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Secondo Novecento e didattica digitale. Il Sessantotto, il Muro di Berlino e “Another brick in the Wall”

Secondo Novecento e didattica digitale. Il Sessantotto, il Muro di Berlino e “Another brick in the Wall”

Foto dell’autore

Abstract

L’articolo racconta due esperienze laboratoriali realizzate dall’Istituto Parri di Bologna. La prima è sul Sessantotto indagato attraverso una serie di fonti multimediali e l’utilizzo StoryMap e un ambiente digitale come e-Story; la seconda è invece sulla caduta del Muro di Berlino con l’obiettivo di stimolare una riflessione più ampia sulla presenza dei muri in età contemporanea. Mediante l’illustrazione dei due laboratori, l’autore riflette sulla progettazione di un’attività didattica digitale, sulla sua applicabilità e soprattutto ci accompagna, attraverso esempi concreti, in un ragionamento che coinvolge la funzionalità del linguaggio digitale rispetto ai contenuti storici.

Premessa

La prima questione da affrontare nella fase di progettazione di un’attività didattica digitale è la delimitazione dei confini di applicabilità. Ciò significa interrogarsi su quanto e quando il digitale possa risultare didatticamente significativo e non mera strategia comunicativa. Non è raro, infatti, che la valutazione immediata di un laboratorio o di una lezione realizzata con strumenti informatici sia limitata alle dimensioni estetica e comunicativa nelle quali a essere anzitutto messo in risalto è il linguaggio più vicino alle nuove generazioni. Questo, però, comporta una sottovalutazione delle potenzialità del digitale per la didattica e, di conseguenza, un utilizzo delle nuove tecnologie finalizzato alla sola strategia espositiva. Ritengo, invece, che il digitale possa rappresentare più di un semplice supporto. Vi sono, a mio avviso, situazioni precise in cui lo strumento digitale diviene esso stesso linguaggio funzionale a esplicare un determinato evento o processo storico e che gli specifici strumenti tecnologici utilizzati possano intrecciarsi con la narrazione o l’attività laboratoriale in maniera talmente pregnante da tramutarsi in un tutt’uno. La difficoltà consiste nell’individuare quei casi specifici per cui il ricorso al digitale risulti essere didatticamente significativo e, in seconda battuta, quali strumenti tecnologici utilizzare per raggiungere l’obiettivo prefissato. Provo a sciogliere questa difficoltà individuando come casi peculiari il Sessantotto e la caduta del muro di Berlino, presentando due attività didattiche, Il Sessantotto. Luoghi, protagonisti e colonna sonora e “Another brick in the Wall”. Trent’anni dalla caduta del muro di Berlino.[1]

 

Il Sessantotto. Luoghi, protagonisti, colonna sonora

Il Sessantotto è un’attività indirizzata all’intero ciclo della scuola secondaria di II grado, in particolare per le classi quarte e quinte, e per le classi terze della scuola secondaria di I grado. È suddivisa in due parti ben distinte:

  • Una questione generazionale, laboratorio con le fonti da svolgere in ingresso e caricato sulla piattaforma e-Story;[2]
  • Luoghi, protagonisti, colonna sonora, mappa interattiva e multimediale realizzata con StoryMap JS. [3]

La durata è variabile ma, per svolgere al meglio la parte laboratoriale in ingresso e garantire un approfondimento più specifico della StoryMap, sono consigliabili tre ore. In tal modo il laboratorio su e-Story occuperà grossomodo la prima ora, con una analisi più distesa delle fonti selezionate, e andrà a rappresentare un vero e proprio apripista per il percorso con StoryMap, sviluppato nelle due ore successive.[4]

 

Strumenti e ambienti digitali di progettazione: StoryMap e la piattaforma e-Story

Prima di entrare nei dettagli dell’attività, ritengo utile condividere le motivazioni che mi hanno convinto ad utilizzare StoryMap e non la classica presentazione Power Point o altri strumenti digitali come TimeLine,[5] e caricare il laboratorio con le fonti sulla piattaforma e-Story.

StoryMap permette la realizzazione di mappe interattive e multimediali per narrazioni spazio-temporali di biografie, eventi e processi storici. Ciascuna slide, oltre al testo riassuntivo del singolo evento e agli approfondimenti, è caratterizzata da una immagine iconica, una data, una geo-localizzazione. Il Sessantotto viene ripercorso nei suoi avvenimenti principali, livelli e ambiti diversi,[6] che però sono disposti su una linea cronologica dinamica[7] che, anziché ordinare gli eventi in un segmento consequenziale tipico delle linee del tempo, muove seguendo i luoghi geografici, restituendo la quasi simultaneità di eventi intercorsi in luoghi distanti geograficamente e con storie tanto differenti.[8] La scelta muove, quindi, dalla volontà di restituire la caratteristica peculiare del Sessantotto, ovvero la sua dimensione transnazionale. In tal modo lo strumento digitale diviene capace di restituire la caratteristica peculiare di un fenomeno con la sua sola struttura.

Prima ancora di ripercorrere il «lungo Sessantotto» risulta efficace far ragionare gli studenti sul Sessantotto in maniera molto specifica, mediante un laboratorio con le fonti da svolgere in ingresso. Tema del laboratorio è uno dei moventi originari di questo fenomeno, ovvero il dato generazionale. La scelta di caricare il laboratorio su e-Story, dando per assodato quanto il digitale possa agevolare l’apprendimento e garantire maggiore coinvolgimento della classe, ha una doppia motivazione. La prima è essenzialmente pratica ed è legata alla tipologia delle fonti multimediali scelte. Agli studenti vengono fornite quattro tipologie di documenti: un testo, Il manifesto di Port Huron (Michigan, 1962), due brani musicali, The Times They’re A-Changin’ (Bob Dylan, 1964) e Dio è morto (Francesco Guccini, 1967), e la scena finale del film Il laureato (Mike Nichols, 1967). Sviluppare un’attività laboratoriale sulla piattaforma e-Story permette di far acquisire agli studenti, oltre alle conoscenze e alle specifiche competenze disciplinari, anche competenze di media literacy.[9] La seconda motivazione è, invece, in un certo senso ideologica e dipende dalla natura stessa della piattaforma e-Story, quale spazio realizzato per la progettazione e condivisione di laboratori di storia (Digital Learning Environment).[10]

 

Una questione generazionale[11]: l’ordine del giorno a Port Huron

Nel suo saggio I movimenti del ’68 in Europa e in America  Peppino Ortoleva dedica ampio spazio a quello che definisce «carattere generazionale» del Sessantotto, sottolineando come la generazione giovane non fosse, come già in passato, solo un settore attivo della contestazione, ma intera base sociale. Aggiunge, inoltre, quanto il carattere giovanile della rivolta sia diretta conseguenza di una fase di mutamento storico-sociale avvertita, in primo luogo, dalle giovani generazioni, più direttamente coinvolte in questa fase cruciale di passaggio e volenterose di denunciare le contraddizioni della società degli anni Cinquanta-Sessanta.[12] Già dal suo sottotitolo, Agenda di una generazione, il Manifesto steso nella cittadina del Michigan nel 1962 da un gruppo di giovanissimi che andrà a formare il primo movimento studentesco del Sessantotto,[13] risulta essere particolarmente esplicativo di quanto sostenuto da Ortoleva. Agli studenti si riporta come, in primo luogo, il Manifesto di Port Huron venne definito dagli stessi estensori come «l’ordine del giorno» di una generazione che non solo prendeva coscienza delle contraddizioni esistenti nella società occidentale ma sceglieva la via dell’azione, mettendo per iscritto la denuncia delle ingiustizie presenti e la scelta dell’impegno per l’affermazione delle libertà individuali, la tutela dei diritti civili, la pace minata dall’atomica. Si procede, quindi, alla lettura di uno stralcio del Manifesto, cui seguiranno una serie di domande da analizzare in piccoli gruppi e/o singolarmente.[14]

 

Tempi che cambiano e preoccupazioni per l’avvenire: Dylan, Guccini e Dustin Hoffman

Con gli altri tre documenti si entra, invece, maggiormente sul piano della media literacy e, in particolare, delle competenze critiche di materiali multimediali. Agli studenti viene richiesta una interpretazione della scena finale de Il laureato al fine di evidenziare come malessere e desiderio di fuga fossero sensazioni caratterizzanti di una generazione impersonata nella figura di Benjamin, interpretato da Dustin Hoffman.[15]

Dall’analisi interpretativa di un materiale audiovisivo si passa a una riflessione critica sul contenuto di brani musicali dell’epoca. Vero e proprio inno ai cambiamenti che stavano avvenendo nella società americana il testo di The Times They’re A-Changin’, viene proposto in lingua originale e raffrontato con Dio è morto – il cui testo ispirato da L’Urlo di Allen Ginsberg, manifesto della Beat generation – contiene una serrata critica alla società consumistica dell’epoca ma, al tempo stesso, appare carico di speranze nei confronti di quella nuova generazione. Dei brani di Bob Dylan e Francesco Guccini sono evidenziati alcuni termini significativi e viene richiesto agli studenti di associarli a delle specifiche categorie.[16] All’ascolto e alla lettura del brano segue un’analisi dei termini da inserire in parole-chiave, come azione conclusiva del laboratorio e filo conduttore con la StoryMap.[17]

 

Luoghi, protagonisti, colonna sonora[18]: la periodizzazione

StoryMap è uno strumento piuttosto semplice e intuitivo.[19] Gran parte del lavoro di progettazione consiste nella fase di ricerca e nella scelta della periodizzazione e degli eventi, luoghi e protagonisti cui si vorrà dedicare una singola slide, nonché nella stesura dei testi. Per quanto concerne la periodizzazione la scelta è ricaduta sul lasso temporale compreso tra il 2 aprile 1958, quando sulle pagine del “San Francisco Chronicle” il giornalista Herb Caen definisce «Beatnik» gli appartenenti alla cosiddetta beat generation,[20] e il 30 agosto 1970, data conclusiva del Festival tenutosi sull’isola di Wight. Gli estremi della StoryMap, quindi, non risultano essere due eventi particolarmente significativi anche perché sarebbe stato piuttosto complesso e storicamente contestabile riuscire a individuare una data iniziale e finale del Sessantotto, date le specificità locali dei cosiddetti «tanti Sessantotto ». La scelta è quindi ricaduta su due eventi di secondo piano ma che permettono di racchiudere tutto il percorso sul «lungo Sessantotto» nella sua dimensione generazionale; la categorizzazione di quei giovani messi a margine del modello sociale americano, reso dialetticamente evidente con la fusione dei termini «Beat» e «Sputnik», è inteso come principio. La fine della stagione dei festival intesi non come semplici eventi musicali ma come momenti di aggregazione e condivisione per le giovani generazioni è, invece, posto come atto conclusivo.

 

Gli ambiti e i livelli

Delimitati i confini della StoryMap, la seconda fase della progettazione ha investito la definizione degli ambiti e dei livelli da affrontare. Muovendo dalle parole-chiave (antiautoritarismo, pacifismo, generazione, egualitarismo), dal binomio non violenza/violenza e dalla complessiva ribellione contro l’ordine costituito è stato possibile, considerando la dimensione spaziale come filo conduttore del percorso, focalizzare gli ambiti individuati in eventi storici, forme e luoghi di contestazione, movimenti di controcultura, forme artistiche quali la musica, il cinema e il teatro. Preciso che non si tratta di assi paralleli ma intersecanti e si è ragionato individuando argomenti che potessero al loro interno contenere ambiti e livelli differenti. Prendo il caso di Trento a titolo esemplificativo. Si parte dalla definizione del luogo, la facoltà di Sociologia di Trento e, essendo in ordine cronologico la prima slide che interessa un’occupazione di una università in Italia, si mostra come il Sessantotto italiano sia partito da un territorio di confine e non dalle città maggiori. In particolare ampio spazio è dedicato alla cosiddetta «settimana del Vietnam», momento dedicato dagli studenti trentini a manifestazioni, dibattiti, sit-in e mostre organizzate come atto di solidarietà con i colleghi statunitensi impegnati in un conflitto ritenuto folle e inutile.

La ferma opposizione all’impegno americano in Vietnam è riconducibile alle istanze antimilitariste e pacifiste, già emerse nel Manifesto di Port Huron, che caratterizzano l’intero arco dei movimenti studenteschi occidentali. Il sit-in come forma di contestazione s’inserisce nella dicotomia violenza/non violenza, tema caratterizzante del dibattito sul Sessantotto.[21] Le istanze anticapitaliste degli studenti trentini, se poi paragonate alle motivazioni che hanno spinto, ad esempio, gli studenti polacchi ad opporsi al regime di Gomulka e occupare le università, esemplificano come la ribellione contro l’ordine costituito fosse caratteristica comune della generazione. A occidente la ribellione investiva la società del benessere e il regime economico capitalistico, nell’Europa orientale i regimi filo-sovietici. Risulta interessante, inoltre, sottolineare la volontà non solo distruttiva ma costruttiva della contestazione. Prendendo, di nuovo, il caso trentino come esemplificativo il binomio distruzione/costruzione può essere riportato dal Manifesto per una università negativa.[22]

La logica antiautoritaria non investe, però, la sola dimensione universitaria. Ad essere messo in discussione è  prima di tutto il contesto familiare,[23] in una contestazione globale del potere che non risparmia mass media e mondo ecclesiastico.[24] Di particolare rilievo sono, inoltre, le istanze egualitarie che vedono la questione afro-americana centrale per il Sessantotto statunitense.[25] Sebbene, infine, i movimenti femministi saranno caratterizzanti principalmente degli anni Settanta, le istanze egualitarie mosse da giovani donne sono presenti anche nel Sessantotto, intrecciandosi all’anti-paternalismo in una logica di contrapposizione all’autoritarismo familiare. Le rivendicazioni del Gruppo demistificazione autoritarismo (Demau), primo gruppo femminista italiano, sorto a Milano nel 1966, vanno a sottolineare tutto questo, con un manifesto particolarmente significativo.[26]

Per quanto riguarda i movimenti di contro-cultura non ci si è limitati ai citatissimi hippie ed anzi, l’analisi di movimenti peculiari ha permesso di affrontare questioni significative come fenomeni di contro-cultura,[27] le tematiche ambientaliste[28] e l’uso di sostanze stupefacenti.[29]

Non si può, infine, pensare a un percorso sul Sessantotto non dedicando ampio spazio alla dimensione musicale. La colonna sonora del Sessantotto è, infatti, ricostruita in un percorso che, oltre richiamare agli album più significativi del periodo,[30] si concentra principalmente sui grandi eventi musicali e sulla concezione del concerto non come semplice ascolto di band e musicisti ma come momento di condivisione. Sono, a tal ragione, riportati il Monterey Pop Festival (16-18 giugno 1967), apice della «Summer of Love» e precursore dei più noti festival di Woodstock (15-18 agosto 1969) e dell’isola di Wight (26-30 agosto 1970), anch’essi presenti in mappa.[31]

 

Ragioni didattiche e strategie comunicative

Definiti gli ambiti e selezionati gli argomenti da affrontare nelle slide, la terza e ultima fase è la più laboriosa, perlomeno per un fattore tempo: ricerca dei contenuti, selezione delle immagini e stesura dei testi che, per ragioni comunicative, devono essere brevi e non superare le 600 battute spazi inclusi. La difficoltà sta proprio nel far coincidere questa necessità grafica di sintesi con la completezza del contenuto. È fuor di dubbio che un evento come la Primavera di Praga, solo per fare un esempio, sia impossibile da riassumere in 600 caratteri. In tal caso, però, lo strumento ci viene in aiuto; la possibilità di rinviare ad approfondimenti permette di poter sintetizzare in poche righe un evento di tale portata che sarà corredato, oltre che da una spiegazione orale del docente o dell’esperto, da immagini evocative, video, documenti. In tal modo il testo non è appesantito ed efficace dal punto di vista grafico-comunicativo. Al tempo stesso è garantito un contenuto, se non esaustivo, sufficiente per comprendere la complessità dell’evento, realizzando un prodotto didatticamente valido.

 

Another brick in the Wall. Trent’anni dalla caduta del muro di Berlino: struttura e obiettivi

Dell’importanza storica della caduta del muro di Berlino, probabilmente, è persino superfluo parlare in questa sede. Risulta, invece, interessante proporre un’attività che coinvolga gli studenti in una vicenda tanto complessa, ponendosi come obiettivo ulteriore quello di stimolare una riflessione sulla presenza dei muri nell’attualità, muovendo proprio dal significato della caduta del muro di Berlino, sia da un punto di vista storico che d’immaginario collettivo. Questa è la mission di Another brick in the Wall, attività didattica progettata per l’intero ciclo della scuola secondaria di II grado e le classi terze della scuola secondaria di i grado.

Il percorso, della durata di due ore, si articola in due parti distinte che rispondono a questo doppio obiettivo:

  • Storia del muro di Berlino, una lezione partecipata realizzata con una presentazione Power Point;
  • Outside the Wall?, una geolocalizzazione delle barriere presenti sul pianeta realizzata con MyMap.[32]

 

Storia del muro di Berlino

Storia del muro di Berlino occupa la prima ora e mezza e si sviluppa in un percorso a sua volta articolato in tre momenti, corrispondenti ad altrettante domande:

  • Perché un muro e perché a Berlino?
  • Come si è vissuto a Berlino tra il 1961 e il 1989?
  • Perché è caduto il muro e quali sono state le conseguenze?

La prima domanda, necessaria per la comprensione di uno degli eventi più significativi del secondo Novecento, permette, con una breve lezione frontale, di affrontare la Guerra fredda attraverso uno dei suoi simboli più caratterizzanti.[33]

Contestualizzato storicamente il muro, ci si sposta sul terreno del vissuto, restituito con un percorso per immagini che mira ad entrare nel quotidiano della vita dei berlinesi tra il 1961 e il 1989, coinvolgendo anche empaticamente gli studenti in una riflessione sul significato di avere una barriera fisica nella propria città tale da allontanare affetti e modificare la vita di tutti i giorni.[34] La narrazione per immagini consente, inoltre, di costruire un discorso capace di toccare ambiti diversi come i consumi, lo sport, la musica.[35] Non vi è dubbio, in base all’esperienza in classe, che le biografie delle persone che sono riuscite a superare il muro o che hanno perso la vita provandoci, siano la parte di questa sezione che riscontra la maggior curiosità da parte degli studenti.[36]

A chiudere la Storia del muro di Berlino è una StoryMap che ricostruisce il 1989.[37] La mappa ripercorre il crollo dei regimi comunisti nell’autunno dell’89, inserendo così la caduta del muro di Berlino all’interno di un evento più complesso che segna la fine della Guerra fredda. Particolare spazio è dedicato all’apertura del confine tra Ungheria e Austria, sottolineando come lo Stato ora governato da Viktor Orban sia stato nel 1989 il paese a tagliare per primo fisicamente la barriera tra Europa orientale e occidentale, e ad aprire il confine per permettere la libera circolazione di persone. Ed è proprio questo approfondimento a garantire il collegamento con la seconda parte dell’attività.

 

Outside the Wall?[38]. Geolocalizzazione dei muri nel mondo

Nell’immaginario collettivo l’abbattimento dell’icona della divisione non poteva che essere inteso come preludio di un mondo capace di ristrutturarsi superando il concetto stesso di separazione. La geolocalizzazione dei muri nel mondo restituisce, però, una realtà differente.[39]

L’impatto visivo è importante: agli studenti viene mostrata una cartina digitale, realizzata con MyMap, che conta 2 muri nel continente americano, 16 in Europa, 12 in Africa e ben 36 in Asia, ciascuno con la propria storia, quasi tutti accomunati dal medesimo obiettivo più o meno dichiarato, ovvero impedire la libera circolazione di persone. Ogni muro è geo-localizzato, accompagnato da un’immagine e un breve testo contenente la data di realizzazione, la lunghezza e la motivazione.

Il primo muro da presentare agli studenti è quello loro più noto, la barriera che separa gli Stati Uniti dal Messico. Un muro per impedire l’accesso di migranti messicani eretto dagli Stati uniti che per quasi un trentennio hanno combattuto il muro di Berlino, progettato pochi mesi dopo la caduta del simbolo della Guerra fredda in Europa. Particolarmente interessante è il caso di Rio de Janeiro dove ad essere impedito è il contatto stesso tra le persone, con un muro che divide la parte benestante della città dalle favelas. Mostrati rapidamente i muri più significativi dell’Asia[40] e dell’Africa,[41] l’attenzione si sposta in Europa. Richiamando all’impossibilità di libera circolazione fino al 1989, appare un’immagine del vecchio continente che, nonostante la libertà di circolazione intraeuropea garantita dal trattato di Schengen e il crollo della «cortina di ferro», conta ben 16 barriere. L’immagine è, quindi, quella di una vera e propria «fortezza assediata». In particolare viene richiamato agli studenti il caso dell’Ungheria e la quasi totale chiusura dei confini meridionali del paese. Ricollegandoci con la StoryMap sulla caduta del blocco orientale il confronto potrà apparire paradossale.[42] Se le «peace lines» di Belfast e la «green line» cipriota rimandano a peculiari storie nazionali, le restanti barriere presenti sul continente hanno tutte la medesima motivazione: impedire l’arrivo di migranti extraeuropei. L’immagine è quella di un’Europa intesa come spazio di libera circolazione al cui interno, però, e come mai prima nella storia, si alzano muri che questa libera circolazione mirano a impedire.

 

Bibliografia
  • A. De Bernardi e M. Flores, Il Sessantotto, Il Mulino, Bologna 1998.
  • G. Falanga, Non si può dividere il cielo. Storie dal muro di Berlino, Carocci, Roma 2017.
  • M. Flores e G. Gozzini, 1968. Un anno spartiacque, Il Mulino, Bologna 2018.
  • M. Kurlansky, 1968. L’anno che ha fatto saltare il mondo, Mondadori, Milano 2008.
  • F. Mastroianni, L’era dei muri che dividono il mondo. Le nuove frontiere della globalizzazione, in “Il Sole 24 ore”, 26 giugno 2018.
  • F. Monducci (a cura di), Insegnare storia. Il laboratorio di storia e altre pratiche attive,
  • F. Monducci e A. Portincasa, I muri nel mondo: una presentazione interattiva da costruire in classe, DeA Scuola, Novara 2019.
  • P. Ortoleva, I movimenti del ’68 in Europa e in America, Editori riuniti, Roma 1998.
  • A. Portincasa e I. Pizzirusso, Il digitale come risorsa per la didattica laboratoriale, in “Novecento.org”, 11, 2019.
  • P.C. Rivoltella e S. Ferrari, A scuola con i media digitali. Problemi, didattiche, strumenti, Vita e pensiero, Milano 2010.
  • F. Romero, Storia della Guerra fredda. L’ultimo conflitto per l’Europa, Einaudi, Torino 2019.
  • M. Tolomelli, Il Sessantotto. Una breve storia, Carocci, Roma 2008.

 

Strumenti digitali

 


Note:

[1] Attività presenti nel Piano dell’offerta formativa dell’Area didattica dell’Istituto Parri di Bologna.

[2] e-Story è uno spazio di progettazione e condivisione finalizzata alla creazione di un laboratorio in ambiente digitale. Per una descrizione dettagliata si rimanda a A. Portincasa e I. Pizzirusso, Il digitale come risorsa per la didattica laboratoriale, in «Novecento.org», 11, 2019.

[3] Tool gratuito di Google, realizzato da KnightLab, community di ricercatori della Northwestern University nell’Illinois specializzati nello sviluppo di software per il giornalismo online e lo storytelling.

[4] Qualora si avessero a disposizione due ore si consiglia di concentrare l’attività laboratoriale nella prima mezz’ora, selezionando solo uno dei quattro documenti disponibili, e di dedicare la restante ora e mezza alla StoryMap che contiene i contenuti di quei documenti da sviluppare, quindi non come attività laboratoriale ma al pari di una lezione partecipata.

[5] Anch’esso tool KnightLab utilizzato per la creazione di linee del tempo.

[6] Eventi storici, politica, forme e luoghi di contestazione, cultura e controcultura, arte, cinema, musica e teatro.

[7] Costruita idealmente con la disposizione delle slide.

[8] Emblematici sono Parigi e Belgrado o Praga e Montevideo, solo per fornire gli esempi più lampanti.

[9] S. Ferrari e P.C. Rivoltella (a cura di), A scuola con i media digitali. Vita e pensiero, Milano 2010 e Media literacy, https://nuovadidattica.wordpress.com/agire-didattico/8-la-comunicazione-e-le-relazioni-didattiche/media-literacy/, accesso del 25 marzo 2020.

[10] A. Portincasa e I. Pizzirusso, Il digitale come risorsa per la didattica laboratoriale cit.

[11] http://www.e-story.eu/digital-learning-environment-access/e-workshop/2018/05/02/prima-del-sessantotto-una-questione-generazionale/, accesso del 25 marzo 2020.

[12] P. Ortoleva, I movimenti del ’68 in Europa e in America, Editori Riuniti, Roma 1988, pp. 59-78.

[13] Students for a Democratic Society (SDS). Port Huron Statement (June 15, 1962), https://history.hanover.edu/courses/excerpts/111huron.html, accesso del 25 marzo 2020.

[14] A titolo esemplificativo, ne riporto di seguito alcune: prova a dare una breve definizione di «generazione»; chi erano i genitori di questi ragazzi?; quale era il loro vissuto?; analizzando esclusivamente i termini, cosa intendono gli studenti con «agenda per una generazione»?; fai un elenco di tutte le circostanze che svegliano la preoccupazione degli studenti e prova a dare una collocazione storica ad ognuno di questi eventi.

[15] https://www.youtube.com/watch?v=2TP4MuVnS2A, accesso del 25 marzo 2020.

[16] http://www.e-story.eu/digital-learning-environment-access/e-workshop/wp-content/uploads/2018/05/Schema-68_Lab-E-Story.pdf, accesso del 25 marzo 2020.

[17] Le slide della mappa si legano alle parole-chiave del laboratorio e sono disposte in un percorso che, muovendo dalla questione generazionale alla base del Sessantotto, mira a restituirne la transnazionalità.

[18] https://uploads.knightlab.com/storymapjs/7adec9fef93c2713073eb1a761df99ac/il-sessantotto-medie/index.html, accesso del 25 marzo 2020.

[19] Nella fase di strutturazione della mappa sarà necessario, sostanzialmente, indicare il luogo cui automaticamente lo strumento rimanderà attraverso la geo-localizzazione con GoogleMap, inserire un’immagine, scrivere un testo e linkare un approfondimento multimediale che può essere un testo presente sul web, un’immagine, un video.

[20] H. Caen, Business as Usual, in “San Francisco Chronicle”, 2 aprile 1958, http://brattononline.com/images/herbcaen.png, accesso del 25 marzo 1958

[21] Un buon approfondimento sul tema può essere il confronto con la battaglia di Valle Giulia, anch’essa in mappa.

[22] Il testo, ritenuto uno dei documenti più significativi del Sessantotto italiano, racchiude la volontà degli studenti non semplicemente limitata alla contestazione di una università quale «strumento di dominio» ma spinta verso la creazione di un luogo/contesto socioculturale, del quale essi stessi sono al tempo stesso fruitori e fondatori, nel caso specifico di una «università in negativo» capace di rovesciare il tipo di cultura trasmesso nonché la struttura accademica stessa e la metodologia didattica.

[23] Un caso per certi versi estremo è l’esperienza della Kommune 1 di Berlino ovest.

[24] Per il mondo dei media si segnala l’incendio della Axel Springer Haus in Germania ovest. Per la dimensione cattolica, invece, significativi i casi del quartiere Isolotto a Firenze e l’occupazione della cattedrale di Parma.

[25] Sono presenti, a tal proposito, la Marcia su Washington guidata da Martin Luther King conclusa col celebre discorso e il Black Panther Party, con un approfondimento sui dieci punti programmatici che permettono un confronto tra i due movimenti afroamericani.

[26] Manifesto programmatico del Gruppo Demau, Milano 1966, http://www.universitadelledonne.it/demau.htm, accesso del 25 marzo 2020.

[27] Il teatro d’avanguardia rappresenta negli Stati Uniti degli anni Sessanta una forma particolarmente attiva di controcultura: dei numerosi gruppi formatesi già agli inizi del decennio, i Diggers sarà quello maggiormente politicizzato. Dagli utopisti inglesi del 1649 riprendono non solo il nome ma, soprattutto, la critica della società basata su ricchezza, proprietà privata e disuguaglianza mirando a costruirne una nuova libera dal denaro, ironicamente superato dal cosiddetto “digger dollar”.

[28] I Provos olandesi aprono alla questione ambientale; a bordo delle loro biciclette giravano Amsterdam con dimostrazioni provocatorie e paradossali, al fine di stimolare la popolazione a una riflessione sull’ambiente, denunciando anzitutto l’inquinamento provocato dagli scarichi delle automobili.

[29] Lo stile di vita dei Merry Prankters, invece, permette di affrontare una questione significativa del Sessantotto, ovvero l’uso di stupefacenti e, in particolare, di sostanze psichedeliche. Nella mappa è presente anche un approfondimento musicale sul tema, con il brano Heroin dei Velvet Underground.

[30] Bob Dylan, The Times They’re A-Changin’ (1964), The Doors, The Doors (1967), Francesco Guccini, Folk beat n. 1 (1967), Fabrizio De Andrè, Volume I (1967), The Jimi Hendrix Experience, Are You Experienced (1967), Velvet Underground, The Velvet Underground & Nico (1967), Rolling Stones, Beggars Banquet (1968), Big Brother & the Holden Company, Cheap Thrills (1968), Plastic Ono Band, Give Peace a Chance (1969).

[31] Come approfondimenti sono stati scelti momenti significativi di questi eventi come, tra gli altri, il celebre “«acrificio della chitarra» che chiude la performance di Jimi Hendrix a Monterey, l’alba con i The Who al termine del secondo giorno di Woodstock e l’inno americano distorto dalla chitarra di Hendrix al terzo.

[32] Servizio gratuito di Google che permette la creazione di mappe personalizzate.

[33] In particolare si ricostruiscono le tappe principali che hanno portato alla costruzione del muro: la divisione della Germania decisa a Yalta e Potsdam, la crisi di Berlino del 1948-49 e la seguente creazione della Brd e della Ddr, gli ultimatum di Chruscev e le reazioni di J.F. Kennedy, sino all’operazione Rose.

[34] Ampio spazio è dedicato all’operato del servizio segreto tedesco-orientale Stasi e, al fine di evitare la superficiale narrazione che schiaccia l’est a luogo di miseria e dolore da contrapporre all’ovest caratterizzato dal benessere, viene affrontata una piaga che segna la Berlino occidentale, l’eroina narrata nel celebre romanzo di Christianne F., Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino.

[35] Un preciso approfondimento è dedicato a David Bowie, dal significato del suo brano più celebre Heores fino al concerto di Berlino del 1987, tenutosi a fianco del muro e con gli altoparlanti rivolti verso la parte est della città.

[36] A tal proposito si segnala G. Falanga, Non si può dividere il cielo. Storie dal Muro di Berlino, Carocci, Roma 2017. Ampio spazio è dedicato a storie di fughe da Berlino est a Berlino ovest.

[37] https://uploads.knightlab.com/storymapjs/7adec9fef93c2713073eb1a761df99ac/milano-da-bere/index.html, accesso del 25 marzo 2020.

[38] I Muri nel mondo, https://www.google.com/maps/d/u/0/viewer?mid=1B8GmWYtn5EtbQ_rhd0EPFTKRsiUZCo3U&ll=34.873234274781105%2C5.527751100000046&z=2, accesso del 25 marzo 2020.

[39] Non è possibile riportare in maniera precisa il numero dei muri presenti nel mondo. Con certezza sappiamo che nel 1989 erano presenti 16 muri, compreso quello di Berlino, ed oggi ce ne sono almeno 67, con un incremento significativo nell’ultimo decennio. A tal proposito si rimanda a F. Mastroianni, L’era dei muri che dividono il mondo. Le nuove frontiere della globalizzazione, “Il Sole 24 ore”, 26 giugno 2018.

[40] La «Linea di controllo» che di fatto divide le zone del Kashmir controllate da India e Pakistan, la «Durand line» minacciata reciprocamente da Pakistan e Afghanistan che rimanda a un contenzioso risalente addirittura al periodo coloniale. Un discorso a parte meriterebbe la «Barriera di separazione israeliana». Risulta particolarmente complesso restituire, con il poco tempo a disposizione, una vicenda tanto complessa.

[41] Interessante, in tal senso, è la ricostruzione delle vicende dei 12 muri presenti sul continente che permettono una doppia riflessione che porta ad individuare come le motivazioni delle barriere siano le medesime e, al tempo stesso, a prendere coscienza delle numerose migrazioni interne.

[42] In trent’anni l’Ungheria passa da essere il paese che fisicamente taglia la barriera garantendo la libera circolazione di persone dalla parte orientale a quella occidentale del continente, a essere il paese europeo maggiormente impegnato nella difesa dei confini nazionali minacciati dal flusso di migranti provenienti dal continente africano e dal Medio Oriente.

Dati articolo

Autore:
Titolo: Secondo Novecento e didattica digitale. Il Sessantotto, il Muro di Berlino e “Another brick in the Wall”
DOI: 10.12977/nov339
Parole chiave: , ,
Numero della rivista: n.14, agosto 2020
ISSN: ISSN 2283-6837

Come citarlo:
, Secondo Novecento e didattica digitale. Il Sessantotto, il Muro di Berlino e “Another brick in the Wall”, Novecento.org, n.. 14, agosto 2020. DOI: 10.12977/nov339

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