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Il massacro di Aigues-Mortes. Un caso di xenofobia o guerra tra poveri?

Il massacro di Aigues-Mortes. Un caso di xenofobia o guerra tra poveri?

Rielaborazione grafica del disegno di G. Stern (1893) sul massacro di Aigues-Mortes – Scan review, Pubblico dominio, Collegamento

Debate presentato alla Summer school 2018
dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri
e legato al dossier tematico

Tolleranza e intolleranza. Stranieri e diversi nel mondo contemporaneo

Abstract

Il 17 agosto 1893, nella Francia meridionale, i lavoratori italiani impiegati nelle saline di Aigues-Mortes vennero fatti oggetto di un linciaggio da parte di una folla inferocita. I morti a tutt’oggi accertati furono dieci. Su quell’episodio venne montata una campagna di stampa che ebbe echi internazionali e creò tensioni diplomatiche fra Italia e Francia. Il dibattito presentato agli studenti verte sull’interpretazione dei fatti in chiave xenofoba o di guerra tra poveri.

Indice

Presentazione

Questo esempio di debate parte da un episodio accaduto ad Aigues-Mortes, nella Francia meridionale, nell’agosto del 1893 quando una decina di operai italiani impiegati nelle locali saline fu brutalmente uccisa in seguito ad uno scoppio di violenza incontrollata che vide protagonisti alcuni abitanti del posto e altri operai francesi che lì si trovavano per ragioni di lavoro. Il compito a cui sono chiamati gli studenti è quello di sostenere una delle due seguenti tesi:

  1. l’episodio è frutto di un diffuso sentimento di xenofobia che sfocia nell’uso della violenza;
  2. l’episodio nasce dalle difficili condizioni economico-lavorative imposte dal lavoro nelle saline e si configura come una «guerra tra poveri» che prescinde da questioni razziali.

Per lo svolgimento di questa attività è auspicabile che gli studenti possiedano delle nozioni relative all’Italia liberale, alla depressione economica degli ultimi decenni dell’Ottocento, alle trasformazioni economiche nelle campagne e avvio dell’emigrazione di massa in Italia, alla questione degli equilibri internazionali (triplice alleanza, tensioni franco-tedesche, ecc.).

Il materiale che si fornisce, comprende alcuni passi storiografici che inquadrano la questione dai due differenti punti di vista, una serie di documenti e una sintesi storiografica che offre una solida interpretazione degli eventi e del fenomeno in generale. Per quel che attiene ai documenti, da distribuire agli allievi senza alcun ordine prestabilito, qui vengono organizzati per comodità in 4 sezioni:

  • Xenofobia (11 documenti)
  • Guerra fra poveri (13 documenti)
  • Documenti problematici (che lasciano cioè aperta l’interpretazione; 7 documenti)
  • Documenti ulteriori (5; possono essere eventualmente aggiunti alla cartella dei materiali da fornire ai ragazzi)

All’interno di ciascuna sezione sono presenti documenti coevi agli eventi narrati e brani storiografici di narrazione o commento ai fatti. Per facilitarne l’individuazione, i documenti coevi sono contrassegnati da (*).

LA VICENDA (clicca per approfondire)

Premesse sul contesto

Per la raccolta del sale e la vendemmia, nei mesi di agosto e settembre la cittadina di Aigues-Mortes si riempiva di lavoratori stagionali. Nelle saline erano richiesti da 1.200 a 1.300 uomini, reclutati per lo più da altre zone della Francia (lavoratori provenienti dalle zone montuose del dipartimento di Ardèche – i cosiddetti ardechois – e lavoratori nomadi, i cosiddetti trimards) o dall’Italia. I lavoratori italiani erano soprannominati piémos (piemontesi), sebbene molti venissero anche dalla Toscana e da altre zone rurali d’Italia. Negli anni erano stati segnalati più volte problemi di «sicurezza» (per lo più furti campestri) legati all’afflusso di un numero ingente di persone in cerca di lavoro, a fronte di un reparto di gendarmeria composto da soli 4 uomini. Gli appelli volti ad aumentare il numero di gendarmi erano sempre rimasti senza ascolto. L’alto numero di lavoratori stagionali acuiva, inoltre, un altro problema endemico della cittadina, ovvero – in assenza di sistemi di derivazione – la mancanza d’acqua durante i periodi di siccità.

Nelle saline di Peccais, estese per due-tremila ettari, le condizioni di lavoro erano pessime. Le saline della Fangouse e della Goujouse – quelle in cui si ebbe la prima rissa – si trovavano a otto chilometri dal paese. I lavoratori stagionali vi venivano trasportati in barca, con i viveri necessari alle due settimane di lavoro previste. Là, dormivano in capanne (cambuses), praticamente vestiti, su pagliericci di erba secca di palude. Nei cantieri l’acqua veniva portata a dorso di mulo e razionata dalla società proprietaria delle saline, la Compagnie des Salins du Midi (CSM). Durante il lavoro, il sale – complici il sudore e il vento di mistral – si appiccicava alla pelle, ma lavarsi e lavare i panni era pressoché impossibile.

La produzione del sale richiedeva varie operazioni. A maggio si pulivano e livellavano i bacini che avrebbero raccolto l’acqua salmastra, trasportata, tramite un sistema di pompe azionate dai muli, fino al bacino di Peccais. Quando diventava di un colore rossastro, l’acqua veniva canalizzata verso le caselle salanti, dove si attendeva che si completasse l’evaporazione. La raccolta poteva iniziare quando il tappeto salino raggiungeva i 6 centimetri di spessore. La prima fase consisteva nella «battitura»: con un piccone si doveva rompere la crosta formatasi col processo di essiccazione e disporre il sale in mucchi o in cumuli (questa fase si concludeva, di solito, il 14 agosto). Di seguito, partiva la «raccolta» vera e propria, che durava circa 8 giorni. Il sale ammucchiato veniva trasportato con le carriole alle aie di ammassamento, dove veniva disposto in enormi mucchi di forma triangolare (chiamati « piramidi»), ricoperte poi da tegole per evitare le intemperie. Alla fine dell’800 le «piramidi» raggiungevano anche i venti metri di altezza. Gli operai dovevano spingere le carriole, che arrivavano a pesare anche un centinaio di chili, su passerelle con forti pendenze. La giornata di lavoro iniziava alle sei di mattina e finiva alle sette di sera, con diverse pause nel mezzo. Il vitto, sia a pranzo che a cena, consisteva in pane, minestra e caffè. Le operazioni iniziali del lavoro venivano pagate a forfait e svolte soprattutto da manodopera locale o regionale. La base tariffaria era di almeno 5 franchi al giorno. Battitura e raccolta andavano invece svolte rapidamente – in caso di temporali il raccolto sarebbe andato perduto – e venivano pagate a cottimo. Dal 1885 in poi, questa parte del lavoro veniva affidata soprattutto a lavoratori italiani, organizzati da capisquadra piemontesi o toscani, che erano in grado di ottenere, per i loro gruppi, salari che raggiungevano anche i 10-12 franchi al giorno.

Figura 1: Mappa delle saline di Peccais alla fine del XIX secolo [1]   

Nel 1893 la CSM aveva reclutato, come sempre, i capisquadra un mese prima della raccolta. Cinque di essi erano italiani e già esperti del lavoro. Nell’agosto, vennero poi assunti 621 italiani e 7-800 francesi. I cantieri venivano organizzati per affinità geografiche, perché i capisquadra potessero comunicare con gli operai. I pochi lavoratori aiguesmortesi si trovavano nella salina di Perrier, vicinissima alla cittadina. Nelle saline più distanti si trovavano invece italiani e lavoratori francesi provenienti da fuori. Qui, nel 1893, si dovettero formare gruppi «misti» e questo aspetto fu all’origine delle tensioni sfociate poi nel massacro di lavoratori italiani.

Trascorsa la festività del 15 agosto, la mattina del 16, in paese, alcuni stagionali francesi, cui non era stato dato il lavoro, avevano rivolto minacce verso i capisquadra che stavano radunando i lavoratori sulle barche per il trasferimento alle saline. La mattina del 16 alla salina Fangouse erano presenti 300 operai (circa 200 italiani e 100 francesi), organizzati in una decina di squadre. Sembra che sin dal mattino ci siano stati attriti, tra i trimards e i piémos. I secondi accusavano i primi di non riuscire a tenere il ritmo del lavoro che, data la paga a cottimo corrisposta collettivamente alla squadra, determinava il guadagno della giornata. Lo svolgimento dei fatti diverge nei racconti e si basa solo sulle testimonianze degli operai presenti sul posto. In una delle squadre miste, durante la mattinata ci furono insulti e provocazioni reciproche fra trimards e piémos. Un piemontese venne aggredito da un francese, con l’accusa di averlo sfiorato con la carriola. Allora questi (o un suo collega), in gesto di sfida, immerse un indumento (chi dice un fazzoletto, i pantaloni o la camicia) intriso di sudore, nella tinozza dell’acqua potabile dei trimards. Vista la penuria di acqua potabile, il gesto venne ritenuto una grossa provocazione. I trimards risposero lanciando blocchi di sale e pietre sulle cambuse degli italiani e ne ferirono uno. Durante la pausa del pranzo, i piémos – che erano in maggioranza numerica nella salina della Fangouse – decisero di cacciare i trimards dal cantiere. Questi si rifugiarono nella casa del guardiano della salina, ma uno di loro fu colpito da tre pugnalate, mentre altri (forse cinque) furono feriti da pietre e bastonate. I trimards andarono allora in cerca di rinforzi, mentre moltissimi piémos, presagendo il pericolo, scapparono dal posto di lavoro. In un primo momento, i trimards raggiunsero la vicina salina di Goujouse, dicendo che una banda di italiani aveva assalito la casa del salinaio di Fangouse, dove si trovavano anche bambini. I due guardiani della Goujouse, dopo aver avvertito i gendarmi del paese, si precipitarono sul posto e riuscirono a sedare gli animi. All’arrivo dei gendarmi, l’arresto di due piémos (fra cui l’unico italiano chiamato a processo per i fatti di Aiuges-Mortes, Giovanni Giordano) fece nuovamente surriscaldare gli animi, ma il parapiglia rientrò dopo il rilascio dei due. Nel frattempo, il gruppo dei trimards, raggiunto il paese ed esibendo i feriti, diffuse la notizia della morte di alcuni aiguesmortesi per mano di italiani. La distanza dalla salina impediva di verificare la notizia, che si propagò rapidamente, allarmando gli abitanti della città.

I fatti

Da questo momento, la convergenza delle fonti permette una ricostruzione precisa.

Alle tre del pomeriggio del 16 agosto, una squadra di italiani (diretta dal toscano Giuseppe Ciutti), che si era radunata davanti al panificio per la distribuzione degli stipendi e il pagamento dei conti con la proprietaria del panificio, venne assalita da un gruppo armato di bastoni. Una cinquantina di italiani si rifugiò nel panificio. Il sindaco, avvisato del pericolo, convocò la brigata di gendarmeria, rinforzata da 15-20 doganieri, 4 guardie campestri e il commissario di polizia, e chiese rinforzi al prefetto di Nîmes. L’assalto al panificio si protrasse più o meno fino a mezzanotte, quando le forze dell’ordine riuscirono a far allontanare gli assalitori. Ma la tregua durò poco e l’assedio riprese.

Alle due del mattino arrivò in paese il prefetto di Gard. Già alle quattro venne richiesto l’intervento dell’esercito, ma questo sarebbe arrivato solo alle 6 di sera. Durante il lunghissimo intervallo di tempo, la cittadina di Aigues-Mortes fu praticamente nelle mani dei rivoltosi.

La mattina del 17 agosto, il sindaco si procurò una carrozza per trasportare gli italiani rifugiati nel panificio fino alla stazione. Con tre viaggi e sotto il lancio di pietre e la minaccia di bastonate, 35 italiani vennero portati al treno. La folla si andava però ingrossando e il sindaco rinunciò al trasposto degli ultimi 15 italiani, che rimasero bloccati nel panificio.

Nel frattempo, al grido di «Tutti alle saline!», un gruppo di circa 300 trimards partì alla volta della Fangouse. Li precedette la gendarmeria, che fece in tempo a radunare gli italiani nelle cambuse prima dell’arrivo dei trimards, ma non riuscì a proteggerli dagli assalti degli stagionali francesi. Ci furono alcuni feriti. L’assalto cessò alla promessa che gli italiani sarebbero stati mandati via. Scortati dai gendarmi, i piémos si avviarono a piedi verso la stazione della città, inseguiti dai trimards che lanciavano pietre e tentavano di bastonarli. Fino a quel momento, non si era avuto ancora nessun morto.

Intanto, ad Aigues-Mortes, a partire dalle dieci di mattina, si era andata formando una seconda banda, composta di aiguesmortesi che, richiamati dal suono di un tamburo, si organizzarono per la «caccia all’orso» (ossia all’«italiano»: l’espressione risale probabilmente agli antichi carnevali pirenaici). Sentendo il suono del tamburo – richiamo pubblico alla riunione della comunità in caso di minacce – molti aiguesmortesi presero il fucile e si unirono alla folla in marcia, diretta alla Fangouse.

Gli italiani provenienti dalle saline, giunti a circa 700 metri dalle mura di Aigues-Mortes, si trovarono stretti in una morsa. Davanti ai pochi gendarmi presenti, insufficienti a proteggerli, parecchi italiani vennero spinti in un fossato e colpiti a bastonate. Qui si ebbero le prime due vittime. Ciononostante, il corteo proseguì sotto i colpi degli assalitori fino alle mura del paese, lungo le quali correva una stradina molto stretta che limitava il passaggio. Gli appelli delle numerose autorità presenti – il prefetto del Gard, il sindaco, l’agente consolare, il giudice di pace, il giudice istruttore e un procuratore della repubblica – non bastarono a sedare gli animi.

Nel tentativo di mettere in salvo gli italiani, si intimò al signor Granier, proprietario di una vicina cascina, di aprire i cancelli. Questi, dopo aver inizialmente acconsentito, di fronte alla minaccia dei concittadini di dare alle fiamme la sua casa, richiuse l’accesso. Iniziò allora la seconda fase del massacro, a colpi di sassate e manganellate, sotto gli occhi impotenti di gendarmi e autorità. A coloro che, a questo punto, tentarono di scappare correndo attraverso le vigne, si sparò coi fucili.

Figura 2: Mappa di Aigues-Mortes con i luoghi del massacro [2]

Verso mezzogiorno del 17 agosto, gli italiani rimasti (38, sui 90 partiti dalla Fangouse quella mattina), vennero radunati all’interno delle mura cittadine, nella torre di Costanza. I due avvisi fatti affiggere dal sindaco nel tentativo di fermare l’assedio, non bastarono a sedare gli animi.

Alle sei di sera giunse finalmente l’esercito – un reggimento di fanteria e una cinquantina di soldati di cavalleria – che alle otto riuscì a scortare alla stazione e far partire alla volta di Nîmes o di Marsiglia, i lavoratori italiani.

Il bilancio delle vittime della giornata, secondo la versione oggi più documentata[3] – sul numero dei morti si diedero molte versioni – fu di dieci morti e oltre un centinaio di feriti, tutti di nazionalità italiana.

Nessuno dei cittadini francesi accusati delle uccisioni di Aigues-Mortes venne condannato nel processo tenuto ad Angoulême alla fine dello stesso anno.


 

Il debate e l’insegnamento della storia

Sottoporre a “processo” un evento, una fase, un tema storico – in questo caso il massacro di Aigues-Mortes –, analizzare criticamente i vari aspetti del problema e soppesare la legittimità storiografica di tesi contrastanti, consente allo studente, impegnato nella controversia, di cogliere la complessità e problematicità della questione presa in esame, non riducibile a banali schematizzazioni o a generici giudizi.

Il debate, applicato alla storia, non deve mirare a incentivare abilità retoriche negli studenti o a sviluppare una vis polemica fine a se stessa, ma si ripromette di far crescere in loro la capacità critica, l’attitudine all’analisi dei documenti e al dibattito storiografico.

Un obiettivo da perseguire tramite un’attività didattica stimolante, innovativa e coinvolgente.

Sequenza didattica

  • l’insegnante introduce una differente interpretazione degli eventi di Aigues-Mortes tramite la lettura di due brevi brani dalla tesi opposta.
  • dopo aver brevemente introdotto e inquadrato l’argomento oggetto della discussione, l’insegnante propone un piccolo dossier, composto da una decina/quindicina di brevi documenti, preceduti da sintetiche note esplicative sull’autore. All’occorrenza il docente può fornire rapide informazioni o ulteriori delucidazioni sugli autori dei brani, sul contesto storico ecc.
  • divisa la classe in due gruppi, si estrae a sorte (oppure decide il docente) il compito, apologetico o critico, affidato ad ognuno di essi: il gruppo A dovrà quindi “difendere” la tesi del massacro xenofobo, il gruppo B sostenere invece quella della guerra tra poveri.
  • i due gruppi avranno un tempo assegnato per esaminare il dossier e prepararsi al proprio compito, apologetico o critico.
  • il giorno convenuto – o la stessa mattina, qualora il tempo a disposizione per il debate sia di almeno 2 ore consecutive – si terranno le due “orazioni”, che dovranno risultare ben impostate e convincenti.
  • dopo aver ascoltato le due relazioni, ogni gruppo farà le obiezioni alle tesi dell’altro; la discussione dovrà vertere sulla bontà e fondatezza degli argomenti portati a sostegno della propria tesi. Si dovranno citare i documenti, si potrà criticare la lettura che di questi è stata fatta dal gruppo avversario, si potrà rispondere alle critiche. Sarà cura del docente garantire l’ordinato svolgimento della discussione.
  • la “giuria”, composta dall’insegnante, affiancato eventualmente da altri colleghi disponibili a prendere parte al progetto didattico, prenderà nota delle obiezioni e delle risposte, ai fini di una valutazione storiografica. Il docente può assegnare un punteggio alle argomentazioni delle due squadre in base alla loro maggiore o minore attendibilità. Nel caso di un debate multidisciplinare si terrà conto, ovviamente, anche degli aspetti linguistici, letterari ecc.
  • l’insegnante alla fine della discussione comune potrà stabilire il punteggio finale e decretare il gruppo vincitore. Questa opzione, demandata alla libera scelta del docente, riveste un carattere puramente strumentale ai fini della riuscita dell’attività didattica: si può anche decidere di non decretare la vittoria di un gruppo sull’altro per puntare invece alla individuazione dei punti forti e deboli delle argomentazioni dei due gruppi.
  • alla fine – in realtà è questo il momento decisivo del laboratorio – il docente presenterà agli studenti un testo da lui ritenuto tra i più aggiornati, autorevoli e significativi sull’argomento. Entrambi i gruppi, a prescindere dal punteggio ottenuto e dalle argomentazioni svolte, si confronteranno con questo testo. Lo scopo è quello di osservare se e in quale misura gli studenti riescono a cogliere differenze e analogie tra il ragionamento professionale dello storico e le argomentazioni portate nel dibattito a sostegno o detrimento di determinate tesi.

Per iniziare. Due tesi a confronto

Tesi #1 - Le violenze come forma di xenofobia

L’Italia ha dimenticato quella feroce caccia all’italiano nelle saline della Camargue, alle foci del Rodano, che vide la morte di un numero ancora imprecisato di emigrati piemontesi, lombardi, liguri, toscani. Basti dire che, stando all’archivio del Corriere della Sera, le (rapide) citazioni della carneficina dal 1988 a oggi sui nostri principali quotidiani e settimanali sono state otto. Per non dire degli articoli dedicati espressamente al tema: due. Due articoli in venti anni. Contro i 57 riferimenti ad Adua, i 139 a El Alamein, i 172 a Cefalonia…

Eppure, Dio sa quanto ci sarebbe bisogno, in Italia, di recuperare la memoria. Che cosa fu, Maurice Terras, il primo cittadino del paese, se non un «sindaco-sceriffo» che cercò non di calmare gli animi ma di cavalcare le proteste xenofobe dei manovali francesi contro gli «intrusi» italiani? Rileggiamo il suo primo comunicato, affisso sui muri dopo avere ottenuto che i padroni delle saline, sotto il crescente rumoreggiare della folla, licenziassero gli immigrati: «Il sindaco della città di Aigues-Mortes ha l’onore di portare a conoscenza dei suoi amministrati che la Compagnia ha privato di lavoro le persone di nazionalità italiana e che da domani i vari cantieri saranno aperti agli operai che si presenteranno. Il sindaco invita la popolazione alla calma e al mantenimento dell’ordine. Ogni disordine deve infatti cessare, dopo la decisione della Compagnia».

[Stella G. A., Prefazione, in Barnabà E. 2008, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes, 1893, Formigine (Modena): Infinito edizioni, p. 7]

Eppure, ai tempi del suo accadimento – a parte l’ovvia riprovazione e le doppiezze di giudizio delle pubbliche autorità, dei governi e delle diplomazie degli Stati che vi si confrontarono (la Francia e I’Italia) – sollevò un vasto allarme sociale, variamente testimoniato dalle cronache […] per quanto di fanatico e di selvaggio fece emergere dal fondo oscuro di un certo popolo francese di provincia ancorato all’idea di una sua autoctona diversità, avvertita come superiorità nazionale, con esiti immediati di xenofobia e di razzismo.

A distanza ormai di tanto tempo, si potrebbe dire che si trattava di una sorta di pervasiva espansione e fermentazione in un elementare tessuto popolare sia del nazionalismo […] sia di quel razzismo che, sempre a un livello alto-medio dell’establishment, pur con assai diversa declinazione sociale, aveva alimentato l’antisemitismo dell’Affaire Dreyfus. Una xenofobia dai caratteri densamente razzisti, congeniale al quadro d’ordine, ovvero alla configurazione gerarchica e nazional-patriottarda, delle società europee del tempo, che era il tempo dell’imperialismo. […]Lì, al provinciale mercato di lavoro operaio delle Salins du Midi […], affluivano, ovviamente perché richiesti dai padroni locali, gli emigrati stagionali italiani, avvertiti dalla gente come infettanti e infetti «invasori» (e forse anche come un detestabile volontariato di crumiraggio) che invero costituivano un vistoso effetto umano della Grande Depressione.

[Marino G. C., Introduzione, in Barnabà E. 2015, Aigues-Mortes, il massacro degli italiani, Formigine (Modena): Infinito edizioni, pp. 13-15]

[Il massacro di Aigues-Mortes] costituisce oggi l’esempio più truce di xenofobia operaia in qualsiasi storia dell’immigrazione. È innegabile che gli autori dei crimini perpetrati quel giorno fossero di nazionalità francese, e che tutte le vittime fossero di nazionalità italiana. Laurent Dornel ha dimostrato, dati alla mano, che negli ultimi decenni del XIX secolo gli antagonismi nazionali erano diventati sempre più numerosi in Francia. […] Per capire le dinamiche che portarono l’«identità nazionale» ad azionare il braccio degli assassini e a legittimare i loro crimini, occorre allontanarsi dal campo di battaglia, elevarsi e ricollocare gli eventi nel processo globale che portò alla «nazionalizzazione» della società francese.

[Noiriel G. 2010, Il massacro degli italiani. Aigues-Mortes, 1893. Quando il lavoro lo rubavamo noi, Milano: Tropea, p. 55]

Tesi #2 - Le violenze come esito di una guerra tra poveri

 

Il fatto di Aigues-Mortes dell’agosto 1893 – un contrasto e un urto tra operai italiani e francesi impiegati nel duro lavoro delle saline – era, in effetti, una delle tante manifestazioni di una conflittualità che in Francia riguardava non solo, ma certo particolarmente la manodopera italiana, permanente e stagionale, ma ebbe un’eco enorme e durevole. […] La risonanza anche al di là dell’Italia e della Francia, fu determinata dal fatto che quello scontro per la concorrenza in particolare nel lavoro a cottimo, si concluse in modo tragico, con il massacro di una decina di operai italiani. Allora si parlò di centinaia di morti – e ancora in molte pubblicazioni, anche recenti, le cifre delle vittime continuano a essere gonfiate e imprecise – ma quale che fosse il numero dei colpiti, quella guerra tra i poveri, quella caccia selvaggia allo straniero, quel sangue di miseri proletari rilevavano un dramma inedito e spaventoso del lavoro, che avrà purtroppo dall’Europa alle Americhe tante altre espressioni e di cui Aigues-Mortes diventerà il simbolo cupo e ammonitore.

[…] In[oltre] l’eco e l’emozione per i fatti di Aigues-Mortes ebbero una parte straordinaria perché quel sangue per un conflitto di lavoro tra operai di due Paesi vicini aprì una ferita dolorosa; suscitò un problema serissimo per il Partito socialista italiano, che aveva appena un anno di vita, e per tutto il movimento operaio e socialista europeo, per l’Internazionale socialista (risorta nel 1889 a Parigi) che aveva appena celebrato, proprio in quel mese di agosto, un congresso a Zurigo in cui si era discusso anche il problema dell’emigrazione. […]A chi aveva detto che Aigues-Mortes smentiva Zurigo, Labriola risponde al contrario che quell’eccidio confermava le idee della solidarietà e del socialismo e l’opera di fratellanza e unione proletarie di tutto il mondo. Labriola ricorderà anche che proprio in quel congresso i delegati italiani avevano fatto una «notevole confessione» e dato «una prova di grande abnegazione» riconoscendo che i nostri operai emigranti all’estero erano «di non poco impaccio all’azione dei partiti socialisti» e «di grave turbamento alla resistenza operaia nella linea strettamente economica dei salari». Su questa base di verità veniva quindi sollecitata un’opera paziente di chiarimento, di formazione, di propaganda che doveva impegnare in Italia e all’estero le organizzazioni politiche sociali del proletariato.

[Natta A., Introduzione, in Barnabà E. 2008, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes, 1893, Formigine (Modena): Infinito edizioni, pp. 11-13]

Tre mondi sociali (la comunità locale di Aigues-Mortes, i lavoratori stagionali e i «trimards») estranei gli uni agli altri e profondamente destabilizzati da una crisi economica senza precedenti, si ritrovarono faccia a faccia senza averlo voluto, costretti ad accettare il lavoro forzato imposto dalla potente Compagnie des Salins du Midi (CSM) pur di non morire di fare. Bastò una piccola goccia per far traboccare il vaso.

[Noiriel G. 2010, Il massacro degli italiani. Aigues-Mortes, 1893. Quando il lavoro lo rubavamo noi, Milano: Tropea, p. 13]

Dossier per il debate

È evidente che ogni docente potrà individuare i documenti che riterrà più opportuni per il lavoro con la propria classe: il presente dossier ha quindi un valore puramente indicativo e presenta un numero rilevante di documenti che certamente potrà essere ridotto a seconda delle specifiche esigenze didattiche; anche il singolo documento può essere eventualmente accorciato.

Documenti

 

Xenofobia

Doc. 1

Il clima politico francese, tra nazionalismo, protezionismo, razzismo

Concause dell’accentuarsi degli incidenti vanno naturalmente ricercate nel clima politico generale connotato, da un lato, dalle spinte nazionaliste e protezioniste di fine secolo e, dall’altro, dal peggioramento delle relazioni italo-francesi.

Sono gli anni della Revanche[4], in cui l’imperativo della rivalsa contro la disfatta di Sedan alimenta i nazionalismi di personalità quali Déroulède, Boulanger o Barrès (quest’ultimo, proprio nei giorni del massacro, coniugando nazionalismo e protezionismo, rivendica la protezione del «lavoro nazionale così come si fa col grano, con le pecore o con le stoffe»); sono gli anni dell’espansione coloniale con quel tanto di ideologia razzista che essa suppone: non poteva in perfetta buona fede dichiarare nel 1890 un uomo come Jules Ferry che «le razze superiori hanno il dovere di civilizzare le razze inferiori»?

Sono gli anni in cui l’occupazione francese della Tunisia (1881), la stipulazione della Triplice Alleanza (1882) e gli scatti d’orgoglio nazionale – immancabilmente diretti oltralpe – del primo governo Crispi (1887-91) avvelenano i rapporti tra i due Paesi. Nel 1888, la tensione raggiunge la fase più acuta. La parola guerra risuona a più riprese mentre falliscono i negoziati per il rinnovo del trattato commerciale. Le ostilità vengono ristrette al terreno doganale, ma è guerra e, come afferma Crispi alla Camera, anche nelle guerre economiche ci sono morti e feriti. È musica per le orecchie dei protezionisti e dei protetti dei due Paesi. L’interscambio precipita verso il basso e, contestualmente, si accentua la conflittualità sui mercati finanziari.

[fonte: Barnabà E. 2008, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes, 1893, Formigine (Modena): Infinito edizioni, p. 29]

Doc. 2

La psicosi dell’invasione

Soggiacente all’esasperazione nazionalista è una sorta di psicosi dell’invasione: lo straniero spinge da tutti i lati e conquista silenziosamente l’Esagono[5] con il rischio che prima o poi nella vecchia Gallia l’elemento francese cessi di essere prevalente. Il pericolo dell’invasione viene prospettato come duplice dalla stampa nazionalista: se la manodopera straniera «toglie il pane dalla bocca» agli operai autoctoni, essa rappresenta anche un antigene che attacca il corpo sano della società francese. Ecco alcuni esempi riferiti in particolare all’immigrazione italiana: «Gli italiani cominciano ad esagerare con le loro pretese. Presto ci tratteranno come un Paese conquistato. (…) Fanno con-correnza alla manodopera francese e si accaparrano i nostri soldi a vantaggio del loro Paese»[6]. Da qui – come fa Le Jour[7] – l’invito al governo a proteggere gli operai francesi da «questa merce nociva, e peraltro adulterata che si chiama operaio italiano», di difenderli contro «l’insolenza e la brutalità degli stranieri che li spogliano» e di farlo senza scrupoli perché «l’italiano non nutre nessuno e mangia da tutti»; così La Lanterne[8], che sostiene la necessità di prendere provvedimenti «contro un’orda di affamati che a casa loro languiscono nella miseria»; così L’Autorité[9], auspicando che il governo «difenda meglio il lavoro nazionale, i francesi, operai o non, contro l’invasione degli stranieri». Frequentemente si cita l’esempio degli Stati Uniti, dove «gli operai cinesi, la cui razza pullulante minacciava di invadere tutto, sono stati messi al bando»[10]. Si agitano naturalmente anche gli spauracchi dell’immoralità, della criminalità e della sicurezza dello stato: «La presenza degli stranieri in Francia costituisce un pericolo permanente, spesso questi operai sono delle spie; generalmente sono di dubbia moralità, il tasso di criminalità è elevato: del venti per mille, mentre nei nostri non è che del cinque per mille»[11].

Già dalla metà degli Anni ’80 aveva cominciato a circolare un opuscolo, L’invasion pacifique de la France par les étrangers, cui questa stampa attinge a piene mani. Per l’autore, Marchal-Lafontaine, la Francia sta subendo una sorta di colonizzazione, silenziosa ma in realtà tutt’altro che pacifica. Si lascia addirittura intravedere lo spettro della quinta colonna: gli immigrati stanno subdolamente infettando il corpo sociale del Paese e sono ormai in grado di «formare un grosso esercito»[12]. Parole pesanti, che sembrano nascere da un’angoscia analoga a quella che proverà (e diffonderà con successo) Maurice Barrès di fronte alla «minaccia» rappresentata dai «cosmopoliti», dagli «sradicati» e dai barbari (cioè gli stranieri).

[fonte: Barnabà E. 2008, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes, 1893, Formigine (Modena): Infinito edizioni, pp. 33-34]

Doc. 3 (*)

L’invasione

Il decremento della natalità, il processo di esaurimento della nostra energia (è da cent’anni che i nostri compatrioti più attivi si distruggono nelle guerre e nelle rivoluzioni) hanno portato all’invasione del nostro territorio e del nostro sangue da parte di elementi stranieri che s’adoprano per sottometterci.

Una volta vivevamo seguendo idee comuni e istinti (buoni o cattivi) universalmente accettati come buoni nel nostro territorio in tutta la sua estensione; oggi si è insinuato tra di noi un gran numero di nuovi colonizzatori (di varie formazioni), che non abbiamo la forza d’assimilare, che non sono forse assimilabili, per i quali bisognerebbe almeno determinare un rango sociale, e che vogliono imporci il loro modo di pensare. Ciò facendo, credono di civilizzarci; contrastano invece la nostra civiltà. Il trionfo del loro modo di vedere coinciderebbe con la completa rovina della nostra patria. Il nome della Francia potrebbe forse sopravvivere e conservare magari una certa importanza nel mondo; lo speciale carattere del nostro Paese ne sarebbe tuttavia distrutto e il popolo insediatosi con il nostro nome sul nostro territorio, si avvierebbe verso destini che sono in contraddizione con i destini e i bisogni dei vecchi francesi.

[fonte: Maurice Barrès, Contre les étrangers, agosto 1893, citato da Barnabà E. 2008, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes, 1893, Formigine (Modena): Infinito edizioni, p. 34]

Doc. 4

La crisi di identità del Midì francese

L’alta concentrazione della presenza straniera gioca, certo, il ruolo principale, ma essa va inserita nella situazione specifica del Midi che, in quegli anni, attraversa una grave crisi d’identità dovuta all’affermarsi del modello di sviluppo imposto dal capitalismo parigino («francese» saremmo tentati di dire, traducendo così il termine occitano – peraltro assai spregiativo – di franchimard) a scapito degli equilibri tradizionali. Sembra legittimo ipotizzare l’esistenza di sentimenti xenofobi originati dal tentativo di affermare, sia pure in negativo, la propria identità già entrata in crisi e che si teme ulteriormente attaccata dalle periodiche ondate migratorie. Non è casuale, d’altra parte, il fatto che episodi del genere avvenissero nella stessa epoca in Corsica, nei confronti degli immigrati «lucchesi», come venivano e talvolta vengono ancora chiamati con una sfumatura peggiorativa gli italiani in genere.

[fonte: Barnabà E. 2008, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes, 1893, Formigine (Modena): Infinito edizioni, p. 35]

Doc. 5 (*)

Si è fratelli ma…

Queste lotte fra operai di diverse nazioni ci fanno tristamente riflettere ancora una volta al contrasto stridente che c’è fra quanto ogni giorno si dice nei Congressi, nei meeting, e quanto ogni giorno avviene sul teatro del lavoro. Il più sviscerato sentimento di fratellanza si afferma fra tutti gli operai; da un continente all’altro si sentono fratelli. Ma in patria gli operai e i loro capi non sono teneri per i loro compagni d’altri Paesi, che vengono a lavorare e a vivere accanto a essi. Si è fratelli, ma a condizione di restare ognuno a casa propria. «Non vi sono più stranieri, non più frontiere, noi siamo fratelli, soffriamo gli stessi mali, e siamo sfruttati in tutto il mondo terrestre allo stesso modo», dicono gli apostoli più ardenti dell’internazionalismo – ma intanto dall’America, dalla Svizzera, dalla Francia, ci giungono dolorosi e straziati i lamenti di questi stranieri che non dovrebbero più esistere, e che si vedono respinti dalla terra a cui non possono dare il dolce nome di patria.

E i governi sono loro malgrado trascinati a inaugurare una nuova forma di protezionismo, rispondente alle nuove correnti e al trionfo delle nuove idee. Ieri erano i produttori, oggi sono gli operai, che domandano di essere protetti, e i governi cedono, e intanto si mantiene più vivo che mai quello che Goethe chiamava l’egoismo di patria.

[fonte: Sitta P., L’emigrazione degli italiani in Francia, 26 agosto 1893, citato da Barnabà E. 2008, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes, 1893, Formigine (Modena): Infinito edizioni, p. 40]

Doc. 6

La caccia all’uomo

Gli operai che dopo i primi tafferugli erano corsi in città, vi portano notizia dell’accaduto. Le cose vengono fortemente esagerate, si parla di attacchi a tradimento, di morti e di feriti. L’immaginazione meridionale, secondo il procuratore generale, fa il resto. Anche Alphonse Daudet volle evidenziare fattori etnici e climatici: «Non bisogna dimenticare – dirà lo scrittore di Nîmes in occasione del processo – che il dramma d’Aigues-Mortes si è svolto in pieno mese d’agosto ed in pieno Mezzogiorno. Giudicare questa faccenda senza tenere conto dei riverberi del sole sulle zucche provenzali equivarrebbe a rifiutare di rendere giustizia. I delitti del nord non sono quelli del sud»[13].

Quando il giudice di pace torna dalla Fangouse, ci si stupisce che non riporti cadaveri. La sua versione dell’accaduto non riesce tuttavia a calmare l’eccitazione che si era impadronita della città. La voglia d’impartire una severa lezione agli italiani accomunava abitanti di Aigues-Mortes, trimards[14] e disoccupati rimasti in città. Nelle prime ore del pomeriggio inizia la caccia all’italiano. Una folla preceduta da un drappo rosso, urlando frasi quali «Viva l’anarchia! Viva Ravachol[15]! Morte agli Italiani!», aggredisce tutti gli italiani che incrocia per le strade. Alcuni trovano rifugio in caserma o nella prigione cittadina, altri in case private o nelle campagne vicine. Giacomo Balduzzi, un operaio bergamasco proveniente da Clusone in Val Seriana e suo figlio Bortolo, un ragazzo di 18 anni, vengono colpiti di sorpresa con «inaudita ferocia» (secondo le loro stesse parole); gravemente feriti al viso e alla testa, vengono messi al sicuro da don Mauger, parroco di Aigues-Mortes, che li porta nella propria abitazione.

[fonte: Barnabà E. 2008, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes, 1893, Formigine (Modena): Infinito edizioni, pp. 65-66]

Doc. 7

La «caccia all’orso»

Verso le tre, il bayle[16] italiano Giuseppe Ciutti, che si trova con parte della sua squadra nel panificio Fontaine in Piazza San Luigi, nel cuore della città, sente gridare «Avanti! A caccia dell’orso!»[17]. «La grande piazza – racconta – era invasa da gente armata di randelli. In quel momento, con me c’erano 62 uomini che avevo riunito nel panificio per saldare il conto del pane. Due di loro che cercarono di uscire rientrarono tutti sanguinanti inseguiti dei francesi». Il signor Vical, fratello della proprietaria del panificio, viene colto di sorpresa e si affretta a sprangare la porta.

[fonte: Barnabà E. 2008, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes, 1893, Formigine (Modena): Infinito edizioni, pp. 66]

Doc. 8 (*)

Il massacro vissuto da un superstite

Usciti all’aperto e postici al riparo dei gendarmi, che avevano ricevuto un rinforzo di 20 uomini, noi salutammo i francesi al grido di «Viva la Repubblica! Viva la Francia!» agitando i cappelli. I francesi seguivano la nostra colonna tirando qualche pietra e gridando: «Morte agli italiani! Andate da Crispi! Vogliamo il vostro sangue!» e altre grida simili. Per un chilometro le cose procedettero meno male, quand’ecco avanzarsi da Aigues-Mortes un’altra colonna di dimostranti – circa 400 –  preceduta da due bandiere, una tricolore e una rossa con sopra scritto in italiano: «Morte agli italiani! Oggi ne faremo salsicce!»

Fattisi più arditi per tale inatteso rinforzo, i primi dimostranti circondarono la nostra colonna, e non curanti dei gendarmi che tentavano invano di proteggerci, cominciarono una vera grandinata di sassi e bastonate contro di noi inermi e quasi prigioni. La colonna era giunta vicino a un fosso d’irrigazione di piccola larghezza e pochissima profondità che costeggia la strada. Allora i dimostranti raggruppatisi dal lato opposto cominciarono a respingerci per farci cadere nell’acqua. Una diecina dei nostri infatti caddero nel canale. I gendarmi, per paura di peggio, fecero affrettare il passo alla colonna abbandonando forzatamente i caduti in mano ai nostri nemici.

Fu in questo momento che cominciò l’eccidio. I furibondi francesi, scagliatisi contro i caduti, li stesero morti a bastonate nell’acqua del canale, pestandoli coi piedi, coprendoli di sassi. Uno di questi disgraziati, un torinese, credendo di salvarsi, quantunque già grondante sangue dal capo, si alzò gridando «Lasciatemi stare! Sono corso! Sono francese! Salvatemi!» A nulla valsero le sue parole. Nuove pietre, nuove bastonate lo colpirono ed egli cadde morto in mezzo alla strada.

Caddero poi in seguito un pinerolese perché incapace di camminare oltre per male a un piede: la stessa cosa toccò a un altro, un povero vecchio che gridava invano ai suoi assassini: «Abbiate pietà di me, sono padre di cinque figli!» Credo che anche un figlio di costui sia stato ucciso mentre stava nascosto in una vigna.

Un altro francese, più degli altri inviperito, gridava ai suoi compagni di forzare il cordone dei gendarmi per fare man bassa su di noi italiani rimasti che marciavamo a testa china per ripararci alla meglio dietro i gendarmi. Gridando «En avant! En avant!», colui diede un colpo di pala sul naso al cavallo del gendarme, quindi colpì leggermente il gendarme stesso a un occhio. Il gendarme, senza perdere il suo sangue freddo, gli intimò col revolver spianato di tirarsi indietro, l’altro non obbedì e fece cenno di tirargli una seconda palata. Allora Il gendarme gli sparò un colpo di revolver al petto e lo stese morto al suolo. (In realtà, i gendarmi si limitano a sparare in aria, n.d.A.) Questo fatto inasprì i francesi che allora cominciarono a urlare anche contro i gendarmi. «Uccidete costoro – gridarono accennando a noi italiani – e non noi! Canaglie!» Un dimostrante francese additò a un contadino, che se ne stava col fucile davanti alla sua casa, un italiano, certo Barbetta, che passava fra i gendarmi. «Vedete costui – urlò il francese – ieri stato arrestato per aver maltrattato dei nostri compatrioti». Il contadino squadrò dall’alto al basso il Barbetta poi, senz’altro, puntandogli contro il fucile lo uccise come un cane.

La colonna intanto si avanzava sempre verso Aigues-Mortes. Entrando in paese il capo dei gendarmi, vedendo un signore sul balcone, lo invitò a far aprire il portone della sua casa per dar rifugio nel cortile agli italiani. Quel signore invece si rifiutò d’obbedire, e i dimostranti e la popolazione di Aigues-Mortes applaudirono l’atto vile di quel briccone che rifiutava ospitalità a dei perseguitati, fatti bersaglio all’ira popolare.

Allora i gendarmi c’invitarono noi poveri italiani già decimati a serrare i ranghi per condurci nel cortile della loro caserma, passando non più nell’interno del paese ma per la strada di circonvallazione. I dimostranti intanto continuarono a perseguitare la colonna fino alla porta della gendarmeria, ove cadde ancora un altro italiano, un forte ed alto toscano, che fu atterrato da una bastonata mentre stava per entrare nella porta.

Appena rifugiati nella caserma, e mentre fuori continuavano le grida di «Morte e Abbasso!» noi fummo visitati da un medico, dal vice-console e dal giudice di pace, che ci fecero distribuire pane, vino e formaggio. Due, moribondi per i colpi ricevuti, furono ricoverati nella caserma, visitati dal medico e dal prete, che diede loro i sacramenti.

[fonte: Gatti S., testimonianza riportata ne «Il Secolo XIX», 22-23 agosto 1893, citato da Barnabà E. 2008, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes, 1893, Formigine (Modena): Infinito edizioni, pp. 76-77]

Doc. 9 (*)

Manifesti affissi dal sindaco di Aigues-Mortes nel pomeriggio del 17 agosto

  1. Il sindaco della città di Aigues-Mortes comunica agli amministrati che la Compagnia ha tolto il lavoro a tutti gli individui di nazionalità italiana e che, da domani, i vari cantieri assumeranno altri operai; pertanto, il sindaco esorta la popolazione a mantenere la calma e la richiama all’ordine, poiché vista la decisione della Compagnia, qualsiasi subbuglio è ingiustificato, gli operai francesi hanno avuto piena soddisfazione.
  2. Il sindaco invita la popolazione a tornare alla tranquillità e al lavoro che tutti hanno abbandonato. Smettiamola di manifestare in strada per mostrarci degni della nostra patria. Solo con la calma dimostreremo il nostro rincrescimento per gli incidenti accaduti. Raccogliamoci per sanare le ferite, e andando a lavoro con animo sereno, daremo prova che il nostro obiettivo è stato raggiunto e che le nostre rivendicazioni sono state soddisfatte, Viva la Francia! Viva Aigues-Mortes!

[fonte: Noiriel G. 2010, Il massacro degli italiani. Aigues-Mortes, 1893. Quando il lavoro lo rubavamo noi, Milano: Tropea, pp. 89-90]

Doc. 10

L’opinione pubblica francese

Come dice Michelle Perrot[18] della trentina d’italiani morti in Francia per aggressioni xenofobe dal 1881 al 1893, «Questi cadaveri italiani commuovono assai poco l’opinione pubblica francese: la sensibilità di fronte alla morte si ferma alle frontiere del sottosviluppo, è strettamente sociale».

D’uguale natura, la deontologia professionale del direttore dell’ospedale di Marsiglia che rifiutò di occuparsi dei feriti, accampando motivi burocratici. Solo dopo otto ore dal loro arrivo essi poterono essere medicati o ricoverati. Il racconto delle loro traversie, unitamente alle imprecisioni dei dispacci d’agenzia (si parlò anche di centinaia di morti, di bambini impalati e portati in trionfo, ecc.) contribuì a far crescere l’ondata d’indignazione che andava quei giorni formandosi in Italia.

[fonte: Barnabà E. 2008, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes, 1893, Formigine (Modena): Infinito edizioni, pp. 84-85]

Doc. 11

Echi xenofobi nella stampa francese

Se per Le Temps esisterebbe un «odio atavico»[19] tra i due popoli, secondo il Mémorial dAix, invece, da parte francese non ci sarebbe avversione nei confronti degli italiani, ma piuttosto un sentimento di superiorità distaccata: «Il francese prende l’italiano piuttosto sotto gamba, ma – in particolare l’operaio – non prova il più delle volte per lui più odio che stima»[20]. Una specie di sufficienza ostile, invece, da parte del giornale provenzale che, a proposito delle manifestazioni anti-francesi, sostiene che non è proprio il caso di andare più in là della guerra economica per avere ragione dell’Italietta umbertina che fornica con i tedeschi: «Gli italiani hanno creduto che noi fossimo i francesi di prima del 1870 e che avremmo perso le staffe fino a dichiarar loro la guerra! Scherziamo? La tattica della Francia nei confronti dell’Italia è molto più semplice e cento volte più sicura. Conquisterà con la finanza la Fratella che si è messa a bere birra e a far la civetta con il Germano!». La Germania – continua il giornale – va temuta seriamente, ma «la terra di Pulcinella è un’altra cosa! Dalla tragedia tedesca, passiamo alla commedia italiana»[21].

Accusa ricorrente, come si è accennato, è quella della vigliaccheria; a proposito dell’«assalto» alla cambuse, in cui gli operai francesi avrebbero fatto la siesta: «I 110 italiani che si sono coraggiosamente gettati addosso a 40 francesi addormentati sono stati fedeli alle tradizioni della loro razza. La coltellata inferta vigliaccamente tra le spalle indica in ogni Paese del mondo la nazionalità dell’aggressore»[22].

«Siamo stufi di simili pugnalatori (surineurs)», precisa Le Jour[23].

L’immagine del surineur evoca anche l’idea della furberia, categoria morale tradizionalmente attribuita ai mediterranei; e della furberia degli italiani bisogna diffidare ancor più della forza dell’altra nazione nemica, la Germania: «Diffidiamo degli italiani come dei tedeschi, ancora di più perché sono più subdoli!», consiglia Le Jour, che arriva al punto di propugnare una sconsiderata «Guerre aux Piémontais»[24].

Naturalmente si fa grande uso del termine bravo, già utilizzato nel passato per definire i volontari garibaldini dell’Armata dei Vosgi. Così La Lanterne ammonisce il governo: «E la stessa esistenza degli operai francesi che occorre difendere contro le bande dei bravi»[25].

Questo campionario di pregiudizi sciovinistici, oltre a mettere in evidenza una certa immagine dell’Italia, la dice lunga sulla percezione di sé e degli altri da parte di un Paese che metterà in mostra tutto il suo potenziale razzista in occasione dell’affaire Dreyfus, che scoppierà l’anno successivo. Talvolta, inoltre, la stampa, manipola le informazioni senza farsi molti scrupoli. Esemplare, per ritornare ai fatti di cui ci occupiamo, è per esempio il caso del Petit Mérídional che il 20 agosto, quando gli esiti del massacro sono sotto gli occhi di chiunque volesse vedere, riferisce la morte di cinque operai francesi. Sarà inutile cercare nelle edizioni successive la smentita di una notizia nata dalla fantasia del cronista e dalle voci che circolano incontrollate in quei giorni nei caffè di Piazza San Luigi. Identico il comportamento del quotidiano di Nizza 1’Éclaireur che non ritiene opportuno smentire la notizia pubblicata nell’edizione del 19 agosto: «Parecchi feriti francesi versano in uno stato disperato e non passeranno la notte». L’altro quotidiano Nizzardo, il Petit Niçois, riesce addirittura a ribaltare la realtà e a trasformare i carnefici in vittime; ecco cosa scrive qualche giorno dopo il massacro: «Gli operai che hanno ripreso il lavoro vi si recano con la paura del ritorno offensivo di un certo numero di italiani che si trovano nelle paludi di Sainte Marie. Parecchi distaccamenti di truppa li accompagnano nei cantieri»[26].

[fonte: Barnabà E. 2008, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes, 1893, Formigine (Modena): Infinito edizioni, pp. 97-98]

Guerra fra poveri

Doc. 1

Xenofobia e situazione economica

È stato rilevato il rapporto diretto esistente tra le esplosioni della xenofobia e la congiuntura economica negativa: la maggioranza degli incidenti si concentra durante gli anni della Grande Depressione europea, che colpisce la Francia a partire dal 1882. Le manifestazioni violente coinvolgono soprattutto gli operai meno qualificati i quali, se da un lato sono i più refrattari all’organizzazione politica e sindacale, dall’altro, sono i più esposti all’asprezza della lotta per la sopravvivenza.

[fonte: Barnabà E. 2008, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes, 1893, Formigine (Modena): Infinito edizioni, p. 26]

Doc. 2

La caccia all’italiano (*)

Il metodo che gli scienziati adoperano verso i delinquenti seguiamolo per gli assassini di Aigues-Mortes e facendo adottare alla politica i procedimenti della scienza faremo a un tempo cosa utile e onesta. Anzitutto cominciamo dal constatare, che la caccia all’italiano – come si chiama tra noi e come non si dovrebbe chiamare – non è di data recente. Episodi analoghi a quelli di Aigues-Mortes si verificarono in passato; e purtroppo dobbiamo temere che altri se ne verificheranno in avvenire.

Ma in Francia si dà solamente la caccia all’italiano? No. Cito solo i casi più recenti di Lens e di Lievin nei dipartimenti del passo di Calais e del Nord contro gli operai del Belgio. I quali destarono tanto risentimento nel limitrofo regno, che al congresso internazionale dei minatori di Bruxelles i Belgi se ne vendicarono maltrattando i due deputati socialisti Basly e Lamendin, che rappresentavano i minatori francesi. Dunque in Francia c’è anche la caccia al belga. Si noti: tra Belgi e Francesi c’è affinità di razza, di lingua, di religione, di cultura: un cittadino di Bruxelles si sente in casa propria a Parigi e viceversa; manca tra loro ogni ragione di antipatia politica, anzi la simpatia è marcatissima non ostante il pericolo messo innanzi più volte di un possibile assorbimento del Belgio da parte della Francia. Dunque Belgi e Italiani nella vicina repubblica per le questioni relative al lavoro sono trattati alla stessa stregua, sebbene si trovino in condizioni politiche essenzialmente diverse.

Accanto alla caccia all’italiano col belga, in Francia si osserva un altro stranissimo fenomeno: si rispetta il tedesco. Per quanto si voglia essere ingiustamente paradossali, nessuno penserà che i francesi odino di più i Belgi e gli Italiani, che i Tedeschi. È conosciutissima la preoccupazione, la passione vera della revanche contro i vincitori di Sedan; ed è del pari conosciuto che se i Francesi hanno risentimento politico contro gli Italiani lo nutrono perché ci sanno amici e alleati dei Tedeschi, loro irreconciliabili nemici. Si dirà forse che se non amano i Tedeschi li temono.

Questi calcoli, queste riflessioni hanno influenza sui governanti e sulle classi colte; non ne hanno alcuna sulle masse incolte e irriflessive tra le quali gli odi e i rancori esplodono in maggiore o minore proporzione, ma esplodono inesorabilmente. E giornali francesi e italiani ci hanno parlato precisamente del furore cieco da cui era invasa la plebaglia di Aigues-Mortes, quando si diede alla caccia contro gli Italiani. La causa del diverso trattamento è diversa e la vedremo.

Ma in Francia si dà sempre la caccia all’Italiano? Neppur questo è vero. Altra volta vicino a Parigi in una raffineria di zucchero si deploravano continui attriti e risse sanguinose tra operai francesi e operai italiani. Cessarono e non si ripeterono più dopo che gli Italiani s’inscrissero nei locali sindacati operai e non fecero più concorrenza nel prezzo del lavoro agli operai francesi. Anche attualmente nella cava di pietra di Dramont, Francesi, Italiani e Belgi lavorano nella massima armonia e hanno aperto un Circolo della industria nel quale essi hanno fraternizzato nel modo più cordiale e con grande entusiasmo.

Mentre scrivo i giornali italiani riferiscono le liete accoglienze che i guantai italiani hanno ricevuto a Grenoble, e la stessa Agenzia Stefani, in data 8 settembre, cioè a pochi giorni di distanza dalla strage che ha sollevato tanta indignazione, annunzia che gli operai francesi e italiani hanno fatta una dimostrazione entusiasticamente fraterna al grido di Viva la Francia, Viva l’Italia!

A Parigi vive una colonia di 35.000 italiani, alla quale il Journal des Débats rivolge i più grandi elogi; e non solleva odi, non solleva querele, non dà a fare o ben poco alla polizia. Or ora il francofobo corrispondente del Corriere di Napoli ha riconosciuto che a Parigi gli operai italiani vivono in perfetto accordo con i francesi e vi sono amati; e ciò scrive a proposito delle voci esagerate sparse in Italia sulla pretesa caccia data agli italiani che lavorano al ponte Mirabeau. A Parigi, dunque, nel cuore e nel cervello della Francia, in generale non si dà la caccia all’italiano. E non la si dà in certi altri luoghi dove lavorano gli italiani; e per convincersene basta riflettere che ben trecentomila nostri connazionali lavorano al di là delle Alpi e i conflitti si deplorano in luoghi dove ne stanno poche decine o poche centinaia.

La caccia come regola poi si dà in Francia all’operaio italiano della più bassa categoria: ai muratori, ai terrazzieri, a coloro che vivono del più umile lavoro manuale, giorno per giorno, e che sono i più incolti e i più miseri. Si sa invece che pittori, scultori, cantanti, giornalisti vanno in Francia ed anche mediocri vi fanno fortuna, vi trovano quel benessere che indarno cercarono in Italia; e vi sono tanto poco odiati che non vogliono più abbandonare la loro nuova patria. Mi pare lecito concludere da questi fatti che l’odio politico e il risentimento nazionale non ci hanno che vedere – almeno come moventi principali – nei tristi avvenimenti d’Aigues-Mortes.

[fonte: Colajanni N. 1893, Una questione ardente (la concorrenza del lavoro), citato in Barnabà E. 2008, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes, 1893, Formigine (Modena): Infinito edizioni, pp. 23-24]

Doc. 3

I socialisti di fronte ai lavoratori stranieri

I socialisti francesi sono costretti presto a fare i conti con un fenomeno che ostacola l’unità operaia e favorisce la presa dell’ideologia nazionalista sui lavoratori. Nel corso di una manifestazione tenutasi a Parigi alla presenza di Benoît Malon e di Jules Guesde[27] viene approvata una mozione che denuncia gli industriali marsigliesi «i quali, speculando sulla fame dei lavoratori stranieri per aumentare i propri profitti, si sono serviti e si servono degli affamati, italiani, spagnoli, belgi, eccetera, per affamare i lavoratori francesi»[28]. Il partito socialista, si aggiunge «non vede e non vedrà mai nei proletari degli altri Paesi che vittime dello stesso sfruttamento capitalista, dei fratelli di miseria destinati a diventare fratelli di lotta e di rivoluzione». La mozione, come appare chiaro, affermava i princìpi dell’internazionalismo proletario.

[fonte: Barnabà E. 2008, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes, 1893, Formigine (Modena): Infinito edizioni, p. 37]

Doc. 4

Gli antagonismi dei lavoratori nella visione socialista di Guesde

Si deve probabilmente allo stesso Guesde un’analisi dettagliata, apparsa nel 1883 sulla Neue Zeit, la rivista teorica del partito socialdemocratico tedesco diretta da Kautsky, dei problemi posti in Francia dai lavoratori stranieri. Dopo aver rilevato che le industrie in cui più forte era la concorrenza erano quelle in cui più bassa era la tecnologia, il dirigente socialista ne denunciava gli effetti negativi sul mercato del lavoro: «La grande concentrazione di stranieri in pochi dipartimenti e in pochi centri industriali danneggia i lavoratori francesi. Acuisce gli antagonismi tra i proletari dando agli industriali la possibilità di ridurre i salari. Fa aumentare la quantità di forza lavoro in cerca di occupazione, la domanda di lavoro, senza creare un’offerta equivalente».

Si pensi, ricorda Guesde, ai fatti di Marsiglia del 1881, «dove i lavoratori francesi si sono gettati come belve sui loro compagni italiani che con la loro concorrenza facevano abbassare i salari». Questo anche perché «parallelamente all’abbassarsi del salario si verifica un degrado della natura degli operai che perdono facilmente, a causa della fame e della miseria, la coscienza della dignità umana».

[fonte: Barnabà E. 2008, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes, 1893, Formigine (Modena): Infinito edizioni, p. 37-38] 

Doc. 5

I vantaggi dell’emigrazione nel pensiero socialista

L’atteggiamento dei socialisti francesi e dei lavoratori «illuminati» (auf-geklärten), era quello di combattere le «selvagge esplosioni dei loro compatrioti meno coscienti», esecrando l’odio sciovinista «non solo perché esso è estremamente dannoso al vero progresso dell’umanità, ma anche perché mette in pericolo la sicurezza dei proletari stranieri che non attraversano le frontiere da parassiti, ma come forza produttiva, portando con sé intelligenza e forza materiale».

La soluzione veniva individuata, ancora una volta, in una prospettiva di tipo ideologico. È del tutto naturale, continua infatti il leader socialista, che i vicini più prolifici vengano a occupare i posti lasciati vuoti a causa del maltusianismo che «decima la nostra razza». Ma l’emigrazione non assolve solo a questa funzione, essa spezza le barriere nazionalistiche e favorisce l’affratellamento dell’umanità: «Nell’interesse della collettività, bisogna considerare l’immigrazione con un occhio favorevole e anzi raccomandare la conseguente mescolanza delle razze, grazie alla quale le frontiere tra le nazioni spariranno, l’odio sciovinista si estinguerà e un nuovo sole sorgerà all’orizzonte: la fratellanza dell’umanità». Così, con la mescolanza dei popoli, «le razze si dissolveranno nell’umanità e il vecchio demone che infiammava guerre sanguinarie sarà dimenticato».

[fonte: Barnabà E. 2008, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes, 1893, Formigine (Modena): Infinito edizioni, p. 38]

Doc. 6

L’immigrato come scintilla della guerra tra poveri

Nel 1891, al congresso socialista internazionale di Bruxelles, due delegati, il francese Deschamps e l’inglese Walker, avevano – per dirla con Labriola – messo «coraggiosamente il dito su la piaga» degli effetti negativi prodotti dall’emigrazione italiana sul mercato del lavoro e sulle lotte operaie nei Paesi d’immigrazione. «I poveri operai d’Italia — aggiungeva il filosofo marxista — fanno ora nell’economia mondiale l’umiliante parte di turbatori di sciopero e di rinvilitori di salario». Il congresso ratificava la proposta di costituire un Segretariato internazionale del lavoro che avesse la funzione di combattere quella che veniva definita concorrenza sleale tra proletari.

[fonte: Barnabà E. 2008, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes, 1893, Formigine (Modena): Infinito edizioni, p. 43]

Doc. 7

Difesa dei diritti dei lavoratori francesi contro gli immigrati che provocano miseria

L’anno successivo alla strage, il sindaco e il direttore della Compagnia ricevono minacce di morte che sarebbero state eseguite nel caso in cui fosse stato dato lavoro agli italiani piuttosto che agli operai francesi; le lettere (anonime, ma dovute probabilmente a trimards[29]) agitano lo spettro di «un gruppo d’anarchici pronti a compiere quest’opera patriottica». Dove le nozioni di patria e d’anarchia si mescolano e si confondono nel venire in soccorso alla miseria operaia.

Ancora nel 1900, a Saint-Gilles, a due passi da Aigues-Mortes, veniva diffuso un documento firmato da «un groupe de trimardeurs» in cui, dopo aver ingiunto ai datori di lavoro di mandare via gli italiani «che vengono a rubarci il pane» o almeno di contingentarne il numero, si affermava «se i padroni non vogliono sottomettersi, noi cominceremo coll’innalzare la bandiera nera e poi quella rossa. Ci appelliamo ai francesi per fare rispettare i nostri diritti e far vedere con chiarezza che siamo a casa nostra (…) oppure faremo come ad Aigues-Mortes».

[fonte: Barnabà E. 2008, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes, 1893, Formigine (Modena): Infinito edizioni, pp. 89, 93]

Doc. 8

Il pensiero di Cesare Lombroso sui fatti di Aigues-Mortes

Cesare Lombroso in una lettera al Figaro evidenzia la «simpatia naturale e quasi ereditaria che gli italiani nutrono nei confronti dei francesi», attribuisce le atrocità commesse a Aigues-Mortes alla «follia epidemica che si impadronisce delle folle» e denuncia le «punture di spillo continuamente ripetute da politici ciechi che finiscono per generare odi»[30].

[fonte: Barnabà E. 2008, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes, 1893, Formigine (Modena): Infinito edizioni, p. 119]

Doc. 9

Una terra povera

Siamo in un periodo di forte conflittualità sociale (nel 1893 in Francia il numero delle giornate di sciopero supera i tre milioni ed è di quattro volte maggiore di quello dell’anno precedente) e nel Midi agricolo la Grande Depressione è tutt’altro che finita: il corrispondente da Aigues-Mortes del giornale socialista di Nîmes dipinge un quadro a fosche tinte dell’economia cittadina, mettendo in evidenza la mancanza di lavoro e «l’orrenda miseria della popolazione»[31].

Parole analoghe sulla stampa italiana: «Aigues-Mortes è città poverissima. Gli abitanti delle campagne hanno albergo entro luridi casolari costruiti con delle tavole spalmate di mota e sormontati da un enorme tetto di cannucce. Oggi Aigues-Mortes com’è ridotta fa invero pietà e si stenta a credere che in una Francia vi possa essere un sito tanto miserabile»[32]. E ancora: «La popolazione è povera e fiera; ha due industrie, domar i cavalli, i tori che sono nella Camarga allo stato selvaggio; lavorare nelle saline sfidando le perniciose emanazioni. Sono circondati da figliuoletti rachitici e pallidi per le febbri… La vista di queste miserabili famiglie è straziante»[33].

[fonte: Barnabà E. 2008, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes, 1893, Formigine (Modena): Infinito edizioni, p. 87]

Doc. 10

Prima degli incidenti

In questo clima, si dà inizio il 16 agosto ai lavori di levage alla Fangouse ed alla Goujouse, due delle quattro saline possedute dalla Compagnia nella zona di Peccais (le altre erano l’Abbe e la Saint-Charles), a circa sei chilometri a sud-est della città. Il sistema del cottimo non solo suscitava rivalità tra le squadre, ma era all’origine di rancori all’interno della stessa squadra. Secondo voci raccolte dal procuratore generale, «dal momento che i francesi lavorano meno sodo degli italiani, questi ultimi avrebbero rimproverato ai compagni francesi della stessa squadra la loro indolenza. Infatti, dato che il levage del sale viene effettuato a cottimo e il prodotto del lavoro di una squadra viene suddiviso in parti uguali tra tutti i componenti, i più attivi ricevono alla fine della stagione un salario uguale a quello dei meno diligenti»[34].

[fonte: Barnabà E. 2008, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes, 1893, Formigine (Modena): Infinito edizioni, p. 61]

Doc. 11

Il cottimo come scintilla della violenza?

C’è da registrare l’informazione di Pietro Sitta, un attento studioso dell’epoca, secondo cui la rivendicazione della soppressione del cottimo avanzata dagli operai francesi era stata vanificata dagli italiani che, attratti dalla possibilità di maggior guadagno che esso offriva, avrebbero accettato l’invito della Compagnia a continuare a lavorare con tale sistema. Informazione in larga misura confermata dall’operaio Angelo Pistelli: «Due giorni prima del conflitto, ci fu offerto di lavorare a cottimo, e noi accettammo. Questa fu una delle ragioni che aumentò l’odio dei francesi verso gl’italiani, odio che già da tempo covavano»[35]. E va ricordato che del cottimo – che per Napoleone Colajanni rappresentava «la peggiore forma di concorrenza» – veniva proprio in quei giorni richiesta l’abolizione dai socialisti italiani e francesi al congresso di Zurigo. Nella zona mancava un’organizzazione in grado di sviluppare la solidarietà di classe tra gli operai, autoctoni o immigrati che fossero.

[fonte: Barnabà E. 2008, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes, 1893, Formigine (Modena): Infinito edizioni, p. 88]

Doc. 12

I difficili rapporti tra italiani e francesi: rispetto e rivalità

Secondo l’Atto d’accusa: «questo eterogeneo assembramento, che si rinnova da più anni, non aveva mai dato luogo a litigi seri e si vedevano addirittura operai italiani e francesi far parte della stessa squadra, lavorare in comune e a cottimo, per dividersi dopo in parti uguali i guadagni realizzati». Il procuratore generale di Nîmes, scrivendo invece al ministro guardasigilli, mette in luce l’atteggiamento ostile nei confronti degli italiani e la tensione causata dalla concorrenza del lavoro: «Gli abitanti della zona vedono con dispiacere questi stranieri che, meno esigenti e con minori bisogni, vengono a toglier loro un lavoro che a loro dovrebbe esser affidato e li obbligano ad accettare condizioni meno favorevoli. Si lamentano anche del temperamento rissoso degli italiani che, per il minimo litigio, prendono in mano il coltello o la pistola. Riassumendo, c’erano dei fermenti di discordia già vecchi tra francesi e italiani che manovravano per escludersi l’un l’altro dal lavoro delle saline». Anche secondo un quotidiano locale, «da molto tempo esiste alle saline una rivalità tra operai italiani e francesi. Questi ultimi non vedono di buon occhio i sudditi del re Umberto venire a togliergli il lavoro o almeno provocare con il loro comportamento la diminuzione della paga giornaliera. Una volta il lavoro veniva effettuato da operai di Aigues-Mortes e delle Cévennes, ma da alcuni anni gli italiani nel periodo della raccolta del sale invadono la zona»[36].

[fonte: Barnabà E. 2008, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes, 1893, Formigine (Modena): Infinito edizioni, pp. 57-58]

Doc. 13

Impatto dell’immigrazione sui salari operai

Sul piano sociale, il grande punto interrogativo riguarda l’impatto sul mondo operaio, in particolare sull’andamento di salari e disoccupazione. Lo stereotipo ancor oggi vigente dello straniero che ruba il pane del lavoratore autoctono era già in circolazione nella seconda metà del XIX secolo. Gli Stati Uniti sono l’unico paese per il quale si disponga di studi minimamente approfonditi. Il recente studio di T.J. Hatton e J.G. Williamson (1995) conferma in qualche modo gli studi condotti all’inizio del XX secolo, in particolare quello della Immigration Commission del 1911, finalizzati a giustificare l’adozione di misure limitative dell’immigrazione. L’afflusso di immigrati nel corso del XIX secolo avrebbe dunque avuto ripercussioni negative sull’occupazione e «comportato, tra 1870 e 1910, la riduzione di circa il 9% dei salari reali» (naturalmente aumentati, nel complesso). Gli operai immigrati «avrebbero preso il posto degli operai autoctoni scarsamente qualificati, ma avrebbero avuto scarso impatto sull’offerta di lavori qualificati resisi disponibili in seguito alla rapida industrializzazione».

[fonte: Bairoch P. 1999, Storia economica e sociale del mondo. Vittorie e insuccessi dal XVI secolo a oggi, Torino: Einaudi, vol. I, pp. 468-469]

Documenti che lasciano aperta l'interpetazione

Doc. 1

Diversi atteggiamenti dei francesi

Numerosi furono, tuttavia, coloro che si unirono ai trimards[37] nelle azioni più rivoltanti. Altri, come i proprietari del panificio[38] o don Mauger (che sarà violentemente attaccato dai giornali nazionalisti come La Lanterne per aver manifestato solidarietà nei confronti delle vittime), si diedero da fare cercando di proteggere e nascondere gli italiani.

[fonte: Barnabà E. 2008, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes, 1893, Formigine (Modena): Infinito edizioni, p. 73]

Doc. 2 (*)

La mia condotta è stata quella del prete. Testimonianza di don Mauger

La mia condotta in queste deplorevoli circostanze è stata quella del prete che non distingue né nazionalità, né lingue differenti. Da lungo tempo protettore degli italiani che abitano nella mia parrocchia, io mi sono consacrato a proteggerli. Ho assistito a parecchie di queste scene che la penna ricusa di descrivere; ho potuto molte volte dominare gli odii e le collere con pericolo della mia vita. Ho potuto dare i soccorsi spirituali ai morenti; ho fatto trasferire i feriti in luogo sicuro. Devo aggiungere che la mia popolazione si è associata alle preghiere pubbliche che ho fatto per le nostre care vittime; una magnifica corona segna nel nostro Cimitero le tombe dei miei cari defunti italiani.

[fonte: lettera di don Mauger ne «La Tribuna», 9 settembre 1893, citato da Barnabà E. 2008, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes, 1893, Formigine (Modena): Infinito edizioni, p. 81]

Doc. 3

La dimensione nazionale nel massacro del 17 agosto

[…] Vorrei tornare al contesto del massacro, […] tentando di chiarire il ruolo che ha avuto il fattore nazionale nella concatenazione dei fatti. La causa principale dei primi scontri avvenuti nel cantiere della Fangouse, la mattina del 16 agosto, fu l’incapacità dei trimards integrati nelle squadre piemontesi di tenere il ritmo, penalizzando tutti gli altri operai, pagati a cottimo. È plausibile pensare che la Compagnie des Salins du Midi, in qualche modo, sia stata costretta ad assumere i trimards dalle autorità, che cercavano di tutelare il «lavoro nazionale». Umiliati dai piemontesi per via delle scarse capacità fisiche, i trimards vollero riacquisire la dignità tanto sbeffeggiata sfruttando l’unica «qualità» ancora riconosciuta dal potere repubblicano: la «qualità dell’essere francesi». Essi reagirono con insulti xenofobi, come dimostrano le numerose testimonianze di italiani raccolte dal commissario di polizia di Marsiglia. I piemontesi, ansiosi di cacciare i perturbatori dal cantiere, decisero di battere la strada dell’insulto secondo una logica di ribaltamento della situazione, per coinvolgere gli altri operai di origine italiana, soprattutto i toscani e gli immigrati che vivevano in Francia già da diversi anni […]. I lavoratori transalpini, che fino ad allora non erano mai stati uniti fra loro, temendo di perdere le risorse che erano venuti a cercare nelle saline, si riunirono su base nazionale ed elessero un portavoce. Poi marcarono il territorio mettendo una bandiera in cima a una piramide di sale. Rossa per alcuni, bianca per altri, la bandiera – comunque – non era quella italiana. Dopo aver tentato di coinvolgere la comunità aiguesmortese giocando sul tessuto familiare, i trimards cacciati dagli italiani andarono in giro per le strade della città puntando sull’interesse nazionale, per mobilitare tutti i disoccupati che non erano stati assunti dalla CSM. Varie testimonianze provano che il ruolo dei trimards fu decisivo nella ridefinizione della rissa fra nazionalità. […] I trimards appartenevano agli strati più sfavoriti del mondo operaio. Ricorsero al simbolo nazionale per protestare e far sentire la propria voce contro un sistema in cui non c’era spazio per loro. La furia scellerata contro gli italiani era stata scatenata principalmente dal fatto che questi ultimi erano protetti dai gendarmi. Parecchie testimonianze rivelano reazioni scandalizzate dei trimards di fronte alla moltitudine di difensori degli italiani […]. Continuamente interrogati, inseguiti e arrestati dalle forze dell’ordine repubblicane, i trimards non potevano tollerare che queste ultime si schierassero con gli stranieri a loro scapito. Era come se tutt’a un tratto fossero stati privati anche dell’ultima forma di dignità concessa loro dalla Repubblica.

Tuttavia, il comportamento dei trimards di Aigues-Mortes denota un’«identità di reazione», come la chiamano i sociologi. Essi interiorizzarono il potere (e il punto di vista) che rifiutavano. Avrebbero potuto assumere il controllo della città, saccheggiare i negozi, invece non furono in grado di organizzare una vera insurrezione, come se – nonostante tutto – volessero mantenersi nella «legalità». Quest’uso sovversivo e antidemocratico del riferimento nazionale era prova del rapporto perverso che talvolta legava gli strati popolari più sprovveduti alla politica. Quelli che venivano vomitati addosso ai borghesi non erano argomentazioni, bensì parole e slogan. Al contempo, i trimards sapevano vagamente che la loro condotta omicida li avrebbe messi al bando dell’umanità. […]All’indomani del massacro, durante le deposizioni davanti al giudice istruttore, furono pochi gli operai che giustificarono la propria condotta appellandosi all’«interesse nazionale», ed erano tutti «alfabeti», in grado di leggere il giornale del mattino. L’esempio più calzante è quello di Joseph Constant. Davanti al giudice, egli cominciò con una dichiarazione: «Nelle mie vene scorre sangue francese», e continuò precisando che il motivo per cui si unì agli aiguesmortesi diretti alla Fangouse solo «per difendere la patria, sono cinque o sei anni che gli italiani ci tolgono il pane di bocca, loro lavorano e a noi non resta niente da fare».

[fonte: Noiriel G. 2010, Il massacro degli italiani. Aigues-Mortes, 1893. Quando il lavoro lo rubavamo noi, Milano: Tropea, pp. 84-89]

Doc. 4

Aigues-Mortes e i partiti socialisti dei due Paesi

Aigues-Mortes è, crediamo, un avvenimento che interessa in primo luogo la storia popolare e operaia dei due Paesi. Appena quattro giorni prima, si era chiuso a Zurigo il terzo congresso dell’Internazionale; il massacro e la presenza delle bandiere rosse accanto al tricolore francese parvero al Times un ironico commento al congresso e suscitarono «amara e feroce ironia», come rilevava Labriola[39] negli avversari del movimento socialista. Le idee di fratellanza universale dei proletari parvero smentite dagli stessi proletari, spinti dal bisogno e da «profondi e covati odi di nazione»; insomma, «Aigues-Mortes avrebbe smentito Zurigo». Per il filosofo marxista era, invece, vero il contrario: «Al di sopra e d’intorno ai barbaramente trucidati e ai barbari trucidatori di Aigues-Mortes, non sta soltanto di qua l’Italia, di là la Francia, come due sistemi di politica. Al di sopra dei trucidati e dei trucidatori, come al di sopra di Francia e d’Italia insieme, sta il sistema capitalistico tutto intero. Di tale sistema sono vittime, così i trucidati, che portano sul mercato del lavoro l’inferiorità del loro modo di vivere e l’urgenza dei loro bisogni, sì da essere sempre pronti a concorrere, come i trucidatori, che, ignoranti e passionali, rivolgono le loro ire e i loro attacchi non contro sistema, ma contro i più maltrattati, i più avviliti, i più schiacciati dal sistema stesso. Aigues-Mortes non smentisce, ma anzi conferma le nostre idee, ci dà nuova lena, giustifica innanzi alla coscienza universale il principio dell’opera nostra»[40].

L’internazionale dei lavoratori, sosteneva inoltre Labriola, non è un fatto compiuto, ma una «tendenza» che si sviluppa tra contraddizioni, incontrando contrasti anche tra i salariati; la parola d’ordine proletari di tutto il mondo, unitevi, enuncia una «cosa che si svolge e matura», un «fatto che di continuo diviene», che richiede una lunga e difficile lotta politica.

[fonte: Barnabà E. 2008, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes, 1893, Formigine (Modena): Infinito edizioni, p. 115]

Doc. 5

I socialisti italiani di fronte al tema del lavoro degli emigrati

Rifacendosi a tali principi, nell’agosto del 1893 – alcuni giorni prima della tragedia di Aigues-Mortes – al congresso dell’Internazionale socialista che si teneva a Zurigo, Labriola presentava in nome dei delegati italiani questa lucida e coraggiosa mozione: «I delegati italiani, consci delle difficoltà che gli operai italiani emigrati creano alle organizzazioni operaie nei Paesi stranieri, sia per la concorrenza diretta che rinvilisce i salari, sia per l’esempio deprimente di una massa sempre a disposizione degli intraprenditori; preoccupati dagli impedimenti che tale concorrenza crea all’azione dei socialisti dei Paesi stranieri, invitano i rappresentanti delle organizzazioni operaie delle nazioni in cui tali danni specialmente si accertano a studiare i mezzi più adatti per estendere la propaganda socialistica o almeno lo spirito della resistenza operaia fra i lavoratori italiani, perché questi, anziché essere elementi ostili, contribuiscano allo sviluppo del proletariato militante».

[fonte: Barnabà E. 2008, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes, 1893, Formigine (Modena): Infinito edizioni, p. 44]

Doc. 6

Una visita alle saline (*)

All’interno della cintura delle mura, Aigues-Mortes, adesso, si addormenta tranquilla. Della folla tumultuosa che, qualche settimana fa, ringhiava sulla piazza mentre assediava il panificio in cui si erano rifugiati alcuni italiani minacciati e si scagliava sui gendarmi sotto gli occhi del Re Santo la cui statua si eleva in mezzo alla piazza, di quella calca turbolenta e selvaggia non resta più niente.

Interrogo il mio albergatore: «Si lavora ancora alle saline?». «Certo – mi risponde – e il lavoro è ben lungi dall’essere finito». Gli chiedo la sua opinione sui recenti avvenimenti. «È una cosa molto triste, molto spiacevole; ma, mi creda, la gente del paese non c’entra niente, non farebbe male a una mosca, ha dovuto essere eccitata fino a quel punto; stia certo che adesso gli italiani potrebbero tornare, farebbero a gara a chi li accoglierebbe meglio. D’altronde, la maggioranza di quei poveretti era conosciuta in paese, veniva da cinque anni, anche da otto. Alcuni si sono stabiliti al Grau-du-Roi, qui vicino, con donne e bambini».

Termina offrendomi una carrozza nel caso volessi andare alle saline di Peccais. Accetto, vengono attaccati i cavalli e partiamo. Siamo in cammino da tre quarti d’ora quando arriviamo alle saline di Peccais, perdute nella solitudine. Vi lavorano appena 150 operai. Ne occorrerebbero almeno 600 per portare a termine il lavoro, mi dice malinconicamente il saunier; e dato che gli faccio domande, camminando nelle aree piene di bianchi mucchi di sale, mi racconta le penose avventure che hanno messo in subbuglio le saline.

Nessuno sa né come né perché siano scoppiate le liti; è laggiù alla Fangouse che la cosa è cominciata, con il litigio tra uno dell’Ardèche e un italiano. Mediante queste informazioni e quelle che mi diedero gli operai, gli impiegati della Compagnie des salins du Midi e il vice console d’Italia, il signor Advenier, ha potuto ricostruire la scena e venire a capo dei motivi.

Non si è trattato, se vogliamo essere esatti, di rivalità economica; non ce n’era motivo. L’italiano lavora più sodo del francese e soprattutto della gente di qui, che lavora nelle saline solo quando subisce da troppo tempo la disoccupazione. Le squadre italiane finiscono le camelles molto prima delle francesi aumentando così il salario giornaliero che arriva a 10 o 12 franchi, a fronte degli 8, 9 franchi dei francesi.

Una certa gelosia era nata da questa differenza naturale, ma si era sviluppata soltanto presso gli operai erranti che la Compagnia assume ogni anno e in particolare tra quelli che gli operai di Aigues-Mortes chiamano i trimardeurs[41]. È a costoro che fanno risalire la responsabilità degli incidenti. In maggioranza pregiudicati, alcuni condannati venti volte, si sono buttati sui loro compagni italiani col solo scopo di derubarli; la prova sta nel fatto che i cadaveri di quei poveretti sono stati depredati dei soldi che avevano ricevuto qualche giorno prima e che dei feriti indifesi si sono visti rovistare e derubare.

Gli operai del posto, gli autoctoni, popolazione attratta piuttosto dal lavoro nei campi, ma laboriosa e onesta, si sono lasciati infiammare dalle bugie di qualche istigatore. Hanno creduto a chi raccontava loro che erano stati massacrati venti francesi e che sui cantieri era stata innalzata la bandiera italiana. La verità è che sono stati feriti solo alcuni francesi e che sono stati feriti non alle saline ma nel tafferuglio di Aigues-Mortes, colpiti da randellate che hanno dovuto darsi reciprocamente nel fervore della lotta poiché il gregge degli italiani, guidato e protetto dai gendarmi non aveva alcuna arma. Oggi gli italiani hanno disertato Peccais; il numero degli operai francesi è insufficiente, la Compagnia non può reclutarne e gli stessi abitanti di Aigues-Mortes, ripresisi dall’eccitazione passeggera, chiedono il ritorno degli italiani e riconoscono la necessità della loro presenza.

[fonte: Lazare B., «Le Figaro», 15 settembre 1893, citato da Barnabà E. 2008, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes, 1893, Formigine (Modena): Infinito edizioni, pp. 88-90]

Doc. 7

L’assoluzione degli imputati a processo

[…] tutti gli imputati vennero assolti. In aula, a parte qualche applauso, regnavano collera e stupore. Scoppiò un acceso alterco fra gli avvocati della difesa e i giornalisti, che gridavano allo scandalo denunciando un «verdetto stupefacente». […]Qualche giorno dopo, il consigliere Aubin, in qualità di presidente della Corte d’assise di Angoulême, mandò il rapporto al guardasigilli di «comune accordo con il primo presidente» per cercare di spiegare un episodio che si configurava come un grave passo falso per la giustizia francese. Dopo aver riconosciuto che «il verdetto di non colpevolezza a favore di tutti gli imputati è davvero deplorevole», si sforzò di capire i «motivi dell’errore commesso dalla giuria della Charente di fronte a reati che qualsiasi persona onesta si sarebbe sentita di reprimere». A suo parere, il verdetto non poteva trovare giustificazione nell’«insufficienza e nell’oscurità delle prove. Le udienze hanno puntualizzato alla perfezione le accuse. Qualche imputato ha fatto una confessione completa, altri aspettavano solo di essere condannati. Quindi bisogna scartare l’ipotesi di prove dubbie. […] In seguito alle udienze tutti si erano convinti della necessità di repressione, sia per via della gravità dei fatti sia in considerazione dell’esemplarità del caso dal punto di vista internazionale». Poi precisò che non c’era spazio per la minima esitazione dopo la requisitoria del procuratore generale, «che [ha] puntualizzato l’accusa con un’esposizione chiarissima e un’argomentazione serrata».

Per il consigliere Aubin il verdetto popolare poteva essere spiegato da due motivazioni. La prima riguardava l’assenza di prove contro Giovanni Giordano […], poteva essere che la giuria, «obbedendo a uno slancio di umanità, abbia votato, senza esitazione, per l’assoluzione di questo primo imputato». La giuria, forse, aveva anche «temuto che condannare solo i francesi avrebbe comportato brutte conseguenze». La seconda motivazione, secondo il consigliere Aubin, era la pressione esercitata sui giurati dai nazionalisti. Mentre la corte e gli avvocati avevano fatto di tutto per «depoliticizzare» il processo, poche ore prima dell’inizio dell’udienza Le Matin charentais, il quotidiano conservatore locale, aveva riprodotto degli stralci di giornale «che si schieravano tutti apertamente con gli imputati francesi, chiedendo l’assoluzione e definendoli vittime degli italiani. L’intrusione della stampa nei casi vagliati della giuria è sempre deplorevole e a volte diventa nefasta». Aubin accennò anche a pressioni più dirette sulla giuria. «Il giorno del verdetto, ho ricevuto una lettera anonima in cui si intimava ai giurati, chiedendo l’assoluzione degli imputati francesi: “La Francia non deve piegarsi o aver timore dell’Italia: siate fermi nel vostro verdetto e la Francia vi applaudirà, altrimenti passerete per codardi e vigliacchi”. E poi: “Noi siamo vicini a loro, non devono dimenticarlo… Coraggio”».

In realtà, le due motivazioni erano un tutt’uno. I principi universali della giustizia erano stati traditi perché gli imputati e le vittime erano stati giudicati, prima di tutto, in base alla nazionalità.

[fonte: Noiriel G. 2010, Il massacro degli italiani. Aigues-Mortes, 1893. Quando il lavoro lo rubavamo noi, Milano: Tropea, illustrazione senza numerazione, pp. 140-141]

Testi di riferimento

Lo sguardo storico macroeconomico

In effetti il quadro storico delle accoglienze agli immigrati sembra assai più diversificato di quanto non si creda. A differenza di oggi, gli italiani diretti nel Nuovo Mondo potevano ad esempio contare sull’appoggio dei rappresentanti diplomatici del proprio paese e su associazioni religiose e missionarie che davano un contributo spesso decisivo al processo di integrazione sociale nella nuova terra. L’afflusso di immigrati a New York – alla fine del secolo rappresentavano l’80% degli abitanti della città – costituì il retroterra di una svolta nella storia del giornalismo: il World di Joseph Pulitzer fu infatti il primo quotidiano espressamente rivolto a questo nuovo pubblico. Nel 1886 Pulitzer organizzò tra i suoi lettori una sottoscrizione per costruire il piedistallo della statua della Libertà – simbolo cruciale nell’immaginario collettivo degli immigrati – che in poco tempo raccolse i 100 mila dollari necessari attraverso 120 mila contributi individuali, molti dei quali inferiori a un dollaro: segno preciso di una volontà di legittimazione che univa «vecchia» (Pulitzer era un ungherese immigrato al tempo della guerra di Secessione) e nuova immigrazione. Erano peraltro numerosi gli organi di stampa editi in prima persona dai circoli degli immigrati sia negli Stati Uniti che in Argentina e Brasile.

È difficile ai giorni nostri trovare riscontri di un livello simile di integrazione organizzata degli immigrati. Un peso significativo in questa differenza lo esercita il dato oggettivo che cento anni or sono la densità di popolazione era molto minore (negli Stati Uniti un terzo di quella attuale) e molto forte l’idea di ampi spazi aperti alla colonizzazione, cui i nuovi arrivati potevano recare il proprio contributo senza danneggiare (e anzi magari avvantaggiando) i nativi. Fu in questo periodo che negli Stati Uniti nacquero immagini (la «Frontiera», il «Melting Pot») destinate a durare a lungo come prototipo positivo di una società aperta. Eppure, proprio negli Stati Uniti di fine secolo la «nuova immigrazione» povera e cattolica proveniente dall’Europa del sud e dell’est si scontrò con lo sviluppo di un movimento «nativista» che muoveva da un’origine etnocentrica e nazionalista a sfondo religioso per coagulare sentimenti xenofobi di vario genere. Nell’ultimo decennio dell’Ottocento si moltiplicarono i casi di linciaggio ai danni di immigrati soprattutto slavi e italiani: quello di New Orleans nel 1891 (11 italiani prelevati dal carcere e assassinati) precedette quello, assai più noto ed efferato, di Aigues Mortes in Francia […]. Ma anche in America Latina la buona accoglienza iniziale lasciò rapidamente il passo a un clima diffuso di violenza e di abuso nelle piantagioni che davano lavoro agli immigrati. Su impulso di organizzazioni sindacali come l’American Federation of Labor di Samuel Gompers, che avevano buon gioco nel presentare gli immigrati come un pericolo al salario e al posto di lavoro degli operai nativi, prese corpo negli Stati Uniti un movimento di pressione a favore dell’introduzione di un test di alfabetizzazione preventivo per l’ingresso di nuovi immigrati. Tra il 1895 e il 1917 (quando venne effettivamente istituito) per ben 4 volte vi si oppose il veto presidenziale, alle spalle del quale stavano i poteri forti dell’industria interessati allo sfruttamento di manodopera immigrata più a buon mercato e meno sindacalizzata.

Ma è interessante notare come negli Stati Uniti e nell’Australia di fine Ottocento (in quest’ultimo paese entrò in vigore nel 1901 la legislazione che limitava l’ingresso, oltre che ai cinesi, ai neri e agli europei del sud e dell’est) le ondate di risentimento xenofobo si muovessero in stretta sincronia con congiunture negative dell’economia piuttosto che con picchi negli afflussi di stranieri. Era l’andamento contingente di prezzi e salari, in altre parole, a mettere in crisi il mito della «terra delle opportunità» e l’idea che nel Nuovo Mondo ci fosse spazio per tutti. […]In molti paesi occidentali le politiche restrittive in materia di immigrazione si avviano all’inizio degli anni settanta (in Svizzera nel 1970, in Svezia nel 1972, in Germania nel 1973, in Francia e Benelux nel 1974) e si intensificano all’indomani della crisi petrolifera del 1973 (in parallelo a una breve e fallimentare stagione di incentivazioni al rientro, attuate senza esito in Francia e Germania) quando i flussi migratori devono ancora giungere ai massimi livelli. Alle spalle di questo parallelismo tra presente e passato sta il conflitto «naturale» e permanente – ma destinato a radicalizzarsi in tempi di crisi – tra gli interessi dei datori di lavoro (per salari più bassi e quindi per immigrazione di forza lavoro non sindacalizzata) e quelli diametralmente opposti dei lavoratori. In questo caso l’irrazionalità del pregiudizio razzista si sovrappone alla razionalità economica dell’opposizione nei confronti di competitori ritenuti pericolosi sul mercato del lavoro. […]Sarebbe però troppo semplicistico identificare la situazione di cento anni fa con una semplice equazione tra assenza di restrizioni e assenza di diritti. In realtà anche il primo fattore dell’equazione risulta almeno in parte contraddetto dall’evidenza empirica. La Rivoluzione francese proclamò la libertà di migrare, aprendo un ciclo di leggi nazionali che, a partire dal battistrada inglese nel 1827, diffuse in gran parte degli stati europei il riconoscimento giuridico di questo diritto. Ma tra il 1880 e il 1914 tutti i maggiori paesi di destinazione dei flussi migratori – a  eccezione di Gran Bretagna e Brasile – modificarono in senso restrittivo le proprie legislazioni in materia di accoglienza dei migranti. Nel 1885 il Canada escludeva i cinesi, nel 1901 l’Australia innalzò fino a 200 sterline la tassa di sbarco per i nuovi immigrati che venivano dal sud Europa (contro le 5 per quelli che venivano dal nord); nel 1882 gli Stati Uniti vietarono l’ingresso a carcerati, malati mentali, indigenti e cinesi, nel 1891 ai portatori di malattie contagiose, nel 1903 agli anarchici e ai sovversivi, nel 1907 lo limitarono ai giapponesi e imposero una tassa di sbarco pari a 4 dollari. Nel 1907 il Congresso istituì una commissione di studio sul problema, affidandone la presidenza al senatore William Dillingham, noto sostenitore di restrizioni ai flussi immigratori. Nel corso di tre anni, al costo finale di un milione di dollari, la commissione elaborò un Report in 42 volumi che vide la luce nel 1911 e che proponeva 7 diversi tipi di restrizioni ai flussi di immigrati, dal literacy test (il controllo sul livello di alfabetizzazione degli immigrati) al financial test volto ad accertare le loro effettive risorse economiche, fino alla fissazione di tetti numerici per nazionalità. Il giudizio generale sull’immigrazione rimaneva positivo ma le proteste sindacali e le pressioni del movimento nativista avevano successo nel rivendicare limiti e condizioni agli ingressi di stranieri nel paese: «lo stereotipo ancora oggi vigente dello straniero che ruba il pane del lavoratore autoctono – scrive Paul Bairoch – era già in circolazione nella seconda metà del XIX secolo». Sarebbe stata la guerra mondiale e il più generale processo di crisi degli scambi e delle relazioni internazionali che essa inaugurò a spingere gli Stati Uniti nel 1917 all’introduzione del literacy test e nel 1924 al varo di un sistema di quote rigide imposte ai flussi immigratori delle diverse nazionalità.

(Fonte: Gozzini G. 2005, Le migrazioni di ieri e di oggi. Una storia comparata, Milano: Bruno Mondadori, pp. 71-85)

Lo sguardo socio-storico

Il 16 agosto 1893, il torinese che aveva immerso la camicia piena di sale nella tinozza di acqua potabile dei trimards scatenò il più sanguinoso «pogrom» della storia contemporanea della Francia, perché nel deserto salato di Aigues-Mortes la sopravvivenza degli uomini dipendeva proprio da queste tinozze. Il 12 aprile 1894, tutte le personalità della regione furono invitate a un grande banchetto, in presenza del ministro delle Finanze e del ministro des Travaux publics, per festeggiare un evento storico: l’inaugurazione del servizio di derivazione delle acque. A Aigues-Mortes, la piaga dell’acqua sorgiva che i padroni, gli eletti e i funzionari avevano trascurato per decenni, venne finalmente risolta. Serviva proprio un bel banchetto per festeggiare.

Poco tempo dopo, gli azionisti della Compagnie des Salins du Midi sbloccarono i capitali per meccanizzare la raccolta del sale e, qualche anno più in là, la macchina amministrativa inventò la carta d’identità degli stranieri, che consentiva allo Stato di garantire a distanza, e in modo pacifico, la tutela del lavoro nazionale.

Pur non avendo mai ammesso le proprie responsabilità nel massacro del 17 agosto, i dirigenti inventarono degli stratagemmi affinché quel genere di violenza collettiva non si ripetesse mai più. Il visitatore che oggi vede per la prima volta le saline di Peccais non può immaginare l’inferno che vi si scatenò centoventi anni fa. Le soluzioni tecniche messe in atto dai dominatori per risolvere i problemi che loro stessi avevano creato hanno contribuito all’«impeccabilità dei luoghi neutri» che ha recentemente evocato Luc Boltanski. Chi vuole conoscere il passato sanguinoso delle saline di Aigues-Mortes deve accontentarsi degli archivi di polizia o degli archivi giudiziari e questo, per forza di cose, porterà a incriminare le braccia di chi ha colpito, dimenticando chi le ha armate.

Il socio-storico che cerca il passato nel presente studia la genesi dei conflitti dimenticati, poiché un lavoro di «deneutralizzazione» è indispensabile per mettere in luce i rapporti di potere esistenti un tempo e stabilire il nesso con il mondo dei giorni nostri. […]

«Orgogliosi di essere francesi»?

Il punto non è mettere sullo stesso piano chi commette i crimini e chi li ispira, bensì mettere in evidenza i legami fra gli uni e gli altri. Il principale insegnamento storico che si può trarre dal caso Aigues-Mortes si basa proprio su questo. Il massacro degli italiani arrivò in un momento cruciale della storia dell’identità nazionale francese. Dal 1880, lo Stato aveva cominciato a entrare in modo concreto nella vita quotidiana dei cittadini, direttamente, attraverso le istituzioni (la moneta, il diritto, la scuola…), o indirettamente, attraverso la stampa, che elaborava racconti di cui i francesi erano gli eroi (o le vittime). Tuttavia, quest’integrazione nello Stato-nazione avvenne in un momento in cui la società francese si diversificò fortemente. Alla luce di ciò, gli usi del nazionale cambiavano in modo considerevole a seconda dei contesti sociali. […] le élite repubblicane conquistarono il potere imponendo il riferimento nazionale come una nuova norma, a cui tutti gli attori della società francese dovettero appellarsi per difendere i propri interessi e giustificare il loro ruolo. Tuttavia, l’orgoglio di essere francesi non funzionava alla stessa maniera, a seconda che si appartenesse alle classi alte o alle classi basse. Per le élite, si trattava di un modo per valorizzarsi. I diplomi scolastici, il patrimonio, la situazione professionale fornivano ogni giorno le gratificazioni di cui avevano bisogno, senza contare tutte le forme di autogratificazione rappresentate dalla distribuzione di medaglie, premi e altre ricompense.

Di contro, chi stava in fondo alla scala sociale, chi non aveva né lavoro né risorse, chi era stato espulso in fretta dal sistema scolastico, era una preda facile per le élite che promuovevano lo sciovinismo nazionale, che a volte era l’unica opportunità rimasta per salvare la dignità. Nel 1893, i discorsi dei dirigenti repubblicani sull’orgoglio di essere francesi non volevano incitare al massacro degli italiani, però è innegabile che legittimarono i comportamenti di coloro i quali, a livello sociale, erano più inclini all’uso della violenza fisica per esprimere il disprezzo verso gli altri.

Osservando da vicino il «pogrom» di Aigues-Mortes, si scopre che i fattori che lo scatenarono erano molto variabili. In un primo momento l’identità mascolina, locale e professionale prevalse sull’identità nazionale, ma la logica dello scontro portò persone che non avevano niente in comune a raggrupparsi in funzione della nazionalità. Piuttosto che invocare spiegazioni di tipo identitario («Hanno ucciso gli italiani perché si sentivano francesi o perché erano razzisti»), è meglio dire che utilizzarono l’arma della nazionalità per tentare di salvare la propria dignità e di legittimare la violenza insita in loro.

«Chi stava in alto» e «chi stava in basso»

Siamo arrivati all’ultimo tipo di insegnamento su cui vorrei concentrarmi in queste conclusioni, che concerne gli aspetti storiografici del caso Aigues-Mortes. Il metodo socio-storico di questo libro ha permesso di esaminare da un’altra prospettiva le controversie che, fino a poco tempo fa, hanno contrapposto la storia economica alla storia delle relazioni internazionali. François Simiand, il padre fondatore del primo ambito di ricerca, ha citato l’esempio di Aigues-Mortes per sottolineare l’importanza della questione salariale nei movimenti sociali. Noi abbiamo avuto modo di constatare che l’osservazione è del tutto pertinente. Mettendo in competizione operai provenienti da ogni dove per ridurre i salari, la Compagnie des Salins du Midi creò i presupposti per l’eccidio.

Nell’articolo dedicato al caso Aigues-Mortes, tuttavia, Pierre Milza precisava che il fattore economico in sé non era sufficiente a spiegare l’ingranaggio che portò ai sanguinosi scontri del 17 agosto 1893. L’autore insisteva, giustamente, sui fattori politici, illustrati dalla correlazione fra la qualità delle relazioni diplomatiche franco-italiane e la quantità delle risse scoppiate tra gli operai dei due paesi. A ogni modo, unire il fattore economico e quello politico non basta per capire come entrambi agiscano sugli individui «in carne e ossa». Per questo motivo gli storici hanno invocato il ruolo delle «mentalità». Pierre Milza spiegava il rapporto fra le relazioni diplomatiche e le risse franco-italiane avanzando l’idea che esistesse «un’interazione permanente e profonda, anche se spesso inconscia, fra la mentalità collettiva dei popoli e le decisioni degli uomini di Stato».

Il socio-storico non può concordare con una spiegazione del genere. Invocare la «mentalità collettiva inconscia» è un’ammissione di impotenza poiché, per definizione, ciò che è inconscio non è accessibile per lo storico. […] Utilizzando questo schema di lettura per analizzare il massacro di Aigues-Mortes, avrei potuto concludere che una sorta di inconscio nazionale aveva armato il braccio degli assassini assetati di sangue, ma una simile interpretazione avrebbe occultato il processo di creazione e di inculcamento del nazionale, che può essere compreso solo studiando le relazioni fra individui che occupano posizioni diverse nello spazio sociale.

Dagli anni Settanta in poi, la microstoria ha cominciato a criticare i metodi storiografici […] ricorrendo agli strumenti dell’antropologia per puntare i riflettori sulle interazioni fra gli individui nel quotidiano. Questa prospettiva ha permesso di dimostrare che le classi popolari avevano buoni motivi per agire e che non subivano passivamente il potere di chi stava in alto. Tuttavia, privilegiando lo studio delle relazioni dirette, i microstorici hanno trascurato troppo spesso il fatto che, nella società contemporanea, gli individui sono costretti in catene di interdipendenza che vanno al di là dell’orizzonte locale.

La particolarità della socio-storia è che studia i fenomeni storici tenendo conto delle relazioni sociali che legano direttamente e indirettamente gli individui. Questo punto di vista ha permesso di dimostrare come gli scontri fra operai localizzati nelle saline di Aigues-Mortes avessero portato a una grave crisi internazionale. D’altro canto, noi abbiamo visto che il comportamento degli operai coinvolti nel massacro non poteva essere spiegato solo da considerazioni locali (seppur fondamentali). Per spiegare il massacro del 17 agosto, è servito far risaltare le «fila invisibili» che il regime repubblicano ha tessuto in tutta la società francese dal 1870 in poi.

(fonte: Noiriel G. 2010, Il massacro degli italiani. Aigues-Mortes, 1893. Quando il lavoro lo rubavamo noi, Milano: Tropea, pp. 183-194)

 

Bibliografia

  • Bairoch P. 1999, Storia economica e sociale del mondo. Vittorie e insuccessi dal XVI secolo a oggi, Torino: Einaudi 1999, vol. I
  • Barnabà E. 2008, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes, 1893, Formigine (Modena): Infinito edizioni
  • Barnabà E. 2015, Aigues-Mortes, il massacro degli italiani, Formigine (Modena): Infinito edizioni
  • Gozzini G. 2005, Le migrazioni di ieri e di oggi. Una storia comparata, Milano: Bruno Mondadori
  • Milza P. 1981, Français et italiens à la fin du XIXème siecle. Aux origines du rapprochement franco-italien de 1900-1902, Roma:: école française de Rome
  • Noiriel G. 2010, Il massacro degli italiani. Aigues-Mortes, 1893. Quando il lavoro lo rubavamo noi, Milano: Tropea
  • Simiand F. 1907, Le salaire des ouvriers des mines de charbon en France. Contribution à la Théorie économique du salaire, Paris: Édouard Cornély & Cie Éditeurs

Note:

[1] La mappa è tratta da Noiriel G. 2010, Il massacro degli italiani. Aigues-Mortes, 1893. Quando il lavoro lo rubavamo noi, Milano: Tropea, p. 160.

[2] La mappa è tratta da Barnabà E. 2008, Morte agli italiani!, Formigine (Modena): Infinito Edizioni, p. 75.

[3] Questo è il numero cui perviene Barnabà E. 2015, Aigues-Mortes, il massacro degli italiani, Formigine (Modena): Infinito edizioni, p. 132.

[4] Rivincita: in senso politico-militare, il termine assume in Francia il valore di una riscossa nei confronti della Germania, in particolare dopo il 1871 quando prese piede un movimento ideologico volto ad esaltare il sentimento nazionale francese.

[5] Francia.

[6] «Le Mémorial d’Aix», 20 agosto 1893.

[7] 21 agosto 1893.

[8] 28 dicembre 1893.

[9] 29 dicembre 1893.

[10] «Le Mémorial d’Aix«», 24 agosto 1893.

[11] Ibid.

[12] Si veda, per esempio, il «Petit N­içois» del 31 dicembre 1893: «Gli operai d’oltre Reno o d’oltralpe che vengono in Francia con la ferma inten­­zione di lavorare a ogni costo sono più temibili dei soldati con i fucili. L’arma di cui si servono è più sicura, più mortale».

[13] «Le Figaro», 30 dicembre 1893.

[14] Vagabondi che giravano di città in città in cerca di lavoro.

[15] Anarchico francese.

[16] Caposquadra degli operai delle saline.

[17] L’espressione «caccia all’orso» si fa risalire agli antichi carnevali pirenaici.

[18] Storica francese.

[19] «Le Temps», 20 agosto 1893.

[20] «Le Mémorial d’Aix», 24 agosto 1893.

[21] «Le Mémorial d’Aix», 24 agosto 1893.

[22] «L’Autorité», 29 dicembre 1893.

[23] «Le Jour», 21 agosto 1893.

[24] «Le Jour», 19 agosto 1893.

[25] «La Lanterne», 28 dicembre 1893.

[26] «Le Petit Niçois», 22 agosto 1893.

[27] Rappresentanti di primo piano del movimento socialista francese.

[28] «Le Citoyen de Paris», 24 luglio 1881.

[29] Vagabondi che giravano di città in città in cerca di lavoro.

[30] «Le Figaro», 5 gennaio 1894. Cesare Lombroso (1835-1909), medico psichiatra e antropologo, di orientamento positivista, la sua figura resta legata all’antropologia criminale e in particolare alla tesi che la degenerazione del delinquente è in relazione diretta con le sue anomalie fisiche.

[31]«Le Combat Social», 25 marzo 1894.

[32] «Corriere Nazionale», 22 agosto 1893.

[33] «Caffaro», 22 agosto 1893.

[34] Dal Rapporto del Procuratore Generale.

[35]«Caffaro», 22 agosto 1893.

[36] «Le Journal du Midi», 18 agosto 1893.

[37] Vagabondi che giravano di città in città in cerca di lavoro.

[38] Dove trovarono rifugio alcuni italiani durante gli scontri.

[39] Antonio Labriola (1843-1904) fu filosofo e politico italiano, tra i massimi studiosi del marxismo, di orientamento socialista.

[40] Labriola A., Aigues-Mortes e l’Internazionale in Labriola A. 1970, Scritti politici, Bari: Laterza, p. 293, citato da Barnabà E. 2008, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes, 1893, Formigine (Modena): Infinito edizioni, p. 115

[41] Vagabondi che giravano di città in città in cerca di lavoro.

Dati articolo

Autore: and
Titolo: Il massacro di Aigues-Mortes. Un caso di xenofobia o guerra tra poveri?
DOI: 10.12977/nov282
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Numero della rivista: n.11, febbraio 2019
ISSN: ISSN 2283-6837

Come citarlo:
and , Il massacro di Aigues-Mortes. Un caso di xenofobia o guerra tra poveri?, Novecento.org, n. 11, febbraio 2019. DOI: 10.12977/nov282

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