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Il fenomeno delle radio libere in Italia

Il fenomeno delle radio libere in Italia

Di ignoto – La nascita delle radio libere: Radio Milano International, Pubblico dominio, Collegamento

Abstract

Lo studio di caso si inscrive nel contesto della storia italiana dagli anni ’60 alla fine degli anni ‘70 e serve a comprenderne meglio le dinamiche, focalizzando in particolare il clima culturale e la mentalità collettiva che ha dato origine ad un fenomeno unico nel panorama europeo: le radio libere. Il lavoro si articola attraverso l’utilizzo di spezzoni di film e documentari sulle radio libere che hanno avuto una narrazione episodica e non sempre documentabile. Ciononostante è possibile un approfondimento finalizzato a fornire strumenti di analisi che focalizzino un periodo della società italiana contemporanea caratterizzato dall’irruzione sulla scena dei giovani, con il loro spirito innovativo e creativo, alla ricerca di una gestione della comunicazione alternativa ai canali istituzionali, nella maggioranza poco aperti alla sperimentazione. E’ rivolto a classi del triennio della scuola secondaria di II grado; con qualche adattamento può essere utilizzato anche nel biennio e nella scuola secondaria di I grado.

Durata

4 ore di lavoro in classe e un’ora di lavoro autonomo.

Testo esperto per docenti

La rivoluzione radiofonica degli anni Settanta: le radio libere

Nel 1975-76 il panorama della radio italiana cambia in modo radicale e duraturo, segnando la rottura di un monopolio pubblico nato cinquant’anni prima, aprendo spazi inattesi a iniziative di volontariato e d’imprenditorialità diffusa e indicando anche ad altri paesi europei, nei quali il servizio pubblico ancora deteneva l’esclusiva delle emissioni, sia la via della liberalizzazione, sia i possibili rischi dell’anarchia.

Su questo grande fenomeno nazionale non sono state elaborate finora molte conoscenze critiche e documentate. La letteratura esistente ci tramanda poco più che una narrazione episodica e spesso mitica, l’autopromozione di alcuni protagonisti e il silenzio di tanti altri. La mancanza di questa ricostruzione storica è dovuta, certo, alla generale povertà, nel nostro paese, degli studi approfonditi sulla radio: un medium trascurato dagli storici dell’età contemporanea e da quelli del giornalismo e trattato da sociologi e commentatori politici come una “sorella minore” della televisione, o addirittura come un mezzo “di nicchia” (quando è, in realtà, il media più presente nella vita italiana subito dopo la televisione).

Una difficile ricostruzione storica: clima conflittuale e scarsità di fonti registrate

Il primo problema che abbiamo dovuto affrontare è quello che forse più ha inciso su tutti i tentativi di ricostruzione effettuati finora: la povertà delle fonti. In primo luogo, risulta lacunosa proprio quella che dovrebbe essere la fonte principale per lo studio della radio: l’archivio dei programmi, capace di riportarci direttamente il linguaggio, lo stile, le voci e il sound delle diverse emittenti in varie fasi storiche. La scarsità e in molti casi la casualità dei programmi conservati rappresenta un ostacolo generale allo studio storico della radio, pubblica e privata, trascorsa e recente. Per la prima fase delle radio libere e private questo problema è tanto più serio in quanto si trattava di emittenti che vivevano nel presente e per il presente, per iniziativa di gruppi in molti casi del tutto effimeri, spesso senza alcun progetto d’impresa, o con progetti comunque di limitato respiro, a rischio di chiusura, prima per la violazione del monopolio, poi per motivi politici o per l’irrompere sulle loro frequenze di emittenti più “forti”. In questo contesto ben poche radio si dedicarono a conservare traccia registrata della propria attività, e le poche che lo fecero non seguirono mai un piano sistematico.

Una soluzione potrebbe essere fare ricorso ad altre fonti, prima di tutto ai documenti scritti. Almeno per il periodo iniziale della radiofonia privata italiana, tuttavia, la documentazione scritta non è risolutiva: a differenza della Rai, grande azienda e ministero insieme, quelle emittenti semilegali e spesso improvvisate produssero ben poca documentazione cartacea, e meno ancora ne conservarono. Del resto, sui numeri stessi delle stazioni vi è stata a lungo grande incertezza.

La redazione di Radio Milano centrale, confluita poi in Radio popolare. Foto di Gianni Bardin – rete degli archivi per non dimenticare, Pubblico dominio, Collegamento

Ampliare il quadro delle fonti è quindi un’esigenza preliminare per qualsiasi ricerca

Un secondo ostacolo agli studi è dato dal clima spesso conflittuale in cui quelle esperienze si sviluppano: clima che incide pesantemente sulla scarsa documentazione rimasta, sui resoconti di molta della stampa del tempo, e continua a farsi sentire sia in molti resoconti successivi, sia nella memoria attuale dei protagonisti. Ancora oggi espressioni come “radio libera” e “radio commerciale” per qualcuno sono pacifiche, per altri del tutto inaccettabili, implicando nel primo caso un giudizio positivo e nel secondo una valutazione critica. Il compito di chi voglia capire non è certo quello di negare i conflitti, che dell’esperienza di allora furono parte essenziale e feconda; è piuttosto quello di interpretarli e contestualizzarli, il che richiede di non farsene troppo condizionare. Come fare, quando tutti i documenti e tutte le fonti ne sono così impregnati?

Un campo di ricerca vastissimo

Un terzo problema è la stessa vastità del campo. Nell’arco di pochi mesi, centinaia se non migliaia di realtà prima inesistenti trovano voce, alcune per poche settimane, altre per periodi più lunghi, qualcuna per i decenni a venire; alcune nelle metropoli della comunicazione, altre in località di provincia prive di propri organi di stampa. Un ‘semplice’ elenco risulterebbe probabilmente incompleto e un procedimento “per campione” non sarebbe rappresentativo.

Le fonti disponibili, comunque, si sono rivelate (pur nella loro incompletezza e casualità) più ricche di quanto ci si attendesse. Alcune emittenti hanno conservato una documentazione sonora tale da permettere di ricostruire il loro “suono” e alcuni dei loro stili; di altre emittenti sono stati conservati singoli nastri ancora ascoltabili; anche laddove tutto questo non c’era i palinsesti pubblicati sulla stampa specializzata e in qualche caso sulla stampa quotidiana davano conto quanto meno della programmazione. Periodici come “Millecanali” e “Altrimedia” sono fonti importanti per capire il “movimento” delle radio libere e le idee che esprimeva e per seguire in modo puntuale gli eventi e le controversie, le scelte tecniche e di linguaggio, che in quelle riviste trovavano un luogo di confronto. Altrettanto importanti sono le testimonianze: quelle raccolte allora sulla stampa anche “generalista” e quelle successive, fino al cospicuo numero di interviste che sono state effettuate proprio per il catalogo curato da Ortoleva e Cordoni che si compone, dunque, di saggi e testimonianze, documenti e trascrizioni di trasmissioni.

Il rock e la politica: elementi del successo delle radio libere

Nell’arco di pochi mesi, durante il 1975, quando trasmettere al di fuori del monopolio era considerato ancora illegale e poteva dar luogo a interventi repressivi del Ministero delle Poste o delle Preture, emittenti private nascono in tutte le aree del paese, nel sud come nel centro e nel nord, in località di provincia, nelle città di medie dimensioni, soprattutto del centro Italia e nelle grandi città che stavano diventando protagoniste quasi esclusive della comunicazione giornalistica e televisiva: Roma e Milano. Nel campo del broadcasting Roma aveva a lungo detenuto un primato pressoché assoluto, lasciando a Milano, Torino, Napoli e (per la radio) Firenze una parte limitata della produzione e proprio in quegli anni si stava assistendo nel campo della stampa a un accentramento senza precedenti sull’asse Roma-Milano. Come si spiega allora l’attivarsi di nuove emittenti in così tante realtà che potevano apparire minori e in via di progressiva emarginazione? Prima di tutto, si trattava in parte proprio di una reazione a una riduzione degli spazi dell’informazione locale e della vita culturale autonoma dei centri più piccoli.

Molto del volontariato che produce le radio libere “in provincia”nasce, più che da un impegno politico, da un desiderio di espressione che non trovava spazio in una stampa locale asfittica e in un associazionismo culturale insoddisfacente per una generazione accomunata da un livello d’istruzione mediamente più alto rispetto alla generazione precedente.

Un ruolo importante riveste anche quella musica rock la cui trasmissione era per molti il fine principale dell’attivismo radiofonico. Il rock aveva dato vita a un’identità generazionale trasversale, che andava oltre i confini nazionali, e che costituisce, ben al di là dei contenuti politici e informativi, la vera cultura condivisa delle nuove emittenti e dei loro ascoltatori, indipendentemente dalle tradizionali divisioni geografiche del paese. Inoltre, all’interno della musica rock si stavano producendo suddivisioni sulla base non solo di stili di musica ma di (reali o presunti) “stili di vita”: dal punk al progressive, al rock latino. Attorno a questi stili cominciavano a raccogliersi comunità generalmente effimere ma fortemente motivate, presenti nelle città del nord e del sud come in tante località minori, che richiedevano la “loro” musica. Era la premessa di nuove forme di aggregazione culturale trasversale, cui avrebbero dato voce diversi dei network destinati a emergere nei due decenni successivi.

Un terzo aspetto da non trascurare è il peso della politicizzazione degli anni precedenti (non solo per le radio “di movimento”). Giovani anche vagamente di sinistra e militanti di destra avevano nella fluidità delle organizzazioni extraparlamentari o dei gruppi giovanili dei partiti, e nell’informalità degli organi di stampa collegati, un riferimento esso stesso nazionale, che favoriva una circolazione d’idee tra aree diverse del paese; questo aspetto era stato prodotto in modo più frenato e circospetto dai grandi partiti del passato, con la loro struttura gerarchica e ripartita per aree territoriali. Così le radio libere diventano insieme la forma di comunicazione più decentrata della recente storia italiana e quella che più chiaramente ha dimostrato la crescente omogeneità culturale del Paese.

Un nuovo ruolo della radiofonia: stili e linguaggi innovativi

Un altro aspetto che colpisce soprattutto nella prima fase di attivazione delle radio libere e private è la sorpresa che il fenomeno produsse nel mondo dei media consolidati: nella Rai prima di tutto, ma anche negli organi di stampa, inclusi quelli più favorevoli. Da dove venivano fuori questi nuovi disc jockey e questi nuovi cronisti, questi impianti improvvisati ma funzionanti in modo discreto e a volte ottimo, e questi budget pubblicitari che pure non sottraevano nulla, in generale, ai veicoli tradizionali, dalla cartellonistica alla stampa? Il volontariato giovanile, cresciuto anche nell’esperienza delle assemblee, delle organizzazioni extra-parlamentari e delle parrocchie, riveste un suo ruolo importante, anche per l’acquisita capacità di parlare in pubblico e di improvvisare. Ma una radio non è fatta solo di parole e di musica: senza l’universo vasto e capillare quanto invisibile dei radioamatori (ampliato negli anni precedenti dalla pratica semi-illegale del Cb o Citizen Band) molte radio libere non avrebbero avuto i loro impianti, i loro “tecnici”, e anche una parte rilevante dei loro volontari. Per vivere, poi, le nuove emittenti puntano su risorse economiche anch’esse in parte innovative: da un lato i contributi diretti degli ascoltatori, veicolati o meno dalle organizzazioni politiche “vicine”; dall’altro una pubblicità locale di negozi e mobilifici, locali off e spettacoli. Alcune emittenti si dedicano da subito a un’altra attività “collaterale”, l’organizzazione di concerti e di eventi.

Tutto ciò da un lato, diventa causa di fragilità, per la persistenza di un certo dilettantismo che favorisce una gestione di corto respiro; dall’altro introduce nel sistema dei media italiano una nuova generazione di professionisti che difficilmente avrebbe trovato spazio in Rai o nel mondo giornalistico, un nuovo mercato pubblicitario, stili e linguaggi resi nuovi in parte dall’ingenuità, in parte dall’uso di idee effettivamente non sfruttate in precedenza.

Le radio libere fuori dalle istituzioni e dai grandi partiti popolari

Extraistituzionali, le radio libere lo sono all’inizio poiché di fatto illegali, poi in quanto tutelate da una sentenza abrogativa, ma non da una norma. Trasmettere sulle onde dell’etere era lecito perché non più proibito, non perché realmente “legale”, dato che l’attività si collocava al di fuori di un quadro di regole. Alcune Regioni promuovono ricerche e inchieste sulla nuova realtà radiofonica regionale, che sarebbero poi servite all’attività dei CoReCom (Comitati Regionali per la Comunicazione): organismi dotati di un potere d’intervento limitato in assenza di una normativa nazionale. Una legge organica, come si sa, non sarebbe arrivata che nel 1990, e avrebbe sostanzialmente dato veste giuridica alla realtà di fatto che si era nel frattempo costituita.

Gli enti locali rinunciano inoltre a dotarsi (come pure avrebbero potuto fare) di proprie emittenti istituzionali. Anche altre istituzioni politiche dimostrano una forte diffidenza verso il fenomeno. Tutti i grandi partiti esitano a cogliere l’occasione per dotarsi di organi meno costosi e probabilmente più efficaci di testate giornalistiche quasi sempre in grave perdita.

Una scelta politica che può apparire in fondo comprensibile per la Democrazia Cristiana, che fin quando può cerca di sostenere il monopolio dal quale era stata storicamente avvantaggiata per vari decenni; assai meno da parte del Partito Comunista, che la radiotelevisione di Stato aveva tenuto ai margini fino allora, e al quale la riforma Rai del ‘75 apriva uno spazio limitato e ancora tutto da definire. Resta il fatto che il Pci si schiera finché possibile, come i partiti dell’area governativa, contro la libertà d’antenna: ne fa fede il rifiuto sistematico dell’”Unità” nei confronti dell’espressione “radio libera” a favore di “radio privata”, che a un comunista non poteva non apparire sospetta. Solo più tardi, alcuni gruppi dirigenti locali avrebbero cambiato parzialmente politica, acquisendo il controllo di singole emittenti: è il caso della torinese Radio Flash, che viene acquisita dal partito non per essere trasformata in organo ufficiale, ma per essere unificata con un settimanale “fiancheggiatore”, “Nuova società”. Un comportamento simile a quello tenuto, sul versante opposto dello spettro politico, dal Movimento Sociale Italiano.

In modo analogo si muovono le altre istituzioni maggiori della società civile, dai sindacati allora al culmine della loro influenza, alle associazioni imprenditoriali, dalle imprese maggiori alla Chiesa stessa, che permette e a volte favorisce le iniziative locali a livello di associazionismo volontario, o di parrocchia, ma non interviene mai in forma ufficiale nel settore.

L’occupazione selvaggia di un bene pubblico

Se da un lato risulta impossibile il formarsi precoce di nuovi monopoli e viene favorita la varietà delle voci e delle emittenti, dall’altro la situazione permette ai privati l’occupazione non regolata, a volte selvaggia, di un bene pubblico, le frequenze: questo, sul momento favorisce i pionieri (in qualche caso peraltro lascia da subito spazio ai prepotenti), ma successivamente avrebbe reso difficile o impossibile la creazione di nuove emittenti a soggetti che non fossero dotati di grandi capitali.

Tutto il settore rimane per molti anni in una situazione di relativa confusione, che scoraggiava la progettazione di lungo periodo e l’investimento economicamente impegnativo in impianti e professionalità. Se, nell’insieme (e con qualche eccezione), questa situazione non si traduce in quella legge del più forte che avrebbe invece segnato la storia della televisione nel nostro Paese, ciò è dovuto non certo all’azione delle istituzioni, ma soprattutto allo scarso interesse del mondo politico e imprenditoriale nei confronti del media-radio.

La “presa della parola” delle radio libere

Solo una minoranza di emittenti si pone finalità e presenta caratteristiche esplicitamente politiche, anche se su quelle si concentra maggiormente l’attenzione della stampa, in seguito a eventi clamorosi come la chiusura per ordine della magistratura di radio Bra Onde Rosse (che porta nel 1976 alla sentenza della Corte Costituzionale), come l’intervento della polizia per chiudere radio Alice di Bologna (marzo 1977) e come l’assalto fascista a Radio Città Futura di Roma (gennaio 1979).

La persistente associazione mentale tra radio libere e radio “di movimento” non è però frutto di una semplice distorsione della memoria collettiva, ma ha una radice profonda. Il “lungo Sessantotto” italiano (1967- 1977) porta con sé, oltre alla nascita di formazioni politiche e alla crescita della conflittualità politica e sociale, anche una nuova domanda di comunicazione: quella “presa della parola”, vera novità del maggio francese e di tutta la fase di rivolta giovanile internazionale. Accompagnato alla nascita da media poveri, come il ciclostile e i cartelli scritti a mano, il Sessantotto italiano si dota presto di organi di stampa periodici e poi quotidiani, ma mira da subito a crearsi un proprio sistema di media distinto e contrapposto a quello dominante, e teorizza fin dai primi anni Settanta l’uso del nastro video e della radio in opposizione alla televisione: le trasmissioni di Radio Sicilia Libera (1970) e quelle contemporanee della trentina di Radio Gap sulle frequenze del telegiornale del primo canale indicavano, nella piena consapevolezza della loro illegalità, l’interesse precoce per il mezzo.

Per tutto il decennio, convivono nella politica del movimento due progetti in sé contraddittori ma  in quella fase apparentemente conciliabili o addirittura convergenti: da un lato quello di dar vita a una comunicazione “militante”, schierata e rigorosamente rispondente ai valori etici e politici della nuova sinistra; dall’altro quello di creare uno spazio di espressione totalmente libera, che non escludesse nessuna voce, nessun linguaggio e nessun punto di vista.

La radiofonia “militante” avrebbe avuto vita relativamente corta, salvo per quelle poche emittenti che nel tempo sarebbero arrivate a coniugare la scelta politica con una veste professionale (in primo luogo Radio Popolare di Milano, con le emittenti locali che si sarebbero man mano connesse al suo network, e Radio Radicale).

La “presa della parola” avrebbe avuto però una portata assai più ampia, dando legittimità e motivazione alle esperienze di migliaia di persone che, nelle realtà più lontane e disparate, si impadronirono del microfono per dare voce ai propri punti di vista, o per consentire a tanti altri di dire la loro, o anche “solo” per ascoltare e fare ascoltare la musica che più amavano.

Adattamento dell’introduzione al catalogo della mostraRadio FM 1976-2006. Trent’anni di libertà d’antenna”, a cura di P. Ortoleva- G. Cordoni, Edizioni Minerva.

Testo per gli studenti

 “La radio potrebbe essere per la vita pubblica il più grandioso mezzo di comunicazione che si possa immaginare, uno straordinario sistema di canali, cioè potrebbe esserlo se fosse in grado non solo di trasmettere ma anche di ricevere, non solo di far sentire qualcosa all’ascoltatore ma anche di farlo parlare, non di isolarlo ma di metterlo in relazione con altri”. 

Bertolt Brecht, Discorso sulla funzione della radio (1933) in ‘Scritti sulla letteratura e sull’arte’.

Il fenomeno delle radio libere in Italia

L’era delle radio libere costituisce una svolta epocale: prima non era pensabile l’esistenza di una radiofonia non gestita dallo stato.

Ciò è stato possibile grazie ad un insieme di fattori di cambiamento storico, economico, culturale e tecnologico che hanno caratterizzato gli anni ’70, ma che trovano le loro radici nella prima metà del Novecento, nelle radio libere della guerra di Spagna, della Resistenza antifascista e dell’immediato dopoguerra.

Il vero giro di boa, però, è stato prodotto dai seguenti fenomeni: il boom economico, il rock, le radio pirata dei mari del Nord degli anni Cinquanta, il Sessantotto.

Il 25 marzo 1970 lo scrittore Danilo Dolci decide di dar voce alle popolazioni più povere della Sicilia (valle del Belice) colpite dal terremoto del 1968: si rinchiude a Palazzo Scalia con due operatori, e trasmette 26 ore continuate di trasmissioni (in modulazione di frequenza e su onde corte): un “S.O.S. dai lager delle zone terremotate” e per sollecitare l’attenzione dell’opinione pubblica e degli organi statali coinvolti. Alle 22.00 del 26 marzo le forze dell’ordine irrompono nella sede della radio sequestrando gli apparecchi trasmittenti.

L’iniziativa di Danilo Dolci rimane un caso unico, fino al 23 novembre 1974, quando nasce “Radio Bologna per l’accesso pubblico”, che trasmetteva da una roulotte grazie a un gruppo di giovani volontari, che raccoglievano opinioni su problemi d’interesse generale. Radio Bologna trasmette per sette giorni, aprendo la strada alla riforma della legislazione sulla radiofonia, in cui la Rai riconosceva la necessità di garantire spazi a istituzioni e associazioni normalmente assenti dalla programmazione. Dal 1975 il fenomeno si diffonde come mai era accaduto prima: nascono i primi tentativi di espressione attraverso strumenti come il telefono e la diretta, che sono accompagnati da un’ondata di sequestri (Radio Milano International e Radio Bra Onde Rosse i più famosi), che sortiscono l’effetto di generare solidarietà da parte dell’opinione pubblica.

Intanto cominciava a farsi strada una contrapposizione tra radio “democratiche” (politiche e di movimento, impegnate a favorire la partecipazione dal basso e a diffondere la “controinformazione”, in molti casi auto-finanziate) e radio commerciali, a scopo di lucro, prevalentemente musicali, che si sostenevano grazie alla pubblicità.

Il 28 luglio 1976, una sentenza della Corte Costituzionale sancisce la legittimità delle trasmissioni radiofoniche private, purché a diffusione locale: finisce così il monopolio della radio di Stato.

Si passa a una nuova fase, in cui si andava formando un sistema radiofonico composto da emittenti, anche piccole e piccolissime, che sopravvivevano grazie a strutture leggerissime, fondate sul volontariato. Nella maggior parte furono destinate a scomparire, soprattutto per problemi gestionali ed economici.

Negli anni a seguire cominciano le prime forme di associazionismo fra emittenti (network). Le radio libere si professionalizzano, attirando l’interesse di grandi gruppi editoriali, di partiti politici e di giovani imprenditori, come i fratelli Hazan (105) e Montefusco (RDS): questi ultimi avrebbero costruito le prime reti radiofoniche nazionali (105 e RDS).

Delle radio libere “democratiche”, solo due hanno raggiunto una copertura nazionale: Radio Radicale (radio di partito che svolge un servizio pubblico con la diretta integrale delle sedute del Parlamento, dei congressi di tutti i partiti e dei processi giudiziari) e Radio Popolare, un esempio atipico di network, che sopravvive grazie agli oltre 12.000 abbonati-sostenitori.

La radio interattiva e reticolare sognata da Brecht è forse quella proposta dalle nuove tecnologie e dal web?

Adattamento del capitolo L’esperienza delle radio libere in Italia di Giovanni Cordoni, pagg.35-41, nel catalogo della mostra Radio FM 1976-2006. Trent’anni di libertà d’antenna”, a cura di P. Ortoleva – G. Cordoni, Edizioni Minerva.

Dossier di documenti

I materiali scelti per il lavoro con la classe si articolano in documenti ricavati in rete dall’insegnante e in brani di trasmissione televisiva, radiofonica e filmica:

Doc. 1 Presentazione Prezi: https://prezi.com/jxxuplwnzunk/ilfenomenodelleradiolibereinitalia/  per la parte introduttiva.

Doc. 2 Documenti scelti in rete dal docente per lo svolgimento del lavoro in classe.

RADIO AUT – E’ stata una radio libera fondata nel 1977 da Peppino Impastato a Terrasini, in provincia di Palermo; era autofinanziata da Peppino e dai suoi amici e denunciava i mafiosi del suo paese e dei dintorni (“Onda Pazza a Mafiopoli” era una ascoltatissima trasmissione di satira “politica” contro la mafia) tanto che fu assassinato nella notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978. La radio cessò le trasmissioni qualche mese dopo, ma il fratello e la madre continuarono a chiedere giustizia: mandante e autori dell’assassinio furono riconosciuti colpevoli e condannati solo nel 2001/2012.

La storia di Peppino e della radio è stata raccontata nel film di Marco Tullio Giordana “I cento passi”.  https://it.wikipedia.org/wiki/Radio_Aut

RADIO ALICE – E’ stata un’emittente radiofonica bolognese d’intervento politico militante di metà anni ’70 e una delle più note radio libere italiane. Venne chiusa dalla polizia, dopo l’irruzione nella sede, avvenuta il 12 marzo 1977 con l’accusa, poi rilevatasi infondata, di avere diretto via etere degli scontri di piazza: gli impianti furono distrutti, ma riaprì un mese dopo e continuò per un paio d’anni. La frequenza della radio venne ceduta a Radio Radicale. Le trasmissioni si aprivano e si chiudevano sempre col brano Lavorare con lentezza: il regista Guido Chiesa nel 2004 ne realizzò un film, intitolandolo così. https://it.wikipedia.org/wiki/Radio_Alice

RADIO MILANO INTERNATIONAL – Angelo Borra, un geometra di 22 anni, Piero e Nino Cozzi due figli in diplomatico in pensione. Hanno l’idea di fondare una stazione radiofonica. Si procurano un trasmettitore militare, un mixer e un giradischi, microfoni e miscelatori. La radio nasce ufficialmente il 10 marzo 1975, il nome è il simbolo dell’internazionalizzazione della musica e ha come modello le radio straniere ascoltate dai suoi fondatori. La sede in un appartamento di proprietà dei fratelli Cozzi, Ognuno porta i propri dischi e li usa per la radio. A soli cinque giorni dall’inizio delle trasmissioni la stampa comincia ad interessarsene: qualcuno insinua che a finanziare l’emittente potrebbe essere la Cia. Nasce anche la leggenda della radio che trasmette da un pulmino in continuo movimento da un quartiere all’altro della città per evitare che la si possa individuare e farla sigillare dalla polizia. Il 14 aprile interviene la polizia, ma il Pretore ordina di riportare gli apparecchi di trasmissione e la radio riprende le trasmissioni.

http://www.storiaradiotv.it/R%20101.htm

RADIO POPOLARE – Nel 1975 viene registrata al tribunale di Milano la testata “Radio Popolare” e l’anno dopo si forma la Cooperativa di Radio Popolare con rappresentanti di varie forze politiche e sindacali della sinistra. I redattori ne sono soci. Gli ascoltatori lo diventano acquistando una tessera. Nel 1983 la Cooperativa affida la gestione della radio per sei anni ad una Srl di cui detiene la metà delle quote, l’altra metà è di partiti ed esponenti della sinistra anche extraparlamentare e di un privato. Nel 1992 Si struttura il primo nucleo di Popolare Network collegando in diretta per i notiziari diverse città. Si sviluppano l’azionariato e gli abbonamenti: nel 1995 gli azionisti sono tredicimila, gli abbonati superano i dodicimila. Da maggio il segnale di RP è irradiato su tutta Europa da satellite.

http://www.radiopopolare.it/lastoria/

Doc. 3 Puntata di Raistoria sulle radio libere (a cura di Massimo Bernardini) http://www.raiplay.it/video/2016/03/IltempoelaStoriaAnniapos70LeradiolibereConilProfAndreraSangiovannidel18032016fa512d54d77e4d55bf8f9127c1fba199.html

Doc. 4 Intervista a Eugenio Finardi “Le radio universitarie: radio libere, ma libere veramente” http://www.radiophonica.com/freelapis/eugenio-finardi-le-radio-universitarie-radio-libere-ma-libere-veramente

Doc. 5 Trailer di film che pur costituendo una narrazione e non un documento storico, risultano utili per trasmettere il contesto e l’atmosfera degli anni delle radio libere.

  • LAVORARE CON LENTEZZA di Guido Chiesa, 2004, Italia, 110’.
  • I CENTO PASSI, di Marco Tullio Giordana, 200, Italia, 114’.
  • RADIOFRECCIA di Luciano Ligabue, 1998, Italia, 112’.

Si segnalano inoltre:

  • RADIODAYS, di Woody Allen, 1987, USA, 84’.
  • I LOVE RADIOROCK di Richard Curtis, 2009, USA, 130’.
  • THE AGRONOMIST, di Jonhathan Demme, USA, 2004, 90’.
  • TALK RADIO, di Oliver Stone, 1988, USA, 110’.

Doc. 6 File audio

Doc. 7 File audio

Sequenza didattica

Attività del 1° giorno: 2 ore in classe
  1. a) Presentazione dell’attività (1 ora)

Restituzione al gruppo-classe delle informazioni acquisite e registrate rispondendo alle domande del questionario-guida in Allegato 1.

  1. b) Analisi delle fonti e rapporto con il contesto storico-sociale (1 ora)
  • Visione del documentario DOC. 3 “ll tempo e la storia”

http://www.raiplay.it/video/2016/03/IltempoelaStoriaAnniapos70LeradiolibereConilProfAndreraSangiovannidel18032016fa512d54d77e4d55bf8f9127c1fba199.html

Somministrazione del questionario Allegato 2 e, al termine, restituzione condivisa.

Attività del 2° giorno: 2 ore in classe
  1. c) Rapporto tra le fonti e il contesto storico generale.
  • Visione dei trailer dei film:
  1. “Lavorare con lentezza” https://www.youtube.com/watch?v=vQopMM2uplg
  2. “Radiofreccia” https://www.youtube.com/watch?v=9EWJNG9NsY
  3. “I cento passi” https://www.youtube.com/watch?v=42OOzpUgXzs

Le trascrizioni sono riportate in Allegato 3.

  • Elaborazione a coppie di un breve testo che risponda al seguente quesito:

“Quale funzione ha la radio per i giovani di quell’epoca? Individuate il ruolo della politica: intervento diretto o indiretto sulla vita dei protagonisti?”.

  • Trascrizione dei testi su file e inserimento in cartella di Google Drive condivisa dalla classe per l’utilizzo del successivo lavoro autonomo.
Attività del 3^ giorno: 2 ore di lavoro autonomo a casa
  1. d) Scrivere la Storia
  • Sulla base dei filmati utilizzati e del lavoro svolto, elaborare un breve saggio storico conclusivo nel quale argomentare, con gli esempi più opportuni, la seguente tesi:

“Le radio libere sono state un evento irripetibile per le sue caratteristiche, ma anche per la situazione molto particolare della società italiana di quegli anni”.

  • Elaborare una mappa concettuale (Mindomo o Prezi) che organizzi i seguenti elementi:
    • Un fenomeno nazionale
    • Una mobilitazione di risorse inesplorate (tecnologiche e sociali)
    • Fuori dalle istituzioni di Stato
    • La presa della parola dal basso
    • Quale futuro?

Allegato 1

Questionario-guida sul testo per studenti e sul DOC. 2

  1. In che cosa è consistito il grande cambiamento portato dal fenomeno delle radio libere?
  2. Quali fenomeni politici, sociali e culturali permisero l’affermazione delle radio libere?
  3. Per quale motivo Danilo Dolci può essere considerato un precursore del fenomeno?
  4. Spiega cosa hai capito della differenza fra radio democratiche e radio commerciali.
  5. Il 1976 è un anno importante per la vita “legale” delle radio libere, spiega.
  6. Che cosa sono i network?
  7. La radio interattiva e reticolare sognata da Brecht è forse quella proposta dalle nuove
  8. Quali sono gli elementi caratterizzanti RADIO AUT, RADIO ALICE, RADIO MILANO INTERNATIONAL e RADIO POPOLARE, per cui è significativo attuare un focus?
Allegato 2

Questionario su Rai3 “Il tempo e la storia” (a cura di Massimo Bernardini)

  1. Dove nascono le prime radio libere e quali esigenze esprimono?
  2. Quali sono i tre momenti chiave del fenomeno?
  3. Secondo lo storico Andrea Sangiovanni perché il fenomeno è paragonabile a Internet?
  4. Il fenomeno delle radio politiche militanti inizia a Partinico Il 25.03.1970 alle h.19:30: quale fu il suo obiettivo? E’ un’esperienza radiofonica che influenzerà le radio degli anni ’70?
  5. E’ difficile “mettere su” una radio negli anni ’70?
  6. Che tipo di contesto socio-politico caratterizza il 1975, anno in cui esplode il fenomeno delle radio libere? Che cosa si vuole mettere in crisi?
  7. Cosa succede a Bologna l’11.03.1977?
  8. E a Roma a Radio Città Futura e a Radio Donna il 9 gennaio 1979?
  9. In radio l’identità politica coincide con il partito?
  10. Caratteristiche delle radio di destra.
  11. Una delle radio di svago, colonna sonora della giornata, è….
  12. Caratteristiche delle radio commerciali o private.
  13. Quali trasmissioni della radio di Stato hanno cominciato con la comicità demenziale e l’uso del microfono aperto agli ascoltatori?
  14. Caratteristiche delle radio del mondo cattolico.
  15. Qual è il trend della crescita delle radio libere o private al 1976 all’84?
  16. Quale caratteristica particolare ha radio radicale?
  17. Negli anni ’80 inizia il cosiddetto periodo del “riflusso” dopo i moti e le proteste degli anni ‘70. Cosa significa che il mezzo subisce la seduzione dei consumi commerciali? Che ruolo hanno i dj?
  18. Le radio di oggi continuano ad avere le stesse caratteristiche?
Allegato 3

Eugenio Finardi: “Le radio universitarie: radio libere, ma libere veramente”

Com’è nata la Sua canzone La radio, inno delle radio libere italiane?

È nata andando a fare la trasmissione che tenevo tutte le notti a Radio Milano Centrale, che era la prima radio libera – ma libera veramente – in Italia, la seconda in assoluto dopo Radio Milano International. Io facevo il programma della notte: avevo come sigla un brano dei Tenores del coro di Orgosolo che si chiamava Barones sa Tirannia, una canzone rivoluzionaria in sardo, e Mario Luzzatto Fegiz, che era direttore di questa radio, si chiedeva se ci poteva essere magari un qualcosa di un po’ più italiano. Allora io, un po’ per ripicca, andando a fare la trasmissione ho scritto in venti minuti questa canzone.

Cos’hanno significato le radio libere italiane per la controcultura degli anni Settanta?

Tantissimo: hanno per la prima volta dato in mano alla gente la comunicazione. La RAI prima era una specie di Nonna Papera che controllava tutto: il mio primo disco Non gettate alcun oggetto dal finestrino del ’75 fu completamente censurato dalla RAI per i suoi contenuti politici. C’era una censura molto forte che permetteva anche un controllo delle menti, e quindi con quella sentenza della Corte di Cassazione che liberava l’etere si liberò anche tutta la voglia di un Paese di dire la sua, dalle dediche alle tirate politiche. Fu un momento di grande liberazione: bisogna averlo vissuto per capire quanto fosse importante per gli italiani allora il fenomeno delle radio libere per sentirsi normali come gli altri Paesi del mondo. […]

Da un’intervista comparsa su http://www.radiophonica.com/freelapis/eugenio-finardi-le-radio-universitarie-radio-libere-ma-libere-veramente

Testo della canzone “La radio” (Finardi-Fabbri-Finardi)

Quando son solo in casa e solo devo restare
per finire un lavoro o perché ho il raffreddore
c’è qualcosa di molto facile che io posso fare:
è accendere la radio  e mettermi ad ascoltare.
Amo la radio perché arriva dalla gente
entra nelle case  e ci parla direttamente
e se una radio è libera ma libera veramente
mi piace anche di più  perché libera la mente.
Con la radio si può scrivere, leggere o cucinar
non c’è da stare immobili seduti lì a guardare.
E forse proprio quello che me la fa preferire:
è che con la radio non si smette di pensare.
Amo la radio perché arriva dalla gente
entra nelle case e ci parla direttamente
e se una radio è libera ma libera veramente
mi piace anche di più perché libera la mente.

Di Andrea Sartorati – http://www.flickr.com/photos/tomjoad/9995570403/, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=28720442


Bibliografia
  • GIORGIO SIMONELLI, Cari amici vicini e lontani. L’avventurosa storia della radio, Bruno Mondadori, 2012.
  • STEFANO DARK, Libere! L’epopea delle radio italiane degli anni ‘70, Stampa Alternativa, 2009.
  • RADIO FM 1976-2006. Trent’anni di libertà d’antenna, a cura di Peppino Ortoleva, Giovanni Cordoni, Nicoletta Verna, Minerva edizioni, 2006 (esaurito, ma disponibile in pdf, su richiesta all’autore Giovanni Cordoni).
  • Estratto di un’intervista a Eugenio Finardi con testo della canzone “La Radio”(Allegato 4).
Filmografia
  • RADIODAYS, di Woody Allen, 1987, USA, 84’.
  • I LOVE RADIOROCK di Richard Curtis, 2009, USA, 130’.
  • RADIOFRECCIA di Luciano Ligabue, 1998, Italia, 112’.
  • LAVORARE CON LENTEZZA di Guido Chiesa, 2004, Italia, 110’.
  • THE AGRONOMIST, di Jonhathan Demme, USA, 2004, 90’. 6. TALK RADIO, di Oliver Stone, 1988, USA, 110’.
  • I CENTO PASSI, di Marco Tullio Giordana, 200, Italia, 114’.
Sitografia