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Le elezioni del 1948 e la demonizzazione dell’avversario politico

Abtstract

Attraverso l’analisi di documenti iconografici e testuali lo studente è invitato a mettere in evidenza strumenti ed elementi utilizzati dalla propaganda, e le finalità da essa perseguite, nella demonizzazione dell’avversario politico, valutando altresì efficacia, limiti ed esiti di simili strategie e retoriche. Lo studio di caso vuol essere anche uno stimolo ad una più generale riflessione sulle possibili storture di un sistema democratico e delle sue dinamiche elettorali.  L’unità è composta da nove documenti iconografici e due brevi documenti scritti.

Durata

2 ore

elezioni 1948

Testo per docenti

Il dibattito sul ruolo dei CLN nel futuro dell’Italia

Nei mesi finali della lotta di Liberazione era nato un dibattito tra i partiti antifascisti sul possibile ruolo del Comitato di liberazione nazionale (CLN), nelle sue diverse articolazioni sul territorio (CLN di città, quartiere, villaggio, fabbrica), nell’Italia del dopoguerra. Le proposte azioniste e comuniste di fare dei CLN l’asse portante del nuovo regime democratico, sia a livello centrale sia a livello periferico, incontrarono l’opposizione dei democristiani e dei liberali, per i quali il il ruolo dei CLN avrebbe dovuto esaurirsi con la fine del conflitto: una permanenza di questi organismi, a giudizio della DC, si sarebbe configurata come un’imposizione, come una sorta di confisca della sovranità nazionale, la quale si sarebbe potuta esprimere pienamente solo tramite libere elezioni. Anche il PSI esprimeva le proprie perplessità, legate alla problematica unità d’indirizzo del CLN e al timore di possibili egemonie comuniste. Quanto agli anglo-americani, risultava chiaro che mai avrebbero permesso un futuro assetto del Paese imperniato sulla democrazia di base dei CLN, la cui capillare proliferazione, anche a livello economico, avrebbe potuto evocare in alcuni addirittura lo spettro di una repubblica dei soviet in chiave mediterranea.

Abbandonata quindi l’ipotesi di una palingenesi nazionale nel segno dei CLN e scongiurata ogni velleità di contrapposizione al governo del Sud, in nome di una superiore legittimazione popolare conquistata sul campo dai movimenti resistenziali nel Nord, i partiti antifascisti si apprestarono a diventare i protagonisti della rinascente vita democratica del Paese.

Partiti ed educazione civile-politica delle masse

Fondamentale fu il ruolo da essi esercitato in merito all’educazione civile e politica delle masse, che era stata oggetto di un ventennale indottrinamento, manipolazione e mobilitazione a fini totalitari da parte del regime fascista. In particolar modo, cattolici e comunisti, attraverso i loro apparati e reti organizzative, si adoperarono per realizzare per la prima volta, come ha sottolineato Angelo Ventrone, una “democrazia a partecipazione di massa”, svolgendo un’importante, e per certi versi capillare, opera di pedagogia politica.

Nella fase clandestina l’unanimismo aveva retto, pur a fronte di continue mediazioni e compromessi, in nome del condiviso fine supremo, la sconfitta del nazi-fascismo. Nel dopoguerra, invece, linee di frattura nella politica dei partiti ciellenistici iniziarono ad emergere già con il primo governo, guidato dall’azionista Ferruccio Parri (giugno-dicembre 1945): le differenti ideologie e scuole di pensiero, cui si ispiravano le diverse formazioni politiche, non potevano non riflettersi sulla compattezza della compagine governativa e sulla linea di condotta da intraprendere per ricostruire il Paese e affrontare le grandi sfide del tempo.

Guerra fredda e primi governi del dopoguerra

Le ferree logiche della Guerra fredda vennero ben presto a innestarsi sulla realtà italiana, inasprendo ulteriormente tensioni e sospetti reciproci. E’ in questa fase, segnata dai diktat della geopolitica e dalle esigenze di schieramento internazionale, che l’anticomunismo soppiantò l’antifascismo quale collante privilegiato per le forze che si riconoscevano nell’ideologia liberale, nel sistema capitalistico e nell’alleanza con gli Stati Uniti.

Successore di Parri fu il segretario della DC Alcide Gasperi, i cui primi tre governi (dicembre 1945- maggio 1947) videro ancora la presenza delle forze di sinistra. Degni di rilievo, in questa fase politica, il varo il 22 giugno 1946 della cosiddetta amnistia Togliatti (il segretario del PCI era allora ministro della Giustizia) per i reati di collaborazionismo, provvedimento necessario e non procrastinabile per avviare la pacificazione nazionale. E, tuttavia, applicato ai rei con eccessiva e talora sconcertante disinvoltura da parte di una magistratura che non fu non sottoposta ad alcun processo di epurazione. A merito di quei governi, ancora, va la firma del Trattato di pace (10 febbraio 1947), un difficile passaggio politico, del quale i tre grandi partiti di massa – DC, PCI, PSI – si assunsero la responsabilità.

Rottura dell’unità ciellenistica ma unanime approvazione della Costituzione

Il punto di rottura fu costituito dal IV governo De Gasperi, la cui nascita, il 31 maggio 1947, vide il PCI e il PSI andare all’opposizione: per la prima volta veniva a spezzarsi l’unione ciellenistica cementata dalla Resistenza.

Questa rottura politica non compromise però i lavori dell’Assemblea costituente, formata dai rappresentanti del popolo eletti il 2 giugno 1946 in concomitanza con il referendum istituzionale, e incaricata di redigere la nuova Carta costituzionale italiana: tutti i partiti antifascisti, a prescindere dalle differenti posizioni ideologiche, erano infatti consapevoli dell’importanza della Costituzione quale fondamento e garanzia per ogni cittadino di quei diritti e quelle libertà negate e calpestate per un ventennio dal fascismo. Questo era un retaggio resistenziale al quale tutti erano legati. Il 1° gennaio 1948 gli italiani salutarono l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, approvata il 22 dicembre 1947 a grandissima maggioranza – 453 voti favorevoli, 62 contrari –  dall’Assemblea costituente.

Referendum istituzionale: un’Italia divisa

Il referendum istituzionale del 2 giugno 1946, consultazione nella quale le donne, per  la prima volta nella storia d’Italia, poterono esercitare il proprio diritto di voto, aveva evidenziato la realtà di un Paese tutt’altro che uniforme, connotato da contrastanti sensibilità, condizioni sociali, storie, memorie. Se nelle aree settentrionali aveva spirato impetuoso, per riprendere la fortunata espressione coniata da Pietro Nenni, il “vento del Nord”, frutto delle speranze suscitate dalla guerra partigiana, non sottovalutabili erano, al tempo stesso, le folate di quel “placido vento del sud” (Arturo Labriola) che stava esercitando una indiscutibile egemonia nel Mezzogiorno. Di conseguenza, a livello nazionale, con uno scarto di circa 2 milioni di schede, si impose la Repubblica con 12.717.923 voti e una percentuale del 54,3% (a fronte di 10.719.284 voti per la Monarchia e una percentuale pari al 45,7%). Al contrario, nel Mezzogiorno, a prevalere furono i suffragi per la monarchia e per le formazioni di centro-destra, che ottennero risultati superiori alla media nazionale. Sintomatica, a tal proposito, la nascita nel 1946, ad opera del commediografo e giornalista Guglielmo Giannini, del Fronte dell’Uomo Qualunque, partito in grado di coagulare un’eterogenea compagine sociale, costituita da moderati, reazionari, qualunquisti, piccolo-borghesi, proprietari terrieri, pronti a riversare sui partiti ciellenistici del Nord frustrazioni ataviche, malesseri sociali, egoismi individuali e interessi familistici.

Elezioni del 1948 e tensioni ideologiche

Alle prime elezioni politiche della Repubblica, fissate per il 18 aprile 1948, si giunse in una situazione di crescente tensione politica e sociale – si pensi solo alle occupazioni delle terre da parte dei contadini nel Sud o alle lotte e rivendicazioni operaie nei centri industriali del Nord –, tale da spingere De Gasperi, alla fine del 1947, a parlare di un “puzzo acre di guerra civile” che iniziava ad aleggiare nel Paese.

In democrazia le elezioni politiche dovrebbero configurarsi come una competizione tra diversi partiti, tutti egualmente legittimati alla conquista del potere, i cui programmi e proposte dovrebbero essere vagliati dai cittadini, chiamati con il loro voto a esprimere la preferenza per questo o quell’indirizzo politico inerente le principali questioni del Paese. Le elezioni del 1948, se osservate alla luce di questi principi, non furono una normale competizione tra schieramenti avversari, ma assunsero piuttosto toni e valenze da “scontro di civiltà”, in cui a fronteggiarsi sembravano stagliarsi il principio del Bene e quello del Male, la Luce e le Tenebre. Sembrarono una contesa di stampo apocalittico, il cui esito avrebbe dischiuso o irrimediabilmente compromesso il futuro dell’Italia. La posta in palio era la scelta di campo ideologica e il modello di società e sviluppo economico che il Paese avrebbe dovuto perseguire. Il voto alla DC o al Fronte Popolare (unione elettorale di PCI e PSI) veniva ricondotto a rigide contrapposizioni e drastiche antinomie tra libertà/dittatura, sistema capitalistico/economia pianificata, proprietà privata/socializzazione dei mezzi di produzione. Contrapposizioni prive di qualsiasi gradazione, sfumatura, mediazione.

La demonizzazione dell’avversario politico

In tale clima esasperato, entrambi gli schieramenti diedero vita ad una campagna elettorale impostata sulla sistematica denigrazione dell’avversario, presentato non come un legittimo competitore nell’agone democratico, ma come un autentico nemico interno, traditore della Patria e al servizio dello straniero. Tesa a parlare alla “pancia” dei cittadini e a suscitare paure e angosce, la campagna elettorale fece ampio ricorso a tutto un repertorio retorico-iconografico funzionale a colpire l’immaginario collettivo e a mobilitare le masse in quella che veniva profilandosi come una crociata. Nei manifesti e nella stampa elettorale l’avversario politico era oggetto di invettive e caricature dai tratti zoomorfizzanti, razziali, mostruosi, secondo una prassi che ricalcava stilemi e stereotipi adottati in passato per disumanizzare il nemico – interno, esterno, religioso, razziale, di classe, di genere – e relegarlo a uno stadio prossimo all’animalità e ad una malvagità congenita in alcun modo emendabile.

Stefano Pivato ha scritto che “la Guerra fredda è stata definita «la massima fiction dell’epoca»: contrapposizioni frontali, guerriglia psicologica e scenari apocalittici contraddistinguono gli anni del secondo dopoguerra. Si tratta di una guerra di propaganda il cui vocabolario, proprio per l’enfatizzazione e l’esasperazione del linguaggio, attinge a piene mani dal mondo delle fiabe. La Guerra fredda è affollata di orchi, mostri, lucignoli e, sul fronte opposto, da fate e principesse che assolvono a una funzione salvifica. Pochi linguaggi come quello fiabesco si prestano a dare la rappresentazione di quell’accesa contrapposizione fra «amico» e «nemico» nella quale deformazioni, narrazioni fantastiche e personaggi favolistici accompagnano la dialettica tra fronti opposti” (S. Pivato, Favole e politica. Pinocchio, Cappuccetto Rosso e la Guerra fredda, Bologna, il Mulino, 2015, p. 11)

Creare stereotipi, suscitare angosce e timori

Come ha affermato Angelo Ventrone, “la costruzione di un’immagine stereotipata e quindi immutabile dell’avversario, oltre a confermarne la sua eterna pericolosità, serve ad accrescere i motivi di turbamento, di preoccupazione e quindi di mobilitazione. Ma è volta nello stesso tempo anche a giustificarne l’ostracismo, la persecuzione, lo sradicamento, perfino l’eliminazione fisica. Le accuse, dunque, variano nel corso delle epoche storiche, ma tendono comunque a concentrarsi sul pericolo che l’arrivo o la vittoria del nemico rompano gli assi portanti su cui si regge la società […] Insomma, utilizzare la figura del nemico e non quella del semplice avversario – le cui posizioni sono criticate, ma la cui presenza è accettata e legittima – significa giocare su un timore primario che accompagna la vita di ogni comunità. Il timore che la società, destrutturandosi, perda il proprio ordine, precipiti nel caos”.

Lo stesso autore ha sottolineato che “un carattere costante della nostra storia politica, fino ad anni molto recenti – si potrebbe dire, per certi versi, fino ad oggi – è la rappresentazione dell’avversario politico come un nemico interno, privo quindi di ogni legittimità nel governo del paese. Un nemico interno, peraltro, costantemente accusato di essere alle dipendenze del o dei nemici esterni, e dunque intento a complottare, più o meno apertamente, alle spalle dei propri connazionali […] la propaganda politica si fonda, molto spesso, sulla netta divisione della realtà in bene e male, in amico e nemico: quest’ultimo diventa così lo Straniero, l’Altro, il Male assoluto. E la dimensione iconografica si presta facilmente a questo gioco, sottolineando il legame tra elemento morale ed elemento fisico” (A. Ventrone, a cura di, L’ossessione del nemico. Memorie divise nella storia della Repubblica, Roma, Donzelli, 2006, p. IX e 19).

Il ruolo della Chiesa

La DC poté godere dell’aperto sostegno delle autorità ecclesiastiche e al massiccio impegno propagandistico profuso dai Comitati civici, fondati nel frattempo da Luigi Gedda. Lo stesso Pio XII, nel messaggio natalizio del 1947, aveva ammonito perentoriamente che “essere con Cristo o contro: è tutta la questione”: secondo il pontefice disertore e traditore sarebbe chiunque volesse prestare la sua collaborazione materiale, i suoi servigi, le sue capacità, il suo aiuto, il suo voto a partiti e poteri che negano Dio, che sostituiscono la forza al diritto, la minaccia e il terrore alla libertà, che fanno della menzogna, dei contrasti, del sollevamento delle masse, altrettante armi della loro politica, che rendono impossibile la pace interna ed esterna”.

Padre Lombardi, soprannominato il “microfono di Dio” per le sue famose prediche radiofoniche, fu esplicito nella veemente polemica contro le sinistre: “c’è un uomo, qui in Italia, che si erge a campione degli interessi nazionali […]. Ma è un cittadino russo. Si è schierato con la Russia dei senza Dio. Costui si chiama Togliatti […]. Va’ fuori d’Italia, va’ fuori straniero!” (G. Zizola, Il microfono di Dio. Pio XII, padre Lombardi e i cattolici italiani, Milano, Mondadori, 1990, p. 136).

L’allora vescovo di Genova, Giuseppe Siri, alla vigilia del voto si premurò di impartire una serie di “comandamenti” agli elettori:  “Primo: è grave obbligo di coscienza votare. Secondo: non votare costituisce di per sé peccato mortale. Terzo: c’è l’obbligo di votare solo per le liste e i candidati che danno sufficiente affidamento di rispettare i diritti di Dio, della Chiesa e degli uomini. Quarto: le dottrine materialistiche e conseguentemente atee nonché i metodi su cui poggia e vive il comunismo non sono conciliabili con la Fede e con la pratica cristiana in alcun modo […] Cinque: chi vota non attenendosi ai numeri 3 e 4 commette peccato mortale. Sesto: chi non vota e chi vota per candidati non ammessi […], non solo pecca mortalmente ma […] diventa correo e responsabile per sempre di tutte le conseguenti offese ai diritti di Dio e degli uomini” (L. Gedda, 18 aprile 1948. Memorie inedite dell’artefice della sconfitta del Fronte Popolare, Milano, Mondadori, 1998, p. 132).

Vittoria della DC, scelta del campo occidentale e “conventio ad excludendum”

La DC trionfò con il 48,7% dei voti: un successo che ridimensionò fortemente il polo delle sinistre, arrestatesi al 31% e in forte calo rispetto al 40% ottenuto da PCI e PSI due anni prima alle elezioni per l’Assemblea costituente, e che spianò la strada alla formazione di De Gasperi, destinata ad essere il partito di maggioranza relativa per oltre quarant’anni e il perno di ogni governo della Repubblica sino agli anni Novanta.

L’inequivocabile verdetto delle elezioni del 1948 sanzionò l’opzione dell’Italia per l’Occidente e il ruolo guida nella vita politica della DC che, dopo il centrismo degli anni Cinquanta imperniato su governi appoggiati dai piccoli partiti laici (PSDI, PRI), agli inizi degli anni Sessanta attirò il PSI nella sfera governativa, dando avvio a quella stagione del centro-sinistra che disattese, peraltro, le tante speranze riposte in incisive riforme strutturali.

Relegata in soffitta, perlomeno temporaneamente, ogni velleità rivoluzionaria, il PCI si incamminò lungo la via della democrazia progressiva, come ebbe a definirla Togliatti, dibattendosi però in una irrisolta “doppiezza” (Pietro Di Loreto) tra adesione ai principi costituzionali e riferimenti ideologici marxisti. Era un partito socialdemocratico nella prassi politica, il PCI di Togliatti e dei suoi successori, nonché strenuo difensore, in taluni momenti drammatici per il Paese, dei valori della Costituzione. Ma, a livello ideologico, continuò a proclamarsi comunista: un’antinomia scioltasi definitivamente solo agli inizi degli anni Novanta, con la fine del PCI e la nascita di un nuovo soggetto politico.

A giudizio della DC, dei suoi alleati di governo e dell’amministrazione statunitense, una vittoria elettorale del PCI avrebbe comportato un pericolo estremo per l’ordinamento democratico dell’Italia e per l’alleanza atlantica. Tali valutazioni determinarono nella prassi politica quella conventio ad excludendum, per usare la formula coniata da Leopoldo Elia, che finì per privare il sistema della possibilità di un’alternativa e di un ricambio delle classi dirigenti al potere: la “scomunica” dei comunisti veniva così a sancire quel “blocco di sistema” che Massimo Salvadori ha individuato quale esiziale anomalia della storia nazionale italiana, e a consolidare quel “bipartitismo imperfetto” (Giorgio Galli) incapace di garantire l’alternanza tra i due poli. Un sistema affetto quindi da permanente zoppia, con una opposizione impossibilitata, per ragioni di principio, a cessare di essere tale.

Bibliografia e sitografia
  • Guido Crainz, Autobiografia di una repubblica, Roma, Donzelli, 2009
  • Giovanni De Luna, Il 18 aprile, in Mario Isnenghi (a cura di), I luoghi della memoria: paesaggi e date dell’Italia unita, Roma-Bari, Laterza, 1997
  • Angelo M. Imbriani, Vento del Sud. Moderati, reazionari, qualunquisti (1943-1948), Bologna, il Mulino, 1996
  • Rosaria Leonardi, Il sacro come strumento politico: le elezioni del 1948, la Democrazia Cristiana e i manifesti elettorali, 2014, in http://escholarship.org/uc/item/5xc8172d#page-1 (ultimo accesso maggio 2016)
  • Pietro Di Loreto, Togliatti e la «doppiezza». Il PCI tra democrazia e insurrezione (1944-49), Bologna, il Mulino, 1991
  • Stefano Pivato, Favole e politica. Pinocchio, Cappuccetto Rosso e la Guerra fredda, Bologna, il Mulino, 2015
  • Massimo L. Salvadori, Storia d’Italia e crisi di regime, Bologna, il Mulino, 1994
  • Pietro Scoppola, La Repubblica dei partiti. Evoluzione e crisi di un sistema politico (1945-1996), Bologna, il Mulino, 1997
  • Angelo Ventrone, Il nemico interno. Immagini, parole e simboli della lotta politica nell’Italia del Novecento, Roma, Donzelli, 2005
  • Angelo Ventrone (a cura di), L’ossessione del nemico. Memorie divise nella storia della Repubblica, Roma, Donzelli, 2006
  • Angelo Ventrone, La cittadinanza repubblicana. Come cattolici e comunisti hanno costruito la democrazia italiana 1943-1948, Bologna, il Mulino, 2008
  • Chiara Volpato, Deumanizzazione. Come si legittima la violenza, Roma-Bari, Laterza, 2011
  • La rinascita del Parlamento. Dalla liberazione alla Costituzione: documenti, voci, immagini in mostra alla Camera dei Deputati, Camera dei Deputati. Fondazione della Camera dei Deputati, Milano, Leonardo International, 2006 (con DVD)
  • http://pinocchio-e-pinocchiate.blogspot.it/2012/07/pinocchio-anticomunista-elezioni-del.html (ultimo accesso maggio 2016)

Dossier
  • Documento 1

Vengono presentati i seguenti manifesti elettorali per le elezioni del 1948:

1.1 Voto cristiano (1948, manifesto a cura dei Comitati civici)

1.2 Vota o sarà il tuo padrone (1948, manifesto a cura dei Comitati civici)

1.3 Difendetemi (1948, manifesto della DC)

1.4 W il Fronte democratico? Capovolgi e vedrai la frode (1948, cartolina)

1.5 Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no! (1948, manifesto di Giovanni Guareschi)

1.6 L’ultima trasformazione “Cecchino Truman” (1948, manifesto del Fronte popolare)

Il manifesto alludeva ai trascorsi di deputato al parlamento austriaco prima e durante la Grande guerra del segretario della Dc Alcide De Gasperi, rappresentato con l’elmo chiodato, tipico dell’esercito tedesco, e con in mano una mazza ferrata, particolare che richiamava le brutalità commesse durante il conflitto dagli austriaci, soliti usare questo strumento per assestare il colpo fatale ai soldati italiani rimasti storditi nelle trincee dalle esalazioni dei gas. De Gasperi indossa anche la divisa della Militar Police americana, chiara denuncia del suo servilismo nei confronti del nemico, rappresentato ieri dagli austriaci e, nel 1948, dagli americani.

1.7 Tutti uniti contro i servi di Truman! (1948, manifesto del PCI)

Il presidente degli Usa Harry Truman manovra, come dei burattini, Mario Scelba, ministro degli Interni, Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio, Luigi Einaudi, ministro delle Finanze e del Tesoro, Carlo Sforza, ministro degli Esteri

1.8 Io non voto (1948)

1.9 Le avventure di Pinocchio (1948, opuscolo a fumetti di 8 pagine)

La tavola conclusiva dell’opuscolo recita:

“questo albo è dedicato a coloro che – essendo creduloni come Pinocchio – prestano fede  alle apparenze delle cose. Infatti solo le teste di legno ignorano che dietro il volto di Garibaldi – che è il contrassegno del Fronte democratico popolare – si nasconde la faccia di Stalin. Perciò: CHI VOTA PER IL FRONTE DEMOCRATICO POPOLARE VOTA PER IL COMUNISMO. Apri gli occhi, dunque! Non lasciarti ingannare. Comportati da uomo libero e non da burattino. Operai, contadini, lavoratori! VOTATE CONTRO IL COMUNISMO E CONTRO IL CAPITALISMO. Entrambi vi ingannano”

Le tavole a fumetti dell’opuscolo sono riprodotte in: http://pinocchio-e-pinocchiate.blogspot.it/2012/07/pinocchio-anticomunista-elezioni-del.html (ultimo accesso maggio 2016)

  • Documento 2

Vengono riportati due documenti di propaganda degli opposti schieramenti. Il primo, dal titolo sarcastico Paradiso dei comunisti, evoca i terrificanti effetti di una presa del potere da parte delle sinistre, mentre il secondo (Quaderno dell’attivista) oppone drasticamente i fautori dell’indipendenza nazionale, della pace e della libertà a coloro che invece vengono bollati come individui asserviti agli interessi stranieri e alle logiche del capitalismo.

  • Attività extra

Lo studio di caso sulle elezioni del 1948 e la demonizzazione dell’avversario politico potrebbe essere completato con la visione di Don Camillo (1952), film del regista Julien Duvivier con Gino Cervi e Fernandel, tratto dal romanzo di Giovanni Guareschi.

Il film potrebbe costituire un ulteriore spunto di riflessione sulla realtà e il clima sociale dell’Italia negli anni Cinquanta, su alcuni stereotipi presenti nella caratterizzazione dei due protagonisti – il parroco e il sindaco comunista – e sulle ragioni che determinarono il grande successo di pubblico della pellicola.

Testo per gli allievi

Nel dopoguerra si affermò ben presto un clima internazionale di forte tensione definito “guerra fredda”. Stati Uniti (USA) e Unione Sovietica (URSS), alleati nel conflitto contro Hitler, si scontravano ora in nome di due opposte e inconciliabili ideologie: il liberalismo e l’economia capitalista da un lato, il comunismo e l’abolizione della proprietà privata dall’altro. Questa lotta per l’egemonia mondiale investì anche l’Europa e il nostro Paese, con notevoli ripercussioni.

In questa situazione internazionale, le elezioni politiche del 18 aprile 1948 non furono una normale competizione tra differenti programmi e proposte, ma assunsero piuttosto l’aspetto di uno “scontro di civiltà” tra il principio del Bene e quello del Male. Gli italiani vennero chiamati a decidere da che parte l’Italia dovesse schierarsi e a quale modello di sviluppo dovesse fare riferimento: votare DC significava scegliere i valori liberali, il sistema capitalistico e l’alleanza con gli USA, votare il Fronte Popolare (unione elettorale di PCI e PSI) significava invece optare per il comunismo e l’ideologia dell’URSS.

Poiché la posta in gioco era decisiva per il futuro dell’Italia, sia la DC sia i partiti del Fronte popolare diedero vita ad una campagna elettorale dai toni esasperati. Fu una propaganda impostata sulla sistematica denigrazione dell’avversario, presentato come un autentico nemico interno. Questa propaganda non si fece scrupoli nel ricorrere a immagini e retoriche che avevano lo scopo di suscitare paure e angosce negli elettori. I messaggi erano rivolti più alla sfera dell’emozione che a quella della razionalità. La campagna elettorale assunse un tono da crociata. L’eventualità di una vittoria delle forze di sinistra non venne considerata come un possibile e legittimo esito delle elezioni ma come una minaccia alla libertà e alla democrazia da sventare a ogni costo. Al contrario, la vittoria della DC venne presentata come la presa definitiva di potere da parte dei padroni e la soggezione dell’Italia al volere degli USA.

La Dc trionfò ottenendo il 48% dei voti, mentre il Fronte Popolare si arrestò al 31%, in netto calo rispetto al 40% ottenuto complessivamente dal PCI e PSI due anni prima, alle elezioni per l’Assemblea costituente. Nei decenni che seguirono, la DC rimase sempre il partito di maggioranza relativa e, sino agli anni Novanta del secolo scorso, costituì il perno di ogni governo della nostra repubblica.

Documenti
  • Documento 1 – Le immagini della propaganda

Manifesti elettorali delle elezioni politiche del 1948:

battifora_1-11.1 Voto cristiano (1948, manifesto a cura dei Comitati civici)

battifora_1-21.2 Vota o sarà il tuo padrone (1948, manifesto a cura dei Comitati civici)

battifora_1-31.3 Difendetemi (1948, manifesto della DC)

battifora_1-41.4 W il Fronte democratico? Capovolgi e vedrai la frode (1948, cartolina)

battifora_1-51.5 Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no! (1948, manifesto di Giovanni Guareschi)

battifora_1-61.6 L’ultima trasformazione “Cecchino Truman” (1948, manifesto del Fronte popolare)

battifora_1-71.7 Tutti uniti contro i servi di Truman! (1948, manifesto del PCI)

battifora_1-81.8 Io non voto (1948)

battifora_1-91.9 Le avventure di Pinocchio (1948, opuscolo a fumetti di 8 pagine)

  • Documento 2 – Suscitare timori e angosce

Paradiso dei comunisti (volantino, 1948, a cura della propaganda DC)

“I lavoratori saranno trattati da schiavi. I borghesi saranno soppressi e sostituiti da nuovi gerarchi. I cristiani saranno deportati o uccisi. Le università insegneranno a costruire bombe atomiche per l’imperialismo russo. I templi serviranno ai balli. La gioventù sarà proprietà dello stato padrone. La famiglia verrà sacrificata all’egoismo. La pace domestica sarà distrutta dal divorzio e dal libero amore. La civiltà sarà il sole dell’avvenire che in Russia e altrove fa piangere lacrime di sangue. Il comunismo è contro natura, per questo è fallito”.

Quaderno dell’attivista (a cura della Commissione Propaganda del Pci, 1948)

“[gli italiani sono posti] davanti ad una scelta chiara e precisa: da una parte l’indipendenza nazionale, la difesa della pace, delle libertà democratiche riconquistate con il sangue dei nostri figli migliori, il rinnovamento delle strutture economiche e sociali che hanno impedito finora la ripresa e la normalizzazione del paese; dall’altra parte l’asservimento allo straniero, la preparazione di una nuova spaventosa guerra, il soffocamento delle libertà democratiche e il consolidamento della dittatura democristiana, il ritorno al dominio incontrollato dei grossi capitalisti che vogliono condannare le masse popolari alla miseria e al perpetuo sfruttamento”.

(testi citati in Angelo Ventrone, La cittadinanza repubblicana. Come cattolici e comunisti hanno costruito la democrazia italiana 1943-1948, Bologna, il Mulino, 2008, p. 262 e 254)

Indicazione metodologica
  1. contestualizzazione

– cerca nel manuale le parti che si riferiscono al periodo storico preso in esame da questo studio di caso. Individua e spiega brevemente gli eventi che portano alla nascita della divisione in blocchi del mondo.

– individua nel manuale di storia, scorrendo rapidamente anche le pagine che si riferiscono ai periodi precedenti alla seconda guerra mondiale, fatti ed eventi nel corso dei quali siano stati messi in atto processi di costruzione del nemico interno.

  1. rapporto testo/documenti

– il testo sottolinea come le elezioni del 1948 non siano state una normale competizione tra partiti politici ma abbiano assunto l’aspetto di uno “scontro di civiltà”.

Individua i documenti che, secondo te, possono avvalorare questa definizione.

– analizza i documenti e sottolinea le frasi, le espressioni, le immagini attraverso le quali un partito creava l’immagine negativa del suo nemico.

  1. analisi dei documenti

–  nel documento n. 2 si presentano due testi satirici, usati da un partito per ironizzare sull’avversario. Cerca quelle immagini che possono riferirsi a questi testi

– cerca di individuare a quali settori della società italiana fossero specificamente indirizzati i messaggi di ognuno dei manifesti elettorali sottoposti alla tua analisi e spiega il perché.

  1. scrittura

Costruisci un testo che inizierà con la tua spiegazione del significato dell’espressione “demonizzazione del nemico”. Proseguirai dimostrando, con l’aiuto dei documenti, che la politica italiana dell’immediato dopoguerra fu caratterizzata da questo processo. Chiudi con brevi considerazioni sul presente: ti sembra che anche oggi si faccia uso di questo strumento politico?

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Dati articolo

Autore:
Titolo: Le elezioni del 1948 e la demonizzazione dell’avversario politico
DOI: 10.12977/nov179
Parole chiave: ,
Numero della rivista: n.8, agosto 2017
ISSN: ISSN 2283-6837

Come citarlo:
, Le elezioni del 1948 e la demonizzazione dell’avversario politico, Novecento.org, n. 8, agosto 2017. DOI: 10.12977/nov179

Dossier n. 8, agosto 2017

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