidato del Partito della Libertà, di derivazione nazista, aveva avuto un netto vantaggio su tutti gli avversari, ma al ballottaggio gli austriaci avevano fatto convergere i propri voti sul candidato del partito dei Verdi:

ci sono sempre più persone che sono affascinate dalla proposte xenofobe e sempre più persone disposte a manifestare col voto che queste proposte gli risultano inaccettabili. La motivazione di quest’ultimi cresce tanto più il pericolo xenofobo diviene concreto e in questo caso tendono fortemente a coalizzarsi. Tutto sommato siamo molto lontani dalle derive plebiscitarie di cui godettero Hitler o Mussolini. Più cresce la xenofobia e più cresce la voglia di bloccarla. Questa è praticamente ormai l’unica causa capace di unire gente spesso divisa su tutto il resto. Questo meccanismo potrebbe tenere lontani dal potere i partiti nazionalisti per molto tempo. L’idea di fratellanza umana si è profondamente radicata in Europa dal secondo dopoguerra e non sarà facile smantellarla (Stefano Bartolini, 7 luglio 2016, cit.)

L’ottimismo ‘attrezzato’ e riflessivo di Bartolini, nonostante le sostanziali conferme dei fatti, non rispecchiava tuttavia la percezione generale delle popolazioni e dei media europei. La «Harvard Gazette» del 27 febbraio 2017, dopo aver osservato come negli ultimi 75 anni la cooperazione e l’interconnessione fra i paesi europei avesse consentito pace e sviluppo a tutti, scriveva che

i venti politici si stanno spostando, e ci sono segni di una nuova era del populismo e del nazionalismo emergente in Europa, uno sviluppo che alla fine potrebbe minacciare la sicurezza e l’unità post-bellica. (Alvin Powell, Harvard Staff Writer | February 27, 2017,  Editor’s Pick Popular)

Il referendum del 1° ottobre 2017 in Catalogna, il tentativo di impedirne lo svolgimento, il risultato delle urne, la repressione militare, hanno improvvisamente costretto tutte le istituzioni europee a prendere atto di problemi che da decenni covavano sotto la cenere e di cui l’Europa non solo aveva sottovalutato la portata, ma non si era attrezzata ad affrontare. Il risveglio è stato molto brusco, con il rischio di innescare un effetto domino sulla situazione di molte altre regioni che vivono un clima di inquietudine faticosamente repressa (cfr:Madrid a Barcellona, «Limes», n.10, novembre 2017 e gli abstract degli articoli sul sito http://www.limesonline.com/sommari-rivista/madrid-a-barcellona).

Documenti

Le diverse manifestazioni del populismo e l’ascesa dei nazionalismi in molti stati europei sono fenomeni in continua evoluzione. La fluidità della situazione, la velocità con la quale le notizie appaiono, si propagano, si modificano, si sovrappongono e diventano obsolete non consente spesso di averne precisa memoria e di collocarle in un quadro generale che consenta di riflettere sulla portata dei cambiamenti in atto. Nel breve volgere di poche settimane, possono condizionare l’opinione pubblica, determinarne la fiducia o la sfiducia e riflettersi in scelte di carattere politico, economico e sociale.

A tal fine, per agevolare l’attività didattica, si propongono i link – corredati di brevi abstract – a una serie di articoli sull’argomento pubblicati in vari paesi europei e ad alcuni documenti ufficiali prodotti dalle istituzioni comunitarie fra il 2015 e il 2017 sui temi oggi più caldi, dalla situazione economica alla gestione dei flussi migratori, alla sicurezza delle città e dei cittadini. È possibile cogliervi – con l’immediatezza della cronaca – da un lato gli umori e le preoccupazioni che attraversano l’opinione pubblica europea e l’aggressività dei nazionalismi che avanzano, dall’altro le riflessioni e i progetti a lungo termine elaborati dagli organi istituzionali. Un materiale che, opportunamente selezionato, può aiutare docenti e studenti a cogliere con sguardo storico alcuni aspetti rilevanti del tempo presente in Europa.

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A Malta sono state discusse le soluzioni di lungo e medio termine a questa crisi potenzialmente esistenziale per l’Unione Europea. Tusk crede che questa agenda debba concentrarsi sul miglioramento della sicurezza interna ed esterna dell’UE, e contemporaneamente migliorare il welfare socio-economico dei suoi cittadini attraverso una crescita socialmente inclusiva e una serie di trattati commerciali con i partner interessati.

Sebbene intorno a questi temi sia acceso il dibattito, esiste un crescente consenso per un pacchetto di misure volte a incrementare la sicurezza e la protezione di frontiera per sostenere la resilienza e l’integrità al fine di dare continuità al progetto UE. Tusk ha detto che “le persone attendono che la UE…sia di nuovo un garante di stabilità, sicurezza e protezione”.

L’indebolimento dei partiti politici di sinistra e il rafforzamento dei partiti di centro-destra ed estrema destra in Europa porta a sviluppi preoccupanti. Non solo gli europei, ma anche i non-europei come musulmani, turchi e rifugiati siriani che risiedono in Europa hanno cominciato a sentirsi minacciati dopo il rafforzamento dei partiti di destra. Negli ultimi anni, con l’aumento del nazionalismo nella propaganda dei partiti politici, la crescente violenza contro gli stranieri, l’elezione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump che promuove una politica contro gli stranieri e gli immigrati e l’aumento della minaccia del terrorismo, profondi sono gli effetti sulle politiche degli stati, che annunciano che un nuovo periodo di scontri è iniziato per gli europei. Nel 2017, elezioni presidenziali e parlamentari si terranno in Francia, in Germania e in altri paesi europei. La situazione di attesa in Europa diventerà più chiara con i risultati di queste elezioni critiche.

Questo documento riguarda il contesto più ampio dello sviluppo politico della regione V4 (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria con una popolazione di circa 65 milioni di abitanti) nell’ultimo decennio e in particolare della Repubblica Ceca alla luce della crisi dell’immigrazione del 2015 e del 2016. Il punto principale è quello di descrivere l’interazione tra la politica europea, la politica interna e la percezione dell’integrazione europea da parte dei partiti politici nella Repubblica ceca.

Lo sviluppo dell’interazione tra politica europea e politica interna mostra la mancanza di una nuova visione post-adesione per l’UE integrata e un ampio spostamento dalle politiche di sostegno dell’UE a quelle orientate dalle spinte interne in direzione sovranista.

La crisi su più fronti dell’UE ha facilitato l’incremento delle forze nazionaliste di destra. Il pensiero nazionalista comprende un’ampia gamma di posizioni, dalle forze liberali conservatrici nazionaliste a quelle apertamente fasciste. Alcuni sostengono programmi neoliberali mentre altri combinano il neoliberismo con elementi nazionalisti-conservatori, alcuni dei quali includono elementi eterodossi. Le politiche sociali sono caratterizzate da un mix di elementi di workfare (programma assistenziale in base al quale i disoccupati ricevono sussidi in cambio di lavori socialmente utili, frequenza a corsi di aggiornamento ecc.) e di misure conservatrici. Questi ultimi (nazionalisti-conservatori) mirano a ripristinare ruoli di genere tradizionali. In diversi paesi dell’Europa occidentale con una significativa popolazione di origine migratoria, i partiti nazionalisti di destra sostengono in modo aggressivo una preferenza nazionale esclusiva,vale a dire l’esclusione dei migranti dai benefici della cittadinanza. Le strategie di contrasto non dovrebbero semplicemente opporre le soluzioni europee a quelle nazionali. Dovrebbero piuttosto proporre politiche inclusive ed egualitarie. Le strategie devono affrontare il declino delle regioni periferiche e di molte aree rurali e dovrebbero basarsi su livelli territoriali in cui la probabilità di successi concreti sembra essere maggiore. L’UE potrebbe giovarsi della promozione di politiche di tipo nazionale.

Nell’articolo, i meccanismi utilizzati per preparare la società per l’arrivo del Messia populista sono demistificati da una prospettiva della scienza politica e analizzati anche dal punto di vista giuridico; gli unici attori deputati a costruire una vera identità europea attraverso il confronto politico sono la legge e i valori guida comuni. Tuttavia il fattore più critico per il successo o il fallimento di questo tipo di indirizzo e per il fascino seducente dell’estremismo è il fattore emotivo, le tattiche impiegate per innescare le emozioni grezze presenti nella natura umana in particolare durante i periodi di crisi. Al di là della politica della paura, dobbiamo anche guardare e comprendere la politica e i sistemi che ci hanno portato qui: il discorso multiculturale con le sue politiche di integrazione, assimilazione e tolleranza ha prodotto parzialmente l’effetto contrario: una generazione di giovani che non si sentono di appartenere, che non vogliono assimilarsi e che non accettano né di essere tollerati né di tollerare. Sono i jihadisti europei, che hanno sorpreso responsabili politici e diplomatici. Capire la psicologia di queste persone ci permetterà di combattere correttamente le cause fondamentali dell’estremismo, della radicalizzazione e del terrorismo; inoltre, potrebbe portarci a comprendere quale dovrebbe essere il collante per una vera società europea.

(Si tratta di un documento di lavoro del Congresso americano che contiene una serie di informazioni a disposizione dei deputati)

Negli ultimi anni molti paesi dell’UE hanno visto un aumento del consenso per i partiti politici populisti, nazionalisti e anti-sistema. Questi partiti sono spesso definiti “euroscettici” perché molti sono stati alimentati dalla preoccupazione che sia stata ceduta troppa sovranità nazionale a Bruxelles. Sebbene non sia un fenomeno completamente nuovo nell’UE, il recente tentativo di sostenere tali partiti è iniziato in larga misura in risposta alla stagnazione economica dell’Europa, alle misure di austerità e alla crisi della zona euro. Per alcuni elettori, come è stata manipolata la crisi dell’eurozona, sono state rinfocolate le antiche preoccupazioni sul “deficit democratico” dell’Unione europea – un’idea secondo la quale i cittadini comuni hanno poco peso nelle decisioni prese lontano da loro, a Bruxelles. Sempre più, tuttavia, l’intensificarsi dei timori sull’immigrazione e sui grandi flussi di immigrati e di rifugiati sembrano far aumentare il numero dei sondaggi favorevoli ai partiti populisti e/o euroscettici, in particolare quelli che sollecitano atteggiamenti anti-immigrati. Anche le paure della globalizzazione e della perdita dell’identità europea sono state fra fattori della crescita del sostegno a tali partiti.

Secondo il quotidiano, la causa principale dell’ascesa del nazionalismo è una ripresa economica anemica che ha fornito un’apertura ai partiti populisti, promuovendo politiche protezionistiche, incolpando il commercio estero e i lavoratori stranieri del malessere prolungato che ha investito l’Europa. A questo si aggiunge l’aumento della disuguaglianza del reddito e della ricchezza nella maggior parte dei paesi e non c’è da stupirsi che la percezione di un’economia che beneficia solo le élite e distorce il sistema politico sia diventata diffusa.

I partiti politici che promuovono la responsabilità fiscale nazionale e il nazionalismo traggono sempre beneficio elettorale da una crisi finanziaria, ha affermato un gruppo tedesco di esperti. L’équipe ha esaminato i risultati di più di 800 elezioni generali in 20 economie avanzate, documentando l’ascesa della destra, che risale agli ultimi 140 anni.

Gli analisti politici dicono che i partiti di destra con piani antimigranti stanno esorcizzando le paure tra gli elettori dato che le loro società stanno cambiando troppo rapidamente e rischiano di perdere le loro identità nazionali tradizionali.

«I partiti politici di destra cercano di trarre vantaggio dalla questione della migrazione, come quando cercano di trarre vantaggio dalle paure quando si tratta dell’Islam in Europa», afferma Ralf Melzer, esperto di estremismo di destra alla Fondazione Friedrich-Ebert di Berlino. «Entrambi sono i soggetti principali per i loro tentativi di conquistare elettori e di aumentare la loro influenza».

Egli ritiene che la preoccupazione per la migrazione sia parte di una più generale percezione di disorientamento; alcuni elettori sentono il peso della crisi che ha colpito l’Europa negli ultimi anni, i problemi legati alla moneta unica, la crescita economica lenta e una diminuzione di posti di lavoro a causa della globalizzazione. Molti credono che i loro paesi abbiano ceduto la propria sovranità all’UE e ora devono pagare il prezzo per le decisioni prese lontano da loro, a Bruxelles o nelle capitali di altri Stati membri dell’UE.

A differenza dei partiti di destra che stanno fiorendo nel nord Europa, Syriza e Podemos si sono allontanati da qualsiasi sentimento anti-immigrati e hanno drasticamente attenuato qualsiasi linguaggio anti-UE (anche se criticano le sue politiche). La prospettiva che questi movimenti facciano proprio il malcontento gene.ralizzato, è più salutare per l’Europa che il sostegno per Ukip o Marine Le Pen o i democratici svedesi. Syriza e Podemos preferiscono canalizzare il rancore popolare contro la classe dominante, la “casta” in spagnolo, che include i partiti centristi, destra o sinistra, tutti riuniti in un unico bersaglio dal malcontento popolare.

L’Europa è attraversata da uno spartiacque che divide il nord dal sud e che rispecchia le diverse soluzioni prospettate per la risoluzione dei suoi problemi economici. Il colore politico dei suoi partiti anti-establishment/contro il sistema potrebbe anche dipendere da quanto vicino la nazione si trovi al Mare del Nord o al Mediterraneo. Ma la parte sorprendente e preoccupante dei loro romantici appelli, proviene dai messaggi nazionalisti. La UE deve diventare una unione dove vi sia spazio per un “patriottismo equilibrato” se vuole battere le intossicazioni del nazionalismo.

Ci sono stati scontri e attacchi di matrice razzista nel corso delle proteste anti-migranti in diversi paesi europei, nonché sospetti incendi dolosi nei centri per rifugiati.

Se molti cittadini europei hanno espresso il loro sostegno nei confronti dei rifugiati, molti altri hanno mostrato di opporsi palesemente, e talvolta violentemente, alla presenza straniera in Europa.

Insieme ad altri fattori, Schain afferma che i partiti populisti di destra stanno rafforzando la loro posizione anti-UE, attaccando l’Unione Europea come inefficace e dominante a causa della sua incapacità di mitigare la crisi, mentre gli stati continuano ad accettare altri rifugiati.

“Poiché Brussels sta discutendo una direttiva per la distribuzione degli immigrati da ricevere, [i partiti anti-UE] possono colpire l’Europa con maggior forza”, dice Martin Schain (Department of Politics New York University) “C’è molto spazio per aumentare la loro influenza sulle campagne elettorali perché i leader europei continuano ad avere un atteggiamento incerto intorno alla questione dei rifugiati.”

“I partiti di estrema destra sono qui per rimanere, dice Schain, e molti hanno affermato il loro ruolo politico con prospettive a lungo termine. Questo è il loro momento e vedremo come sono capaci di sfruttarlo.”

La Destra populista cresce in tutti e quattro i paesi scandinavi: Danimarca, Norvegia, Svezia e Finlandia. Ci sono naturalmente diversi fattori nazionali e di contesto, che rendono ognuna delle loro situazioni politiche differente e specifica, ma almeno un fattore le unisce: la retorica anti-immigrati. Ad esempio in Danimarca, il DPP chiede una giro di vite alle frontiere e contro il cosiddetto “turismo del benessere”, nonché una contrazione delle politiche per i richiedenti asilo. L’influenza crescente di tutti e quattro i partiti populisti scandinavi ha seguito in parallelo i cambiamenti nella composizione della popolazione delle quattro nazioni nordiche e i conseguenti atteggiamenti dei loro elettori nei confronti dell’immigrazione.

L’articolo concentra l’attenzione sulla crisi migratoria europea che ha spinto migliaia di cittadini preoccupatiiunirsi nelle frange dell’estrema destra.

  • Do Europeans Really Fear Migrants? / Peter Sutherland, Project Syndicate, 21 May 2014
    I cittadini europei temono davvero i migranti? Peter Sutherland, Project Syndicate (pagina d’opinione) 21 Maggio 2014

Sebbene i partiti populisti di destra siano destinati a crescere considerevolmente nelle prossime elezioni europee, sarebbe un errore concluderne che la semplice presenza in Europa dei migranti alimenti il consenso a favore degli estremisti. È l’assenza di efficaci politiche di gestione dei flussi migratori, piuttosto, che ha reso ostili gli elettori europei.

Secondo i primi risultati dell’ultimo Eurobarometro 86 (novembre 2016), la Fiducia nell’UE è lievemente aumentata e ha raggiunto il 36% (+3% dalla primavera del 2016), dopo il brusco crollo registratosi nel sondaggio dell’autunno 2015 (-8 punti percentuali tra la primavera e l’autunno 2015), il movimento verso il basso si è arrestato. La fiducia nelle istituzioni politiche nazionali è aumentata anch’essa del +4%, ma ad un livello più basso della fiducia nell’UE: il 32% di europei tende a fidarsi del proprio parlamento nazionale e il 31% dei propri governi nazionali. La maggioranza degli europei diffida del parlamento nazionale (62% “tende a non fidarsi”, -3 punti percentuali rispetto alla primavera 2016) e del governo nazionale (64%, -4). Essi “tendono a non fidarsi” anche dell’Unione Europea ma per un grado minore (54%, -1).

Questo sondaggio dell’Eurobarometro è stato condotto tra il 3 e il 16 novembre 2016, subito dopo la pubblicazione della previsione economica europea dell’autunno del 2016 da parte della Commissione Europea ed è il primo ad essere svolto dopo il referendum della Brexit.

Il documento di riflessione sulla dimensione sociale dell’Europa solleva questioni come sostenere il nostro tenore di vita, creare nuovi e migliori posti di lavoro, dotare le persone delle giuste competenze e rendere più unita la nostra società, in previsione della società e del mondo del lavoro di domani. Vengono presentate tre opzioni: 1. limitare la dimensione sociale alla libera circolazione; 2. chi vuol fare di più in campo sociale fa di più; 3. i 27 paesi dell’UE approfondiscono insieme la dimensione sociale dell’Europa

Il documento di riflessione apre un dibattito fondamentale su come l’UE può gestire la globalizzazione e rispondere alle opportunità che questa offre e alle sfide che pone. Sul fronte esterno, il documento è incentrato sulla necessità di dare forma ad un ordine mondiale realmente sostenibile, basato su norme condivise e un programma comune. Sul fronte interno, il documento propone strumenti per proteggere e dare forza ai cittadini mediante politiche sociali robuste e fornendo loro il necessario sostegno in termini di istruzione e formazione lungo tutto l’arco della vita.

Il 1° marzo 2017 la Commissione europea ha presentato il libro bianco sul futuro dell’Europa, dal quale è scaturito un ampio dibattito sulla futura Unione europea (UE) a 27 Stati membri. Per alimentare ulteriormente la discussione, la Commissione europea presenta una serie di documenti di riflessione sulle tematiche principali che influenzeranno gli anni a venire. Il presente documento, il terzo della serie, illustra possibili modi per approfondire e completare l’unione economica e monetaria entro il 2025, definendo misure concrete che potrebbero essere prese prima delle elezioni del Parlamento europeo del 2019 e alcune opzioni per gli anni successivi.

Il documento di riflessione indica tre possibili scenari per il futuro della difesa europea: 1. scenario “cooperazione in materia di difesa e sicurezza”; 2. scenario “sicurezza e difesa condivise”; 3. scenario “sicurezza e difesa comune”. Gli scenari sopra indicati non si escludono a vicenda, ma mostrano tre diversi livelli di ambizione in termini di solidarietà.

Il documento — l’ultimo della serie — guarda all’assetto finanziario di una futura Europa a 27 in un mondo in mutamento. Tiene conto delle idee presentate nei quattro documenti di riflessione precedenti e avanza possibilità e opzioni di riforme, individuando opportunità, rischi e compromessi per ciascun caso. Il bilancio dell’Unione europea (UE) rappresenta circa l’1 % del reddito nazionale lordo (RNL) complessivo dei suoi Stati membri e, come tale, è relativamente modesto. Gli europei finanziano un bilancio dell’UE destinato a gestire un’ampia gamma di settori che travalicano i confini nazionali e richiedono risposte europee o internazionali. Spaziando dalla questione dei cambiamenti climatici e dell’energia a quelle della migrazione, della protezione dei consumatori, della globalizzazione, dell’occupazione, del mercato unico e della valuta comune, il bilancio contribuisce alla prosperità dei cittadini dell’UE e al successo delle politiche comuni. L’esperienza ha dimostrato che una dotazione di bilancio a livello europeo può avere un forte impatto sul terreno anche quando la sua entità è modesta.

To steer the EU reform and to stimulate discussion, President Juncker has proposed a Roadmap for a More United, Stronger and More Democratic Union. A series of concrete initiatives were immediately adopted by the Commission – on trade, investment screening, cybersecurity, industry, data and democracy. The debate should continue in the European Council in December 2017.

For more information, please see here:

Factsheets on the State of the Union 2017, 13 September 2017

The 2017 State of the Union debate in the European Parliament, EPRS, September 2017

European Commission President Jean-Claude Juncker’s State of the Union address to the European Parliament, and the subsequent debate, on 13 September come in the context of the ongoing broader reflection on the future path of the European Union. This has been intensified by the first-ever withdrawal of a Member State from the Union; although lamented by most, this is often cited as an opportunity to rebuild the Union on stronger grounds. The debate will therefore feed into a larger reflection process, to which Parliament contributed three landmark resolutions, launched by EU-27 leaders in the Rome declaration of 25 March 2017. As announced in President Juncker’s 2016 State of the Union speech, the Commission published a white paper on the future of Europe, identifying five scenarios for the further course of the Union. The Commission President has recently pointed to a sixth scenario to be revealed in his State of the Union speech. The State of the Union debate forms part of the process for the adoption of the annual Commission Work Programme and thus plays an important role in identifying major political priorities to be agreed in interinstitutional dialogue.

The main positions of the main EU institutions, contributing to the debate, are outlined in this EPRS ‘at a glance’ note: Mapping the ‘Future of the EU’ debate (June 2017)

Questo articolo studia le relazioni fra la crescita della disoccupazione, le dinamiche occupazionali in generale e la crescita del consenso ai partiti euroscettici e/a anti-sistema. L’aumento della disoccupazione e del consenso elettorale ai partiti non tradizionali sono fenomeni direttamente proporzionali, mentre la fiducia nelle istituzioni nazionali ed europee cala nella stessa proporzione in cui crescono in voti dei partiti euroscettici.

Il voto mina le possibilità di una riforma del sistema istituzionale europeo. L’Austria è stato spesso un indicatore importante per le tendenze politiche europee. Molti esperti hanno condannato troppo presto le forze euroscettiche all’oblio dopo le elezioni in Francia e Olanda

di EuVisions , A cura di Alexander Damiano Ricci e Otto Lanzavecchia. Traduzione a cura di Alister Ambrosino

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Note:

[1] N. Abbagnano, Dizionario di Filosofia, Torino, Utet, 1987 (voce Nazionalismo)

[2] M. Flores (a cura di) Diritti Umani. Cultura dei diritti e dignità della persona nell’epoca della globalizzazione, Dizionario, Torino, Utet, 2007.

[3] M. Flores (a cura di) Diritti Umani. Cultura dei diritti e dignità della persona nell’epoca della globalizzazione, Dizionario, Torino, Utet, 2007, pp. 949-954 (voce Nazionalismo a cura di Philip Spencer).

[4] A. Cavalli, A. Martinelli, La Società europea, Bologna, Il Mulino, 2015, pp. 62-67

 

Dati articolo

Autore: and
Titolo: I nazionalismi in Europa
DOI: 10.12977/nov229
Parole chiave: , ,
Numero della rivista: n.9, febbraio 2018
ISSN: ISSN 2283-6837

Come citarlo:
and , I nazionalismi in Europa, Novecento.org, n. 9, febbraio 2018. DOI: 10.12977/nov229

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