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Di pura legge italiana? La vera origine del RDL n. 1728 Provvedimenti per la difesa della razza italiana

Di pura legge italiana? La vera origine del RDL n. 1728 Provvedimenti per la difesa della razza italiana

Debate presentato alla Summer school 2018
dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri
e legato al dossier tematico

Tolleranza e intolleranza. Stranieri e diversi nel mondo contemporaneo

Abstract

Questo debate si propone di riflettere sulla controversia storiografia relativa all’origine delle leggi razziali in Italia: furono frutto della politica fascista, che già aveva espresso atteggiamenti razzisti con le guerre coloniali? O sono invece da attribuire alla dipendenza di Mussolini da Hitler?

Indice

Le leggi razziali fasciste sono un insieme di provvedimenti legislativi e amministrativi il cui contenuto fu annunciato per la prima volta da Mussolini in un discorso tenuto a Trieste il 18 settembre 1938 e raccolti nel RD-L 17 novembre 1938, n. 1728, Provvedimenti per la difesa della razza italiana (GU n. 264, 19 novembre 1938). Il loro contenuto era prevalentemente rivolto contro individui di religione ebraica, anche se bisogna considerare che secondo la legislazione fascista era ebreo chi era nato da: genitori entrambi ebrei, da un ebreo e da una straniera, da una madre ebrea in condizioni di paternità ignota oppure chi, pur avendo un genitore ariano, professasse la religione ebraica e che la conversione ad altre religioni non aveva valore nell’estinguere la persecuzione. Ci furono tuttavia delle eccezioni, individuate attraverso la Legge nº 1024 del 13 luglio 1939-XVII (Gazzetta ufficiale del 27 luglio 1939), Norme integrative del Regio decreto–legge 17 novembre 1938-XVI, n.1728, sulla difesa della razza italiana, che ammetteva la figura del cosiddetto ebreo arianizzato, a cui le leggi razziali furono applicate con alcune deroghe e limitazioni.

Le leggi, che resero estremamente difficile la quotidianità a chi subiva le discriminazioni, restarono in vigore dal 1938 al 1945 sotto il regime fascista prima e sotto la repubblica sociale poi; nel regno del sud furono abrogate con i regi decreti-legge n. 25 e 26 del 20 gennaio 1944.

Anche in considerazione che si ha, dopo l’8 settembre 1943, il passaggio dalla “persecuzione dei diritti” alla “persecuzione delle vite”, come definito da Sarfatti, si è aperto un dibattito storiografico sulla responsabilità della costruzione del piano legislativo discriminatorio. Scopo di questo debate è fare il punto su questo nodo storiografico partendo dall’analisi degli stessi provvedimenti, della loro ricezione immediata e delle successive interpretazioni storiche

Il debate e l’insegnamento della storia

Il debate è una metodologia didattica ben avviata nel mondo anglosassone, da qualche anno in uso anche in Italia, dove hanno cominciato ad essere organizzati veri e propri tornei, che mira a sviluppare soprattutto abilità comunicative e trasversali nel suo modello originale. Come ha ben sottolineato Paolo Battifora in un suo testo apparso su Novecento.org[1] , utilizzare la didattica controversiale nello studio della storia, in particolare attraverso lo strumento del debate, «consente allo studente impegnato nella controversia di cogliere la complessità e problematicità della questione presa in esame, non riducibile a banali schematizzazioni o a generici giudizi»[2]. Questa attività didattica non viene da noi proposta nell’insegnamento della storia per aumentare le abilità retoriche negli studenti, tantomeno si intendono fomentare polemiche pseudo storiografiche fini a se stesse. La discussione, condotta secondo precise regole e su documenti preventivamente selezionati, vuole invece potenziare le capacità critiche, l’attitudine all’analisi dei documenti e al dibattito storiografico. Come rete degli istituti storici della resistenza conduciamo da diversi anni una ricerca didattica che cerca di portare nelle aule scolastiche italiane uno studio della storia, in particolare della storia contemporanea, che si relazioni con quanto metodologicamente accade all’estero e proponga contenuti che siano davvero di storia contemporanea, uscendo dai limiti metodologici e cronologici dei manuali scolastici. Relativamente al debate, su cui abbiamo iniziato a ragionare circa un anno fa, dopo alcune interessanti sperimentazioni, come appunto quella condotta a Genova da Battifora, possiamo notare come «in queste prime applicazioni [del debate], si sia puntato quasi esclusivamente allo sviluppo delle capacità di discussione e di ascolto. Nell’ambito della ricerca didattica condotta dalla rete degli Istituti storici della Resistenza e dell’età contemporanea, stiamo invece cercando di capire in che modo orientare questo lavoro al fine di favorire l’acquisizione di capacità storiche da parte degli studenti: il debate, quindi, come occasione per un uso critico delle fonti, per argomentazioni storiograficamente corrette, per proficui confronti con i risultati della ricerca storica e, ancora, per imparare ad adottare punti di vista diversi dai propri, sviluppare una maggiore empatia, mettere in discussione stereotipi e misconcezioni.».[3]

La scelta della didattica controversiale quale metodologia didattica trasversale al tema della tolleranza per la quinta edizione della Summer School dell’Istituto Nazionale Parri, quindi, parte da queste considerazioni e dal modello didattico messo a punto a Genova con il supporto del professor Antonio Brusa, direttore della scuola estiva della rete. A questo modello e alla sua sequenza didattica, che si riporta sotto, sono state aggiunte alcune indicazioni sulle tempistiche del dibattito vero e proprio, mutuate da un’altra interessante esperienza didattica svoltasi al Liceo Scipione Maffei di Verona e segnalata dalla collega Nadia Olivieri.

Premesso che l’efficacia dell’azione didattica dipende anche dalla scelta dei documenti, non tutti gli argomenti storici, va da sé, si prestano ad essere affrontati con un debate. Ne abbiamo scelti alcuni in linea con l’argomento generale della Summer e abbiamo predisposto dei dossier di lavoro che saranno utilizzabili nel corso dell’anno così come proposti ai corsisti, ma che sono suscettibili di variazioni/ampliamenti da parte degli stessi. I materiali sono stati messi a disposizione dei docenti partecipanti perché i momenti laboratoriali della Summer fossero davvero tali.

Sequenza didattica

  • l’insegnante introduce agli studenti il tema delle “leggi razziali” italiane attraverso la lettura di due brevi brani che, evidenziando la genesi delle stesse, offrono interpretazioni alternative del tema proposto per il laboratorio: le leggi razziali del 1938 furono frutto della autonoma politica fascista, che era in sé razzista come dimostrano i provvedimenti contro i sudditi dell’Impero, o furono in qualche modo “imposte” dall’alleato tedesco al’Italia se non in forma diretta, con una serie di pressioni che portarono Mussolini ad imitare quanto era già stato fatto in Germania?
  • dopo aver individuato, attraverso la discussione, temi e problemi rilevanti, l’insegnante propone un piccolo dossier, composto da una decina/quindicina di brevi documenti che si riferiscono ad entrambe le posizioni sulla genesi delle leggi razziali italiane. I documenti proposti vengono brevemente analizzati insieme all’insegnante.
  • divisa la classe in due gruppi, si estrae a sorte (oppure decide il docente) il compito, apologetico o critico, affidato ad ognuno di essi: il gruppo A dovrà sostenere la tesi per cui le leggi razziali sono volontà del governo fascista, il gruppo B dovrà sostenere la tesi dell’imposizione/dipendenza dal nazismo.
  • i due gruppi avranno assegnato un equo lasso di tempo per esaminare il dossier e prepararsi alla discussione.
  • il giorno stabilito i due gruppi, alternativamente e in un lasso di tempo dato, dovranno argomentare la loro posizione a partire dai documenti. La gestione di questa modalità didattica prevede che si rispettino alcune regole: non usare più del tempo assegnato (di norma 20 minuti massimo); non interrompere chi parla; non è ammesso dare suggerimenti a chi sta parlando; bisogna prestare particolare attenzione al linguaggio, che deve evitare espressioni di basso tono ed essere sufficientemente aderente ai documenti assegnati.
  • dopo aver ascoltato le due relazioni ogni gruppo raccoglierà le obiezioni alle tesi dell’altro in una riunione della durata di circa dieci minuti. Nella discussione successiva, della durata massima di 20 minuti per entrambi i gruppi, ci sarà una fase contro argomentativa in cui ogni gruppo potrà fare una domanda/criticare una tesi proposta dal gruppo avversario. Ogni gruppo ha a disposizione due interventi di 4 minuti ciascuno. La discussione dovrà vertere sulla bontà e fondatezza degli argomenti portati a sostegno della propria tesi. Si dovranno citare i documenti, si potrà criticare la lettura che di questi è stata fatta dal gruppo avversario, si potrà rispondere alle critiche. Sarà cura del docente garantire l’ordinato svolgimento della discussione.
  • la “giuria”, composta dall’insegnante, affiancato eventualmente da altri colleghi disponibili a prendere parte al progetto didattico, prenderà nota delle obiezioni e delle risposte, ai fini di una valutazione storiografica. Il docente può assegnare un punteggio alle argomentazioni delle due squadre in base alla loro maggiore o minore attendibilità. Nel caso di un debatemultidisciplinare si terrà conto, ovviamente, anche degli aspetti linguistici, letterari ecc. Questa fase può essere svolta con l’ausilio di alcune griglie da riempire nel corso della discussione stessa, facilmente reperibili in rete e da adattare via via ai contenuti storiografici proposti.
  • l’insegnante alla fine della discussione comune potrà stabilire il punteggio finale e decretare il gruppo vincitore (questa opzione, demandata alla libera scelta del docente, riveste un carattere puramente strumentale ai fini della riuscita della controversia).
  • alla fine – in realtà è questo il momento decisivo del laboratorio – il docente presenterà agli studenti uno o due testi da lui ritenuti i più aggiornati, autorevoli e significativi sull’argomento. Entrambi i gruppi, a prescindere dal punteggio ottenuto, si confronteranno con questi testi. Lo scopo è quello di osservare se e in quale misura gli studenti riescono a cogliere differenze e analogie tra il ragionamento professionale dello storico e le argomentazioni portate nel dibattito a sostegno o detrimento di determinate tesi.

Per iniziare. Due tesi a confronto

Tesi #1 - Antisemitismo fascista

«Le leggi antiebraiche vennero promulgate dal regno d’Italia a partire dal settembre 1938. La loro introduzione fu il frutto di una svolta avvenuta -stando a quanto oggi è possibile ricostruire- tra la fine del 1935 e il 1936. La legislazione persecutoria era ancora in corso di applicazione (e di aggravamento) al momento della prima caduta di Mussolini, il 25 luglio 1943. I successivi quarantacinque giorni, cioè fino al pubblico annuncio dell’armistizio tra il Regno d’Italia e Alleati l’8 settembre, furono caratterizzati dalla sospensione di alcuni provvedimenti persecutori di carattere amministrativo, dall’abbandono dei loro aggravamenti preannunciati nelle settimane precedenti, dal mantenimento in vigore dei provvedimenti di carattere legislativo. Dal settembre 1943 al’aprile 1945, nell’Italia centrosettentrionale sottoposta all’occupazione militare (e talora amministrativa) del Terzo Reich e alla nuova Repubblica sociale italiana, la legislazione antiebraica venne confermata e aggravata, ma la persecuzione fu caratterizzata ormai dalle deportazioni. La revoca delle leggi antiebraiche ebbe luogo provincia per provincia nel corso del 1943-45, via via che gli Alleati e la Resistenza antifascista vi riportavano la libertà e la democrazia. In termini riassuntivi, il periodo 1936-43 (o 1938-43) fu contrassegnato dalla persecuzione dei diritti, mentre il periodo 1943-45 dalla persecuzione delle vite egli ebrei.

[…] L’introduzione della legislazione antiebraica avvenne ad opera del fascismo, Che ne porta intera la responsabilità. I provvedimenti legislativi furono elaborati dal governo dittatoriale del regno d’Italia presieduto da Benito Mussolini, furono approvati all’unanimità dalla Camera e a larghissima maggioranza dal Senato, furono controfirmati dal re Vittorio Emanuele III di Savoia»[5]

 

[Michele Sarfatti, Le leggi antiebraiche spiegate agli italiani di oggi, Einaudi, 2002, pagg. 3-4]

Tesi #2 - Antisemitismo d’importazione germanica

«L’antisemitismo aveva un posto troppo determinante nell’ideologia nazista perché potesse essere ignorato e costituiva un fatto troppo concreto nella politica tedesca perché un alleato non dovesse, se voleva essere veramente tale, non adeguarvisi. La politica dello struzzo, il cercare di aggirare la questione per piccoli espedienti diplomatici poteva andar bene nella fase preliminare dell’accostamento, ma non poteva certo reggere a una vera e propria alleanza. […] Senza poi dire che, come diceva Mussolini, “se si parla al Fuhrer un così fatto gergo razziale l’effetto è quasi sempre sicuro”[6] e cioè che un allineamento italiano in fatto di antisemitismo significava automaticamente vincere certe diffidenze tedesche verso l’Italia. Non a caso quando Ribbentropp venne a Roma il 5-7 novembre 1937 per la firma del patto antikomintern, ultima importante tappa diplomatica sulla via del “patto d’acciaio”, nel corso del colloquio che egli ebbe il giorno 6 con Mussolini e Ciano essi lo informarono, tra l’altro, di come procedeva la campagna antisemita in Italia. […] Né a questa nostra interpretazione contraddicono le tracce rimasteci di rapporti tra la polizia italiana e quella tedesca in materia di ebrei sin dalla fine del 1936 almeno. I casi a nostra conoscenza non denotano infatti una vera e propria azione comune contro gli ebrei, ma solo un normale scambio di “cortesie” e di informazioni tra due polizie amiche. […] E per concludere su questo punto basterà ricordare ancora come la preparazione e l’adozione dei provvedimenti razziali italiani fu seguita e “incoraggiata” dalla stampa nazista e , fatto ben più significativo, come anche in documenti personali e riservati tedeschi tale preparazione e tale  adozione fossero sempre prospettati sotto il profilo di uno spontaneo adeguamento dell’Italia.Tra le molte testimonianze in questo senso vogliamo ricordarne in particolare due: una lettera a Farinacci di Ludwig Pauler, uno dei maggiori esponenti del giornalismo nazista, e un discorso del capo dell’ufficio razza del partito nazional socialista in occasione della visita in Germania del direttore e del vicedirettore dell’ufficio studi sulla razza del ministero della Cultura popolare.»[7]

 

[Renzo De Felice, Storia degli Ebrei italiani sotto il fascismo, Einaudi, 1962, pagg. 286-289]

Dossier per il debate

Ogni docente potrà naturalmente individuare i documenti che riterrà più opportuni per il lavoro con la propria classe; il presente dossier ha quindi un valore puramente indicativo. Noi abbiamo deciso di proporre anche brevi estratti da due manuali scolastici, editi in anni diversi, per valutare la ricezione di questo dibattito storiografico anche nella manualistica scolastica.

I materiali proposti per lo svlgimento di questo debate non appaiono suddivisi nelle due tesi “pro” e “contro” come nelle esemplificazioni proposte nei numeri precedenti, in quanto sono stati pensati per essere “mischiati nel sacchetto delle fonti” e “pescati” dai partecipanti che devono così anche compiere l’operazione preliminare di individuare le fonti più adatte a sostenere la tesi loro assegnata, con un preliminare lavoro di analisi sui materiali a disposizone e una riflessione sulle possibilità di utilizzo strumentale delle fonti stesse.

Documenti

Il filo nero dei razzismi. Dalle leggi razziali 1938 a oggi

«È accaduto così che il rifiuto della politica della razza da parte della maggioranza del popolo italiano sia stato presentato come un rifiuto da parte della totalità. I meriti dei tanti hanno diluito e distolto le colpe dei pochi in un’assoluzione generale. Non basta. Si è finito col parlare di razzismo “blando”: in fondo – si è detto e scritto – il fascismo “discriminava, non perseguitava” gli ebrei, quasi che essere cacciati dal posto di lavoro per motivi di razza fosse una penale in un gioco di società. In definitiva, tutto il male è stato addossato al razzismo germanico e, con singolare simmetria, le colpe più grandi hanno assorbito e cancellato quelle più piccole. Il risultato è che la storia del ruolo degli intellettuali nella politica razziale è un libro di cui sono state sfogliate poche pagine. […] il mondo scientifico italiano si è lasciato coinvolgere in modo assai rilevante nella politica della razza, anche se si è raramente abbandonato a forme di razzismo estremo del tipo di quello germanico. [..] ciò dimostra che il razzismo italiano non fu affatto un fenomeno di pura e semplice importazione del razzismo nazista., anche se la scelta razziale fu certamente influenzata dall’alleanza con la Germania. Proprio nel mondo scientifico si levarono voci tese a difendere questa autonomia e specificità italiane e, al contempo, a affermare la piena adesione ai provvedimenti legislativi antiebraici del regime. […] Quando si parla del razzismo “teorico” ci si riferisce sempre e soltanto alle riviste “La difesa della razza”, “Il Tevere”, “La vita italiana” e ai nomi di Telesio Interlandi, Giovanni Preziosi, Julius Evola, o Roberto Farinacci. Si fornisce così un’immagine distorta e di comodo: il razzismo italiano non può essere ridotto alle teorie e alle attività di quel gruppo di “scalmanati”. Il mondo accademico, universitario e della cultura non avrebbe aderto in modo così massiccio alla politica razziale, nel migliore dei casi tacendo, spesso assentendo o collaborando attivamente, se se un gruppo di personaggi autorevoli di quel mondo non avesse costruito pezzo a pezzo le basi del razzismo teorico, non avesse collaborato all’elaborazione della politica fascista al riguardo e poi alla sua attuazione».

 

[AAVV, Il filo nero dei razzismi. Dalle leggi razziali 1938 a oggi, 63° Quaderno di storia contemporanea ISRAL, maggio 2018]

Piacenza 1938-1945. Le leggi razziali

«Il livello di integrazione degli ebrei nella società italiana, la loro significativa presenza nel mondo della cultura, della scuola, dell’esercito, delle libere professioni, la loro esiguità demografica, (circa 47.000 nel 1938, considerando i confini del Regno e compresi gli stranieri, vale a dire l’1,1 per mille della popolazione complessiva residente) e la concentrazione nelle grandi città, non costituivano un terreno fertile al diffondersi dell’antisemitismo ancora negli anni Trenta, nonostante l’ideologia nazionalista del fascismo ed il Concordato con la Chiesa Cattolica (1929) che aveva modificato la natura laica dello Stato.

A questi dati sociologici e politici, si aggiungano l’assenza di posizioni antiebraiche nel fascismo ufficiale delle origini e l’adesione anche di ebrei  al Partito nazionale fascista ( 660 ebrei vi avevano aderito prima della “Marcia su Roma”, il 2,43 per mille dei 250mila iscritti per comprendere quanto lavoro di preparazione culturale e di propaganda andasse compiuto  per accompagnare e rendere accettabili le norme persecutorie e quanto il mondo ebraico fosse impreparato a difendersi dall’attacco, di cui non riuscì a cogliere pienamente la gravità fino al ’43.

A partire dal 1937, con una intensificazione nei mesi dell’emanazione della legislazione razziale (primavera-estate 1938), si assistette ad una vera e propria campagna di indottrinamento del’opinione pubblica su tutti i mass media del tempo – giornali, radio, cinema – impegnata a nutrire il senso di superiorità razziale degli italiani e a ridurre i cittadini ebrei a un corpo estraneo alla nazione

[… ]Nasce la rivista “La difesa della razza”, nascono e si diffondono capillarmente gli istituti di Cultura fascista e appaiono pubblicati ex novo o rivisti i libri di testo per le scuole, le federazioni, gli organismi di aggregazione giovanile. Il rigido controllo sulla stampa consente di orchestrare la campagna razzista, che contamina la cronaca, gli articoli di politica interna e internazionale, le pagine culturali.

L’antiebraismo fascista sviluppò il filone pubblicistico che aveva accompagnato la violenta creazione dell’Impero (1936) e utilizzò le superstizioni popolari diffuse nei secoli dall’antigiudaismo cristiano.  Dal primo ricavava la concezione gerarchica delle razze umane, “suffragata” sia dalla storia, con l’”invenzione di una tradizione” di superiorità e “autarchia” della razza italica, sia dalle tesi pseudo scientifiche ottocentesche. Del secondo riproponeva tutti gli stereotipi religiosi. Ne derivò una drastica impostazione, con la quale si volle sostenere e giustificare il processo di espulsione e di eliminazione degli ebrei in quanto “razza” caratterizzata negativamente e per ciò in grado di corrompere la purezza italiana.

La campagna di propaganda si diffuse capillarmente in tutta Italia.

[…]La teorizzazione della razza avvenne in un momento storico particolarmente delicato per la politica fascista, ne portò alle estreme conseguenze i postulati nazionalistici e accompagnò il tragico tentativo di ritagliare una posizione economica e politica rilevante per l’Italia.

Gli intendimenti erano espliciti: …”il fascismo fa da sedici anni praticamente una politica razzista…Con la creazione dell’Impero, la razza italiana è venuta in contatto con altre razze, deve quindi guardarsi da ogni ibridismo e contaminazione. Leggi razziste in tal senso sono già state elaborate e applicate con fascistica energia nei territori dell’Impero. Quanto agli ebrei essi si considerano da millenni come una razza diversa e superiore alle altre, ed è notorio che nonostante la politica tollerante del regime gli ebrei hanno, in ogni nazione, costituito – coi loro uomini e ci loro mezzi – lo stato maggiore dell’antifascismo…” (comunicato del segretario del partito Achille Starace, fatto pubblicare il 25 luglio 1938 insieme al “Manifesto”).

L’obiettivo propagandistico era di costruire e di divulgare una dottrina che spiegasse agli italiani perché le leggi razziste che il regime stava emanando fossero una cosa giusta, non solo dal punto di vista politico, ma anche da quello scientifico.

Gli strumenti divulgativi principali furono la rivista “La difesa della razza” – un quindicinale edito all’agosto ’38 al giungo ’43 con una tiratura di 150.00 copie iniziali e di 20.000 degli ultimi numeri – e gli istituti di cultura fascista sotto l’egida del Ministro bottai, attivi in tutte le province.

Il 14 luglio 1938 su “Il Giornale d’Italia” viene pubblicato il documento “Il fascismo e i problemi della razza” (noto col titolo Manifesto degli scienziati razzisti), che enuncia le basi teoriche del razzismo. Il documento rappresenta l’approdo di un disomogeneo processo interno al regime di definizione teorica e applicativa degli obiettivi razzisti, avviato già da diversi anni. Presentato come “opera di un gruppo di scienziati razzisti… sotto l’egida del Ministero della Cultura Popolare”, il Manifesto era stato steso da Guido Landra, sulla base di precise indicazioni dello stesso Mussolini e con il concorso di Dino Alfieri. La sua lettura delinea chiaramente in dieci punti “la formulazione dottrinaria” a cui doveva ispirarsi l’imminente azione politica.

[…]Ne “La difesa della razza si rimane colpiti dall’abbondanza degli stereotipi razzisti tramite cui, in ogni numero della rivista. I diversi gruppi umani (ebrei, africani, slavi, meticci, ecc.) venivano denigrati per sostener, per contrasto, la presunta superiorità della “pura razza” ariana o “italiana”, contribuendo a cristallizzare e legittimare un vasto repertorio di pregiudizi già sedimentati nella mentalità comune. […] Gli ebrei sono i principali responsabili dell’imbastardimento della razza ariana: avrebbero incoraggiato le mescolanze di etnie diverse così da in inquinare il “sangue ariano” allo scopo di indebolire la civiltà occidentale».

 

[C. Antonini, Piacenza 1938-1945. Le leggi razziali, Quaderni di studi Piacentini, n° 3, 2010]

Storia degli Ebrei italiani sotto il fascismo

«Non vi è dubbio infatti che la decisione di Mussolini di introdurre anche in Italia l’antisemitismo di Stato fu determinata essenzialmente dalla convinzione che per rendere granitica l’alleanza italo-tedesca fosse necessario eliminare ogni stridente contrasto nella politica dei due regimi. A convincerlo di ciò contribuirono anche i vari Farinacci, il loro ruolo non va però sopravvalutato non vi è dubbio infatti che la decisione fu presa sostanzialmente da Mussolini e che su di essa queste pressioni non ebbero che un peso secondario. […] Secondo Attilio Tamaro, fonte indubbiamente bene informata, la legislazione razziale sarebbe stata una sorta di “pegno” dato da Mussolini alla Germania. L’interpretazione, anche se un po’ romantica, può essere psicologicamente fondata; a nostro avviso non vi è però bisogno di ricorrere ad essa per capire un atto che, avviate come erano le cose, era indubbiamente nella logica di esse. […] E per concludere su questo punto, basterà ricordare ancora come la preparazione e l’adozione dei provvedimenti razziali italiani fu seguita e “incoraggiata” dalla stampa nazista e, fatto ben più significativo, come anche in documenti personali e riservati tedeschi tale preparazione e tale adozione fossero sempre prospettati sotto il profilo di uno spontaneo adeguamento dell’Italia».

 

[R. De Felice, Storia degli Ebrei italiani sotto il fascismo, Einaudi, 1962]

Scienza italiana e razzismo fascista

«Il razzismo coloniale fu si impiegato ad hoc per sorreggere il traballate antisemitismo, ma solamente dal 1938 in poi: in questo periodo, come si vedrà meglio più avanti, la stragrande maggioranza della pubblicistica antisemita presentò l’antisemitismo come corollario del razzismo.

Le idee fondamentali del razzismo venivano sistematicamente esposte con riferimenti ai negri, ai pigmei, ai boscimani, nei confronti dei quali, […] esisteva una tradizione razzista consolidata ed era dunque facile far accettare il principio della gerarchia delle razze e della necessità della separazione razziale.

In un secondo tempo, sovente con accenti pudichi ad indicare indubbio imbarazzo, si presentava la segregazione degli ebrei alla stregua di una ovvia conseguenza, la cui necessità deduttiva non valeva la pena di discutere, delle premesse appena poste.

L’antisemitismo si appoggiò al razzismo coloniale preesistente , trovò in questo una importante stampella culturale, e questo spiega una circostanza apparentemente singolare: la discussione sul razzismo coloniale 1936-37, quando l’idea venne lanciata e tradotta in misure legislative, fu sostanzialmente contenuta, a testimonianza di come ne dichiarare i neri una razza inferiore si sfondasse in Italia una porta già aperta e dunque non fosse necessario un grande impegno di mobilitazione culturale; invece la pubblicistica sul razzismo coloniale aumentò con impressionante velocità dalla fine del 1938 in poi. Ciò appare strano se si pensa che allora la politica di separazione razziale in colonia era ormai consolidata, un fatto accettato che non giustificava tale ossessione propagandistica, ma si spiega benissimo se si intende questa attività come la via attraverso la quale il regime cercava di far passare l’antisemitismo nella cultura italiana: si parlava dei negri, volendo in realtà parlare degli ebrei.

D’altra parte la saldatura tra razzismo coloniale e antisemitismo nel 1937 non vi fu, o meglio fu limitata a coloro che tentavano di importare il razzismo tedesco, Cogni e Evola e amici. A stragrande maggioranza degli interventi rinviava, casomai, ad un programma di “difesa della razza” che era quello dell’eugenetica di pende, degli studiosi di scienze sociali alla Gini piuttosto che quello dei teorici nazisti, a un razzismo all’italiana che non aveva allora affatto come elemento caratterizzante l’antisemitismo».

 

[R. Maiocchi, Scienza italiana e razzismo fascista, La Nuova Italia, 1999]

Le leggi antiebraiche spiegate agli italiani di oggi

«La decisione di introdurre nel paese una legislazione antiebraica maturò tra la fine del 1935 e il 1936. Sebbene fosse interrelata alle altre linee di azione del governo ( processo di alleanza con la Germania nazista, sviluppo di una politica razzistica indirizzata soprattutto contro gli africani, i neri e il “meticciato”, costruzione di una “dignità imperiale” e d un “carattere fascista” collettivi, strutturazione del totalitarismo, ecc.), essa costituì un’azione politica autonoma, attinente alla politica interna e non a quella estera, con motivazioni riconducibili o alla crescita dell’antiebraismo nel paese, nel gruppo dirigente e in Benito Mussolini, o all’ostilità di questi ultimi per l’autonomia mostrata in più occasioni dagli ebrei. […] Riguardo alla decisione, attualmente non sono stati identificati effettivi contrasti nel gruppo dirigente fascista (sono testimoniate alcune obiezioni e critiche espresse nella riunione del Gran consiglio del fascismo del 6 ottobre 1938. Poiché però concernevano quasi esclusivamente il parziale alleviamento della persecuzione nei confronti di alcune categorie di ebrei “benemeriti”, esse rimanevano interne alla decisione persecutoria e non rivolte contro di essa). […] In effetti tanto l’italianità dei persecutori e della persecuzione quanto l’acquisizione post Auschwitz della profonda indegnità dell’antisemitismo hanno connesso la vicenda delle leggi antiebraiche alla delicata questione dell’identità nazionale, rendendone sin dall’inizio difficile una lettura distaccata.

È così potuto accadere, ad esempio, che la prima lettura della persecuzione antiebraica fascista, scritta subito dopo la liberazione di Roma proprio da un ex-perseguitato, abbia affermato che la persecuzione degli ebrei in Italia venne “esclusivamente ordinata da uno stato straniero” ovvero “fu imposta dalla Germania”, in quanto “il razzismo fascista non ebbe che un’origine e uno scopo: perseguitare quarantamila italiani per ordine di Adolf Hitler”. Ancora nel 1942 tale concetto fu riaffermato dal secondo autore di no studio sul tema, secondo il quale l’antisemitismo in Italia era stato “imposto a Mussolini”. Occorse il 1960-61 perché i primi veri storici della vicenda argomentassero: “in tutta l’ampia documentazione n questo campo […] non vi è il minimo accenno a una ingerenza tedesca nella questione ebraica italiana prima dell’entrata in guerra dell’Italia”, o: “addebitare ai nazisti la responsabilità diretta della campagna razziale italiana […] non è suffragata a prove concrete”.

Peraltro, accertata l’inesistenza di una imposizione tedesca, si è immediatamente posto il tema del peso avuto dalla Germania hitleriana nell’autonoma decisione mussoliniana di introdurre le leggi antiebraiche, ovvero si è proposto l’interrogativo se questa decisione sia stata originata principalmente dal processo di costruzione dell’alleanza italo-tedesca oppure (questo è il mio parere) dalla volontà fascista di perseguitare gli ebrei.»

 

[M. Sarfatti, Le leggi antiebraiche spiegate agli italiani di oggi, Einaudi, 2002.]

Passato Presente. 3 Il mondo contemporaneo

«Non esisteva nella cultura e nella mentalità italiane – a differenza che in altri paesi europei- una forte componente razzista e antisemita, né una tradizione giuridica di discriminazioni: la comunità ebraica, la cui consistenza superava di poco le 50.000 unità, era ben integrata. Il provvedimento, in realtà, raccolse il consenso solo di una minoranza, e fu accolto dall’opinione pubblica con perplessità o indifferenza, senza peraltro sollevare concrete manifestazioni di dissenso.

L’introduzione delle leggi razziali non va fatta risalire solo all’accentuazione dei tratti totalitari del regime né all’ormai profonda dipendenza di Mussolini nei confronti di Hitler, che dell’antisemitismo aveva fatto la chiave del suo successo (“l’idea di imitare il nazismo era ormai divenuta dominante in Mussolini”, scrive lo storico Candeloro): essa rientrava pienamente in quell’avversione per il “diverso”, in quella mentalità antidemocratica e antiegualitaria che era un carattere distintivo dell’ideologia fascista; ricordiamo, in proposito, che la legislazione antiebraica si accompagnò alla dura politica razziale e segregazionista, di difesa della “pura razza ariana italiana”, condotta dal regime nei confronti delle popolazioni coloniali. »

In una scheda di approfondimento dei documenti si riporta un brano dal Primo e secondo libro del fascismo, Roma, 1941, in cui si afferma: «Perché il regime fascista ha preso i provvedimenti riguardanti gli ebrei? I provvedimenti razziali del regime sono stati presi per tutelare la purezza del sangue italiano e dello spirito italiano e per difendere lo Stato contro le congiure dell’ebraismo internazionale»

 

[Fossati, Luppi, Zanette, Passato Presente. 3 Il mondo contemporaneo, Mondadori, 2003]

Corso di storia, vol III

«A proposito dell’alleanza militare tra Italia e Germania si afferma “che non si trattasse e non si potesse trattare di un’alleanza tra uguali, ma di un’effettiva subordinazione dell’Italia alla Germania, risulta evidente”. […] “L’estensione all’Italia delle misure in difesa della razza presto accompagnate, sull’esempio germanico, da provvedimenti antisemiti (esclusione degli ebrei dalle scuole e dagli uffici pubblici, proibizione dei matrimoni tra ebrei e ariani) approvati nel 1938, costò al regime fascista la perdita di molte simpatie, a differenza di quanto era avvenuto in Germania. Anche la chiesa condannò quei provvedimenti, scorgendovi una violazione al Concordato, e prendendo più decisamente le distanze dal regime in concomitanza con l’accostamento del fascismo al regime nazista”»

 

[Traniello, Cracco, Prandi, Corso di storia, vol III, Sei, 1989]

Mussolini era razzista dal 1921

L’Italia, dopo la sua tardiva unificazione nazionale, ha avuto (possiamo dirlo con sicurezza, almeno fino a questo momento) un solo dittatore ed è stato il romagnolo Benito Mussolini. Certo uomini politici dell’età liberale, come Crispi e Giolitti, hanno dominato per alcuni anni l’orizzonte politico nazionale ma non si può parlare di dittatori, nell’uno come nell’altro caso. L’unico che ha fissato la sua egemonia personale in maniera stabile, per più di vent’anni, abrogando di fatto lo Statuto Albertino e chiudendo parlamento, sindacati e giornali di opposizione, è stato Mussolini. Di qui il grande mito nato nell’immaginario collettivo degli italiani, le numerose biografie che sono state scritte, nonché l’esaltazione smisurata che anche uomini che venivano dalla sinistra hanno coltivato del caposupremo del regime e del partito unico, fondato per sostenerlo. Ora, a distanza di 70 anni dalla catastrofe del regime fascista nell’aprile 1945, vengono pubblicati presso Rizzoli i Diari 1932- 38 (a cura di Mauro Suttora, Mussolini segreto, pp. 522.euro 21) di Claretta Petacci che di Mussolini fu la giovanissima (20 anni nel 1932) e poco segreta amante per tutti gli anni trenta e quaranta fino alla morte per fucilazione con il suo uomo presso Dongo. Sono diari conservati prima nel giardino della villa della contessa Rina Cervis, poi nel 1950 confiscati dai carabinieri e conservati nell’Archivio Centrale dello Stato, con il vincolo del segreto di Stato. Soltanto quest’anno sono stati resi accessibili ai ricercatori fino al fatidico anno 1938.

Ma quale è l’aspetto più interessante dei Diari emersi dopo tanto tempo dai nostri archivi? Ce ne sono almeno due che guidano il lettore interessato al passato del nostro paese, ai suoi costumi, alla sua cultura, a personaggi (parlo di Mussolini anzitutto) che hanno contato per molto tempo nella mentalità media degli italiani. Il primo aspetto evidente è la disparità tra l’uomo e la donna che emerge con grande evidenza nelle pagine di Claretta Petacci. I due amanti sono molto gelosi l’uno dell’altra ma c’è una differenza fondamentale: Mussolini fa di continuo “scappatelle” con altre donne (la ex favorita del Duce Romilda Ruspi Mingardi che alloggia addirittura

a villa Torlonia dove il suo amante vive con la moglie Rachele e i figli ma anche altre amanti del passato che ogni tanto tornano da lui e lo sollecitano a riprendere il rapporto); Claretta, invece, non ha altre avventure ma viene di continuo sospettata da Benito e minacciata di essere lasciata per sempre. Emerge con chiarezza il diverso significato dei tradimenti di lui e di quelli, peraltro inesistenti, di lei: Claretta lo rimprovera e si arrabbia per le “scappatelle” ma non pensa mai di lasciarlo. E lo stesso Mussolini si scusa, chiede perdono ma in più occasioni dice che non ha potuto far diversamente. Come se alle donne fosse possibile e richiesto di non lasciarsi andare ad altri amori e lo stesso non dovesse valere per gli uomini. Mi viene in mente di fronte a queste pagine dei Diari una delle prime sentenze della Corte Costituzionale, appena dopo il suo tardivo insediamento a metà degli anni cinquanta, quando i giudici, dovendo stabilire, su richiesta di un tribunale, se la norma del codice penale che fissava un diverso trattamento per l’adulterio se compiuto dall’uomo rispetto a quello compiuto dalla donna, si arrampicavano sugli specchi per differenziare i due adulteri invocando l’allarme sociale. L’intento era quello di salvare la norma del codice Rocco e non dichiararla incostituzionale, malgrado il contrasto evidente con l’articolo 3 della Carta sull’eguaglianza dei cittadini di fronte ad ogni differenza. Dovettero passare alcuni anni prima che la Corte riconoscesse quella incostituzionalità. L’altro elemento che emerge con chiarezza dai Diari riguarda le posizioni politiche e culturali che assume Mussolini nel dialogo quasi quotidiano con la giovane amante.

L’aspetto più interessante riguarda l’atteggiamento del dittatore rispetto al razzismo che appare, moderato, nei primi anni nel regime e frutto piuttosto del fanatismo di alcuni personaggi come Preziosi e Interlandi ma diventa nella seconda metà degli anni trenta la dottrina ufficiale sancita da leggi apposite e persino più precoci di quelle naziste nell’autunno 1938. «Ero razzista dal 1921. Non so come possano pensare che imito Hitler, non era ancora nato. Mi fanno ridere. La razza deve essere difesa». (4 agosto 1938). Simili affermazioni contrastano, evidentemente, con quella visione storica di cui Renzo De Felice è stato iniziatore e caposcuola, che dipinge il razzismo fascista come subalterno e di qualità diversa, culturale piuttosto che biologica, rispetto a quello nazionalsocialista costitutivo dell’ideologia tedesca.

[Nicola Tranfaglia, Mussolini era razzista dal 1921, in l’Unità, https://www.facebook.com/notes/informare-x-resistere/mussolini-era-razzista-dal-1921/191167866266/]

Colloqui con Mussolini

Ludwig: “Crede Lei veramente che ci siano ancora razze pure in Europa, come certi studiosi van dicendo? Che veramente l’unità della razza garantisca più saldamente le forze nazionali? E non corre Lei il pericolo che gli apologeti del fascismo pubblichino le stesse stupidaggini sopra la razza latina come i nordici sopra la bionda nobile razza?”

Mussolini: “Naturalmente non esiste più una razza pura, nemmeno quella ebrea. Ma appunto da felici mescolanze deriva spesso forza e bellezza a una nazione. Razza: questo è un sentimento, non una realtà; il 95% è sentimento. Io non crederò che si possa provare biologicamente che una razza sia più o meno pura. […] L’orgoglio nazionale non ha affatto bisogno dei deliri di razza”.

Ludwig: “La migliore dimostrazione contro l’antisemitismo”

Mussolini: “L’antisemitismo non esiste in Italia. Gli ebrei italiani si sono sempre comportati bene come cittadini, e come soldati si sono battuti coraggiosamente. Essi occupano posti elevati nelle Università, nell’esercito, nelle banche. Tutta una serie sono generali”.

[…]Mussolini: “Come lo spiega lei l’antisemitismo?”

Ludwig: “Sempre, quando per i tedeschi va male, devono esserne colpevoli gli ebrei. Il capro espiatorio!”

[E. Ludwig, Colloqui con Mussolini, A. Mondadori, 1932, pagg. 74-77]

Mussolini contro gli ebrei. Cronaca dell’elaborazione delle leggi del 1938

L’Informazione diplomatica n. 14 del 16 febbraio 1938

[Sotto il titolo di Informazione diplomatica vennero diffuse a partire dall’ottobre 1937 alcune note relative a questioni di politica internazionale. Gli scritti avevano l’evidente scopo di far conoscere in Italia e all’estero la posizione del regime fascista su questioni di interesse internazionale; essi venivano pubblicati senza firma ed erano redatti da Mussolini o dal responsabile degli Esteri, Galeazzo Ciano].

“Recenti polemiche giornalistiche hanno potuto suscitare in taluni ambienti stranieri l’impressione che il Governo fascista sia in procinto di inaugurare una politica antisemita. Nei circoli responsabili romani si è in grado di affermare che tale impressione è completamente errata e si considerano le polemiche come suscitate soprattutto dal fatto che le correnti dell’antifascismo mondiale fanno regolarmente capo ad elementi ebraici. […]Il Governo fascista non ha mai pensato, né pensa di adottare misure politiche, economiche, morali contrarie agli ebrei in quanto tali, eccettuato beninteso nel caso in cui si tratti di elementi ostili al Regime”.

[M. Sarfatti, Mussolini contro gli ebrei. Cronaca dell’elaborazione delle leggi del 1938, Zamorani, 1994, pagg. 17-18]

Discorso tenuto da Mussolini a Trieste per annunciare l’emanazione delle leggi sulla razza - 18 settembre 1938

Discorso tenuto da Mussolini a Trieste per annunciare l’emanazione delle leggi sulla razza [18 settembre 1938].

Si trova in:

“Nei riguardi della politica interna il problema di scottante attualità è quello razziale. Anche in questo campo noi adotteremo le soluzioni necessarie. Coloro i quali fanno credere che noi abbiamo obbedito a imitazioni, o peggio a suggestioni, sono dei poveri deficienti ai quali non sappiamo se dirigere il nostro disprezzo o la nostra pietà. Il problema razziale non è scoppiato all’improvviso come pensano coloro i quali sono abituati a bruschi risvegli, perché sono abituati ai lunghi sonni poltroni. È in relazione con la conquista dell’impero; poiché la storia c’insegna che gli imperi si conquistano con le armi, ma si tengono col prestigio. E per il prestigio occorre una chiara, severa coscienza razziale, che stabilisca non soltanto delle differenze, ma delle superiorità nettissime. Il problema ebraico non è dunque che un aspetto di questo fenomeno. La nostra posizione è stata determinata da questi incontestabili dati di fatto. L’ebraismo mondiale è stato, durante sedici anni, malgrado la nostra politica, un nemico irriconciliabile del fascismo. In Italia la nostra politica ha determinato negli elementi semiti quella che si può oggi chiamare, si poteva chiamare, una corsa vera e propria all’arrembaggio. Tuttavia gli ebrei di cittadinanza italiana, i quali abbiano indiscutibili meriti militari o civili nei confronti dell’Italia e del regime, troveranno comprensione e giustizia; quanto agli altri, si seguirà nei loro confronti una politica di separazione. Alla fine il mondo dovrà forse stupirsi più della nostra generosità che del nostro rigore; a meno che i semiti d’oltre frontiera e quelli dell’interno, e soprattutto i loro improvvisati e inattesi amici che da troppe cattedre li difendono, non ci costringano a mutare radicalmente cammino”.

[E. e D. SUSMEL (A cura di), Opera omnia di Benito Mussolini, La Fenice, 1959, Volume XXIX, pag. 146]

Testi di riferimento

 

Il filo nero dei razzismi. Dalle leggi razziali 1938 a oggi, 63° Quaderno di storia contemporanea ISRAL, maggio 2018. In particolare si segnala il saggio iniziale di Cesare Panizza Le leggi razziali del 1938 in Italia, pagine 12-30.

Bibliografia

  • AA.VV., Il filo nero dei razzismi. Dalle leggi razziali 1938 a oggi, 63° Quaderno di storia contemporanea ISRAL, maggio 2018.
  • C. Antonini, Piacenza 1938-1945. Le leggi razziali, Quaderni di studi Piacentini, n° 3, 2010
  • M. Avagliano – M. Palmieri, Gli ebrei sotto la persecuzione in Italia, Einaudi, 2011
  • F. Cassata, La difesa della razza. Politica, ideologia e immagine del razzismo fascista, Einaudi, 2008
  • R. De Felice, Storia degli Ebrei italiani sotto il fascismo, Einaudi, 1962
  • G. Fabre, Mussolini razzista. Dal socialismo al razzismo: la formazione di un antisemita, Garzanti, 2005
  • G. Israel – P. Nastasi, Scienza e razza nell’Italia fascista, Il Mulino, biblioteca storica, 1998
  • E. Ludwig, Colloqui con Mussolini, Mondadori
  • R. Maiocchi, scienza italiana e razzismo fascista, La Nuova Italia, 1999
  • M. Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista. Vicende, identità, persecuzione Einaudi, 2000.
  • M. Sarfatti, Le leggi antiebraiche spiegate agli italiani di oggi, Einaudi, 2002.
  • M. Sarfatti, La Shoah in Italia. La persecuzione degli ebrei sotto il fascismo, Einaudi, 2005

Manuali scolastici

  • Traniello, Cracco, Prandi, Corso di storia, vol III, Sei, 1984
  • Fossati, Luppi, Zanette, Passato Presente. 3 Il mondo contemporaneo, Mondadori, 2006

Sitografia

(ultima data di consultazione: settembre 2018)

 


Note:

[1] La parte introduttiva sulla metodologia del debate applicata allo studio della storia declinata nel nostro nel nostro caso sull’argomento “Di pura legge italiana?” è ripresa da  Paolo BattiforaÈ successo un ’68. Laboratorio di didattica controversiale, Novecento.org, n. 9, febbraio 2018.

[2] Paolo BattiforaÈ successo un ’68. Laboratorio di didattica controversiale, Novecento.org, n. 9, febbraio 2018.

[3] Paolo BattiforaÈ successo un ’68. Laboratorio di didattica controversiale, Novecento.org, n. 9, febbraio 2018.

[4] Anche in questo caso la sequenza si rifà in gran parte al già citato articolo di Paolo Battifora.

[5] Michele Sarfatti, Le leggi antiebraiche spiegate agli italiani di oggi, Einaudi, 2002, pagg. 3-4

[6] E. Mussolini, Mio fratello Benito, Firenze, 1957, pag. 178

[7] Renzo De Felice, Storia degli Ebrei italiani sotto il fascismo, Einaudi, 1962, pagg. 286-289

Dati articolo

Autore: and
Titolo: Di pura legge italiana? La vera origine del RDL n. 1728 Provvedimenti per la difesa della razza italiana
DOI: 10.12977/nov284
Parole chiave: , , , ,
Numero della rivista: n.11, febbraio 2019
ISSN: ISSN 2283-6837

Come citarlo:
and , Di pura legge italiana? La vera origine del RDL n. 1728 Provvedimenti per la difesa della razza italiana, Novecento.org, n. 11, febbraio 2019. DOI: 10.12977/nov284

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